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Autore: Koa__    31/05/2021    1 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che gli angeli vogliono





 


“Maryse, pensi che gli angeli siano capaci di perdonare?”
“Beh, come diceva mia madre: misteriose sono le vie degli angeli”
Shadowhunters: -All good things-


 



 


La prima cosa che Alec vide non appena ebbe aperto gli occhi fu Magnus a terra, stremato dall’uso eccessivo della magia. Era pallido in volto e aveva la fronte sudata, le membra erano appoggiate malamente alla poltrona alle sue spalle e aveva il fiato corto come quello di chi ha compiuto un’enorme fatica. Non dovevano esser stati in quel limbo che erano le loro menti allacciate per molto tempo, o almeno così credeva, ma tanto doveva essere bastato a che lo sforzo avesse fatto collassare lo stregone sul pavimento. Nel vederlo ridotto in quello stato, Alec non ci pensò sopra due volte a corrergli incontro e a sorreggerlo, tenendolo quindi tra le braccia intanto che gli tergeva il sudore e placava il suo leggero tremore. Neanche badò al suo essere tornato nel proprio corpo, come se la cosa non avesse più la minima importanza. Gli baciò invece le mani fredde e, dopo che suo marito ebbe alzato gli occhi sino a incontrare i suoi, un timido e affaticato sorriso spuntò sul suo viso. E secondo Alec, quando Magnus sorrideva era la cosa più bella del mondo.
«Ehi» sussurrò intanto che le dita scendevano su di uno zigomo, sfiorandolo con delicatezza.
«Eccoti qui» mormorò lo stregone con voce flebile mentre allungava un braccio e accarezzava stancamente le guanciotte rosse di Alec, «il mio bellissimo cucciolo è tornato.»
«Posso fare qualcosa?» domandò invece Jace, facendosi avanti con una punta di timidezza. Alec, sollevando il viso sul proprio Parabatai, notò soltanto in quel momento che il turbamento che lo aveva contraddistinto sino ad allora, era scomparso. Ciò di cui avevano parlato gli aveva fatto bene, ma doveva averne fatto anche a Jace in un qualche modo. Qualsiasi cosa avesse visto oltre quella porta, doveva avergli rischiarato i pensieri quel tanto da farlo stare più tranquillo. Senza sapersi spiegare la ragione, si disse sicuro del fatto che suo fratello avesse visto Clary o si fosse ricordato di qualche momento passato insieme. Forse perché lui, oltre quella porta chiusa, aveva sentito distintamente la presenza di Magnus e aveva attraversato la soglia, spinto dall’idea che lui fosse là dentro. E quando si era fatto avanti, si era sentito come immerso dentro di lui. Immagini di ciò che avevano condiviso sino ad allora gli erano passate davanti agli occhi, come una cascata di ricordi che non ha mai fine. E intanto che questi gli attraversavano mente e cuore, aveva provato una forte sensazione di svenimento, quasi stesse per perdere i sensi e allora aveva capito che suo marito aveva bisogno di lui. Soltanto allora si era risvegliato. E adesso lo stringeva tra le braccia, accarezzandogli i capelli in maniera gentile e nel contempo gli sorrideva.
«Starò bene» borbottò Magnus, tirandosi meglio a sedere.
«Niente che un bagno caldo, una bistecca e un bicchiere di vodka non possano sistemare?» gli domandò Alec, ricordandosi di quel che diceva ogni volta che faceva uno sforzo eccessivo di magia. Glielo aveva chiesto ridendo, come a volerlo prendere in giro, ma senza farlo per davvero. Gli aveva parlato, certo e senza smettere di sfiorarlo, ma affondando le dita tra i suoi capelli e quindi scendendo sulle guance accaldate. Era così bello poterlo toccare di nuovo e con le proprie mani, che fu scosso violentemente da un brivido che gli corse giù lungo la schiena.
«D’accordo, allora sarà meglio che vi lasci soli» disse Jace con sguardo vagamente malizioso, intanto che indietreggiava sino all’ingresso.
«Puoi restare a pranzo, se vuoi» lo invitò Magnus, intanto si tirava in piedi non senza fatica. «Alexander cucina bene, a meno che non faccia lo stufato, in quel caso fuggi via da qui subito!» concluse mentre suo marito alzava gli occhi al cielo, pur senza replicare né smettere di sorridere.
«No, no» negò Jace vibratamente ridendo «magari vengo a cena una di queste sere, però. Solo… niente stufato, Alec, per favore.»
«D’accordo, allora ti aspettiamo» annuì Magnus, sorridendo, precedendo ogni tentativo di suo marito di ribattere con una battutaccia. Alec non capiva davvero cosa avesse lo stufato di sua nonna di tanto orribile, quando erano bambini e lui e Izzy l’avevano preparato per la loro mamma, Maryse ne era rimasta entusiasta. Salvo poi scoprire che aveva mentito e che lo aveva trovato terribile! Lo avrebbe rifatto tale e quale soltanto per capire cosa andasse che non andava.
«Adesso credo di dover far visita a un certo vampiro e poi è meglio se vi lascio soli, avete da recuperare una giornata intera di smancerie» disse Jace, interrompendo i suoi ragionamenti intanto che spariva oltre la porta d’ingresso.

