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Autore: Lamy_    08/06/2021    2 recensioni
Ariadne ha smesso di scappare dal suo passato. Ha deciso di sfidare l’autorità della madre e di opporsi a Mick King. Per farlo scende a compromessi con Alfie Solomons: Ariadne accetta di diventare il capo della gang di Camden Town.
A Birmingham Tommy continua a mandare avanti gli affari dei Peaky Blinders e a lavorare per il Parlamento.
Le strade di Ariadne e Tommy si incontrano di nuovo intorno ad un tavolo di affari. Stringono una alleanza che viene suggellata da baci di passione pura.
Ariadne pagherà cara la sua discesa agli inferi e scoprirà che le fiamme bruciano più intensamente quando sei un peccatore.
“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. INFERNO

“Così addio speranza, e con la speranza, paura addio.
 Addio rimorso: ogni bene a me è perduto.
 Male, sii tu il mio bene.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
Ariadne fu condotta all’interno di una grande villa con vista sul mare. Jonah la precedeva a passo svelto e lei lo seguiva in silenzio. Si trovavano a Margate, una città marinara nella contea di Kent, dopo che il tragitto era durato diverse ore. Jonah le aveva detto che Alfie Solomons era rimasto colpito da lei e che voleva incontrarla per parlare di affari. Ariadne non aveva la minima idea del perché un ex capo gang di Londra volesse incontrare proprio lei.
“Da questa parte.” Disse Jonah.
Imboccarono un corridoio costeggiato da numerose porte, ciascuna era contrassegnata da un numero e da un nome. Era un resort di lusso, ecco perché il secondo e il terzo piano ospitavano tutte quelle stanze.
“Il signor Solomons soggiorna qui?” chiese a bassa voce.
“Ve ne parlerà direttamente lui. Non vi preoccupate, signorina Evans.”
Proseguirono fino alla terrazza in cima al resort. Era uno spazio ampio, arredato da tavolini muniti di ombrello contro il sole e di sedie in vimini. C’era un uomo che sorseggiava tè con il mignolo alzato. Sul suo volto spiccava una tremenda cicatrice.
“La ragazza è qui.” Annunciò Jonah.
Ariadne si morse il labbro in preda all’agitazione. Si mise le mani nelle tasche del trench e strinse forte la stoffa.
“Buongiorno.”
L’uomo sollevò gli occhi su di lei e sorrise, la cicatrice si arricciò ancora di più. Indicò la sedia vuota dinnanzi a sé con un cenno della testa.
“Jonah, lasciaci soli.”
Jonah chinò la testa e lasciò la terrazza sotto lo sguardo incerto di Ariadne. Fu costretta a prendere posto per non offendere Alfie.
“Volete del tè? Qui lo fanno davvero buono. Oppure mi sembra buono per via dei medicinali.”
“Che cosa vi è successo?” domandò Ariadne.
Alfie ridacchiò e la cicatrice fece una strana piega, sembrava nera sotto la luce del sole.
“Siete una ragazza diretta. E’ successo che lo zingaro mi ha sparato in faccia.”
“Tipico di Tommy. Lui fa arrabbiare anche le anime più miti.”
Ariadne si toccò d’istinto il collo nel punto in cui Tommy l’aveva baciata poche ore prima. Il solo ricordo la faceva ancora rabbrividire.
“Conoscete molto bene lo zingaro.” Disse Alfie, divertito.
“Ho avuto la mia buona dose di Peaky Blinders nei messi precedenti. Perché sono qui?”
“Perché siete una ragazza interessante. Siete sicura di non volere il tè? E’ buono.”
Ariadne sospirò, era esausta e quella bizzarra gita fuori porta non era d’aiuto.
“No, grazie. Ditemi la ragione della mia presenza qui.”
“Io vi verso un po’ di tè.”
Alfie preparò la bevanda calda con una lentezza disarmante, sciogliendo con accuratezza due zollette di zucchero. Servì la tazzina accompagnata da un biscotto secco. Ariadne bevve nella speranza di ammansire l’uomo, anche se doveva ammettere che quella nota di menta era gradevole.
“E’ buono, avevate ragione.”
“Io ho sempre ragione. Vi piace Margate? A me molto. Questo odore di mare è piacevole.”
