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Autore: edoardo811    26/05/2021    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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44

Araldo della Luce 

 

 

Edward sprofondò con la schiena sul materasso, con il respiro pesante e la fronte imperlata di sudore. Il braccio di Natalie gli scivolò lungo il petto, mentre appoggiava la fronte nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla, sospirando soddisfatta. 

Il suono dei loro fiati ancora affannati riempì la stanza, mentre Edward fissava il soffitto con le labbra schiuse. Avvolse il braccio attorno al fianco di Nat, stringendo a sé quel corpo sottile e rovente. Quello stesso corpo che aveva esplorato in maniera molto più approfondita di quanto mai avrebbe pensato di fare. Un sorriso prese forma sul suo volto. «Non… non mi aspettavo che…»

«Stai per dire qualcosa di stupido, Model?» lo interruppe lei, con un filo di voce delicata, senza muoversi di un millimetro. 

Edward ci rifletté per un secondo. «Probabile.»

Nat strofinò la fronte contro la sua spalla, con un altro mugugno compiaciuto. «E allora non dire nulla.»

«Okay.»

Rimasero in silenzio, mentre i loro respiri si regolavano. Il figlio di Apollo abbassò lo sguardo, accorgendosi dell’espressione rilassata di Nat, gli occhi chiusi, la bocca sigillata in un sorriso appagato. Non sembrava neanche vagamente la stessa ragazza che l’aveva sbattuto su quel letto con forza, quella che per poco non gli aveva staccato le labbra con i suoi baci voraci. Le sue dita sfiorarono le cicatrici sul petto di Edward, suscitandogli un brivido gelato, che stonò con il torpore dei loro corpi spogli avvolti sotto le coperte.

Quando gli aveva tolto la maglietta – strappata via forse era un termine che si addiceva di più – Natalie era rimasta paralizzata alla vista di tutte le cicatrici che lo deturpavano. Era durato poco, però: dopo aver detto di trovarle sexy si era fiondata su di lui, i denti che gli affondavano nel collo, le dita che gli tiravano i capelli e le unghie conficcate nella sua schiena. 

Per un momento Edward aveva temuto che alla fine di quella serata si sarebbe ritrovato più sanguinante che quando si era trascinato via dallo Yomi, invece Natalie era stata molto attenta ad aggirare le cicatrici, in particolare quella sullo stomaco, premurandosi per bene di lasciare i segni dei suoi denti e dei suoi graffi soltanto dove la sua pelle era ancora immacolata, giusto per finire l’opera iniziata da Izanami.

Una pantera, ecco cos’era quella ragazza. Anche se non poteva davvero biasimarla; le aveva chiesto lui di mordere più forte, dopotutto. Cominciò a credere di essere un po’ masochista, nel profondo. Avrebbe spiegato molte cose.

La mano di Natalie accarezzò con delicatezza il bordo della cicatrice sullo stomaco e facendolo sussultare di nuovo. 

«È stata Campe?» gli domandò.

Edward denegò incerto. «Non… non mi va di parlarne…» 

Natalie allontanò la mano e la portò all’altezza del suo volto, strofinando con delicatezza il pollice sulla sua guancia. «Hai sofferto molto, vero?» 

Quella domanda lo colse alla sprovvista. Si voltò verso di lei, sorpreso.

«Non parlo delle cicatrici» chiarì subito lei, continuando ad accarezzarlo. «Parlo della tua vita. Lo vedo nel tuo sguardo, nel tuo modo di fare, di parlare. Sei sempre stato… assente, pensieroso. E hai sempre avuto paura di parlare di te con gli altri.» 

Edward assottigliò le labbra, senza rispondere. L’aveva letto come un libro aperto.

«Ehi…» Natalie si avvicinò, dandogli un bacio sulla guancia, facendolo sussultare di nuovo. Gli sorrise affettuosa. «… so che per te è difficile aprirti, ma con me puoi farlo, Edward. Davvero. Sono qui per aiutarti.»

Edward spostò lo sguardo su di lei, notando il suo sorriso apprensivo. Aveva i capelli spettinati, il volto sudato, le guance arrossate e anche diversi segni sul collo – non era stata di certo l’unica a mordere – e lui la trovò assolutamente bellissima.

«Grazie Nat» mormorò alzandosi a sedere, prendendo il suo volto tra le mani e baciandolo ancora, in maniera molto più sentita. Natalie si sedette accanto a lui, accarezzandogli il petto, mentre le braccia di Edward la cingevano dietro la schiena, tirandola a sé. Le coperte scivolarono via, lasciandoli in balia dell’aria fredda della stanza.

Quando si separarono, Edward si grattò la guancia imbarazzato. «Ehm… vuoi che parliamo adesso, o…»

Venne interrotto da un profondo sospiro. «Quando vuoi tu, Model. Basta che parli e la smetti di tenerti tutto dentro. Testone». 

Edward ridacchiò e anche lei sorrise. L’espressione della figlia di Ermes subì poi un lieve cambiamento. Distolse lo sguardo, sembrando per la prima volta da quando l’aveva conosciuta mortificata. 

«A proposito, non… non ti ho mai chiesto scusa per quella volta che mi sono arrabbiata con te» disse. «Mi… mi dispiace, Edward. Sapevo che avevi buone intenzioni, non avrei dovuto darti del piantagrane, però ho visto Rick ferito e… ho dato di matto.»

«Beh…» Edward abbassò lo sguardo, facendolo scorrere sul suo corpo privo di filtri. Abbozzò un sorrisetto. «… direi che ti sei fatta perdonare.»

Natalie avvampò e afferrò la coperta, per coprirsi il petto. Si voltò per non mostrare la sua espressione di raro imbarazzo ad Edward. «Attento, Model. Non alzare troppo la cresta con me, o questa potrebbe diventare solo l’avventura di una notte.»

Il sorriso divertito svanì all’istante dal volto di Edward. Non credeva che facesse sul serio. Eppure non trovò il coraggio di sfidarla. Accorgendosi di come si fosse ammansito, Nat annuì soddisfatta, posando l’indice sulle sue labbra. «Così mi piaci.»

Fece un altro sorrisetto, che venne ricambiato da Edward. Il figlio di Apollo si sdraiò di nuovo sul materasso, sentendo tutti i suoi nervi sciogliersi uno dopo l’altro. Non avrebbe mai pensato che sarebbe successo tutto quello che era successo. E soprattutto, non aveva mai avuto nemmeno la vaga idea di quanto ne avesse bisogno. La compagnia di Natalie gli aveva giovato in tutti i sensi. Il suo tocco morbido ma deciso, i suoi baci voraci, il suo sguardo carico di desiderio che sapeva alternarsi con uno molto più premuroso, aveva adorato ogni singola cosa di lei, di quello che avevano fatto.

Era come se gli avesse levato il peso del mondo dalle spalle, ma per davvero questa volta. Nessuna persona era mai riuscita a convincerlo ad aprirsi, nessuna persona lo aveva mai davvero fatto sentire in quel modo. L’aveva fatto sentire in pace totale con sé stesso e con il mondo intero. 

Sentì le palpebre appesantirsi e pensò quasi che avrebbe potuto schiacciare un pisolino, quando si accorse di Nat che si metteva a sedere sul bordo del letto, raccogliendo da terra i vestiti che erano volati un po’ dappertutto. Quando la maglietta di Edward finì sulla sua faccia, coprendo la bellissima visuale dei glutei sodi di lei, si ricordò che in quella casa non ci viveva da sola. 

«Ho parlato con uno dei tuoi fratelli, prima» spiegò la figlia di Ermes mentre si rivestiva. «Mi ha detto che avrebbero suonato ancora per un’ora.»

«E da quanto tempo siamo qui?» domandò Edward, rimettendosi con svogliatezza la t-shirt. 

«Cinquanta minuti» ribatté Nat, lanciandogli anche pantaloni e intimo. «Quindi meglio se ti dai una mossa.»

