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Autore: Gaia Bessie    25/05/2021    4 recensioni
Tre donne, tre voci.
Sullo sfondo di un processo per necromazia di cui la propria innocenza Asteria Greengrass non è intenzionata a dimostrare, Daphne, George, Draco ed Hermione respirano.
[3 capitoli | Fred/Asteria, George/Daphne, Draco/Hermione | Prima classificata al contest Dantedì! indetto da Severa Crouch nel forum di EFP e partecipa alla Challenge organizzata da Bluebell su FB]
Dal terzo capitolo: Quel che c'è rimasto
«Tuo figlio, Draco» sussurra Hermione, con una calma che non riesce a provare. «Qualcosa di buono ti è rimasto per forza».
Ma lui ride, così forte che le fa temere gli si possano spezzare i polmoni, e la guarda con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono rimasti i bambini» sussurra, prendendole l’anima nuda tra le mani. «Che altro abbiamo, io e te? Matrimoni falliti, vite incrinate e i bambini».
Lei vorrebbe contraddirlo, difendersi, ma lui le fa passare una mano dietro il capo e la costringe in un bacio che non ha senso e non ha scopo – quando si staccano, sta ridendo.
«Mi hai dato uno schiaffo» le sussurra, alzandosi e lasciandola lì, perplessa.
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Avvertenze:
  • Questa storia è una canon divergence e non tiene conto di TCC: di conseguenza Hermione è diventata Ministro un po' prima del previsto per esigenze di trama.
  • Seconda cosa: ho giocato sull'età di Asteria, dandole mezzo anno in più (come Ron, per intenderci), per non far fare a Fred la figura del pedofilo. Altre note a fine pagina.
 




E mi manca la tua voce (oramai)
 
Lo schiaffo di Asteria Greengrass a suo marito risuona per tutta l’aula del Wizengamot, facendo sobbalzare un paio di streghe e facendo scattare in piedi Narcissa Malfoy, sulla soglia della stanza, pronta a testimoniare ancora una volta per l’innocenza di suo figlio.
Ma Asteria ride dolcemente, in un suono tintinnante che fa solamente male al cuore, quando con il dorso della mano si china per cancellare la traccia di una lacrima dal viso di Draco Malfoy – Harry Potter sussurra al Ministro della Magia che è la seconda volta che vede Malfoy piangere in quella maniera: è il suono soffocato e strozzato di chi sa che è tutto perduto, tutto da ricostruire.
Sua moglie lo guarda, e silenziosamente sorride.
«Mi erano rimaste solamente poche cose, Draco» sussurra, calma. «Credevo che fossero le stelle».
Lui le ha preso nuovamente la mano, sta ancora piangendo, singhiozzi silenziosi ne scuotono le viscere – ma Asteria è ferma, quasi disgustata, da quella visione.
«Tu lo sai che non so odiare».
 

 
I. Stelle avverse
 
[Tre cose ci sono rimaste del Paradiso:]
 
Tu lo sai che non so odiare

 
 