Ariadne aggrottò la fronte. Davvero era stata portata fin lì per chiacchiere di tè e mare?
“Sono contenta che vi piaccia. Voi sapete chi sono?”
Alfie le scoccò un’occhiata di rimprovero per avere rovinato la conversazione su Margate.
“Certo che lo so. Voi siete Rachele.”
“Il mio nome è Ariadne Evans.”
Ariadne era confusa, era una situazione talmente surreale che stentava a credere fosse vera.
“Non siete molto ferrata in religione ebraica. Rachele era la seconda moglie di Giacobbe.”
“Che cosa c’entra adesso questa storia?”
Alfie bevve un altro sorso di tè mentre scrutava la ragazza davanti a sé con fare misterioso.
“Voi non guardate il quadro completo, eppure siete un’artista.”
Ariadne trasalì sulla sedia. Era assurdo che Alfie Solomons conoscesse la sua vita a Londra e la sua falsa identità.
“Non so di cosa stiate parlando.”
“Il nome Judith significa ‘lodevole’, e credo sia perfetto per voi. Però io preferisco Ariadne.”
Ariadne si alzò, indispettita da quelle chiacchiere senza senso di un uomo sotto effetto di droghe.
“Ora me ne vado. Questi giochetti non mi piacciono.”
Alfie la vide andare verso la portafinestra della terrazza, il vestito azzurro oscillava seguendo le folate di vento.
“Voi avete bisogno di me per sconfiggere vostra madre.”
Ariadne si bloccò un secondo prima di varcare la porta. La sola menzione di sua madre bastò per farla voltare verso di lui.
“Vi ascolto.”
Alfie si alzò e zoppicò fino a lei con l’aiuto del bastone, sembrava più vecchio di quanto non fosse. Quando si fu avvicinato, prese la mano sinistra della ragazza e vi baciò il dorso.
“Ariadne Evans, volete sposare i miei affari?”
 
Tommy decise di non rientrare a casa. Non voleva incrociare Lizzie e litigare perché lui aveva passato la notte fuori. Preferì andare al Garrison e fare colazione con l’alcol.
“Buongiorno.” Lo salutò Margaret.
Tommy ricambiò con un gesto della mano, non era in vena di socializzare. Era ancora troppo irritato per essere stato piantato da Ariadne.
“Portami una bottiglia di whiskey e un bicchiere nel privé.”
Si chiuse la porta alle spalle e sprofondò sul divano della saletta. Aveva sonno e fame, ma più di tutto era arrabbiato. Ariadne in quel momento stava tornando a casa da Michael dopo aver trascorso la notte con lui. Si era rivestita in fretta e lo aveva trattato con freddezza, come se fosse un passatempo di poco conto.
“Non potete entrare!” stava gridando Margaret.
Pochi secondi dopo un forte odore di fiori di iris invase il privé. C’era una donna sulla soglia della porta, grandi occhi verdi e lunghi capelli castani perfettamente intrecciati sulla nuca. Indossava un abito bianco che faceva risaltare la sua pelle color caramello.
“Non avete una bella cera, signor Shelby. Volete il vostro elisir?”
Tommy si accorse che la donna reggeva fra le mani una bottiglia e due bicchieri. Si mise seduto composto e si sbottonò la giacca.
“E voi sareste?”
“Io sono Charlotte Foster e vostra futura assistente.”
Tommy rise e scosse la testa, ma Charlotte rimase seria e questo lo fece smettere. Si accese una sigaretta e se la passò sulle labbra prima di fare il primo tiro.
“E’ uno scherzo? Arthur e Finn ti hanno pagata?”
Charlotte stappò il whiskey e bevve direttamente dalla bottiglia, poi si sedette a braccia incrociate.
“Non è uno scherzo dei vostri fratelli. Sono soltanto una donna molto determinata.”
“E anche ingenua. Non ho bisogno di una assistente.”
Tommy si riempì il bicchiere fino all’orlo e scrollò la cenere della sigaretta sul tavolo, incurante del legno che si rovinava.
“Voi avete bisogno di qualcuno che si occupi della vostra campagna elettorale. Fra due settimane si terranno le elezioni e voi non siete favorito. Avete bisogno di me.”
“Ho già qualcuno che si occupa della mia campagna elettorale.” Replicò Tommy.