Edward prese i vestiti, sorpreso di aver passato lì già tutto quel tempo. Scese dal letto e l’aria punse di nuovo la sua pelle ancora calda, facendo sussultare le sue cicatrici e i segni dei morsi di Nat. Non appena finì di rivestirsi, si voltò verso di lei, ritrovandosela di nuovo tra le braccia, le labbra premute contro le sue in un bacio veloce, umido e salato per via del sudore. 

«Giusto… per essere sicuri…» domandò dopo Edward, titubante, mentre stringeva le sue mani. «Non… non è stata solo l’avventura di una notte, giusto?»

Natalie sollevò un sopracciglio. «Ma sbaglio, o prima ti ho detto di non dire cose stupide?»

«Ehm… è un sì o un…»

Natalie gli afferrò la mano e lo strattonò verso la porta. «Dai, sbrighiamoci, siamo in tempo per il gran finale!»

Ancora una volta, Edward si lasciò guidare come un bambolotto di pezza.

 

***

 

Arrivarono nel padiglione di corsa, trovando l’intero Campo Mezzosangue radunato sotto il palcoscenico, intento a battere le mani a ritmo di musica, mentre Rosa cantava una canzone in spagnolo, accompagnata da un lento piano, dolci pizzicate di chitarra e una soffice base di batteria.

«Despertaaar, junto a tiii, es besaaar un ronco invierno …»

Edward non capì le parole, ma non fu necessario. Bastò quella melodia, la voce di Rosa soave che si alzava, caricandosi di emozione, per raccontare tutto quello c’era bisogno di sentire. Sembrava una canzone agrodolce, che raccontava qualcosa di bellissimo, ma che allo stesso tempo nascondeva dentro di sé una profonda malinconia.

La mano di Natalie si strinse alla sua, cogliendolo di sorpresa. Gli sorrise di nuovo e lo trascinò in mezzo alla folla, avvicinandosi al palcoscenico, con la voce di Rosa che continuava a cantare quella stupenda canzone. 

Anche Edward sorrise, godendosi quel momento assieme a quella ragazza che l’aveva fatto stare bene, che lo aveva compreso e che gli aveva fatto battere il cuore con una sola risata. Raggiunsero la prima fila, ritrovandosi di fronte i ragazzi di Apollo. Rosa si accorse di lui e si illuminò. Riportò l’attenzione sulla folla, strimpellando la sua chitarra, ondeggiando a ritmo di musica, accompagnata dal fragore delle mani che battevano. 

In prima fila, Edward vide anche gli altri. Tommy e Lisa che applaudivano con vigore, incitando Rosa, e anche Konnor e Steph, stretti l’una nelle braccia dell’altro, eleganti, bellissimi e perfetti proprio come li ricordava. Ma andava bene così. Che si godessero quel momento, assieme.

Edward si voltò verso di Nat, che appoggiò la testa sulla sua spalla, sospirando soddisfatta. Lui la strinse a sé, scoccandole un bacio tra i capelli dal sapore di balsamo, e non volle più lasciarla andare. 

«Tengo todo no tenendo nada» cantò Rosa a pieni polmoni. «Junto a tiiiiiii, junto a tiiiiiii, junto a tiiiiiii…»

La melodia rallentò, mentre continuava a ripetere quella frase, finché la sua voce non divenne solo un sussulto, seguita dal lento smorzarsi di tutti gli strumenti. Quando la voce si spense, uno scrosciante applauso investì i figli di Apollo e Rosa fece un enorme sorriso. Vederla così felice gli scaldò il cuore. Poi, la sorella incrociò di nuovo il suo sguardo e gli rivolse un cenno del capo. Attese che la folla si calmasse e si schiarì la voce.

«Vi… vi ringrazio tutti di cuore» mormorò, ottenendo altre grida di incitazione. «Siete stati meravigliosi. Questa sarà l’ultima canzone…»

Vi furono alcuni versi dispiaciuti e Rosa parve imbarazzarsi. «Scusate, io continuerei anche tutta la notte, ma i poteri forti me lo impediscono. Non che io abbia qualcosa in contrario, evviva i poteri forti!» aggiunse, lanciando un’occhiatina verso il cielo e suscitando alcune risate. «Questa… è una canzone molto importante, per me. E… devo ringraziare una persona soprattutto, se sono qui a poterla cantare. Mio fratello Edward, che vorrei salisse sul palco.»

Non appena finì di dirlo, Edward spalancò gli occhi. Un miliardo e mezzo di persone si voltarono all’unisono verso di lui. Cominciò a sentire la mancanza dello Yomi e di Izanami. Nat lo incitò, dandogli una pacca sul sedere, facendolo trasalire di nuovo. 

«Che aspetti? Muoviti» gli disse, divertita. 

Edward sperò di non essere arrossito. Conscio di non avere altra scelta, si arrampicò sul palco come se stesse andando al patibolo, incitato dagli applausi della folla. Si voltò, trovandosi tutti quanti di fronte in un’immagine piuttosto suggestiva. Non se la cavava bene di fronte alle folle. Folle di mostri? Quelle erano una camminata nel parco. Folle di persone? Non proprio. 

Notò i suoi compagni dell’impresa: Tommy, Lisa, Konnor e anche Steph gli stavano sorridendo, applaudendolo ed incitandolo. Edward cercò di nuovo lo sguardo di Natalie, trovando conforto nella sua espressione felice, anche se sporcata un po’ da quel sorrisetto divertito che spesso aveva anche visto sul volto di Derek e gli altri figli di Ermes.

Rosa lo abbracciò, ottenendo altri applausi. «Ricordi il testo della canzone che ti ho cantato quella volta?»

Non disse altro, ma Edward capì immediatamente di cosa stesse parlando. Credeva di ricordare solo che lei gliel’avesse cantata nell’arena, invece con stupore realizzò di ricordare anche le parole. Tutte quante. Annuì incerto e lei sorrise soddisfatta. «Proprio come un vero figlio di Apollo.» 

Gli posò una mano sulla spalla. «Sai, hermano, ho… quasi finito la voce» disse con fare innocuo. «Credo che… mi servirà qualcuno che mi aiuti.»

Edward pensò di aver capito male. «C-Che cosa?» 

«Hai sentito, hermano. Voglio che canti con me.»

«Ma… ma io faccio schifo con la musica» cercò di giustificarsi lui. Lanciò un’occhiata a Jonathan, che si stava godendo la scena con un sorriso sornione. «Diglielo! Mi avete perfino cacciato dalle prove!» 

Il vecchio capocasa annuì. «È vero. Ma non hai mai cantato.» Si scambiò uno sguardo complice con Rosa. «Tutti i figli di Apollo sanno cantare. Dico bene?»

«Dici bene» convenne Rosa. 

«N-No, forse tutti tranne me. Io non so cantare.»

«Come puoi dirlo? Hai mai provato?»

«Beh… oh, andiamo, non potete dire sul serio!»

Sua sorella gli puntò l’indice al petto. «Ehi, è la tua co-capocasa che te lo ordina!» 

«Ma… ma…»

«Ok gente! Edward canterà per noi!» esclamò Rosa, sollevando le braccia in segno di vittoria. 

La folla applaudì di nuovo e vi furono altri schiamazzi, questa volta però sembravano divertiti. Edward fece ogni cosa in suo potere per non guardare verso di Natalie o i suoi amici. Mai come in quel momento desiderò che gli dei indicessero un’altra votazione per farlo fuori. 

«Dai, comincio io, tu seguimi» bisbigliò ancora Rosa. Quando cominciò a pizzicare le corde, Edward si rese conto che tutto quello non era un sogno: stava davvero per mettersi a cantare. 

«V-Va bene…» mugugnò, mentre si guardava attorno alla ricerca della via di fuga più rapida. 

«This captain goes down with his ship, all hands on deck, stand hip to hip…» cominciò Rosa, trafiggendolo con lo sguardo. «I shout the order “shoot to kill!” I’m dressed to thrill, I’m dressed to thrill!»