 

Alec vide che suo fratello prima andarsene aveva sorriso, forse con l’intenzione di prenderli un po’ in giro, non lo sapeva. Anche se lo avesse fatto non gliene sarebbe importato granché, quella era la prima volta che leggeva in lui del divertimento sincero e che non fosse ottenebrato da pensieri oscuri o dal peso che l’assenza di Clary gli gravava dentro. Senza riuscire a controllare il fluire dei propri pensieri, Alec rimase qualche istante di troppo a osservare il punto in cui lui era sparito, ripensando quasi senza volerlo a quel che era successo poco prima. Aveva avuto paura per tanto tempo di dire a Jace quello che in passato aveva provato per lui e il come questo sentimento fosse divenuto più chiaro, probabilmente per il timore di essere preso in giro, ma farlo era stato così facile che si era sentito un cretino per non averci mai neanche provato prima. Era pur sempre suo fratello, il suo Parabatai era logico che avrebbe capito e che lo avrebbe accettato per quello che era, senza giudicarlo come un mostro né facendolo sentire sbagliato. Inoltre doveva ammettere che quanto Jace gli aveva detto sul confondere i sentimenti non era affatto sbagliato, al contrario era stato rivelatore. Adesso che sapeva cosa significasse l’essere innamorati di qualcuno, non poteva non pensare che d’essersi convinto di esserlo stato di un qualcuno, per il quale invece non aveva mai provato altro che dell’attaccamento fraterno.
«Tutto bene, cucciolo?» domandò Magnus, accarezzandogli uno zigomo con le punte delle dita, strappandolo fuori dai suoi ragionamenti «ti va di dirmi che è successo là dentro?»
«Noi» cominciò a parlare, pur a voce sussurrata, salvo poi esitare. Si mordeva le labbra, quasi fosse indeciso perché come poteva spiegare quello che avevano passato lui e Jace? Era così difficile essere chiari con chi non era uno Shadowhunter o non era unito da un legame Parabatai, che era complicato già il semplice pensare di poter rendere sensata un’unione di anime. Ma Magnus avrebbe capito, pur non essendo un Nephilim, sul legame Parabatai ne sapeva molto più di tante altre persone dal sangue d’angelo. 

«Noi abbiamo parlato di varie cose e...» proseguì, pur sempre esitante «di Clary, tanto per cominciare e poi gli ho quello che un tempo provavo per lui o per meglio dire che ero convinto di provare. Era una cosa che mi aveva sempre spaventato.»
«E Jace come l’ha presa?»
«Direi in maniera sorprendente» annuì Alec, sollevando lo sguardo che sino ad allora aveva riposto al pavimento. Magnus lo stava ancora sfiorando, facendo vagare le sue dita tra il viso, il collo e i capelli e la sua era una carezza ipnotica, delicata e involontariamente sensuale. Forse era perché non lo toccava in quel modo da giorni, ma era distraente al punto che faticò a trovare la concentrazione per proseguire: «M-mi ha offerto un punto di vista sul quale non avevo mai riflettuto. H-ha detto che confondere i sentimenti quando si diventa Parabatai può essere molto facile.»
«E pensi abbia ragione?»