“Intendete Ariadne Evans? Oh, non credo proprio che lei sarà disponibile.”
Charlotte ghignò per il modo in cui gli occhi di Tommy si spalancarono al nome di Ariadne. Era chiaro come il sole che lui era interessato alla ragazza.
“Cosa ne sai tu di Ariadne?”
“So che qualche ora fa ha lasciato la città insieme ad un uomo. Dalla barba lunga e l’abbigliamento austero deduco che si trattasse di un uomo ebreo. Ariadne è andata via prima che vostro cugino Michael tornasse a casa.”
Tommy irrigidì la mascella. Ariadne era diventata una rogna che gli creava solo disagi. Prima faceva l’amore con lui e poi spariva in compagnia di un altro uomo.
“Come fai a saperlo?”
“Mi piace conoscere la mia rivale. Fidatevi di me, signor Shelby. Ariadne non fa per voi, lei non si preoccupa della vostra campagna elettorale. Lasciate che me ne occupi io.”
“E cosa vorresti in cambio?”
Charlotte sorrise trionfante, entrare nelle grazie di Tommy Shelby era stato più facile di quanto si era aspettata.
“Mi basta lavorare per voi, signor Shelby. Sono una gran lavoratrice, un’ottima spia e me la cavo bene con la pistola.”
Tommy si sfregò le mani e gli venne in mente che solo poche ore prima Ariadne aveva fatto incastrare le loro dita. Il solo ricordo lo fece tremare di collera e gelosia.
“Cinque sterline all’ora sono sufficienti?”
Charlotte annuì con un sorriso felino a incurvarle le labbra coperte ad uno sfavillante rossetto rosso.
“Affare fatto, signor Shelby.”
 
Due settimane dopo
“Sei impazzita? Dimmi che hai preso una botta in testa, ti supplico.” Disse Julian.
Ariadne lo aveva telefonato due giorni prima per invitarlo a Margate e parlare dei recenti avvenimenti. Aveva bisogno del sostegno di suo fratello. Aveva bisogno di sapere che non era sola in quella follia.
“Jules, è l’unica soluzione che ho per liberarmi di nostra madre.”
“Diventare il capo di una gang non è una soluzione!” obiettò Julian.
“E cosa dovrei fare? Sposare Michael ed essere la mogliettina perfetta?”
Ariadne aveva incrociato le braccia al petto, lo faceva ogni volta che voleva imporre la propria opinione.
“Sposare Michael non è poi una cattiva idea.”
“Dici così solo perché sei un uomo. Se tu fossi una donna obbligata a sposare un tizio a caso, ti lamenteresti anche tu.”
Julian sospirò, consapevole che sua sorella aveva ragione. Essere nato maschio rappresentava un vantaggio in ogni aspetto della vita.
“Aria, la proposta di Alfie non è la soluzione. Andiamo via, nascondiamoci per un po’ e aspettiamo il momento giusto.”
Ariadne si alzò dal divano con uno slancio, la schiena dritta e il mento alto di chi sventola la bandiera della fierezza.
“Non voglio nascondermi. Non voglio più fuggire dalla nostra famiglia. Voglio difendermi.”
“Rischi di morire. Lo sai che nostra madre non perdona.” Disse Julian.
“Sono stufa di avere paura. Ho vissuto per anni a Londra nella speranza di sfuggire al controllo di nostra madre, eppure eccomi di nuovo qui invischiata nel mondo criminale. Io devo combattere ad armi pari.”
Julian guardò il mare attraverso la finestra, quella distesa azzurra non riusciva a tranquillizzarlo. Sapere che sua madre e sua sorella erano sul piede di guerra era un duro colpo da accettare.
“Sei sicura?”
Ariadne non era sicura per niente, sapeva che quella era una strada pericolosa da intraprendere. Fece un respiro profondo e sorrise, in fondo era brava a mentire.
“Sono sicura.”
 
Tommy era esausto. Sentiva gli occhi bruciare, e di certo il lume peggiorava la situazione. Erano le undici e mezzo di sera, fuori era buio ma il venticello primaverile era piacevole. Stava ancora lavorando. Quella mattina era giunta la notizia che una parte del Parlamento era crollata, dunque le elezioni erano state rinviate fino alla ricostruzione dell’edificio. Aveva tempo per meditare sul programma politico, però doveva anche cercare maggiori consensi.