«And all my enemies, I want their eyes to see…» la seguì Edward a bassa voce, ottenendo in risposta un sorriso gigantesco dalla sorella.

«Their captain walk the plank, destoy them rank by rank!»

I ragazzi attaccarono con il ritornello e Rosa si voltò verso il pubblico, strimpellando con decisione. «Sail with me, into the setting sun, the battle has been won, but war has just begun!»

«And as we grow, emotions starts to die…» proseguì Edward facendole eco, anche lui cominciando a sorridere. «… we need to find a way, just to keep our desire alive!»  

«Now set the sail to quarter mast, we’ll jump their ship, we’ll sink ‘em fast!»

«Men follow me to victory!»

«Red as the sea, red as the sea!»

«And to the cannons roars…»

I due fratelli cantarono in sincrono, mentre il pubblico gioiva per loro. Edward non aveva la più pallida idea di come stesse andando, ma non gli importò. Si ritrovò trasportato nel flow di Rosa, del pubblico che li acclamava e dei loro fratelli che suonavano tutti assieme, ragazzi diversi, con storie diverse, ma uniti dalla loro passione per la musica. Si godette il momento, che sapeva essere molto speciale per Rosa, e forse, in realtà, era speciale anche per lui.

«Sail with me, into the setting sun, the battle has been won, but war has just begun!» cantarono assieme, fianco a fianco, con Rosa che suonava decisa e i loro fratelli che li seguivano, facendo eco sulle parole finali di ogni strofa, creando un bellissimo effetto. 

«And as we grow, emotions starts to die, we need to find a way, just to keep our desire alive!»

Vi furono dei boati all’improvviso, che fecero sobbalzare Edward. Rosa invece proseguì incurante mentre alcuni fuochi d’artificio illuminavano il cielo, creando ghirigori rossi, verdi, blu e gialli. Il figlio di Apollo li osservò incredulo, anche il pubblico sembrò colto alla sprovvista, ma lo stupore durò poco, venendo ben presto rimpiazzato da un’altra tempesta di applausi.

Riprendendosi dallo stupore, Edward accompagnò Rosa per il resto della canzone, finché non la concluse con delle ultime, decise, strimpellate, seguite da altri fuochi d’artificio. 

«Ma… ci sono anche i fuochi?» domandò proprio lei, sorpresa, per poi sorridere smagliante. «Oh cavolo! Non me n’ero mica accorta!»

Edward la scrutò atterrito. Come diavolo aveva fatto a non accorgersene?!

Il pubblico applaudì ancora, investendoli completamente. Rosa cominciò a sbracciarsi, a salutare, ad inchinarsi e a mandare baci a tutti. «Grazie! Gracias a todos! Grazie a tutti!»

Anche Edward salutò la folla un po' impacciato. Se stavano reagendo così, significava che forse non aveva fatto così schifo. Il resto dei loro fratelli li circondò, applaudendo assieme al pubblico.

«Dai! Salite anche voi!» gridò Rosa verso gli altri ragazzi dell’impresa. 

Lisa e Thomas salirono sul palco e si presero per mano. Konnor li seguì, assistendo Stephanie, che fece un po’ di fatica per via dell’abito. La figlia di Demetra sorrise estasiata, prendendo il fidanzato a braccetto e tutti e quattro si ritrovarono accanto ad Edward e Rosa, che nel frattempo andò a dare il cinque a tutti loro. Abbracciò anche Stephanie e Lisa, per poi stringerle entrambe per le spalle e saltellare come un'isterica, blaterando un sacco di frasi mezze in inglese e mezze in spagnolo. «Lo ves? Ha sido increíble! È stato fantastico! No puedo esperar de hacerlo otra vez!»

E meno male che stava finendo la voce.

Edward fece vagare di nuovo lo sguardo sulla folla, incrociando quello di Natalie. Ancora una volta lei fece quel sorriso, quello famelico, mordendosi un labbro, e lui sentì il cuore saltare un battito. Cominciò a provare caldo nonostante l’aria fresca della notte, poi un tornado forza cinque di nome Rosa Valdez lo travolse in pieno, stritolandolo così forte da mozzargli il respiro. 

«Hermano! Hai una voce stupenda lo sai?» si complimentò lei. «Dobbiamo fare i duetti più spesso!»

«Ehm… m-magari li teniamo per le occasioni speciali» cercò un compromesso lui, mentre lei saltellava premendo la guancia contro la sua. 

«Ma… i fuochi erano una tua idea?» le domandò, quando finalmente sembrò tranquillizzarsi. 

Lei si corrucciò. «No… in realtà no. Avrei voluto che ci fossero, ma credevo non si potesse fare.» Si voltò verso Jonathan e gli altri. «Voi ne sapete niente?»

I loro fratelli denegarono. «Hanno sorpreso anche noi» ammise Jonathan, con un’alzata di spalle.

I figli di Apollo si guardarono tra di loro, perplessi. Poi, Edward tornò ad osservare il cielo, mordendosi l’interno della guancia. «Che… che sia stato un regalo di nostro padre?»

Riportò lo sguardo su di Rosa, che cominciò a sorridere, presto imitata da tutto il resto della capanna Sette. Nessuno di loro contestò la teoria di Edward. Il pensiero che Apollo li stesse guardando, orgoglioso di loro, li riempì tutti di gioia.

I ragazzi della casa Sette si voltarono ancora verso il pubblico esultante, afferrandosi per le mani e sollevandole verso le stelle, ottenendo un’ovazione ancora più grande. 

Edward scorse anche il tavolo degli adulti, dove Chirone e Rachel li osservavano sorridenti, Dioniso invece stoico come al solito. Seduta accanto a loro, ignorata da tutti, c’era anche Izanami. 

Il sorriso svanì dal volto di Edward, mentre la dea della morte sogghignava verso la sua direzione. La sua immagine sfarfallò e svanì di fronte ai suoi occhi. Edward batté le palpebre, stordito, per poi ritornare con la mente al presente, in quel padiglione festivo, pieno di sorrisi. Sorrisi per lui, per Rosa, per i suoi fratelli e per i suoi amici. 

Qualcuno gli posò una mano sulla spalla. Si voltò, accorgendosi di Konnor e gli altri, che si posizionarono attorno a lui. 

«Perché non ci hai detto che sapevi cantare?» lo interrogò Lisa, con un sorrisetto idiota. «Avresti potuto fare qualche serenata durante il viaggio!»

«Preferirei farmi pugnalare di nuovo alla schiena» ribatté Edward con tutta la sincerità di quell’universo, facendo ridere i propri compagni. 

Edward poi spostò lo sguardo su Konnor e Steph, che naturalmente erano ancora a braccetto. Sorrise e fece un inchino di fronte a loro. Per finire, avvolse il braccio attorno alle spalle di Tommy e si strinse a lui, a quello che, a conti fatti, era stato il suo primo vero amico. 

«Sai amico… credo che mi vedrai spesso nella capanna Undici…» disse, accorgendosi di come Natalie lo stesse ancora guardando.

«Davvero? Come mai?»

Il figlio di Apollo ridacchiò e gli diede qualche pacca sulla schiena. Decise di risparmiare il povero, ingenuo, puro Thomas da una spiegazione che lo avrebbe fatto diventare più rosso dei suoi capelli. 

I semidei lasciarono il padiglione, mentre satiri, driadi e altri spiriti invisibili – le aurore boreali qualcosa, non aveva fatto molta attenzione – ripulivano il disastro del dopo festa. Chirone invitò tutti quanti a tornare nelle loro capanne, augurando la buonanotte e, soprattutto, sforzandosi di ignorare le varie coppiette che continuavano a sbaciucchiarsi senza troppo pudore – tra cui anche Tommy e Lisa.