«I-io credo di sì» annuì Alec, serio, pur faticando ancora a trovare la giusta concentrazione. A stento teneva gli occhi aperti, a stento non lo stringeva a sé e lo baciava. E con altrettanta fatica poco più tardi riprese a parlare: «Quando ero adolesente, Jace è stato il solo ragazzo col quale mi sia mai rapportato e penso che questo abbia influito sulle mie convinzioni. Mi rendevo conto di quanto fosse attraente e il vederlo senza maglietta mi turbava, lo confesso, ma non era soltanto una questione di ormoni. C’era dell’altro, il mio attaccamento per lui era diverso da quello che sentivo di provare per Izzy o Max, soltanto poi compresi che il nostro legame sarebbe stata solo la consacrazione di un qualcosa che già eravamo stati in passato: amici, fratelli e compagni d’arme. All’epoca ero convinto di aver capito tutto, ma poi ho incontrato un certo stregone…» concluse, aggiungendo un pizzico di malizia che di rado gli apparteneva e non utilizzava mai con nessuno se non con suo marito. Era troppo timido e riservato per parlare in quel modo con qualcuno che non fosse Magnus Bane, ma ogni tanto doveva pur sedurlo, giusto?
«Uno stregone, eh? Mi domando chi possa essere quest’uomo tanto fortunato» gli rispose questi in rimando con quella punta di ironia un pizzico maliziosa che lo contraddistingueva piuttosto spesso, prima attirarlo a sé e coinvolgerlo in un bacio che non voleva essere focoso, ma che tale diventò dopo un primo, timido sfioramento. Per l’angelo, pensò Alec morendo sulle sue labbra morbide, quanto gli era mancato! Il suo sapore, quell'odore di legno di sandalo che aveva addosso, il calore della sua pelle e la maniera esperta e quasi erotica che aveva di baciarlo. Magnus gli faceva tremare le ginocchia e correre brividi di eccitazione lungo la schiena, ogni volta che lo toccava in quel modo. 

 


«Dunque» borbottò Alec svariati minuti più tardi, allacciandogli le braccia al collo mentre Magnus gli rubava un bacio a stampo «soprassiederò sul fatto che hai chiesto a mio fratello se voleva fare sesso con te.»
«Peggio per lui» scherzò Magnus con un’alzata di spalle, rubandogli un bacio a fior di labbra. «E in quanto a te, caro mio, sappi che ti sei perso un certo lavoretto di bocca che sarebbe stato spettacolare» concluse, accentuando il tono della voce che variava dal divertito al fintamente oltraggiato, intanto che iniziava a ondeggiare a destra e a sinistra in una sorta di ballo improvvisato. Non c’era musica, ma non importava davvero perché ad Alec bastava essere tra le sue braccia per poter avere la sensazione di galleggiare a un metro da terra.
«Sono sempre in tempo per recuperare e comunque non ti perdono il tuo non avermi baciato per una giornata intera» sussurrò Alec sulle sue labbra, catturandole un’altra volta tra le proprie, come a volergli ricordare cosa si era perso per quasi due giorni.
«E mi merito una punizione, vero?» domandò Magnus più lascivo, strusciandosi su di lui mentre si faceva coinvolgere da un ennesimo bacio. Un altro, ancora affiatato e passionale, con le loro lingue che danzavano e i bacini che si strusciavano l’uno contro l’altro. Con le mani di Magnus che gli accarezzavano la schiena e salivano su, sino alla testa, affondando le dita tra i capelli e attirandolo ancora più vicino a sé. C’era, nella maniera che Magnus aveva di cercarlo, una punta di disperazione che non gli sfuggì e che doveva nascere direttamente dalla paura che aveva avuto di perderlo. Disperazione che assecondo, in un trovarsi vorace. E con Alec che lo stringeva per la vita e poi esponeva il collo, concedendogli in quel modo tutto lo spazio di cui avesse bisogno.
«Oh, sì» gemette senza specificare se fosse per la risposta che gli stava dando o perché suo marito aveva preso a leccargli un punto specifico appena sotto l’orecchio sinistro, che solitamente gli faceva tremare le ginocchia.

«Una punizione esemplare, signor Bane: cena a quattro, sabato sera, io e te, Lorenzo e Underhill.» Magnus smise immediatamente di torturargli il collo, oltre che di strusciarsi contro di lui in maniera lasciva.
«Sei perfido!» sibilò, con occhi stretti e sguardo fintamente torvo.
«Fai questo per me e giuro che faccio tutto quello che vuoi a letto, anche quella cosa delle manette» concluse, arrossendo sono alla punta dei capelli perché non c’era niente da fare, a parlare di certi argomenti ancora si imbarazzava, persino con Magnus. Il che era una contraddizione se si pensava che gli aveva appena dato il permesso di legarlo.
«Questa sì che è un'offerta interessante, Shadowhunter. Lo giuri?» gli rispose lo stregone, intanto che Alec annuiva e riprendeva a baciarlo.    
«Aha, lo giuro» esclamò infine, trascinandolo in camera da letto. Se doveva fare davvero “tutto” quello che Magnus voleva, era meglio cominciare immediatamente.