“Sei ancora qui.” Bisbigliò Lizzie.
Entrò nello studio e si sedette, davanti ai suoi occhi c’era quello strano dipinto che il marito aveva acquistato mesi prima; si trattava di due ombre accucciate, sembrava che una incombesse sull’altra.
“Sto lavorando. Che c’è?”
“Ultimamente la sera torni sempre a casa. Mi fa piacere.” Disse Lizzie.
Tommy lasciò andare la penna e sollevò gli occhi su di lei con le sopracciglia corrugate.
“Perché io abito qui.”
“Ma prima passavi la notte fuori … con chissà chi.”
“Chissà chi non c’è più, quindi non hai motivo di preoccuparti.” Replicò Tommy, risoluto.
Lizzie guardò il dipinto e si sentì un po’ come la figura accucciata che veniva minacciata. Era questa la sensazione causata dal matrimonio con Tommy: ogni donna che entrava nella sua vita era una potenziale minaccia.
“Che cosa è successo fra te e Ariadne Evans?”
“Lizzie, non rompermi le palle con questa storia.”
Tommy era tornato a scrivere, ma la sua mente cercava in tutti i modi di non pensare ad Ariadne. Più allontanava il pensiero di lei e più questo tornava con prepotenza.
“Voglio saperlo. Sono tua moglie, merito sincerità.” Disse Lizzie.
Lui strinse la penna con entrambe le mani, dalla punta l’inchiostro gocciolava sulla pagina ormai rovinata. Nero, il colore perfetto a descrivere il suo umore.
“Tra me e Ariadne Evans non c’è stato niente. Lei non conta nulla per me.”
“Davvero? Andiamo, Tommy, ho notato come la guardavi!” protestò Lizzie.
Tommy non voleva ricordare perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere a se stesso che era stato tutto vero. Ogni singola emozione che aveva provato con Ariadne era stata vera.
“Non rompermi il cazzo con questa inutile gelosia. Ariadne è solo una ragazzina che gioca a fare la criminale.”
Lizzie non credeva ad una sola parola. Non era ingenua, in passato aveva imparato a non fidarsi di nessuno, soprattutto degli uomini.
“E perché due settimane fa Michael è venuto qui a chiedermi dove fosse Ariadne?”
Tommy serrò la mascella, ogni muscolo del corpo si era irrigidito. La sua mente gli inviò flash di quella notte, quasi poteva ancora sentire i gemiti di Ariadne nelle orecchie.
“E io che cazzo ne so di cosa fa Ariadne di notte? Non è un mio problema se Michael si è fatto scappare la fidanzata.”
Lizzie si alzò e strinse lo schienale imbottito della sedia, anche se avrebbe preferito strizzare il collo di Tommy fra le mani.
“Sei un maledetto bugiardo. Ti conosco da una vita, Tommy Shelby.”
“Se mi conosci allora sai che cosa è successo.” Ribatté Tommy con voce glaciale.
“E’ stata solo una scopata o sei innamorato di lei?” domandò Lizzie.
“Io non sono innamorato di nessuno.”
“Questo lo so benissimo.” Disse Lizzie con rammarico.
 
 
Un mese dopo
Alfie sorrise non appena Ariadne lo raggiunse in terrazza per il tè pomeridiano. Da quando lei si era trasferita al resort era molto il tempo che passavano insieme.
“Buon pomeriggio, mia splendida colombella.”
Ariadne si lasciò cadere sulla sedia con un sorriso divertito, incominciava ad apprezzare la compagnia di quell’uomo sopra le righe.
“Hai già ordinato il tè?”
“Certamente. Lo sai che qui il tè lo fanno davvero squisito.”
“Lo so, me lo ripeti ogni giorno.”
Ariadne si mise a fissare il mare, era intrigante il modo in cui le onde si allungavano sulla sabbia e poi si ritraevano. Avrebbe voluto immortalare quella scena in un disegno, ma ormai erano settimane che non riusciva a disegnare.
“Tu sei il mare impetuoso o la sabbia ferma?” chiese Alfie.
“Non saprei, non ci ho mai pensato. Tu che ne pensi?”
