Per
raggiungere il piano in cui si trovava l’appartamento di
Lenny dovettero
rinunciare alle scale. Uno strettissimo ascensore, in grado di
amplificare in
maniera rilevante il caldo di una serata che andava progressivamente
trasformandosi in una notte incandescente, condusse loro sul
pianerottolo
fiocamente illuminato da una lampada capricciosa.
“Eccoci
arrivati.”
“Infilare
la
chiave nella serratura sarà un’impresa! Oh, no,
non era un allusione erotica,
anche se potrebbe sembrare. In effetti lo è, ma non era mia
intenzione alludere
a nulla di sconcio, credimi.” Midge divenne paonazza e
gesticolò piuttosto
animatamente, cercando di discolparsi.
Lenny non
riuscì a sopprimere un ghigno divertito, “Ho
ascoltato e detto cose ben
peggiori di questa! Tranquilla.”
“Anch’io,
in
realtà. Grazie per aver cercato di salvarmi
dall’imbarazzo.” Si avvicinò al
portone suggeritole, appoggiandosi al muro in attesa che Lenny aprisse,
con la
mente presente ma anche un po' lontana, “Hai anche tu una
strana sensazione di déjà-vu?”
Chiese, con un sorriso sulle labbra.
“Già.
Ma
questa volta è diverso.”
“Già…”
Con la
chiave ancora nella serratura, Lenny le si avvicinò. La
guardò intensamente,
con gli occhi più espressivi che Midge gli avesse mai visto.
Gli era
perfettamente chiaro ciò che provava per lei: sentimenti
fuori dal comune che
partivano da dentro e che avevano assunto una forma ancora
più definita nel
corso degli anni. D’altronde, era lo stesso per Midge.
Non si
trattava di mera gratitudine, di complicità o di stima,
bensì di tutto questo e
tanto altro ancora. Lenny provava affetto e tenerezza per lei,
desiderava il
meglio per la sua carriera e persino la sua muta presenza bastava a
disgelarlo
quando si ritrovava in luoghi troppo freddi e oscuri, come un angelo
salvifico
pronto a risollevarlo o a proteggerlo dalla pioggia.
“Non
sarà
suggestivo come allora, ma sono abbastanza convinto che non siano i
posti a
creare l’atmosfera.”
Midge
alzò
le spalle e annuì distrattamente, fingendo di dare poca
importanza a quella
frase ma senza sperare di risultare credibile. Appena aperta la porta e
oltrepassato l’uscio, il suo cuore prese a battere
più veloce del solito e
temette che Lenny potesse accorgersene. Perciò, si
allontanò da lui e percorse
in tutta fretta il corridoio che portava alla zona living,
ignorando
completamente la confusione generata in Lenny.
Quell’appartamento
aveva impressa la firma del suo proprietario, così come il
gradevolissimo
profumo che Midge associava a lui e a lui soltanto.
Si accorse
di sapersi orientare ammirevolmente al buio anche in una casa che non
conosceva, ma doveva ammettere che l’impeto della fuga aveva
giocato un ruolo
non secondario nel coordinare i suoi passi. Così, si
ritrovò nella camera di
Lenny, seduta sul suo letto disfatto, con la pochette ancora tra le
mani e i
pensieri più confusi che mai.
Lenny si
presentò con una smorfia di stupore misto a dolcezza e
attese all’ingresso,
ricordandosi di accendere le luci solo dopo che i suoi occhi si erano
già
abituati al buio e riuscivano a contemplare Midge anche senza
l’aiuto
dell’energia elettrica.
“Non
voglio
che tu senta il bisogno di fuggire da me, Midge.”
“Starti
accanto mi provoca delle sensazioni che non riesco a
controllare.”
Lenny si
morse il labbro superiore, “E cosa potrebbe accadere di
così terribile se le
lasciassi scorrere?”