 

 

*


 

Uno dei vantaggi di essere un diurno, come diceva sempre Simon Lewis, era quello di poter bere al Hunter's Moon di primo pomeriggio, col locale mezzo vuoto o frequentato da pochi lupi mannari e, occasionalmente, anche da qualche mondano in cerca di un pranzo veloce. I vampiri si guardavano bene dall'uscire prima del tramonto mentre gli stregoni si facevano vedere la sera, perché la maggior parte di loro durante il giorno riceveva o viaggiava per il mondo per qualche consulenza. Non era raro trovare delle fate, ecco, ma non erano sufficienti a riempire tutto il locale e comunque a lui nessuno dava mai fastidio. Non aveva più da tempo il marchio di Caino, ma la notizia non doveva essersi ancora sparsa per tutto il mondo Nascosto, perché in molti spesso stentavano addirittura a salutarlo da lontano, neanche avesse potuto fulminarli con un'occhiata. Ad ogni modo, Jace Herondale si era dichiarato sicuro del fatto che Simon potesse trovarsi proprio lì. Dopo esser andato a casa sua e non averlo trovato, l’Hunter’s Moon era il primo posto che gli era venuto in mente. E infatti, quando lo scampanellio della porta invase il locale semi deserto, Jace alzò lo sguardo e vide il diurno seduto in un angolo, a un tavolino, con un bicchiere di quello che era sicuramente sangue e un computer portatile aperto davanti al naso. Non faceva caso a nessuno, al contrario guardava fisso lo schermo ed era così concentrato, che fu costretto a tossire per attirare la sua attenzione.

«Jace!» esclamò alzando gli occhi dal portatile intanto che un ampio sorriso gli divorava l’espressione concentrata avuta sino a poco prima. Qualche istante più tardi, però, il sorriso divenne confusione e dubbio.
«Cioè Alec! O forse sei Jace?» blaterò assottigliando lo sguardo e quindi studiandolo come se, soltanto incrociando i suoi occhi, avesse potuto scoprire la verità. «Con questa storia che vi siete scambiati non ci capisco più niente, non dirmi che c’è un altro covo da stanare?»
«No, niente vampiri» negò, prendendo posto a sedere. «Beh, a parte te, ma tu sei più innocuo di quella vecchietta che ho aiutato ad attraversare la strada mentre venivo qui» gli disse, intanto che alzava la mano attirando in quel modo l’attenzione di Maia e dicendole a voce ben alta: «portami una birra e un hamburger, per favore. E comunque io e Alec abbiamo risolto le cose» concluse infine, rivolgendosi direttamente un Simon che annuì e tirò quindi un sospiro di sollievo.
«Allora? Com’è stato camminare nelle scarpe del signor direttore dell’Istituto?» gli domandò imitando goffamente l’atteggiamento serio che Alec aveva sul lavoro, subito prima di bere un sorso dal proprio bicchiere e leccandosi quindi le labbra rosse di sangue.
«Stancante» disse Jace ridendo mentre Maia gli serviva una pinta di birra chiara. «Però ho capito tante cose di mio fratello in questa giornata assurda. Comunque non voglio parlare di lui adesso; tu che stai facendo?»
«Ah, niente di che» disse Simon sbrigativo «mi sono deciso a iniziare un fumetto: io e Frey non facevamo altro che buttare giù idee e non finirne mai una! Questa era una di quelle a cui avevamo pensato. Sai, prima che sua madre se ne uscisse con: “Ehi, sei una Nephilim e tuo padre è un pazzo omicida, prendi qua lo stilo e tanti saluti”.» Jace rise di cuore, senza riuscire davvero a trattenersi. All'inizio della loro conoscenza aveva trovato quel mondano piuttosto fastidioso, ma adesso era come se la presenza di Simon potesse farlo sentire meglio. Oh, non gliel’avrebbe mai detto. Ne aveva parlato a Izzy una volta, e solo perché allora era per metà una fata. Però non poteva negare che, per una stranissima ragione, quel vampiro chiacchierone avesse su di lui un’influenza positiva. Già, come Clary, anche lei riusciva sempre a farlo sentire meglio, pensò mentre la risata svaniva e il suo divertimento tuttavia si spegneva. Non era perché Simon aveva nominato Clary, non soltanto almeno. Non si era rassegnato all'idea di averla persa, ma perlomeno se n'era fatto una ragione e ricordarsi di lei, così come il sentirla nominare, non faceva più male come prima. Non era quindi per lei che Jace divenne triste. Per una strana ragione, le parole che Magnus gli aveva rivolto soltanto un paio di giorni prima gli tornarono alla mente in quel momento: lui non era il solo ad aver sofferto e notando il sorriso ora tirato sul volto di Simon si rese conto di quanto fosse vero. Si domandò se anche per lui era una sofferenza il pronunciare il suo nome, se la sognava la notte o se le tornavano in mente tutte quelle cose che avrebbe voluto dirle, ma che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare né il tempo per farlo. Si chiese se anche Simon la spiasse attraverso gli schermi della videosorveglianza o se trascorresse le notti fuori casa a uccidere demoni senza fermarsi un istante a pensare.

