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Autore: RedSonja    09/06/2021    1 recensioni
Durante una missione, Tanjiro viene trasportato indietro nel tempo. Con l'aiuto di nuovi, improbabili, alleati dovrà trovare un modo per tornare nel suo tempo, lì dove i suoi compagni lo stanno cercando.Ma non tutti i mali vengono per nuocere: che possa essere l'occasione per scoprire qualcosa di inaspettato sulle origini dei demoni?
Questa fanfiction è un crossover con l'universo di Inuyasha, perciò la storia si svilupperà su due linee narrative: da una parte le avventure di Tanjiro nell'epoca Sengoku, accompagnato dal gruppo di Inuyasha, e dall'altra la storia di Zenitsu, Inosuke e Nezuko, nell'universo di KnY
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inosuke Hashibira, Nezuko Kamado, Tanjirou Kamado, Zenitsu Agatsuma
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1: Prologo

 

Seduto all’ombra del vecchio albero, Tanjiro rifletteva su come fosse finito in quella situazione.

Cinque giorni prima, insieme a un trepidante Inosuke e ad un altrettanto restio Zenitsu, si era diretto a Chiba, dove un demone aveva lasciato una scia di corpi mutilati, dalla baia fino al castello dello Shogun.

Se gli avessero chiesto di raccontare la storia fin dall’inizio, Tanjiro avrebbe iniziato dalla sera precedente; con gli altri aveva determinato che le vittime del demone erano sempre donne e che, apparentemente, non avevano alcuna caratteristica comune: figlie di pescatori o di nobili, giovani del quartiere dei piaceri o novelle spose, madri o vergini, non c’era un legame apparente nell’estrazione sociale, e tanto meno nell’aspetto fisico: alte o basse, magre o formose, giovani o vecchie, non aveva alcuna importanza.

Per tre giorni non avevano potuto far altro che brancolare nel buio, in cerca di indizi nei luoghi in cui venivano ritrovati i cadaveri, sempre in prossimità dell’acqua, sperando che la prossima donna non fosse morta invano, che questa volta potessero trovare quel dettaglio fondamentale che desse un senso a quelle vite spezzate.

Il suo ottimismo aveva iniziato a vacillare di fronte alle lacrime della famiglia della sesta vittima, una ragazza più giovane di loro, aggredita mentre tornava a casa dopo essere andata a prendere l’acqua per preparare la cena.

Un rapido sguardo ai suoi compagni gli aveva confermato che tutti e tre stavano pensando la stessa cosa: dobbiamo fermarlo, e alla svelta.

Il problema era che non avevano alcuna pista, e tenere d’occhio ogni specchio d’acqua in una città portuale era praticamente impossibile, anche se avessero avuto a disposizione le forze della Squadra Ammazzademoni al completo.

Il senso di impotenza che si respirava quel pomeriggio nella Casa dei Glicini era palpabile: Zenitsu non aveva avuto il coraggio di lamentarsi della propria imminente dipartita e Inosuke non lo aveva sfidato nemmeno una volta da quando si erano congedati dai familiari in lutto.

In momenti come questi, Tanjiro si sentiva sulle spalle il peso di anni di vita che non aveva ancora vissuto e che, molto probabilmente, non sarebbe arrivato a vivere, considerando i pericoli e gli sforzi a cui si sottoponeva ogni volta che accettava una missione. 

Nei suoi quindici anni aveva assistito a più morti di quante ne potesse contare, eppure non aveva dimenticato neppure uno dei nomi delle persone morte per mano dei demoni.

Nessuno di loro era riuscito davvero a riposare in quella manciata di ore che li separava dall'ennesima, inevitabile, vittima

Zenitsu aveva tentato, e fallito altrettante volte, di suonare qualcosa, ma dopo il sesto accordo sbagliato di seguito si era arreso, così si era diretto, con risultati a lui ignoti, verso la cucina, probabilmente in cerca di dolci.