Alfie si accarezzò la barba, la cicatrice che gli pizzicava la guancia al tatto.
“Io penso che tu sia sabbia che nasconde il mare. Spero che tu non sia un inganno.”
Ariadne gli rivolse un’occhiata torva. Erano irritanti le metafore attraverso cui quell’uomo si esprimeva.
“Un inganno in che senso?”
“Ariadne, io mi aspetto molto da te. Mi auguro che tu sia il mare impetuoso. Sarebbe un vero peccato se alla fine tu ti rivelassi un deserto.”
La ragazza annuì piano, non era sicura se quello fosse un auspicio o fosse una sorta di minaccia velata.
“Quali progetti hai in mente per me? Scommetto che avete già pensato a tutto.”
Alfie sorseggiò il tè con un inquietante sorriso che faceva raggrinzire la cicatrice sul volto. L’occhio buono rivolse un lampo divertito alla sua ospite.
“Ho grandi progetti, mia colomba. Tutti credono che io sia morto, dunque ho bisogno che tu mandi avanti gli affari di Camden Town.”
“Io devo tornare a Birmingham per affrontare mia madre. Questo era il patto iniziale.”
Ariadne aveva accetto di soggiornare al resort con l’unico obiettivo di attuare una strategia per eliminare la madre. Birmingham era il perno attorno a cui ruotavano i suoi pensieri.
“Per tornare a Birmingham col potere devi prima ottenerlo. La gang di Camden Town è formata da soli uomini, devi guadagnarti il loro rispetto.”
“Voi uomini e il vostro stupido ego! Cosa dovrei fare per guadagnare il rispetto di un branco di muli?”
Alfie rise e il tè gli andò di traverso, tant’è che fu costretto a lasciare la tazzina e a darsi dei colpetti sul petto.
“Noi di Camden Town abbiamo un rito di iniziazione: uccidiamo una capra e poi la mangiamo.”
Ariadne emise un verso di disgusto. Lei aveva già ucciso una volta, ma era stata legittima difesa e perlopiù suo padre se lo meritava. Ma una povera capretta non meritava certo di inciampare sul suo coltello affilato.
“Non ucciderò un animale! No, assolutamente no!”
“Eppure so che te la cavi bene con l’attizzatoio.” Disse Alfie.
Il mondo parve fermarsi per un momento. Ariadne solo allora capì che lui sapeva tutto. Conosceva il suo oscuro segreto e lo stava usando contro di lei.
“Come fai a saperlo?”
“Io so molte cose di te, mia colomba. Ho indagato a fondo prima di convocarti.”
Ariadne si lisciò le pieghe dei pantaloni in preda al nervosismo. Se un uomo ferito e isolato a Margate aveva saputo dell’omicidio, significava che il suo segreto poteva essere scoperto da molti altri con facilità. A condividere quel fardello erano solo lei e sua madre, e di recente anche Tommy.
“Chi te lo ha detto?”
“I segreti non restano mai a lungo tali, soprattutto in una città merdosa come Birmingham.”
Alfie si versò altro tè e si mise a bere con tranquillità, sembrava che discutesse del bel tempo anziché di un assassinio.
“Tommy…”
“Oh, Tommy lo sa? Avrei dovuto scommetterci, quello zingaro è dappertutto.”
“Ora sono confusa. Come fai a sapere quello che è successo?”
Ariadne sentiva la pelle formicolare. Era perplessa, ma più di tutto era furiosa con quell’uomo che si divertiva a giocare con lei.
“Tu vivevi nel quartiere di Camden Town quando io ero ancora il capo della mia comunità. Quando i miei uomini mi hanno detto che una nuova ragazza era giunta nel quartiere, mi sono subito messo a indagare. Sai, nessuno vorrebbe una spia nel proprio territorio. Da Birmingham era scomparsa una ragazzina anni prima e la descrizione corrispondeva alla tua, capelli rossi come il sangue. Ti facevi chiamare Judith, però io sapevo che il tuo vero nome è Ariadne.”
Alfie depositò la tazzina e si mise in bocca una zolletta di zucchero, il tutto con una nonchalance che infastidiva Ariadne.
“Perché io? Perché vuoi che sia una donna a prelevare i tuoi affari?”
“Perché una donna in una posizione di potere non piace a nessuno.”