Mentre i ragazzi si sparpagliavano e Rosa veniva investita da ondate di gente che si complimentavano con lei, Edward si beccò un’altra manata sul didietro, più le labbra di Nat che si posavano sul suo collo, suscitandogli un lungo brivido lungo la schiena. Quella ragazza sapeva proprio cosa fare per farlo impazzire davvero. 

«Allora… ci… ci vediamo domani?» domandò Edward con imbarazzo.

Lei si piazzò di fronte a lui. «Tu che pensi?» 

Edward esitò. Non sapeva perché l’idea che potesse davvero bidonarlo dopo quella sera lo terrorizzasse così tanto. Forse aveva paura di rimanere solo. O forse aveva davvero capito che di fronte a lui c’era qualcuno di davvero speciale. Una ragazza che lo aveva compreso, accettato per quello che era e, soprattutto, che aveva il potere di zittirlo con un solo sguardo. Dove altro avrebbe potuto trovarne una così? 

Accorgendosi di come stesse ancora annaspando per trovare una risposta, Natalie si portò una mano sul fianco e sospirò. «Sì, Model. Ci vediamo domani.»

Gli gettò le braccia al collo e lo baciò un’altra volta. Edward ricambiò la stretta, con il cuore che gli martellava nel petto. Non poteva credere a quello che era successo quella sera. Era partita come la giornata più triste di sempre e si era conclusa nel modo migliore che avrebbe potuto chiedere. Avvolse Nat tra le braccia, baciandola con passione. Non credeva che sarebbe più riuscito a fare a meno di quelle labbra. 

Lei lo aveva fatto stare bene. E lui sentiva di avere bisogno di lei, di avere bisogno della sua compagnia, della sua dolcezza, perfino della sua autorità. E anche delle sue unghie che lo graffiavano e dei suoi denti che lo mordevano. 

Una volta divisi, Natalie gli diede un altro buffetto sul naso e si allontanò per raggiungere i suoi fratelli. Edward seguì con lo sguardo quei fianchi che ondeggiavano e pensò che la madre di Alyssa lo avesse appena baciato sulla fronte. 

Ovviamente Thomas non si accorse di quello che era appena successo con sua sorella e il suo migliore amico, visto che pareva ancora piuttosto preso con Lisa. Quando l’avrebbe scoperto sarebbe stato divertente.

Qualcuno che invece si era accorto di tutto quello, era Rosa. 

«Ou la-là» commentò, dandogli di gomito. «Vedo che hai seguito il mio consiglio di conoscere gente nuova, hermano.» 

Edward roteò gli occhi, ma si lasciò scappare un sorrisetto. In realtà, non era stata l’unica a dargli un consiglio, quella sera. Spostò lo sguardo verso la Capanna Dieci. Si augurò che Jane stesse meglio e ripensò anche al suo “divertiti”. Poteva dire con abbastanza certezza di aver ascoltato pure lei.

«Ma tanto io continuerò a sperare in te e Konnor» concluse Rosa, strappandogli un sospiro esausto. Era davvero carino il fatto che si fosse districata da tutti i suoi nuovi fan solo per andare a punzecchiarlo. Davvero adorabile.

Quella sera, percepì qualcosa di diverso nella capanna Sette. Per prima cosa, nessuno lo sgridò per aver distrutto uno degli armadietti, ma forse era per via del fatto che ora comandava lui. Come scusa disse che una delle cicatrici di Campe aveva iniziato a fargli male e nessuno ebbe nulla da obbiettare. O meglio, quasi nessuno, perché Rosa invece sembrò ricordarsi della promessa che le aveva fatto di parlarle di nuovo dopo la festa. 

Edward avrebbe voluto farlo, davvero, ma era proprio esausto dopo quella lunga nottata – e anche dopo i cinquanta minuti di attività extracurriculare. Le avrebbe parlato, comunque. Avrebbe anche parlato con Natalie e avrebbe raccontato ai suoi amici quello che era successo con Naito. Era stanco di avere segreti. 

Per sua enorme sorpresa, Rosa accettò di aspettare almeno fino al giorno dopo per parlare di nuovo, forse perché era di buon umore dopo il concerto, e lo stesso valeva per tutti gli altri.

I figli di Apollo erano tutti allegri, non come li ricordava una settimana prima, divisi in gruppetti, con quei sorrisetti di superiorità. Erano uniti, chiacchieravano tra di loro, coinvolgendo pure lui e Rosa, che venne investita di complimenti anche dalle loro sorelle. 

Era bello vederli tutti assieme, felici. Durante il suo viaggio verso San Francisco, Edward aveva pensato spesso a loro e a come si era comportato. Avevano decisamente iniziato con il piede sbagliato, ma era grato di essere riuscito a correggere i suoi errori. Erano la sua famiglia, dopotutto, fratelli e sorelle che mai avrebbe pensato di avere. E li avrebbe protetti. 

Per tanto tempo aveva creduto di essere solo, perduto, indesiderato. Adesso aveva di nuovo una casa, aveva fratelli, amici e anche una fantastica ragazza da cui voleva farsi mordere ancora. E non avrebbe rinunciato a nessuno di loro per niente al mondo.

Non appena le luci si spensero, Edward sprofondò nel materasso. Tutte le sue angosce, le sue preoccupazioni e le sue paure si stemperarono poco per volta, donandogli una sensazione di dolce benessere, e scivolò in un profondo sonno ristoratore.

 

***

 

Si svegliò con il sole che picchiava con insistenza sopra il suo volto. Mugugnò infastidito per via della luce accecante. Strofinò la manica sopra le palpebre, per ridestarsi, e si guardò attorno confuso. 

Era sulla riva pietrosa di un fiumiciattolo, appoggiato contro il tronco di un albero. Gli alberi frusciavano per via del vento leggero che tirava, accompagnati dallo scrosciare dell’acqua. Alcuni uccellini cinguettavano beati, dispersi nella boscaglia che copriva entrambi i lati di quel sottile ruscello incastrato tra le pietre. 

Sembrava una piccola valle, nascosta tra le colline. Un angolino celato dal resto del mondo, dove non sembrava esistere alcuna traccia del passaggio degli esseri umani. 

«Figliolo, ben svegliato!»

Edward si accorse di non essere da solo; un uomo trasandato con lunghi capelli disordinati era seduto a pochi metri di distanza da lui, con un sorriso gentile che spiccava in mezzo alla barba incolta.

«Divino… Susanoo?» 

«Ti ricordi di me! Quale onore!»

Il figlio di Apollo non capì se fosse ironico oppure no. «Cosa… che sta succedendo? Dove mi trovo?»

«Siamo vicini al santuario di Amano Iwato» rispose il dio con voce tranquilla, come se si aspettasse che Edward avesse idea di cosa diamine si trattasse. «Allora figliolo, com’è andato il rientro?»

«Dipende quale rientro intendi. Quello a casa, quello nel mondo dei vivi, oppure quello in questi sogni del cavolo?»

«Uhm… lasciamo stare» concluse saggiamente Susanoo dopo essersi grattato la barba. Si alzò in piedi e gli tese una mano. «Forza, alzati. Meglio non farla aspettare troppo!»

Edward dischiuse le labbra, confuso. «Ehm… chi?»

Non appena fece quella domanda, udì uno strano verso. Sollevò la testa e riconobbe all’istante la macchiolina nera che svolazzava nel cielo sopra di loro: il corvo a tre zampe. «Oh…»

«Ti sta aspettando. È da molto che vuole conoscerti di persona» proseguì Susanoo, agitando la mano. «Avanti, seguimi!»

Lo guidò lungo la riva del fiume, mentre il corvo li seguiva a debita distanza. Malgrado fosse molto lontano, Edward poteva sentire i suoi occhietti puntati su di lui proprio come quella volta a San Francisco. 