Il giardino è tutto il suo mondo.
Il giovedì notte dorme lì, che sia freddo o caldo, le altre sere mai: Asteria Malfoy è particolare, si dice, chissà cosa vortica in quella testa bionda. All’ombra di un salice spelacchiato, lei scrive e scrive, la notte poi si china nel punto più nascosto del giardino – e scava. Come una Babbana, no, come un’animale: a mani nude, a unghiate, tira via l’erba e la terra.
Il giorno dopo, ce n’è sempre un po’ di meno e nessuno lo nota mai finché, dopo tre anni di duro lavoro, un abisso si staglia di fronte ai suoi occhi. Qualcuno ha scavato una tomba, nel suo mondo.
Le dicono che deve aspettare – la malattia di famiglia consuma e non brucia – ma lei, di aspettare, non aspetta mai: lei scava e scava e scava, finché non rimane altro da fare che procurarsi gli ingredienti giusti e versarli nelle viscere della madre più antica di tutte quante.
Asteria lo sa, che è proibito da leggi antiche e leggi appena più nuove, ma lei lo sa di non essere pronta a odiare – e sul finire del suo consumarsi, quella vita sbiadita la odierebbe. Odierebbe avere un marito che non ama abbastanza, un figlio che sgambetta in giro per casa e chiama mamma sua nonna, una famiglia che non sa riempire i vuoti. E tutta la sua vita è un vuoto da riempire, un appartenersi, qualcosa da cui lei rifugge e, al contempo, è immensamente attratta.
Ed è tutto in quel giardino, tra le zolle di terra che le sono rimaste incastrate sotto le unghie e i tulipani che ha sradicato senza ombra di pentimento. Tutto lì.
Daphne – che vede il futuro con la chiarezza con cui lei rimembra il passato – le ha detto di no: è un segreto vergognoso, quello della loro dinastia, e non sarà Asteria Malfoy a riportarlo in auge. Non è un’arte, resuscitare i morti, ma è un dipingere la vita contro ogni regola, farla rossa e non bianca.
Solo che lei non si arrende e scava finché non le si staccano le unghie della mano sinistra e, la settimana dopo, è costretta a continuare il proprio lavoro con una mano fasciata e speranze appena un po’ incrinate. Ma, di smettere, non smette mai.
Si consuma come quei tulipani lasciati a essiccare al sole – così nudi che si vedono le radici spezzate. Si consuma e si logora su quella terra smossa, finché un giorno non è semplicemente finita: finché un giorno il suo mondo cambia e smettere di esser vita per divenire rinascita. A parole, Asteria è capace di ridisegnarne i contorni, colorarli di rosso su un bianco che sa solamente sbiadirlo – e ripiantare le proprie radici.
Suo marito non sa e, se sa, non dice: inevitabilmente complice, Draco Malfoy dona amore a quel bambino che amato da lei non l’è stato nemmeno quand’è venuto al mondo, si dedica a una famiglia che rimane sempre e solo priva di lei. In un mondo in cui Asteria non vive e non respira, ma si lascia appassire con squallida noia e debole speranza, Draco costruisce il proprio amore per lei, casa loro, una famiglia – niente che lei possa desiderare, in ogni caso.
Lei è tutto il suo mondo – e non lo sa o, se ne è consapevole, non le importa – e lui cerca di salvarla dai fantasmi che la animano. Spettri, nella vita di Asteria Malfoy, ce ne sono così tanti da essere impensabili.
Sono quelli che le sussurrano all’orecchio il giorno in cui riesce a tirar via l’ultimo brandello di terra, e il cuore palpita per la gioia: niente più fiori, solo un abisso che le restituisce il suo riflesso ancorato tra le viscere della terra. È il suo mondo. Quello in cui si guarda e non c’è malattia, non c’è trucco.
C’è lei che è ancora una sedicenne innamorata dell’idea dell’amore, con la pelle pallida come porcellana e lo sguardo duro come acciaio: Draco ha cercato tulipani blu per rendere idea di quel colore, ma non può esistere un tulipano in grado di scalfire il diamante.
In quel giardino che è diventato l’essenza della sua esistenza, Asteria comprende che non c’è trucco, non c’è espediente per trattenersi dall’infrangere ogni legge, ogni patto sacro che mai sia stato stipulato da un mago: prima di lei, Salazar Serpeverde, dopo di lei il vuoto. Ma Salazar l’aveva riportata indietro, Corinna dalle mani d’argento, per poche ore appena.
Per poche ore lei s’è risvegliata, scoprendo che il mondo dei vivi era pallida copia di una rappresentazione migliore – e di morire aveva scelto, dolcemente, con un veleno sciocco e squallido: Salazar aveva perso la propria migliore amica, il proprio riflesso, in un rimpianto che sapeva di succo di mandorle amare.
Asteria sa che non si vince la morte – ma non si vince nemmeno l’amore, e il Paradiso non può tenere in ostaggio qualcosa di così puro e al contempo macchiato di terra e speranze ormai perdute. Ha sempre avuto tutto.
Ma, mentre versava latte e miele, poi vino e infine acqua, Asteria se l’è sussurrato a mezza voce – non ha mai domandato niente di tutto questo.
Non Draco che la guarda e sospira, domandandosi per quale miracolo si sia arresa al matrimonio: da qualche parte nel suo cuore bugiardo, se lo domanda lei stessa.
Non Scorpius che sgambetta per casa e gioca con i tulipani essiccati tra i libri, e a sei anni ha già imparato a scrivere le prime parole.
Non Daphne che la guarda e glielo dice, semplicemente, nel trovarla un giorno con le mani sporche di terra.
«Non lo puoi fare, Ria» le sussurra, tirandola per un braccio. «Non è nemmeno legale, e poi… non vorrà più stare qui: cosa puoi dargli, in più del Paradiso».
Smettila, Daph, posso dargli me – Asteria lo sussurra con le labbra incrinate di speranza, poi torna a preparare latte e miele, poi vino, poi acqua. Ciò che non ha funzionato funzionerà: dovrà rispondere al suo richiamo, prima o poi.
Il suo sangue fa il resto, quando s’incide il palmo della mano e lascia cadere qualche goccia nella terra già umida.
Il giardino è tutto il suo mondo – perché è lì che spera di divenire il mondo di qualcun altro.
 
