Ciao a tutti. Con la sua traduzione di “Dog Days”, T’Jill mi ha fatto scoprire All_I_Need, così ho cercato altre sue storie e ho scoperto “Sweet Home Baker Street”, che mi è piaciuta molto. Presa da un’euforia entusiastica e incosciente, ho pensato che fosse carino condividere questa storia con chi stesse apprezzando “Dog Days”. Ed ora, ecco a voi la mia prima traduzione. Non temete, però. Malgrado tutto quello che sta traducendo, non so come faccia, T’Jill ha accettato di farmi da beta. Se, malgrado l’aiuto della mia fantastica beta, dovessero esserci degli errori, sappiate che sono tutti miei.
Per chi volesse apprezzare la versione originale, “Sweet Home Baker Street” è reperibile al seguente link: https://archiveofourown.org/works/22653697/chapters/54144166
Grazie ad All_I_Need per le sue meravigliose storie e per avermi concesso di tradurre questo racconto.
Spero che vi piaccia.
Baker Street, dolce casa
Capitolo 1
Questa storia ha molti inizi e, come con qualsiasi serie
complessa di eventi, non potremo mai essere abbastanza sicuri di quale sia il
vero principio. Quindi proviamone un paio.
Tutto iniziò in una piovosa mattina di febbraio, quando John
Watson e la sua fidanzata, Mary, andarono all'ufficio del Registro per chiedere
una licenza di matrimonio. Avevano un appuntamento con una certa signora
Humperdinck, che sorrise e parlò in tono mieloso, mentre li salutava e prendeva
i loro documenti e indicava quali moduli compilare, intanto che lei faceva una
ricerca standard sui loro nomi con il computer.
Sia il sorriso sia il tono sdolcinato scomparvero, come se
qualcuno avesse premuto un interruttore.
"Mi dispiace, ma non posso concedervi la licenza."
John e Mary si scambiarono uno sguardo: "Scusi?"
La signora Humperdinck fece un’imitazione piuttosto gelida
del suo sorriso precedente: "Non permettiamo la poligamia in questo paese."
"Sì, ne siamo consapevoli. – ribatté John con impazienza
– Non vedo come questo possa interessare noi."
La donna increspò le labbra: "Sembra, dottor Watson, che
lei sia già sposato."
John la guardò, sbattendo le palpebre: "Come?"
"Qui dice – e girò lo schermo in modo che John potesse vederlo
– che lei è già sposato."
"Ascolti, deve esserci un qualche tipo di errore. – le disse John – Sono sicuro che mi ricorderei,
se mi fossi sposato. Non è qualcosa che uno si dimentichi."
"Posso assicurarle che, se lo dice il nostro archivio, è
così. – lo rimbeccò la signora Humperdinck, senza nascondere di essere stata un
po’ ferita nell’orgoglio – Sto proprio guardando il suo certificato di
matrimonio e sembra perfettamente in ordine."
"Mi faccia vedere," sbottò John, dimenticando
momentaneamente ogni accenno di cortesia.
La donna girò lo schermo del computer e sia lui sia Mary si
sporsero in avanti per guardare ciò che senza dubbio era un certificato di
matrimonio per un certo Dr. John Watson e…
"Sherlock? – domandò Mary, sconcertata – Hai sposato Sherlock?"
John fissò il certificato, che riportava quelle che erano
inequivocabilmente le firme sue e di Sherlock e che creava una realtà del tutto
nuova, di cui non era mai stato a conoscenza: "Io… io… non lo so."
"Bene. – intervenne la signora Humperdinck, chiaramente
combattuta tra pensare che John fosse un idiota e chiedersi se lui potesse
veramente non sapere – Dovrà divorziare, prima di poter sposare la qui presente
signorina Morstan."
"Io… – John aggrottò la fronte, osservando il
certificato – Ma questo è stato rilasciato tre anni fa! Lui... è morto quattro
mesi dopo."
L’espressione della signora Humperdinck si addolcì: "Oh,
mi dispiace terribilmente, mio caro. Avrebbe dovuto dirlo! Se può fornire un
certificato di morte di suo marito, possiamo…"
John, turbato dal fatto che qualcuno si riferisse disinvoltamente
a Sherlock come suo "marito", scosse la testa: "No... no, non è
morto. Non proprio, voglio dire. Ha inscenato la propria morte, capisce?"
"Allora... adesso è vivo?" A giudicare dalla
confusione nella sua espressione, la signora Humperdinck era una delle poche
persone che non aveva letto la notizia.
"Sì, naturalmente."
"Allora il certificato è perfettamente valido. – ribatté
con fermezza la signora Humperdinck – A meno che lei non possa presentare un
autentico attestato di morte, dovrà ottenere il divorzio, prima di sposarsi."
*****
O forse la nostra storia inizia quattro mesi prima, in una
giornata fredda, ma sorprendentemente soleggiata di inizio novembre, quando
John andò a visitare il 221b di Baker Street, dopo due lunghi e dolorosi anni
di vita altrove, per dire alla signora Hudson che si sarebbe sposato.
"Beh, sto programmando di farlo. Farò la proposta presto."
"Sposarti? – fece eco la signora Hudson – Così presto
dopo Sherlock?"
Col senno di poi, forse quella domanda aveva avuto un
significato un po' più complesso di quanto John avesse notato in quel momento.