Una cosa che il semidio poteva ammettere, era che era davvero una giornata meravigliosa. Il sole brillava con forza, la natura era verde e rigogliosa e l’aria era fresca. Sapeva che durante i sogni poteva scorgere cose che stavano accadendo in quel momento, o trovarsi in altri luoghi contemporaneamente. La festa si era conclusa dopo mezzanotte, ma lì sembrava essere pieno pomeriggio, come minimo. Susanoo aveva menzionato un nome, Amata-qualcosa. Non ci mise molto a capire di essere di nuovo in Giappone. 

Proseguirono lungo il percorso finché alla loro sinistra Edward non scorse un paesaggio diverso: un sentiero che saliva, conducendo verso l’entroterra, che veniva inghiottito da una gigantesca caverna che sembrava essere stata scavata nella collina, alta almeno quindici metri e larga perfino di più, con la bocca circondata dalla vegetazione. 

«Ci siamo quasi» esordì Susanoo.

Edward lo seguì per il sentiero, mentre si guardava attorno meravigliato. Accanto al sentiero, da entrambi i lati, si trovavano centinaia, forse migliaia di pietre, da grossi massi a sassolini, molti dei quali disposti in modo da formare piccole statuine. Nulla di troppo elaborato, ma la loro quantità ingente, la precisione con cui erano stati disposti, lo lasciò sorpreso. 

Il sentiero conduceva attraverso alcuni paletti di legno, disposti ad arco. Si concludeva, infine, di fronte ad una casetta rustica, accanto alla quale si trovava un piccolo altare da cui proveniva una luce molto intensa, al punto che pure guardarla da quella distanza gli arrecava fastidio agli occhi. Edward non capì se si trattasse di un faro che illuminava tutto, o se fosse soltanto un riflesso della luce del sole che filtrava nella caverna, fatto stava che, man mano che si avvicinava, gli era sempre più difficile tenere gli occhi aperti. Fu costretto a camminare dietro la schiena di Susanoo – che proseguiva come se nulla fosse – per non rimanere accecato.

Il corvo a tre zampe gracchiò di nuovo, superandoli e dirigendosi proprio verso la luce. Edward dovette fare attenzione a dove camminava, per non rischiare di sbattere contro il dio. 

La luce si fece più intensa all’improvviso. Edward gemette e serrò gli occhi. Una miriade di macchioline arancioni e viola balenarono di fronte a lui, ma poi cominciarono a diradarsi. Riaprì incerto le palpebre e si accorse che la luce accecante era svanita. Anche Susanoo non era più di fronte a lui, ma si era spostato a qualche metro di distanza. Gli sorrise ancora una volta e accennò con un braccio verso l’altarino accanto alla casa. 

Edward spostò lo sguardo. 

Una donna stava fissando il proprio riflesso su uno specchio rotondo, con il bordo d’oro massiccio, appeso sopra l’altare. Indossava un maestoso abito niveo, dagli orli scarlatti, con raffigurato il simbolo del sol levante su entrambe le larghe maniche. Arrivava fino a terra, coprendole le gambe, quasi affondando nel suolo. I suoi capelli erano neri come la pece, tanto lunghi da scenderle fino alla schiena, lisci e ordinati. In testa indossava una tiara d’oro, decorata con rubini e altre gemme preziose.

Si voltò verso di lui, mostrando un viso di una bellezza mozzafiato, con gli occhi a mandorla, il naso piccolo, le labbra sottili, la pelle olivastra e gli zigomi delicati, perfetti, impeccabili. Non era la stessa bellezza che Edward aveva visto in Afrodite, o nelle kitsune, però: era una bellezza regale, severa, intangibile ed irraggiungibile. Quella donna non era bella perché curava il suo aspetto, o per via di qualche sortilegio, lo era perché non poteva essere altrimenti. Una bellezza che gli impediva di staccare lo sguardo da lei.

Due lunghi orecchini sempre d’oro erano appesi ai suoi lobi, una collana con cinque strane perle scarlatte le circondava il collo; avevano la forma di virgole, con un foro al centro della parte rotonda. La parte dell’abito sotto al suo petto era formata da un drappo che scendeva fino alla vita, con raffigurato il simbolo stilizzato del sole, arancione. 

Era radiosa. Il suo corpo emanava luce, che andava a riflettersi sullo specchio, causando quei bagliori accecanti.

Per un momento, per un solo momento, quando la vide Edward pensò ad Izanami. Il vestito, i capelli, il viso, perfino la tiara, ogni dettaglio pareva copiato a piè pari dalla dea della morte e poi migliorato di dieci, cento, mille volte. 

«Finalmente ci incontriamo, Edward Model» esordì lei con voce severa, che gli fece scuotere le ossa: era la stessa che aveva udito nello Yomi e anche a San Francisco. «Tu sai chi sono io, vero?»

Edward assottigliò le labbra, prima di annuire. «Tu sei… sei la regina degli dei, Amaterasu.»

Amaterasu annuì con un singolo cenno del capo. Il corvo a tre zampe gracchiò e scese in quel momento, posandosi sulla sua spalla. 

«Immagino che tu conosca anche il mio Yatagarasu» proseguì lei mentre il corvo, sotto lo sguardo atterrito di Edward, cominciava a sciogliersi nel verso senso della parola e a fondersi con il suo abito. 

«Yata…» Edward non ci provò nemmeno a ripetere il nome. Quindi era davvero il suo animale. Quindi… era stata davvero la dea del sole a raggiungerlo nello Yomi tramite di esso. 

«Ti ringrazio per avermi riportato Ama no Murakumo» disse ancora Amaterasu. Sollevò una mano e vi fu un lampo di luce: la Spada del Paradiso fece la sua apparizione, il manico stretto nel suo pugno. «Hai svolto un buon lavoro.»

«G-Grazie…» mormorò Edward, a fatica. Non riusciva quasi più a parlare. Amaterasu fu la prima dea a trasmettergli davvero la sensazione di stare parlando con un’entità superiore a lui, la prima che riuscì ad incutergli nelle viscere una sorta di timore riverenziale. 

La dea osservò la spada, che brillò di luce riflessa, senza dire nient’altro.

«Sorellina, forse dovresti spiegargli perché l’hai fatto venire qui» suggerì Susanoo. Solo quando parlò Edward si ricordò che c’era anche lui. Era davvero difficile concentrarsi su qualcosa che non fosse Amaterasu. 

«Isogaba maware, fratello» rispose lei piccata, strappando una risatina al dio delle tempeste. 

Amaterasu fece scomparire la spada e riportò la sua attenzione su di Edward, facendolo sussultare con un solo sguardo. «Suppongo che mio fratello abbia ragione, per una volta.»

«Come sarebbe a dire “per una volta?”»

«Ti starai chiedendo perché sei qui» proseguì lei ignorando bellamente Susanoo, che fece un verso di protesta. 

Incerto, Edward rispose di sì. Dubitava che volesse soltanto conoscerlo di persona. 

«Come ben saprai, una tregua è stata indetta tra di me e il signore della tua gente.» Amaterasu portò le mani dietro la schiena e fece alcuni passi verso di lui. «E il motivo principale, Edward Model, sei proprio tu.»

Il figlio di Apollo sentì la bocca seccarsi. «I-Io?» 

Amaterasu annuì nuovamente. «La tua esistenza è il solo motivo per cui i nostri mondi sono entrati in conflitto, Edward Model. Il figlio di un dio greco, entrato in possesso di una delle insegne imperiali del Giappone. È stata una situazione senza precedenti.»

Edward avrebbe voluto rispondere che non aveva bisogno di sentire ancora una volta quelle parole. Per fortuna, si ricordò delle sagge parole di Natalie e tenne la bocca chiusa.

«Gli dei più irascibili di me hanno voluto che ti giustiziassi all'istante» continuò la dea. «Avrei potuto riprendermi la spada come e quando volevo, una volta scoperta la sua posizione, anni fa quando la usasti la prima volta. Ma ho deciso di non farlo. Ho voluto darti la possibilità di riportarmela con le tue forze. Prima di tutto questo, però, occorreva che tu scoprissi le tue origini. Per questo motivo ho fatto sì che tu rinvenissi l’avviso che Kate Model lasciò per te.»