***
 
Quando riemerge, è come svegliarsi da un sogno meraviglioso – quando apri gli occhi e, il dolore dell’incubo precedente, lo senti tutto alla fine. Ma, quando lui apre gli occhi, vede solamente terriccio e il cadavere di qualche papavero.
Negli occhi di lei, solamente un nero senza fine: Asteria lo guarda come se non potesse credere a quella visione, e lui riesce solamente a pensare che il passaggio dalla morte alla vita è freddo e puzza di un miscuglio di latte e vino che è solamente rancido e disgustoso. Vorrebbe dirlo a lei e ridere per farla ridere, sebbene Asteria Malfoy non sembri più essere incline alle risate – forse, un tempo: ma poi si è disincantata e, di ridere, non ha riso mai più.
Lei gli tende la mano, per scoprirla corporea, e un lieve sorriso le anima il volto stanco: avresti potuto aspettare, le dice la sua coscienza macchiata e stracciata, quanto tempo vuoi che ti rimanga. È che le trema l’anima come se non le appartenesse più quando i suoi occhi, del verde sporco dei gambi essiccati dei tulipani, incontrano lo sguardo azzurro di Fred Weasley.
Guarda cosa hai fatto, sembra dirle lui silenziosamente, guarda a cosa ci siamo ridotti – te che sei ancora disperata e io che ci sono e non ci sono.
Asteria vorrebbe avere la forza di prenderlo per mano e portarlo via di lì, ma quando si sporge per aiutarlo a uscire dalla fossa, lui scuote il capo.
«Non posso venire con te» le sussurra, rifiutandone la mano tesa. «Non è il mio posto, questo».
«Certo che lo è» risponde lei, trafiggendolo con un singolo sguardo. «Il tuo posto è accanto a me, ricordi?».
Fred scuote il capo, con dolore tangibile, e la guarda nuovamente negli occhi: è lo sguardo che Corinna dalle mani d’argento avrà riservato a Salazar, che d’argento non aveva di certo il cuore, l’occhiata disperata di chi sa di non poter rimanere. Ma perché, poi?
Cos’avrà mai il Paradiso in più di quel terreno sporco e umido dal quale è emerso, cosa ci sarà in Paradiso più di lei. Asteria scende nella buca.
In quel momento, è come abbandonare una parte di sé stessa, quella più cupa e nascosta, quando i piedi toccano il terriccio che, fino a poche ore prima, smuoveva con le unghia e con i polpastrelli: non guardare troppo dentro l’abisso, le ha detto Daphne, qualche giorno prima.
Altrimenti, ha domandato lei con aria divertita, cosa potrà mai succedermi – solamente che l’abisso ti guarderà dentro1, e saprà tutto di te.
«Ria» la voce di Fred è roca, come se si fosse disabituato a parlare. «Io devo andare via di qui».
Anche io, pensa lei, cosa credi che ci faccia con i piedi immersi nella terra sporca e smossa: che siano le stesse parole pronunciate da Salazar Serpeverde, mentre cercava d’acchiappare Corinna per i capelli d’ebano?
«Non puoi lasciarmi qui» sussurra lei, aggrappandosi alle sue braccia. «Ho perso tutto per riportarti da me. Riportami da te, adesso».
Il suo sorriso è tristissimo – dice una verità che lei non vuol sentire più: potevi aspettare, basta così poco. Tanto così, Asteria, e non avresti dovuto subire tutto questo.
Ma lei s’aggrappa a quelle braccia come il tulipano al terreno, e le sue radici son ben più solide: verdi quegli occhi scuriti dalla determinazione, Asteria Malfoy lo guarda con una speranza che Salazar Serpeverde non aveva avuto mai.
«Rimani» sussurra. «Finché non dovrò andarmene anche io, noi… meritiamo di essere insieme anche in questo».
Fred sospira – il giorno in cui l’ha incontrata per la prima volta, l’ha scoperta dominata da passioni violente: anima inquieta, in lui Asteria aveva trovato quell’aria cheta che silenziosamente spianava i suoi venti avversi. Cos’è rimasto?
Forse, il brandello di una vita fa: quando l’aveva scoperta appassionata alle arti, e allora anche il sesso lo era, e come il sesso la gelosia. Ha ancora un segno sul cuore, Fred, il giorno in cui lei in lacrime ha alzato la mano – come per dargli uno schiaffo – per un sorriso di troppo ad Angelina Johnson: o con me, o non mi vedrai mai più.
Lui non aveva riso, né aveva pensato fosse una battuta – ma, di guardare un’altra, non aveva guardato più nessuna: Asteria s’era quietata, ma la morte era stata ben più quieta di lei, e strisciando glielo aveva portato via.
«Sei andata avanti» sussurra lui, carezzandole i capelli. «Lo sai, che è giusto così: io non dovrei essere qui».
Ma lei gli lancia uno sguardo talmente disperato da annichilirlo. «Certo che dovresti» sussurra, appassionatamente. «Il tuo posto, il tuo dovere, è stare accanto a me».
«Devo andare via di qui» sussurra lui, calmo. «Il mio posto sarà accanto a te, ma adesso… adesso cosa sono?».
Il brandello di un ricordo. Asteria lo sa, ma le mancano le parole – così lo chiude in un abbraccio, riempendosi le narici del suo odore.
Non è cambiato, è semplicemente lui ed è consistente sotto le sue mani, un pensiero incarnatosi per il suo tocco.
«Rimani» sussurra, stringendolo a sé. «Io non sono niente, senza di te. La odio, questa vita che mi hanno costruito attorno».
«Non sai odiare, lo sai» risponde lui, stringendola a sua volta. «Sei troppo buona per fare una cosa del genere, Ria, cosa ti è successo?».
Lei pensa di dirgli è la mancanza che l’ha logorata, mangiandole il cuore – e, ancora una volta, cos’è rimasto?
Non risponde, ma si lascia cullare dal suo abbraccio, chiudendo gli occhi: non riesce a trovare niente di sbagliato nelle sue azioni – e la Magia Oscura è scolorata in grigio e in bianco, di fronte al potere del suo amore: è quel che Corinna dalle caviglie sottili non ha compreso mai, che a volte scolorare il nero serve per poter sopravvivere. E, forse, Salazar Serpeverde l’amava abbastanza per rinunciare a un coccio della propria oscurità.
Vorrebbe dirgli questo – la storia della ballata del corvo e del serpente – e molto altro ma, quando apre la bocca, un urlo che non le appartiene dilania l’aria: Daphne la guarda, gli occhi azzurri spalancati. E Asteria, egoisticamente, non riesce a non pensare che sua sorella abbia rovinato tutto quanto.
 