“Vuoi vedermi minacciata da tutti?” domandò Ariadne.
“No, mia colomba. Io voglio vederti splendere con una stella. Io punto sempre sul cavallo vincente.”
“Cosa ti fa credere che io sia un cavallo vincente? Magari alla fine sono soltanto una delusione.”
Alfie si mise in piedi e appoggiò entrambe le mani sul pomo del bastone, era ancora in via di guarigione e le sue gambe non erano forti come un tempo.
“Io e te abbiamo un nemico in comune: Marianne Evans. Tua madre ha ordinato l’uccisione di mio nipote.”
Ariadne barcollò all’indietro, per fortuna c’era il tavolino a cui aggrapparsi per non cadere.
“Chi era tuo nipote? Perché mia madre lo voleva morto?”
“Mio nipote era Zekharia. Ti dice qualcosa questo nome?”
Era un nome troppo particolare e Ariadne lo ricordava bene. Zekharia era il figlio del giardiniere, era il primo ragazzo che Julian aveva baciato a tredici anni.
“So chi era tuo nipote. Lavorava come giardiniere per mio padre otto anni fa.”
Alfie annuì e le diede un buffetto sul naso.
“Ora capisci perché ho scelto te?”
“Tu vuoi vendicarti di mia madre e vuoi usare me per tale scopo.”
“Vendicarsi vuol dire mordere il cane perché lui ti ha morso, mia colomba.”
 
Un mese dopo
Tommy era impressionato dalla velocità con cui Charlotte batteva a macchina. La ragazza lavorava sodo, era sempre puntuale e gli faceva trovare ogni giorno una bottiglia di whiskey piena.
“Abbiamo finito, signor Shelby?”
Tommy rilesse con attenzione il foglio, ogni parola era vagliata con estrema cura. Aveva stilato il suo programma politico di filone laburista e lo avrebbe presentato entro due giorni ai membri del Parlamento. Era la sua occasione di emergere e tutto doveva essere curato nei minimi dettagli.
“Tu che ne pensi? C’è qualcosa che non va.”
“E’ un bel programma.” disse Charlotte poco convinta.
“Ma?”
“Ma io punterei di più sulla questione della sanità. A tutti piace un uomo ricco che vuole aiutare la povera gente.”
Tommy inarcò il sopracciglio a quella malcelata frecciatina contro il popolo.
“Tu sei nata ricca, vero? Si vede lontano un miglio.”
Charlotte sospirò, non voleva fare una brutta figura davanti al suo nuovo capo che la pagava fin troppo bene per essere una banale assistente.
“Signor Shelby, le mie origini non vi interessano. Mi dispiace avervi offeso.”
Tommy si sedette alla scrivania e tirò fuori una sigaretta, se la passò sulle labbra e l’accese. Uno sbuffo di fumo si librò nell’aria a forma di spirale.
“Vieni da Londra, lo capisco dall’accento. Hai buon gusto nel vestire, vai sempre dalla parrucchiera, porti un orologio costoso al polso. O provieni da una famiglia ricca oppure hai un fidanzato che ti mantiene.”
“Non ho bisogno di un fidanzato che mi mantenga. Sono capace di cavarmela da sola.”
“Quindi alle spalle hai una famiglia ricca.” Sentenziò Tommy.
Charlotte si alzò e si aggiustò la gonna, era un gesto meccanico che compiva quando era nervosa.
“Sarebbe un problema per voi? Volete licenziarmi perché la mia famiglia è ricca?”
“Diventa un problema soltanto se me lo nascondi.”
“Mio padre è un commerciante di stoffe molto conosciuto a Londra. L’orologio che indosso è il regalo che mi ha fatto quando ho raggiunto la maggiore età.”
Tommy si rigirò la sigaretta fra le mani con fare pensieroso. Era da sempre un tipo sospettoso, soprattutto quando una persona benestante decideva di lavorare per lui.
“Sei fottutamente ricca e vuoi fare l’assistente per una manciata di sterline al giorno? Non me la bevo.”
“Sono qui per avere una vita lontano dalla mia famiglia.” ammise Charlotte.