“Beh,
potrei
sbagliare. Rovinare la nostra meravigliosa amicizia e finire col
deluderti o,
peggio, perderti. Nella vita ho programmato tutto, ho fatto
sì che tutto fosse
perfettamente in regola, fino a quando il mio matrimonio non
è fallito. Allora
ho capito di dover fare i conti anche con gli imprevisti, persino con
quelli
davvero spiacevoli, e non voglio che la nostra relazione finisca tra
quelli.”
Midge si
voltò per guardarlo, ma appena finito il suo discorso si
accorse che Lenny era
scomparso all’improvviso.
“Ma...
dove
diavolo sei finito?” Midge si alzò e
spiò oltre la soglia della camera da
letto. Il suono, lievemente attutito dalla distanza, della voce di
Lenny la
raggiunse dopo un attimo.
“Vado
a
onorare la mia promessa.”
E, infatti,
tornò con due bottiglie di birra congelate. Una volta
offertane una alla sua
ospite, si fece consegnare la borsetta e la posò
delicatamente su uno dei
comodini. Poi, con la massima naturalezza invitò Midge a
sedersi accanto a lui
sul soffice materasso, cosparso di matite e fogli da colorare.
Assaporarono la
birra in assoluto silenzio.
“Sai,
è
buffo sentirti parlare così. Credevo ti fossi liberata di
quegli inutili
fardelli e avessi accettato le distorsioni, i paradossi della vita come
elementi costitutivi della bellezza della vita stessa. Senza gli errori
che
cosa saremmo? La vita non è perfetta, Midge.”
“Da
quando
saresti così saggio?” Indicò i pastelli
e il quaderno con le pagine strappate,
ribadendo il sarcasmo implicito nella domanda.
Lenny
sorrise, “In fondo lo sono sempre stato, no? Altrimenti
perché la gente
pagherebbe per ascoltarmi parlare?”
Finse di
rifletterci un po' su, “Giusto.”
In
realtà,
non tardò molto affinché Midge si ritrovasse
soprappensiero, incantata a
guardare un punto indefinito dell’angolo della bocca di
Lenny, riflettendo su
quanto si sentisse stupida e superficiale. A Lenny non sarebbe mai
venuto in
mente di nascondersi dietro la figura di un suo amico per salvarsi la
pelle,
sbattendo in faccia a un centinaio di persone la delicata
verità di una vita
costruita su impalcature di menzogne, necessarie a tenere in piedi il
gioco da
cui dipendevano anche le vite di tanti altri.
Lenny si
rese conto della sua preoccupazione e le prese la mano, stringendola
forte
nella sua. Era un gesto estremamente tenero e insieme eccitante, che
comunicava
un forte senso di protezione.
“Non
avresti
dovuto farmi un resoconto delle ultime novità?
Perché Shy ti ha dato forfait
all’ultimo minuto?”
Midge fece
un respiro profondo e gli raccontò la verità, in
tutta la sua spietata
franchezza.
“Lo
so, ora
avrai una pessima opinione su di me e non posso rimproverartelo.
D’altronde,
sono colpevole in tutto e per tutto.” Si batté,
afflitta, una mano sul petto.
“E
invece ti
sbagli. La corte ti ha assolta, figliola. Va pure in pace...”
Lenny imitò il
tono paternalistico di un sacerdote, per poi aggiungere
sarcasticamente, “Per
quello che vale!”
Midge
reagì
increspando le labbra in segno di malinconico compiacimento,
“Ho afferrato il
messaggio, ma non pensi che abbia esagerato?”
Lenny scosse
la testa, “Con tutto il rispetto che nutro per te, credo che
questa sia solo la
prima delle tante lezioni che imparerai facendo il nostro mestiere. La
voce
della nostra coscienza è amplificata
dall’allungamento automatico del nostro
braccio sul palcoscenico, in modo che gli altri la possano
sentire.”
“Non
parlerei mai di te sul palco. Mai.” Asserì con una
gravità del tutto estranea
alla solita Midge, come se Lenny l’avesse offesa.