***
 
Scorpius Malfoy ha sei anni quando impara quel che a un Malfoy si richiede: essere sempre al di sopra di ogni sospetto, in ogni situazione, anche quando l’evidenza diviene un’arma a doppio taglio. E lo vede in suo padre, scosso da singhiozzi silenziosi, con Narcissa che lo tiene per un gomito e ha l’aria di chi ha appena inghiottito un limone. Lo vede in sua madre, che seppur abbia le guance rigate di lacrime per essere stata separata da lui, rimane ritta ed elegante nel proprio abito sporco di terra. Odora di pioggia, Asteria. E vino e latte, in un olezzo che fa arricciare il naso agli Auror venuti a prelevarla – lei non domanda chi sia stato a tradirla: Draco s’aggira come un’anima in pena e, quando incrocia il suo sguardo, sillaba quella domanda.
«Che altro avrei dovuto fare?».
Lei alza il capo, fiera come una regina, e gli regala uno sguardo che sa di tempesta: avermi colta sul fatto, puoi esserci riuscito, ma sorprendermi? Quello mai.
Lei alza il capo e muta guarda suo figlio, sua suocera, e nuovamente suo marito – per un momento ha avuto quel che s’era preposta d’ottenere, che altro le serve? Lui le ha permesso di sradicare quei tulipani, ormai cadaveri tra i libri di casa Malfoy, non è forse colpevole quanto lei?
Ma, quando Harry Potter arriva tirandosi dietro tre o quattro scolaretti dell’Accademia, è per lei soltanto: la circondano come una criminale, privandola della bacchetta, e lei semplicemente sospira e sorride di fronte allo sguardo sconcertato di suo marito.
«Mi dispiace, Malfoy» bisbiglia Harry, che mai avrebbe creduto di poter pronunciare quelle parole. «La procedura è questa».
La procedura, pensa Asteria ironicamente, come se si fossero mai trovati di fronte a qualcuno così disperato da voler resuscitare un morto: è che siamo abituati a percepirla, la morte, come inevitabile – ma lei e Salazar Serpeverde lo sapevano che non è così.
«Signora Malfoy» la richiama Potter, facendole scuotere il capo bruno. «Lei in questo momento si trova agli arresti domiciliari. Le sono chiari i suoi diritti?».
«Mi è chiaro cosa mi è stato tolto» risponde lei, alzando il mento in direzione dell’Auror. «Chi mi è stato tolto. Perché restituirlo alla famiglia, se sono io quella di cui ha bisogno?».
«Fred deve morire» lo dice con una semplicità che uccide, non ferisce soltanto, ma strappa il cuore in un sussurro. «Non è più il suo mondo, questo».
Che sono le parole che deve aver bisbigliato Corinna dagli occhi color zaffiro, vedendosi catapultata in una realtà che preservava frammenti del suo cuore: il mondo che conoscevo è morto con me, Salazar, mi dispiace.
Ma Asteria ha il portamento fiero che doveva aver avuto la capostipite dei Corvonero e proviene dalla Casa che ne propaga l’insegnamento, eppure. Eppure non ha esitato un istante, con l’avventatezza con cui Messer Grifondoro deve aver pugnalato Salazar Serpeverde, nello scoprire cosa aveva fatto alla donna che amavano entrambi: è scritto nella storia, che non tutti conoscono, e anche lei da oggi ne scriverà una tutta sua – una storia che sa di tempesta.