«Ehi» gli disse Simon dopo aver chiuso il computer. Aveva una forte consapevolezza in volto, quasi sapesse alla perfezione quello a cui Jace stava pensando. Forse perché c’era passato anche lui o perché, nonostante le chiacchiere e i sorrisi, ancora era fermo a un dolore senza fine.
«Lei manca anche a me.»
«Lo so» sussurrò Jace, abbassando gli occhi sin sulla sua pinta di birra della quale non aveva bevuto nemmeno un sorso, come se faticasse anche solo a guardarlo negli occhi. Si sentiva un egoista, aveva sempre creduto che la perdita di memoria di Clary avesse riguardato soltanto lui, ma ora capiva che non era vero. 

«È che non riesco ad accettarlo» confessò dopo svariati minuti di silenzio «non faccio che ripetermi che magari avrei potuto fare qualcosa per fermarla, se soltanto l’avessi saputo. O che forse avremmo dovuto trovare un altro modo per sconfiggere Jonathan, poteva esserci una soluzione che non comprendesse un’ennesima runa, non so... Poteva e io avrei dovuto trovarla, perché che me ne faccio di questi stupidi poteri d’angelo se non per salvare chi amo? Mi sento come se tutto quello che le è accaduto fosse colpa mia.»
«E lei non lo vorrebbe» rispose prontamente Simon, questa volta così tanto colto dall’entusiasmo che gli aveva afferrato le mani e le aveva strette. Jace notò che erano fredde, ma non in un modo spiacevole. «Ascolta, conosco Clary da tutta quanta la mia vita, ma non è necessario averla incontrata alle elementari per saperlo. Tu dovresti sapere quanto me che lei agisce sempre di testa propria e non dà retta mai a nessuno. Anche se avessi trovato un altro modo, e non c’era, lei avrebbe fatto comunque quello che sentiva essere più giusto fare. Perché era fatta così.»
«Già» mormorò Jace, stirando un sorriso e ricordandosi di tutte quelle volte in cui le aveva intimato di fare una cosa e lei, puntualmente, aveva fatto l’esatto contrario «è dannatamente testarda.» Quella, si rese conto, era la prima volta che Jace sorrideva pensando a Clary, senza poi disperarsi in un fiume di lacrime amare. Da quando le era stata cancellata la memoria non l’aveva mai fatto.
«Esatto!» annuì Simon «ha sempre fatto quello che voleva, fin da quando eravamo piccoli e non era più alta di un metro. Anche allora non dava retta a nessuno, a malapena ascoltava sua madre. Ma, Jace, di certo non è colpa tua.»
«Mh» borbottò, senza sapere bene come ribattere. Quanto stava dicendo Simon era quello che non faceva altro che ripetersi, in quei momenti di lucidità in cui si ritrovava a pensare che Clary si fosse scelta quel destino e che lo avesse seguito, conscia delle conseguenze. Ogni volta che ci pensava, però, subito ripiombava nell’oscurità incolpando gli angeli di quanto era successo.
«Quello che possiamo fare, Jace è pregare: Izzy dice che gli angeli ascoltano e magari non le implorazioni di un vampiro, ma forse ascolteranno te che hai il loro sangue nelle vene. Probabilmente non oggi e nemmeno domani, ma magari un giorno lei tornerà.»