E forse c'era stata una ragione per la totale incredulità della signora Hudson,
quando John le aveva ricordato ancora una volta che lui e Sherlock non erano
mai stati una coppia. Forse era perché l’anziana donna era stata uno dei
testimoni, che avevano firmato il certificato di matrimonio, anche se pensava
che non fosse delicato menzionarlo proprio in quel momento, quando John aveva
finalmente deciso di andare avanti. E per quale motivo avrebbe dovuto ricordarglielo?
Sherlock era morto e non c'era ragione di richiamare alla mente ricordi
dolorosi.
Anche se la signora Hudson avesse pensato di parlarne, John
sarebbe comunque finito al Landmark quella notte, indossando un abito scomodo, con
quei baffi atroci, con un cofanetto porta anelli nella tasca e un odioso
cameriere francese appiccicato al gomito, proprio nel momento sbagliato.
"Cosa interessante, uno smoking. Conferisce anonimato ai
camerieri e distinzione ai vecchi amici."
John lo fissò. Lo fissò e fissò e fissò e per quanto si
sforzasse non riusciva a comprendere chi avesse davanti a sé. Non aveva un
ricordo chiaro degli eventi del resto
della serata. Si rammentava solo di aver spinto Sherlock a terra, con le mani
intorno al collo e un sacco di urla, poi ricordava di essersi scagliato addosso
a lui attraverso un tavolo e aveva decisamente presente di avergli dato una
testata in faccia. A quel punto, loro non erano più al Landmark e non gli
importava molto di sapere come avevano lasciato quel posto.
Sherlock, essendo Sherlock, tentava di giustificarsi, ma dava
tutte le spiegazioni sbagliate sulla metodologia dell’inganno e nessuna sulle sue
motivazioni, così John ne aveva avuto abbastanza molto in fretta.
Nel suo stato di shock, non notò lo sguardo disperato negli
occhi di Sherlock, il modo rigido in cui teneva il corpo, le rapide occhiate
che lanciava a Mary.
Invece, John chiamò semplicemente un taxi e se ne andò.
Non parlò più con Sherlock per i successivi quattro mesi.
*****
Ovviamente, se si volesse essere molto precisi, gli eventi
che hanno portato John alla scoperta del proprio matrimonio si erano
effettivamente messi in moto tre anni prima. Era marzo, quattro mesi prima della
presunta morte di Sherlock, che aveva passato la settimana a lavorare su un caso
che coinvolgeva varie vittime di rapine in casa con una perdita di memoria
limitata nel tempo. Il caso era un solido 9 e Sherlock era più felice del
Grinch a Pasqua.
Era riuscito a indagare su otto scene del crimine, aveva
fatto scoppiare in lacrime tre persone e John era già intervenuto due volte per
impedire a chiunque di prenderlo a pugni in faccia. Difficilmente il caso
avrebbe potuto diventare più interessante.
Inoltre, Sherlock aveva passato l'intera notte completamente
sveglio, in cucina, con la sua vasta attrezzatura chimica, mentre John dormiva
al piano di sopra, indisturbato e ignaro di quello che sarebbe accaduto.
Il dottore si svegliò alle otto e mezza, barcollò giù per le
scale ed entrò in bagno con un: "’Giorno," farfugliato al suo
coinquilino, che grugnì un saluto e prontamente accese il bollitore in modo che
il tè fosse pronto quando John ne avesse voluto un po'.
Esattamente dodici minuti dopo, John tornò da una delle sue
efficienti docce in stile esercito, sembrando po' più sveglio e indirizzando a
Sherlock un sorriso compiaciuto, quando scoprì che lo aspettava una tazza di tè
appena fatta e a debita distanza dall'attrezzatura da laboratorio di Sherlock.
Col senno di poi, si potrebbe dire che John avrebbe dovuto immaginarlo.
Si potrebbe suggerire che lui avrebbe dovuto essere diffidente, avrebbe dovuto
sapere di non toccare nessuna bevanda che Sherlock gli avesse preparato senza la
sua stretta supervisione.
Ma questo significherebbe incolpare la vittima e,
francamente, nessuno dovrebbe stare attento al fatto che il tuo coinquilino e
migliore amico non decida di mettere alcune sostanze chimiche nel tuo tè
mattutino. In effetti, il nominato coinquilino e migliore amico avrebbe dovuto
imparare ormai che non era una cosa da fare.
Per sfortuna, Sherlock non aveva ancora raggiunto il punto in
cui "per il caso!" era battuto da “buona educazione di base".
E così John bevve la sua tazza di tè senza apparenti problemi.
Aveva il sapore del tè, conteneva la giusta quantità di latte e niente
zucchero, ed era tanto ordinaria quanto una tazza di tè potrebbe sperare di
essere.
Fu quindi una vera sorpresa quando, tre anni dopo, John venne
a sapere che il tè, in realtà, conteneva qualcosa in più e che lui era riuscito
a dimenticare tutto quello che era accaduto quel giorno, senza nemmeno rendersi
conto che c’era un vuoto nella sua memoria.
Per quanto ne sapeva John, era sceso, aveva preso una tazza
di tè e Sherlock aveva annunciato che il caso era stato risolto.
E sarebbe dovuto essere così, se solo quel mercoledì
dimenticato non fosse mai successo.
Questo, quindi, è stato il vero inizio. Una giornata che era accaduta
solo in teoria, ma le cui conseguenze avevano gettato la vita di John fuori dal
corso stabilito e in acque inesplorate.
Il giorno in cui aveva sposato Sherlock Holmes.
NdT
E non ditemi che Sherlock non sappia come fare danni.
Chi sia curioso di sapere che cosa succeda, può tornare qui mercoledì prossimo.
Ciao ciao