«Lui non morirà» sibila, come una Gorgone pronta a pietrificare Harry Potter con uno sguardo. «Siamo fatti per restare. Insieme, ma per restare».
Se lei fosse Medusa, basterebbe uno sguardo per incrinare l’anima al Prescelto? Per pietrificare tutti e fuggire via, basterebbe?
C’è un vaso pieno di tulipani, sul mobile dell’ingresso, stupidi fiori che sussurrano e si burlano di lei che ha ucciso ed essiccato i loro fratelli: rossi, gialli, rosa – blu mai – la guardano e ridono, ridono, ridono.
Asteria ride a sua volta, facendo sobbalzare suo marito: lei è fatta per creare tempesta e riceverne amore.
«Asteria» la chiama Harry, permettendosi di pronunciare il suo nome, sebbene non si siano mai visti se non a cene di lavoro. «Sei in grado di renderti conto che domani sarai sottoposta a regolare processo e il Wizengamot sarà chiamato a deliberare sul fatto che tu abbia praticato una forma di magia proibita?».
«Che ne sa il Wizengamot?» risponde lei, calma. «Che ne sapete tutti voi?».
Del bisogno spasmodico con cui ha pianificato, osservato, studiato, finché la soluzione non l’è parsa evidente: lei sarà anche debole nei confronti dell’amore, ma Fred Weasley doveva tornare a camminare accanto a lei – non dietro, a calpestarne le impronte e ad aspettare il momento in cui finalmente lei avrebbe ricevuto dalla vita il permesso di voltarsi indietro.
Con un gesto rabbioso della mano, infrange quello squisito vaso di fiori tanto amato da sua suocera, riempendosi il braccio di schegge: ma è un dolore illusorio, perché il cuore batte a un ritmo che si rivela essere in grado di ferirla ancora più profondamente.
I fiori cadono sul pavimento, in un lago d’acqua. Nude le radici mai tagliate, lo stelo sottile, la corolla. Draco guarda sua moglie come se non fosse in grado di riconoscerla più e in un briciolo di orgoglio le sussurra, pieno di amorevole disgusto: cosa sei diventata.
«Il Ministro in persona ha scelto di evitarle Azkaban, signora Malfoy» commenta Harry Potter, tagliente. «Non mi costringa a farle cambiare idea».
Ma lei lo guarda – pietrificandolo – e gli oscilla davanti al viso la mano sinistra, quella del cuore: sull’anulare, la fede nuziale, sul mignolo un anellino minuscolo. Roba di bambine, pensa Harry, chissà che significato nascosto avrà per lei: sicuramente, una promessa.
«Non lo porterete via da me» sussurra, semplicemente. «Qualunque cosa succeda, noi ci apparteniamo».
Harry Potter sospira, fa un cenno a Malfoy e si prepara ad andare via – non porteranno via Asteria Greengrass: ma la condanna, che sia essa giusta o ingiusta, appare ormai come una realtà inevitabile. Gli Auror si Smaterializzano nell’eco della risata della signora Malfoy.
È quel che impara Scorpius, alla tenera età di sei anni: puoi amare una persona fino a impazzirne e, quando ormai il senno ti ha abbandonato, rimane solamente la determinazione a bruciarti senza inizio. O fine.
Asteria ride, rigirandosi la fede al dito, finché non riesce a sfilarla: è sporca di terra e sa di una promessa spezzata, quando lei la prende e la getta sopra i fiori, incrinando lo sguardo di suo marito.
 