“E
perché
mai? Dai, Midge! Ti ho sentita dissacrare persino tuo marito quella
sera al
Gaslight, senza farti tanti problemi e, credimi, va bene
così.” Giocherellò con
la bottiglia di birra, evitando accuratamente il suo sguardo. Di cosa
aveva
paura? Forse temeva di leggere tra le righe un significato
più profondo e di
interpretare secondo le sue aspettative il senso delle parole di Midge.
“È
diverso.
In questo caso non c’è niente di divertente su cui
scherzare. Sai, dentro di me
c’è un posticino con su scritto
“Lenny” e l’accesso a
quell’angolo della mia
anima è vietato agli estranei.”
“Strano
che
due comici non sappiano fare ridere l’uno
dell’altra! Potrebbe non esserci
materiale a sufficienza, però, il che giustificherebbe il
paradosso.”
“Hai
detto
che i paradossi fanno parte della vita. Forse è arrivato il
tempo di smetterla
di ignorarli.”
Midge si
tolse le scarpe e si adagiò delicatamente su di un lato del
letto. Chiuse gli
occhi, aspettando che fosse Lenny a sbloccare la situazione, infine
tese la
mano e lasciò che questa cadesse sull’altro lato
del letto. Diede qualche
colpetto invitante al materasso, aprendo un occhio per monitorare la
reazione
di Lenny. Dopo aver parlato con lui, si sentiva leggera come lo
zucchero filato
sul bastoncino di legno in una domenica di primavera, e ora la
consapevolezza
del giusto peso da attribuire all’errore commesso con Shy
sembrava una tirata
d’ossigeno dopo un’apnea durata mesi.
Ogni persona
facente parte della vita di Midge pretendeva il rispetto della sua privacy,
quindi nessun coinvolgimento nel suo lavoro, imponendole
così un forte limite
alla creatività. Lenny, invece, le garantiva una
libertà senza riserve, tanto
che il rischio di andare fuori dalle righe o di intraprendere una
strada
mentale secondaria diventava più allettante che percorrere
la terra già
battuta, nel chiuso di un locale quanto nella vastità del
mondo.
Adesso Lenny
si era rivolto verso di lei. Gli sfuggì un piccolo sorriso
in grado di
illuminargli l’intero volto, “Pensavo che quando ti
fossi decisa a provarci
sarebbe stato troppo tardi.”
“L’ho
capito
solo ora, anche se lo presumevo già da un po'.”
Lenny la
raggiunse, sdraiandosi al suo fianco. Con la testa appoggiata sul palmo
di una
mano, non riusciva a smettere di guardarla, meravigliandosi
continuamente della
fortuna che aveva avuto ad essere arrestato la stessa notte di Midge.
Erano
passati tre anni da allora.
“Vorrei
che
me lo dicessi.” Midge si sistemò su un fianco,
senza interrompere, nemmeno per
un secondo, il contatto visivo con lui.
Lenny
inarcò
le sopracciglia, con un’espressione incerta sul volto.
“Che
ti sei
innamorato.” Rispose Midge al posto suo. Non aveva
più alcun senso continuare
ad essere ambigui.
“Suona
meglio detto da te.” Replicò in maniera
estremamente seducente, quasi un
sussurro impercettibile all’udito.
Midge si
avvicinò e gli baciò l’angolo della
bocca. Lenny le tolse un orecchino e le
accarezzò il lobo scoperto. Non erano mai stati
così vicini.
“Ti va
di
scommettere?” La esortò con uno sguardo eloquente
ma tacendo sull’argomento
della sfida. Lo spirito competitivo di Midge non tardò a
palesarsi e, dopo
nemmeno un minuto, si tradusse in un impulsivo sì.
“Scommetto
di riuscire a resisterti almeno fino a domani mattina. Buona notte,
signor
Bruce!”