Quelle parole avrebbero dovuto sorprenderlo, ma in realtà non lo fecero affatto. Aveva sempre sospettato che non fosse stata solo una coincidenza. L’idea di essere una marionetta nelle mani di forze esterne lo aveva sempre disgustato, ma allo stesso tempo poteva essere grato ad Amaterasu per avergli fatto scoprire il Campo Mezzosangue. 

«I miei compagni chiedevano la guerra. Così ho lanciato l’ultimatum ai tuoi dei. Avevo bisogno di sollecitarli. Ma non è mai rientrato nei miei piani, quello di combattere. L’unica cosa che desideravo, era vederti messo alla prova. Volevo che dimostrassi le tue capacità, Edward Model. Volevo scoprire cosa ti rendesse degno di maneggiare la mia spada. Quello che non sapevo, però, era che anche Yamata no Orochi fosse alla sua ricerca. L’evasione dalla sua prigione è passata inosservata agli occhi di noi tutti. Il fatto che abbia sfruttato lo Yomi, il regno di mia madre, per rimanere nascosto, lo ha aiutato a mascherare le sue tracce. Ma voi semidei, Edward Model, lo avete sconfitto, e avete permesso a mio fratello di rinchiuderlo nuovamente.»

Susanoo unì le mani e chinò la testa in segno di gratitudine.

«E questo ci porta al motivo per cui ti ho condotto qui. Ama no Murakumo non sarebbe mai dovuta essere rubata e Yamata no Orochi non sarebbe mai dovuto evadere. Eppure sono successe entrambe le cose. Non condono ciò che tua madre ha fatto al mio popolo, Edward Model. Non condono nemmeno ciò che ha fatto tuo padre, colui che domina il mio stesso elemento, per averle permesso di compiere così tanti crimini. Ma nutro rispetto nei suoi confronti, per aver scelto di salvare la vita di un innocente, ignorando le conseguenze che le sue azioni avrebbero potuto avere. Per questo motivo, quando abbiamo discusso i termini della tregua, ho voluto che fosse incluso anche lui. Per questo motivo, finché tu avrai vita, Edward Model, i nostri mondi potranno coesistere senza più alcuna difficoltà.»

«Che… che cosa?» 

«Tu, Edward Model, sarai il ponte tra i nostri mondi. Tu, figlio di Apollo, dio del sole, rappresenterai me, Amaterasu, dea del sole. Sarai un faro per la tua gente, la guida del tuo popolo, e lo farai nei panni di semidio, figlio di tuo padre, e di mio campione. Per questo motivo, io, Amaterasu-ō-mi-kami, in qualità di sovrana del Sole, del cielo e divinità da cui discendono tutte le cose, ti cedo la proprietà della mia spada, Ama no Murakumo, affinché tu possa brandirla per difendere il tuo popolo e il mio.»

Non appena finì di dirlo, una scarica di energia attraversò il corpo di Edward, strappandogli un grido spaventato. Una fortissima corrente d’aria si generò attorno a lui, mentre i suoi palmi cominciavano a bruciare terribilmente e a brillare. Ama no Murakumo gli apparve tra le mani, con un ultimo soffio d’aria che sferzò contro i suoi capelli. La osservò sbalordito, mentre quella sensazione di familiarità tornava ad avvolgerlo come una calda coperta.

«Combatterai per me, Edward Model. Solleverai quella spada in mio onore, in qualità di araldo del Sole. Da oggi in poi, renderai conto a me delle tue azioni, adempiendo allo stesso tempo alle tue mansioni da semidio greco. Come la spada ha simboleggiato l’unione tra me e mio fratello, da questo momento in poi simboleggerà l’unione dei nostri mondi. Questa è un’opportunità che ti sto dando per ripagare i danni che tua madre ha arrecato al mio popolo, e per dimostrare davvero che la tua identità può scindere dallo stigma che i tuoi genitori hanno lasciato su di essa. Sfruttala bene. Se dovessi deludermi, il tuo possesso della spada verrà revocato e le conseguenze saranno gravi.»

Lo stupore di Edward si smorzò all'improvviso. Quello fu il record assoluto di tempo più breve tra una bella notizia e una catastrofica. Non gli sembrava vero. Dopo tutto quello che aveva fatto, ancora non aveva dimostrato di meritare la sua vita? 

«Dunque, qual è la tua decisione, Edward Model? Accetti questo ruolo?»

Edward esitò. Sapeva che non aveva davvero scelta. Se avesse rifiutato, sicuramente lo avrebbe incenerito. Allo stesso tempo, sapeva anche che finché sarebbe stato in vita, i crimini di sua madre avrebbero continuato a perseguitarlo. Tuttavia… sentiva che c’era dell’altro. Non poteva credere davvero che Amaterasu volesse sbolognare in quel modo la spada a lui, impulsivo e inesperto com’era. Non aveva senso.

Quello che gli aveva detto Naito gli ritornò in mente proprio in quel momento. Il fatto che un dio stesse tramando alle spalle di Amaterasu, il fatto che Orochi fosse evaso da una prigione – lei stessa l’aveva menzionato – e anche il fatto che Izanami avesse detto alla figlia che presto un suo degno successore si sarebbe fatto avanti. 

Aveva smesso di credere alle coincidenze, ormai. Amaterasu sapeva che stava succedendo qualcosa di brutto alle sue spalle. Per questo aveva deciso di tenersi alleati i greci. E forse era per questo aveva ceduto la spada a lui. Forse non voleva che la spada rimanesse in Giappone. Forse… forse non si fidava della sua gente.

Edward spostò lo sguardo su Susanoo, che sorrise smagliante come suo solito. «Coraggio figliolo, accetta!»

Il figlio di Apollo lo scrutò in silenzio. Orochi era stato sconfitto da lui, da Susanoo. Lui lo aveva esiliato in quella prigione. Lui lo aveva seguito durante quell’impresa, dicendogli che non esistevano scelte sbagliate. E sempre lui aveva di nuovo fatto svanire l’uomo serpente.

Naito aveva menzionato un altro dio, invece. Il terzo fratello, il dio della luna, colui che governava l’elemento opposto a quello di Amaterasu, che per qualche motivo era come se non esistesse nemmeno. Non era mai stato menzionato da nessuno, non era nemmeno stato incluso nel meeting tra gli dei. Chiunque fosse, non doveva avere affatto un buon rapporto con Amaterasu.

E dopo, Izanami. La madre della dea del sole, colei che un tempo ricopriva proprio quel ruolo, il ruolo di regina, ormai caduta in rovina. Dimenticata nello Yomi, abbandonata, furiosa con coloro che l’avevano lasciata indietro e che aveva permesso a Orochi di scorrazzare liberamente nel suo regno assieme ai suoi demoni, prima di dire alla figlia che presto le cose sarebbero cambiate.

Edward riportò lo sguardo su Amaterasu, la dea così bella, magnifica e radiosa da essere il fulcro della sua gente, da essere definita la “divinità da cui discendono tutte le cose”. Non sarebbe certo stato strano essere invidiosi di una come lei. Soprattutto se si era delle prime donne come gli dei. 

E anche lei doveva saperlo. 

«Vi… vi ringrazio, divina Amaterasu» mormorò, chinando la testa. «Accetto… accetto il ruolo che mi avete assegnato. Non vi deluderò.»

Un luccichio soddisfatto balenò nello sguardo della dea. «So che non lo farai, Edward Model. Puoi andare, Araldo della Luce. Discuteremo ancora, in futuro.»

Cominciò a brillare, costringendolo ad assottigliare le palpebre. In mezzo alla luce, scorse Susanoo che lo salutava con un ampio gesto della mano e un altro sorriso. 

 

***

 

Edward riaprì gli occhi. Si mise a sedere e osservò fuori dalla finestra. Era ancora notte. Inspirò profondamente e tese la mano di fronte a lui. Per un secondo non accadde nulla. Poi, una luce.