***
 
Vengono posti incantesimi di protezione sul Manor: per tenerti al sicuro, dicono a Scorpius – per non farla scappare, pensa Draco con amarezza.
Asteria s’aggira per ogni stanza come un’anima in pena, come se il semplice suono dei suoi passi avesse il potere di riscaldarle l’animo e farle vedere rossa una vita che, in verità, sta già scolorando nel panna.
Lui vorrebbe solamente mettersi a gridare: ma lo vuoi capire che ci hai rovinati tutti quanti?
Ha qualcosa dentro che gli strappa le urla.
Draco Malfoy si passa una mano tra i capelli, come a volerseli tirar via: l’esasperazione gli trasfigura i lineamenti, li rende affilati, e lui ha gli occhi così spalancati che paiono scodelle piene di acqua.
«Calmati, Draco» sibila Asteria, algida. «Scaverai un solco nel pavimento, se continui così».
Lui la guarda – esasperazione gli sradica via quelle urla – e vorrebbe semplicemente mettersi a gridare sempre più forte, fino a farle sanguinare il cervello da quella medesima esasperazione che scuote lui. La guarda e non bastano le parole, non bastano i respiri per farle intuire la portata della stanchezza che gli scuote le viscere, deformandolo come una statua di metallo riscaldato.
Gli incantesimi di protezione non bastano – chi salverà Draco Malfoy da sua moglie?
«Come faccio a calmarmi?» risponde lui, che ha gli occhi arrossati di lacrime silenziose. «Asteria, ma tu ti rendi conto di cosa hai fatto, di che leggi hai infranto e del fatto che…».
Che gli ha spezzato il cuore. Come avesse la superficie biscottata dal sole o vetrificata come sabbia, il cuore di Draco Malfoy s’è crepato su cicatrici che non si erano mai rinsaldate – ha già amato, ha fallito nell’amare.
Asteria vorrebbe rispondergli e spezzettarlo ancora un po’ di più, quando dal camino emerge una donna – elegante, nel suo completo da strega color tortora – dal viso fin troppo familiare: Hermione Granger le rivolge un cenno del capo, sono state colleghe per anni prima che lei tentasse la scalata verso il Ministero, e si volta verso Draco.
«Signori Malfoy» saluta, compitamente. «Vi chiedo scusa se mi sono autoinvitata a quest’ora, io… avevo bisogno di essere sicura che abbiate compreso».
Draco vorrebbe urlare sempre più forte – ma lo capisci che sto soffrendo? – e mettersi a sbattere i piedi sul pavimento: non lo fa. Non fa niente di tutto questo, ma si limita a lanciare uno sguardo atono, incolore, al Ministro della Magia.
«Verrà fatta una perizia psichiatrica» continua Hermione, calma. «Domani mattina, sarà presente un Medimago e un Auror. Indagheranno nei tuoi pensieri, Asteria, nei tuoi ricordi».
Asteria Malfoy ride – non riesce a fare altro: che li prendano pure, i suoi ricordi, che li spezzettino. Vi troveranno vecchie ballate, un amore adolescenziale, rancore. Così tanto che le si è frammentata l’anima in un tenue rosa da tramonto.
«Poi, ci sarà il processo» sussurra il Ministro, con calma. «E, te lo assicuro, vorranno la tua testa. Hai rotto la legge più sacra di tutte, in questo mondo: non bisogna turbare i morti».