Il volto di Ariadne balenò nella mente di Tommy per un secondo. Anche lei era fuggita dalla sua famiglia, anche lei cercava una vita distante dai drammi della criminalità. Pensare a lei faceva male, era come aprire una vecchia cicatrice e scavare nella carne. Non la vedeva da un mese e mezzo, non aveva sue notizie da allora. Non sapevo dove fosse e con chi, se stesse bene o stesse male.
“Birmingham non è la città giusta per ricominciare.”
“A me sta bene così, signor Shelby.” Si affrettò a dire Charlotte.
Tommy lo sentiva che Charlotte gli nascondeva dell’altro. Una ragazza perbene non si trasferiva in una città penosa come quella senza un reale motivo. Solo il tempo gli avrebbe permesso di svelare il mistero, dunque si limitò ad annuire.
“Come vuoi. Adesso siediti e scrivi, voglio riformulare la questione sanitaria.”
Charlotte si sedette con un sorriso luminoso e incominciò a battere a macchina il dettato.
 
Un mese dopo
Ariadne si guardò allo specchio, i ricci rossi in ordine erano così insoliti per lei. Tutto era diverso ora, anche lei era diversa. In quei due mesi Alfie l’aveva istruita sugli affari, sulle offerte da fare e rifiutare, sugli alleati papabili e quelli da tenere lontani, sulle gang di Londra e dintorni. Ogni giorno aveva trascorso ore e ore a studiare, a imparare, a crescere. Non era più la ragazza ingenua che quasi un anno prima era tornata a casa. Adesso era più matura e disillusa, conosceva il suo nemico e si impegnava per abbatterlo.
“Siete pronta?”
Jonah comparve alle sue spalle come un fantasma. Era silenzioso e veloce, non sapevi mai da dove sbucasse.
“Quale sorpresa ha in serbo per me Alfie?”
Ariadne si sistemò i polsini della camicia e si infilò le scarpe, dopodiché controllò per l’ultima volta che l’acconciatura contenesse i ricci ribelli.
“Alfie Solomons ha deciso che oggi voi dimostrerete le vostre capacità.” Disse Jonah.
“In che senso?”
L’uomo aprì la porta e la lasciò passare per prima, quindi la superò per indicarle la strada.
“Nel senso che oggi avverrà il rito di iniziazione.”
Ariadne ricordava che l’ingresso nella gang di Camden Town richieda il sacrificio di un animale. Con orrore si accorse di non essere pronta.
“Devo uccidere una povera capra? Jonah, io…”
Jonah si voltò con un ghigno sulle labbra cerchiate di barba. Sembrava più vecchio di quanto non fosse.
“Signorina Evans, il sacrificio della capra è solo una metafora.”
“Una metafora?”
“E’ quello che ho detto. Siete lenta di comprendonio alle volte.” Notò Jonah.
Ariadne non stava capendo più nulla. Alfie le aveva ripetuto fino allo sfinimento quanto fosse importante guadagnarsi il rispetto della gang, quanto sarebbe stato difficile per una donna farsi accettare da un gruppo di maschi, e adesso saltava fuori la storia della metafora.
“Se si tratta di una metafora, allora cosa dovrei sacrificare?”
“Dovete sacrificare voi stessa, signorina.”
 
Tommy si guardava attorno con circospezione. La vista della terrazza planava direttamente sul mare e sul cielo, un ammasso di azzurro splendente. Pochi giorni prima aveva ricevuto una lettera firmata da Alfie Solomons in cui si richiedeva la sua presenza in un resort di lusso a Margate. Credeva fosse uno scherzo – uno davvero pessimo – ma qualcosa lo aveva spinto a recarsi nel Kent per verificare.
“Tommy Shelby.”
Alfie Solomons era lì. Zoppicava verso di lui con il volto sfigurato. Era vivo.
“A te non piace morire, eh.” Disse Tommy.
L’ultima volta che lo aveva visto gli aveva sparato in faccia e lo aveva lasciato stecchito sulla spiaggia. Evidentemente le cose non erano andate come previste.
“Ero disteso sulla sabbia e un’onda mi è venuta addosso, così mi sono risvegliato. Mi sono guardato in giro e ho pensato ‘cazzo, questo è il fottuto inferno!’. Sono stato portato in ospedale, ho passato settimane sotto effetto di droghe e poi mi sono rifugiato in questo resort. Che cazzo di avventura, vero?”