Ama no Murakumo apparve nel suo palmo. La fece svanire rapida com’era comparsa, sperando di non avere svegliato nessuno, e si sdraiò di nuovo. Fissò il soffitto a lungo, mentre rifletteva su quello che aveva appena appreso. 

Araldo della Luce. Ecco quali erano i piani per lui, quindi. 

La potente Amaterasu… aveva paura che qualcuno potesse tradirla. Aveva bisogno degli dei greci, anzi, dei semidei. Doveva aver capito che i suoi colleghi in quel lato del globo avevano trovato la formula vincente per risolvere i loro problemi. 

Ed Edward era il mediano perfetto. L’ago della bilancia tra i due mondi. Figlio di Apollo, dio greco del Sole, araldo di Amaterasu, dea giapponese del Sole. Rappresentando entrambe le parti, nessun dio avrebbe potuto sbilanciarsi su di lui, altrimenti la tregua avrebbe potuto infrangersi ed era sicuro che nessuna delle due fazioni lo volesse.

I greci avrebbero potuto temere una rappresaglia da parte degli orientali, d’altra parte Amaterasu temeva che, senza il loro aiuto, il suo regno sarebbe potuto finire. E qualcosa gli suggeriva che se fosse successo sarebbero accadute cose molto spiacevoli. 

Si girò su un fianco, pensieroso. E infine si abbandonò ad un altro profondo sospiro, consapevole del fatto che non avrebbe più chiuso occhio e che quindi avrebbe dormito da schifo per l’ennesima volta.

 

***

 

Alla fine si era addormentato di nuovo. Era stato un sonno inquieto, veloce, ma pur sempre sonno. E ovviamente, abbastanza da farlo svegliare per ultimo e fargli fare l’ennesima bella figura. Tuttavia era il capo adesso, quindi questa volta tutti lo aspettarono senza rompergli le scatole. Perfino Rosa lo lasciò tranquillo.

«Quando vuoi Edward» disse Jonathan con un sorriso, mentre Edward finiva di mettersi i calzini. Non sembrava infastidito. Forse per timore del capo, o forse perché davvero la cosa non lo infastidiva. In effetti, anche gli altri ragazzi non sembravano avere fretta. Chiacchieravano tra di loro, tranquilli, mostrando ancora quell’affiatamento che aveva notato la sera prima.

Edward si infilò le scarpe e afferrò la sua fidata felpa compagna di mille battaglie – che per chissà quale concessione divina ancora si reggeva assieme – e la indossò quasi come se fosse stata la sua uniforme da alto ufficiale. 

«Possiamo andare» affermò.

La capanna Sette lo seguì verso il padiglione della mensa. Sulla strada incrociò le altre cabine, dirette verso la sua stessa meta. 

Si sorprese di vedere che la Undici era già fuori. Tutti i componenti erano vestiti e ordinati, capitanati da un sorridente Thomas, affiancato da un’altrettanta serena Lisa, che lo salutarono non appena lo videro. Edward ricambiò il saluto, trovando buffo come da un lato la capanna Sette si fosse fatta meno perfettina, mentre la Undici si era data una raddrizzata. Tommy non fu l’unico a salutarlo, anche i suoi fratelli agitarono le mani. I due piccoletti, Derek, tutti quanti mostrarono il loro calore verso il semidio che avevano creduto loro fratello. Tra di loro individuò anche Nat, che gli mandò un bacetto con la mano. I morsi e i graffi che quella ragazza gli aveva lasciato si riaccesero in un tutt’uno, facendogli sentire caldo all’improvviso e soprattutto facendo affluire il sangue in zone in cui di prima mattina sarebbe dovuto affluire in ogni caso. 

Incrociò poi la Quattro, guidata da Stephanie, che sorrise e lo salutò, imitata da Paul. Accanto a loro – ovviamente – c’era la Cinque, con Konnor in vetta, che imitò il saluto dei due figli di Demetra. Edward salutò tutti loro, godendosi la scena di fronte ai suoi occhi: i ragazzi più pacifici del campo che camminavano fianco a fianco con quelli più bellicosi. Era assurdo da vedere, e bellissimo allo stesso tempo. In mezzo a loro c’era anche Buck, che chiudeva la fila con espressione buia. Edward si augurò che davvero avesse recepito il messaggio, la sera prima. Non aveva molta voglia di rompergli tutte le ossa. Avrebbe preferito che non si incrociassero proprio più.

Vide anche la cabina Dieci. Jane si illuminò non appena lo notò. Lo salutò con un sorriso smagliante, ottenendo alcune occhiatine perplesse dalle sue sorelle. Divertito, Edward salutò anche lei. 

Anche Seth lo salutò, mentre apriva le fila della capanna di Nemesi. Un po’ inquietato, Edward ricambiò pure a lui.

«Edward» disse Simon, passandogli accanto in quel momento. «Buongiorno.»

«Buongiorno» lo salutò lui, sorpreso.

«Ehi amico.» Kevin apparve sul suo altro fianco e gli puntò la mano a mo’ di pistola, come la sera prima. «Ieri notte non hai visto niente, vero?»

«No, no…»

Un sonoro sbadiglio lo fece voltare. Xavier affiancò Simon e si stiracchiò. «Buongiorno, buongiorno…»

Edward cominciò a non capirci più nulla. Notò che un sacco di gente che nemmeno conosceva gli stava rivolgendo saluti e riverenze, con sguardi carichi di rispetto. Anche le altre capocasa, con cui non aveva mai parlato, mandarono dei brevi cenni verso la sua direzione. Alyssa, Tonya, Sarah – era probabile che lei volesse chiedergli lo stesso che gli aveva chiesto Kevin – e Sunry, tutte loro lo salutarono. 

Perfino quel tizio che dormiva sempre, George, sollevò a fatica la mano, mentre zoppicava come uno zombie.

Il capocasa di Apollo sorrise, cominciando a capire quello che stava succedendo.

Nella mensa c’era un’atmosfera diversa. C’erano molte più risate, molta più felicità e tranquillità. Vide moltissimi ragazzi di case diverse alzarsi dai tavoli per parlare tra di loro, oppure che ridevano mentre si riempivano i piatti di cibo. Nell’angolo della mensa dove si trovava il loro tavolo, vide perfino Lisa che rideva in compagnia di suo padre, che incredibilmente stava sorridendo alla figlia.

Quel posto… era cambiato. Chiunque avrebbe potuto accorgersene. Ed era cambiato in meglio.

«Allora hermano, più tardi vuoi venire ad allenarti un po’ o preferisci spassartela con tu novia?» gli domandò Rosa, accanto a lui. 

«Penso che potrei fare entrambe» concluse Edward con un’alzata di spalle. «Perché dovrei dedicarmi soltanto a una di voi?»

«Perché potresti stancarti troppo con una prima di andare con l’altra» suggerì Rosa, dandogli alcune pacche sulle spalle e facendolo ridere.  

Più tardi le avrebbe sicuramente parlato. Le avrebbe fatto le scuse di Naito, le avrebbe detto di Izanami, ogni cosa, e avrebbe fatto lo stesso anche con i suoi amici e Natalie. Avrebbe poi chiesto a tutti loro di accompagnarlo da Chirone, a cui avrebbe raccontato del sogno su Amaterasu. 

Si preannunciava una giornata lunga e stancante, con tante spiegazioni da fare, ma non era un problema. Non doveva andare da nessuna parte, tanto. 

Senza ombra di dubbio, i loro problemi non erano finiti. Chiunque stesse tramando alle spalle di Amaterasu, chiunque avesse fatto evadere i mostri dal Tartaro, non si sarebbero fermati. Sarebbero tornati, ne era certo. Ma non era un problema, perché quel luogo, il Campo Mezzosangue, non era più diviso e frammentato. Erano tutti sulla stessa pagina, con nuovi capicasa, nuovi volti, nuove amicizie e nuovi amori. 