«Io non l’ho turbato» risponde Asteria, con sguardo perso. «Hai idea di quanto lui abbia turbato me, in tutti questi anni? Di quante volte io l’abbia sognato?».
Hermione sospira. Quella donna non conoscerà mai pace, pensa, rimarrà sempre pulviscolo inquieto che svolazza ovunque e non si posa mai.
«Asteria» la richiama. «Non te lo faranno rivedere. Hai infranto una legge sacra e adesso è tutto…».
È in quel momento che Draco Malfoy esplode e lo dice, anzi lo grida: che è tutto perduto, tutto da rifare, e che lui ha sbagliato a prometterle che. Che le avrebbe dato una casa, una famiglia, perfino quell’amore che lei ha sempre e solo ostinatamente rifiutato.
Urla che stracciano pensieri. Draco sembra incapace di fermarsi, finché non sente le mani della Granger sfiorargli il braccio con una comprensione che gli fa schifo ma che, inaspettatamente, agisce come freno.
«Non te lo faranno rivedere mai più, Asteria» sibila Draco, voltandosi a guardare un’ultima volta sua moglie. «E, per quanto mi dispiace dirlo a te, è esattamente quel che ti meriti».
Lei alza lo sguardo, verde come quelle radici stracciate dalle sue mani inclementi, e sorride: chissà se ci ha mai creduto per davvero, di poterlo rivedere per più di un frammento d’istante. Chissà se ha tenuto in conto, se ha pianificato, o se semplicemente s’è scavata dentro a unghiate in un tentativo (squallido e inumano) di uccidersi prima del previsto.
L’aveva previsto, Salazar dagli occhi d’alabastro, di dover cozzare contro la volontà di Corinna? – che, di vivere, non voleva vivere più.
Son stanca della vita, amor mio, aveva confessato Madama Corvonero. Nella morte ho trovato la mia quiete, perché dovrei bramare nuovamente la tempesta?
È che la vita ferisce più di quanto non si riesce a pensare, sussurra Asteria a sé stessa, e Fred conoscerà il dolore di esser perso una seconda volta: e Corinna dalle mani bianchissime aveva rinunciato. Tutto perduto, tutto da rifare.
Asteria guarda suo marito negli occhi – vi scorge il medesimo residuo di tempesta che rintraccia nella propria anima.
«Andremo via insieme» sussurra, guardando negli occhi il Ministro della Magia. «Qualunque cosa facciate per tenerci separati».
Lo sguardo di Hermione è di luminosa compassione, mentre a fatica la signora Malfoy s’avvia in camera sua.
«Pensi che ce la farà ad affrontare un processo?» sussurra, diretta al marito tradito. «Pensi che ce la farà a sopportare i Medimagi che le frugano in testa?».
Draco Malfoy sospira, si passa una mano tra i capelli che, superstiti, gli sono rimasti sul cranio e semplicemente lo dice.
Che hanno messo incantesimi di protezione sul Manor ma, di fuggire, Asteria non potrà fuggire mai – non ne avrebbe la forza. La sentono forzarsi a salire le scale, un passo per volta, con il fiato che lotta per sanguinarle fuori dalla bocca.
Draco si volta e le lancia uno sguardo pieno di dolorosa comprensione.
«Io non penso che sopravvivrà al processo» sussurra, incrinato come quel vaso rotto dalla moglie. «Non riesco a pensarlo possibile».
Hermione annuisce, ma non aggiunge altro.
 