Tommy lo guardava con disinteresse, quella storiella non gli interessava affatto. Che Alfie fosse vivo o morto per lui non c’era differenza, l’importante era che rimanesse fuori dagli affari.
“Mmh, già.”
Alfie prese posto su una sedia della terrazza, assicurandosi che la cicatrice fosse coperta all’ombra. Il calore del sole sulla ferita aumentava il dolore.
“Come fai a sapere che sono vivo?”
Tommy sospirò. Si tirò su il cappello per osservare meglio l’uomo che un tempo era stato suo socio. Era il solito Alfie, la barba e i brutti gilet erano i suoi, ma il suo sguardo sembrava più spento.
“Mi hai scritto una lettera, Alfie.”
“L’ho fatto davvero?”
“Sì, volevi sapere come sta il tuo cane.” Rispose Tommy.
Un sorriso illuminò il volto deturpato di Alfie, menzionare il suo cane lo aveva fatto rinsavire.
“Oh, il mio Cyril! Come sta? Gli dai il cibo buono?”
Tommy si accese una sigaretta nel tentativo di non addormentarsi. La sera precedente aveva finito di lavorare con Arthur intorno a mezzanotte, poi erano rimasti a bere al Garrison fino alle cinque del mattino e alle sei aveva preso il treno per Margate.
“Il cane sta bene. Alfie, mi spieghi perché cazzo sono qui?”
“Per bere il tè. Qui lo fanno buono, lo pensa anche la mia colomba.” Disse Alfie.
Solo in quel momento Tommy vide che sul tavolino c’erano tre tazze fumanti. Ciò significava che a loro si sarebbe unita un’altra persona.
“Perché tre tazze?”
“Una è per la mia colomba. Te l’ho già detto che le piace il tè?”
 
Quando Ariadne arrivò in terrazza, il rumore delle onde la accolse come tutti i giorni. Era come se il mare la salutasse ogni mattina e ogni sera. Intravide Alfie in compagnia di un altro uomo con addosso un cappotto nero.
“Chi c’è con Alfie?”
“La vostra prova del nove.” Disse Jonah.
Ariadne si bloccò subito. Se non doveva uccidere una capra, allora doveva uccidere un essere umano? Il solo pensiero di togliere un’altra vita le fece venire la nausea.
“Io non ucciderò nessuno. Assolutamente no!”
Jonah le cinse le spalle con un braccio, era alto e magro ma la sua presa era di ferro.
“Signorina Evans, ascoltate il mio consiglio: mantenete la calma. Sarà la calma a farvi entrare nelle grazie del signor Solomons e di Camden Town.”
Ariadne aggrottò le sopracciglia, le parole di Jonah erano un tale enigma da decifrare. Mentre riprendevano a camminare in direzione del solito tavolino, il suo naso fu pizzicato da una particolare fragranza di colonia che lei conosceva. Un misto di profumo e tabacco tracciava un percorso immaginario fino allo sconosciuto.
“Tommy.”
Il suo cuore ebbe un guizzo quando Tommy le rivolse un’occhiata di ghiaccio. Sarebbe congelata, se avesse potuto.
“Che cazzo ci fai qui? Era Alfie l’uomo con cui te ne sei andata?”
Ariadne abbassò lo sguardo, tremava come una foglia per la vergogna. Era quella la prova del nove. Se l’avesse superata con coraggio, Alfie le avrebbe ceduto la sua posizione. Aveva finto per anni, si era spacciata per Judith con molta gente, pertanto un’ulteriore bugia non era nulla di che. Si mise dritta e puntò gli occhi in quelli di Tommy senza alcuna paura.
“Sono qui per affari.”
“Quali affari?” ringhiò Tommy.
Ariadne guardò oltre le sue spalle e Alfie annuì, dandole il permesso di continuare.
“Ora sono io il capo della gang di Camden Town.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Sono tornata, purtroppo per voi. Perdonate la lunga attesa ma l’università mi tiene un sacco impegnata.
Questo capitolo riprendere da dove ci siamo lasciati e spiega la nuova posizione di Ariadne.
Le cose si sono complicate e il rapporto fra Ariadne e Tommy è peggiorato.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Il dialogo fra Tommy e Alfie è ripreso dalla 5x06.

 
  
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