Non solo lì. Anche in Giappone avevano un amico. Un mezzosangue, uguale a loro per metà. In cuor suo, Edward sperava di avere anche sue notizie.

I giorni, le settimane, i mesi successivi si preannunciavano impegnativi, ma ad Edward non importava. Era pronto. Come semidio, come araldo di Amaterasu, Araldo della Luce, avrebbe combattuto.

Ma prima, avrebbe fatto meglio a finire i suoi waffles finché erano caldi.

 

 

 

 

 

 

Ebbene... this is it, folks. Scrivo queste righe con il cuore che piange, davvero. Ho iniziato questa storia senza avere nessuna reale pretesta, senza conoscere i miei personaggi, senza avere una reale direzione, ho cambiato un miliardo di cose in corso d'opera, ho aggiunto cose, tolto delle altre, in un certo senso il finale è come me lo sono sempre immaginato, ma è innegabile il fatto che molte cose siano cambiate in questi due quasi tre anni, i miei personaggi sono cresciuti di fronte a me, hanno trovato un'identità, uno scopo, e... niente, sono felice. Sono molto, molto, molto felice per come le cose siano andate e non cambierei una sola virgola (metaforicamente parlando, perché in realtà dovrò fare dei ritocchi in post-produzione, ma ora ci arrivo).

Quindi... sì, questa è la fine. Di... di questa storia, insomma. Non sarà l'ultima volta che mi vedrete, però. Intendo tornare e aggiungere dei pezzi, mettere scene inedite e cose del genere, in una raccolta che creerò nei prossimi giorni (o settimane, devo capire come organizzarmi). Sarà una raccolta di missing moment, one shot e drabble su La Spada del Paradiso, e anche scene che si svolgeranno dopo la storia, con pov inediti, giusto per gettare un po' di luce in più sul nuovo Campo Mezzosangue e i suoi componenti (sì Roland, ti vedo, lo so che vuoi Seth, tu Nanamin, lo so che vuoi Kevin, ci proverò, ok? Im only human).

Poi, come ho menzionato prima, la storia entrerà in una fase di revisione. Alcuni se ne saranno accorti, Farkas la volpe in primis, alcuni dettagli sono cambiati nel corso della storia. Konnor aveva una spada di Ferro dello Stige che poi è tornata in bronzo celeste e cose di questo tipo, intendo tornare indietro e sistemare alcuni dettagli inutili e/o fuori posto, sfoltirò un po' i mattoni di pare inutili dei personaggi, correggerò eventuali sviste, aggettivi, errori, insomma, cercherò di dare un po' una pennellata su tutto in modo da rendere la storia simile a com'era diventata in questi ultimi capitoli, anche perché ripartendo dall'inizio non sembra nemmeno la stessa persona a scrivere. Gli "sprazzi" di me ci sono sempre, quello sì, ma per come tutto è gestito, anche esteticamente, non è tutto consistente. Devo anche correggere i font, l'html su alcune parti e cose simili, comunque nella descrizione della storia troverete la scritta "[In revisione]", che scomparirà quando avrò finito tutto quanto. Quindi a quel punto, se vorrete, potrete rileggere e giudicare voi (naturalmente non cambierà nulla della storia o dei dialoghi, solo le descrizioni e cose del genere).  

Ah, suppongo che alla fine di questo capitolo sia chiaro perché Edward ha sempre avuto un'immagine dello Yatagarasu e non di un corvo normale (mammamia che long term story telling, quasi meglio di Edward che finalmente riesce a mangiare dei waffles dopo due anni e mezzo). Adesso mi compro una medaglia per me stesso.

Ok, gente, ci siamo tolti la roba burocratica, ora mi dispiace, ma vi tocca sorbirvi i ringraziamenti. Se siete lettori "fantasma" potete anche chiudere qui, vi ringrazio di cuore per aver letto, per avermi seguito fino a qui, ringrazio chi tra di voi mi ha seguito dal day one e anche chi si è aggiunto dopo, spero che vi siate divertiti, spero che la storia vi sia piaciuta e spero che possiate, magari, prendere in considerazione l'idea di lasciare una recensione, se vorrete. Comunque sia, grazie di cuore a tutti voi.

Ora passo a chi mi ha supportato, per prima cosa Farkas, che ha recensito ogni singolo capitolo e che spero di prenda un fracco di punti, perché se li merita. Grazie mille per le recensioni, per le tue opinioni, i tuoi pareri, per avermi fatto notare alcune incongruenze (occhio di lince) e sopratutto grazie per avermi seguito dal day one, spero che la storia ti sia piaciuta. 

Ringrazio poi Roland, per avermi supportato nell'ultimo anno e mezzo o giù di lì, per i suoi bellissimi disegni (non ne avevo mai ricevuti prima, sono estasiato davvero) che hanno reso i miei personaggi più "veri" e più vicini a me, grazie per le recensioni, anche i messaggi, le battute, gli scambi, le opinioni, le risate e grazie anche per aver scritto il tuo Crepuscolo degli Idoli che mentirei se dicessi che non mi ha aiutato a trovare ispirazione in più di un'occasione. Quindi sì, grazie di cuore. E sì, proverò a portarti Seth (e a finire di leggere la tua storia magari che son qua che mi rincorro la coda da un anno e mezzo).

Ringrazio Nanamin per avermi dato consigli, pareri e opinioni nel privato, aiutandomi anche con la realizzazione di questo ultimo capitolo. Quindi se vi è piaciuto è anche merito suo, personalmente l'ho trovato bellissimo e sapevo di aver bisogno di qualcun altro che mi aiutasse a smussarlo per benino. Grazie anche per le recensioni, il supporto e per avermi convinto alla fine a dare una gioia ad Edward (penso che dovrebbe essere lui a ringraziarti, però vabbé, io ne faccio le veci). 

Ringrazio Beauty Queen, Lady Maria, Lady White Witch, volarefinoatoccareilcielo per le loro recensioni, spero che siate arrivate fino a questo punto anche voi, ringrazio tutti quelli che hanno preferito, ricordato e seguito, che sono i già citati Farkas, Nanamin, Roland, Beauty Queen e poi NonLoSo_18, Alohomora__, Calathea, Cossiopea, Mareena, camillavaalmare, Lydia_Swan_Prior e Pase200585, spero di averli scritti tutti giusti. 

Grazie mille a tutti quanti, spero che anche voi siate tutti arrivati alla fine, se dovessi avervi ispirati, divertiti, intrattenuti e quant'altro, sappiate che per me è un gigantesco onore. 

Allora, qua ci sono le due canzoni nel capitolo, una già l'avevo messa, ma la rimetto per dovere di cronaca:

Ronco invierno, la canzone in spagnolo (quella acustica, ma vi consiglio anche l'originale): https://youtu.be/XxTp7dwu3pQ

Rum is for drinking, not for burning, la canzone di Rosa e Edward (ci sono due versioni, io metto quella che mi ha ispirato ma vi consiglio di cercare anche l'altra because why not): https://youtu.be/wdl5GwMIDxA

 

Nota conclusiva solo per fare un po' di sano fanboysmo verso Amaterasu che è stata bellissima da scrivere, mi sono innamorato di lei e magari racconterò anche qualcosa in più sul suo conto. In realtà introdurre nuove divinità è stato davvero divertente ed un esperimento interessante. Susanoo, Amaterasu e Izanami sono carini (specialmente Izanami, lei è carinissima). Niente, scusate la parentesi inutile, sto farfugliando cose perché non voglio andare via ma mi sa che tocca. 

Comunque sì, lettori, recensori, amici, spero di tornare presto. Per il momento è tutto, vi mando un abbraccio, un bacio sulla guancia, bocca, con lingua o senza, quello che vi pare, tanto è virtuale quindi non serve nemmeno preoccuparsi del distanziamento. 

SIGNORI E SIGNORE. Alla prossima, statemi bene! 

 

   
 
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