***
 
L’aula del Wizengamot è diventata bianca: tutti i membri si son presentati per assistere a quella barbarie, a un medico che frugherà nella testa di una donna che non ha più energie nemmeno per pensare alla vita, se non alla morte. Ma Asteria su quella sedia posta al centro dell’aula, ci si avvia con ferma dignità.
Qualcuno ha detto che la vita è bianca, come una vecchia mendicante, come la gomma pane per sfumare i bordi dei disegni – come le mani di Corinna Corvonero quando s’è svegliata nel proprio letto di crepacuore, per scoprirsi ancora giovane, ancora bella, ma con i capelli inevitabilmente striati di bianco.
Eppure, si dice Asteria, che di bianco non ha mai visto niente in tutta la propria esistenza – per lei è rossa. Rosso sangue, vino rosso, un tramonto, i capelli di Fred al mattino quando si svegliava e allora erano la cosa più vicina da vedere, da toccare.
Lo sente ancora, se si concentra abbastanza, il rumore del letto che cigola, il vento che crepa le finestre. Il suo respiro sulla pelle.
Succedeva spesso che si domandasse se non fosse possibile fare l’amore con un fantasma se, ogni dannatissima volta in Draco vedeva solamente l’immagine sbiadita (rosata) di Fred. E forse si poteva davvero, perché controluce quel biondo quasi bianco era solamente l’ennesima cosa arrossata e insanguinata in vita sua.
La Medimaga è una donna. Gentile, il sorriso che le rivolge facendola accomodare sulla sedia, mentre sfila la bacchetta da un precario chignon di capelli biondissimi.
Si chiama Anne-Marie, perché ha la madre francese e il padre inglese, e ha anche lei una casa e un figlio piccolo: amore poi chi lo saprà mai?
Asteria non le sorride, mentre s’accomoda sulla sedia: perché dovrebbe? Si tratta di aprirle la testa come un frutto maturo e di scoprire cosa vi dimora dentro.
Ma lei lo sa già. Disperazione, vi vedranno, una morte precoce che le ha spezzato il cuore – ma è suo marito a tenerle la mano, mentre lei sospira e si guarda attorno.
«Lasciami andare, Draco» gli sussurra, con una doppia valenza che lui non riuscirà mai a interpretare del tutto.
Ma lui fatica a staccarsi quella mano, e sta di nuovo piangendo – singhiozzando, come Godric Grifondoro sulle spoglie di quella donna che non l’aveva amato mai.
È secco, quel rumore. Duro, insensato. Un colpo che fende l’aria e s’infrange sulla guancia pallida di Draco Malfoy.
Lo schiaffo di Asteria Greengrass a suo marito risuona per tutta l’aula del Wizengamot, facendo sobbalzare un paio di streghe e facendo scattare in piedi Narcissa Malfoy, sulla soglia della stanza, pronta a testimoniare ancora una volta per l’innocenza di suo figlio.
Ma Asteria ride dolcemente, in un suono tintinnante che fa solamente male al cuore, quando con il dorso della mano si china per cancellare la traccia di una lacrima dal viso di Draco Malfoy – Harry Potter sussurra al Ministro della Magia che è la seconda volta che vede Malfoy piangere in quella maniera: è il suono soffocato e strozzato di chi sa che è tutto perduto, tutto da ricostruire.
Sua moglie lo guarda, e silenziosamente sorride.
«Mi erano rimaste solamente poche cose, Draco» sussurra, calma. «Credevo che fossero le stelle».
Lui le ha preso nuovamente la mano, sta ancora piangendo, singhiozzi silenziosi ne scuotono le viscere – ma Asteria è ferma, quasi disgustata, da quella visione.
«Tu lo sai che non so odiare».
 
***
 
Ho sempre creduto nelle stelle – guardane una che cade, esprimi un desiderio: io oggi desidero che tu ritorni da me.
Io oggi desidero che tu torni indietro e lo faccia perché te lo sto chiedendo, perché ti sto supplicando e tutto questo ti basta. Perché non vuoi vedermi moglie di un altro, amante di un altro, e allora tornerai perché è il nostro bene quello che conta.
Credevo fossero le stelle, ad aver deciso che dovevamo essere divisi – credevo fossero le stelle ad aver deciso che dovevamo essere uniti.
E invece hanno deciso che sposerò un uomo per cui provo una tiepida sopportazione, ma che piace ai miei genitori, e per cui, sul finire, proverò solamente intolleranza. Tu lo sai che non so odiare.
A un millimetro da te, te lo ripeto: io forse non saprò odiare, Fred, ma di certo ho saputo amare (e ho saputo amare te).
E forse è vero che il Paradiso mi ha lasciato qualcosa – le stelle, questo sì. Tornerai da me, in qualche modo, con qualche preghiera.
Perché ci sono tante, troppe ballate, e tutte dicono che l’amore e i desideri stanno lì: quando Corinna Corvonero è sparita, ci ha lasciato i sogni, le speranze e
 
 
[le stelle].


 
[Asteria]


 
Ed eccomi qui.
Mentirei se dicessi che non ho lavorato tanto a questa mininlong (che, a proposito, partecipa alla challenge di Bluebell per il girone Crack - George nel mio caso).

Il contest di Severa consisteva nello scegliere una citazione di Dante, e la mia scelta è stata "Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini" e tramite queste tre cose, e i giochi di parole dei rispettivi nomi, ho voluto dare voce ad Asteria, Daphne ed infine anche ad Hermione.
La storia dovrebbe essere molto lineare, spero piaccia a qualcuno. Piccola noticina di questo capitolo:

1F. Nietzsche, Al di Là del Bene e del Male

E vi ricordo che il titolo proviene dalla canzone di Irama "La genesi del tuo colore". Le info sul rituale eseguito da Asteria vengono, banalmente, da Wikipedia.
Spero di essere stata credibile.
Un bacio e buona giornata.
Gaia

 
   
 
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