Tutto ad un
tratto si sollevò dal letto e afferrò la
borsetta, facendo in modo di non
perdere l’equilibrio mentre si rinfilava le scarpe, una dopo
l’altra nel
corridoio. Sentiva Lenny camminare con tutta calma dietro di lei.
“Grazie
della fiducia! Avresti potuto rimanere a letto anziché
prenderti il disturbo di
accompagnarmi sino alla porta…” Disse con una
punta di risentimento nella voce.
“Speravo
che
nel tragitto cambiassi idea. E comunque dovresti ricordare che il
signor Bruce
è mia madre.” La raggiunse sulla soglia della
porta, con sguardo divertito ma
anche un po' deluso.
“Spiritoso!”
Posò la mano sulla maniglia, pronta ad aprire il portone.
Lenny la guardò
allontanarsi verso il pianerottolo per raggiungere
l’ascensore. Midge era un
caldo uragano a cui non si poteva impedire di stravolgere, con la sua
dirompenza, quanto si trovava di fronte, ma era anche una persona
ferita nel
suo affetto più profondo, disillusa sull’amore e
bisognosa di ricredersi.
Entrambi
appartenevano alla medesima categoria, solo che tra i due era Midge
quella
apparentemente più cauta. Lenny, dal canto suo, avrebbe
sempre rispettato
qualsiasi scelta lei avesse fatto. In quel momento, Midge stava
scappando di
nuovo, intimorita dalla tangibilità dei suoi sentimenti e
dalla possibilità che
tutto ciò fosse troppo reale da gestire per una come lei.
Quanto avrebbe dato
per poterla vedere serena e sorridente, come era apparsa a Miami,
quando si era
presentata l’occasione in cui entrambi risultavano
sincronizzati sull’orologio
giusto.
“Ci
sarai
domani? Oppure si tratta solo di un altro scherzo?” La voce
di Lenny si era
ridotta a un mormorio, mentre le sue mani erano occupate a trattenere
l’orecchino di Midge, come se nel dolore provasse giovamento
a lambire una
parte di lei. Midge notò che non la guardava più
negli occhi e che aveva
assunto l’atteggiamento di un cucciolo indifeso, sebbene si
sforzasse di non
darlo a vedere.
“A
patto che
tu ci sia per sempre.” Ora Midge si trovava
nell’ascensore e lo guardava con
estrema serietà dalle sbarre del cancelletto esterno. A
quella affermazione
Lenny alzò la testa e le si avvicinò con gli
occhi lucidi.
“Ogni
volta
che vorrai.”
Midge
annuì:
quello era il massimo che poteva promettere Lenny, ma per lei
significava
tutto. Allungò un dito oltre le sbarre, facendogli segno di
andarle ancora più
vicino. Poi, appoggiò una mano sul suo petto e lo
baciò calorosamente sulle
labbra.
Dall’esterno
provenivano suoni di musica jazz, trasportati dalle onde sonore da
chissà quale
locale, e ciò funse da suggestivo sottofondo alla scena.
Lenny ne approfittò
per staccarsi dolcemente dalla sua bocca, così
poté notare il rossore sulle
gote di Midge.
“Sei
in
imbarazzo per caso?”
“Non
esserne
sorpreso. Non capita tutti i giorni di baciare Lenny Bruce! Sai, sei un
uomo
molto corteggiato.”
Lenny
scrollò le spalle e assunse un’aria modesta,
“Mi stupisce che sia proprio tu a
dirlo. Comunque, non vorrei infierire ma hai appena perso la tua
scommessa.”
Midge diede
il comando di apertura e uscì dall’ascensore
appropinquandosi graziosamente
verso l’ingresso dell’appartamento. Prima di
entrare si voltò oltre la spalla
per dare un’occhiata ammiccante a Lenny, “Dovrai
farti perdonare…”
Lenny la
seguì ponendole un braccio attorno alle spalle, ben lieto di
passare il resto
della notte facendo ammenda insieme a lei.