 

Sì, annuì Jace, lei un giorno tornerà e lui doveva pregare gli angeli perché lo ascoltassero e perché credessero nel loro amore puro e sincero. Simon ci credeva davvero e Simon era solo la persona più positiva che conoscesse. Lui che non si era mai lasciato abbattere, neanche dopo esser stato costretto a dire addio a sua madre, cancellandole memoria e facendole credere che fosse morto. Non aveva mai rinunciato all’idea di poter essere felice, eppure era stato scaricato prima da Clary, della quale per altro era stato innamorato per tutta la vita, e poi persino da Maia. E anche adesso che la sua migliore amica non si ricordava più nulla di lui e di tutto quello che avevano condiviso assieme, Simon sorrideva e scriveva il suo fumetto. Forse in un tentativo di onorare la sua amicizia con Clary, Jace non lo sapeva con esattezza, ma sentiva che non importava quale fosse la vera ragione. Lo stava facendo e tanto bastava. E se Simon si stava prodigando in un qualcosa di concreto per andare avanti, allora l’avrebbe fatta anche lui. Era tempo di smettere di piangersi addosso, di dormire poco la notte e mangiare ancora meno, tenendo tutti lontani. Doveva tornare a essere il Jace di un tempo e aveva giusto in mente un’idea su cosa potesse fare per ricominciare.
«Senti, stavo pensando che sei stato bravo con quei vampiri ieri, che ne dici di allenarci insieme? Non sei uno Shadowhunter, ma potresti darci una mano ogni tanto come hai fatto oggi, credo che il Clave lo apprezzerebbe. Sai, Alec sta cambiando le cose all’Istituto e crede in una politica di cooperazione tra Nascosti e Nephilim. Potresti essere il primo vampiro ad aiutare ufficialmente il Clave.»
«Aspetta, intendi, allenarci nel senso di addestrarmi?»
«Esatto!» annuì Jace convinto, sorridendo dello stupore che il vampiro adesso aveva in volto. «Lo farei io, naturalmente, il che significa che impareresti dal migliore. Allora? Ci stai?»
«Beh, d’accordo. Come rifiutare un’offerta simile dal miglior Shadowhunter della galassia» rise Simon prendendo un altro sorso di zero negativo, prima di riaprire il suo laptop e riprendere a lavorare. «Fammi sapere quando iniziamo.» 

 

Jace si soffermò un istante a riflettere, intanto che Maia gli serviva l’hamburger augurandogli buon appetito. Clary ancora gli mancava, ma parlare con Magnus prima e adesso anche con Simon, oltre che l’aver parlato apertamente con Alec, nonché il trascorrere più di un giorno nei suoi panni, gli avevano fatto capire molte più cose di quante non pensasse di doverne imparare. Aveva compreso di non essere il solo a soffrire e di poter contare sull’aiuto dei suoi amici, o meglio, della sua famiglia. Aveva capito di avere ancora uno scopo e che gli angeli avevano agito in quel modo non era soltanto per cattiveria. Sì, erano passati quarantacinque orribili giorni da quando gli angeli avevano cancellato la memoria di Clary Fairchild e soltanto ora Jace riuscì a trovare un pizzico di pace dentro di sé. Ad accettarlo forse non ci sarebbe mai riuscito e avrebbe pregato e sperato che lei tornasse da lui, ma se voleva lo sguardo al di là delle vetrate sporche dell’Hunter’s Moon sino al cielo limpido di New York, riusciva a vedere il sereno all’orizzonte.





 

Fine






Note: Come avevo detto, un breve epilogo per farvi capire cosa è successo dopo che Alec e Jace sono tornati ognuno nei propri corpi. La storia è ambientata praticamente un anno prima del ritorno di Clary, non ho voluto saltare avanti nel tempo perché non era quello che volevo per questa storia, ma invece che Jace capisse determinate cose. Naturalmente mi sono lasciata andare a un po’ di Malec nella prima parte, che non fa mai male.
Sono contenta di aver scritto questa storia perché ammetto di essermi divertita parecchio, un grazie a tutte le persone che l’hanno seguita e a chi ha recensito.
Per chi stesse seguendo “I Think I’m Falling For You” aggiornerò nei prossimi giorni.
Koa
   
 
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