Inosuke, li aveva lasciati poco dopo essere rientrati a casa dei signori Satō, un'anziana coppia che da anni ospitava le Squadre di passaggio, anche se questa era la prima volta che una di esse si fermava a Chiba per così tanto tempo.

A tutt'ora, Tanjiro non aveva idea di dove si fosse cacciato il ragazzo con la testa di cinghiale, sperava solo che non causasse qualche guaio alla cittadina già provata.

Così, si era ritrovato da solo nella loro stanza condivisa, a rimuginare sugli elementi a loro disposizione, nella tenue speranza di riuscire a trovare un collegamento che gli fosse sfuggito precedentemente.

Avevano escluso l'età, l'aspetto fisico e lo status, mentre il sesso delle vittime era evidentemente importante per questo demone.

Poi c'era considerare l'elemento dell'acqua che non riusciva a collocare: le lasciava lì per mandare un messaggio, oppure si spostava attraverso i liquidi? 

Più si sforzava di individuare un dettaglio significativo e più si rendeva conto di star perdendo di vista il quadro della situazione. 

A questo punto doveva considerare la possibilità di aver frainteso tutto fin dall'inizio, anche se il pensiero di aver sprecato quel tempo prezioso, con la conseguenza di aver visto salire il conto dei morti, lo atterriva.

L’unica soluzione era indagare sulla vita delle vittime, per quanto la prospettiva lo facesse sentire a disagio, un’ulteriore violazione per loro e le loro famiglie; il fatto che fosse necessario di sicuro non lo rendeva più piacevole.

Con un sospiro, fece forza sulla gamba sinistra per alzarsi, ben consapevole della scossa di dolore che gli aveva attraversato la caviglia destra, uno dei tanti danni che gli aveva lasciato la missione precedente. 

Stando bene attento a non caricarci troppo peso, si diresse verso la cucina per convincere Zenitsu ad accompagnarlo a casa della prima vittima.

La villa dei signori Satō era una dimora abbastanza grande, risalente al periodo Edo, situata un po’ al di fuori del centro abitato, in quanto gli avi dell’anziana preferivano lavorare in silenzio, il più possibile lontano dalla popolazione in aumento di Chiba; la signora Satō, però, al contrario del marito, dal carattere burbero, apprezzava la compagnia dei vicini e si recava spesso in città, dove era conosciuta per le sue doti di guaritrice.

Un particolare che i ragazzi avevano scoperto solo il giorno prima, quando l’anziana donna aveva consegnato ad ognuno di loro un vasetto di unguento a base di glicine che, a suo dire, era efficace sulle ferite da taglio e da bruciatura inferte dalle kekkijutsu dei demoni.

La cucina si trovava al centro della casa, ed era evidente, dalle sue dimensioni, che fosse stata pensata per ospitare un gran numero di persone contemporaneamente; al momento però, con solo tre individui al suo interno, era emblematica della progressiva estinzione della Squadra Ammazzademoni.

Lo sguardo di Tanjiro passò da Zenitsu a Inosuke e di nuovo da Inosuke a Zenitsu per cinque minuti buoni, mentre la sua testa si inclinava sempre più a destra: Zenitsu aveva le braccia e parte dello yukata coperti di polvere bianca, gli occhi sbarrati e un’espressione di puro orrore in volto, Inosuke, invece, aveva avuto la decenza di togliersi la testa di cinghiale, perciò non c’era alcun filtro ad ovattare la sua voce, pericolosamente alta. Non che di solito servisse a molto. 

Entrambi stringevano tra le mani un vassoio di legno, su cui erano impilati, in equilibrio precario, delle palline bianche.

“Visto? Te l’avevo detto che ci avrebbe scoperto se avessi continuato ad urlare come un’idiota!”

Tanjiro registrò appena la voce stridula del ragazzo coi capelli gialli, mentre capiva finalmente cosa stavano combinando quei due.

Rimaneva comunque da determinare il perchè avessero preparato dei mochi.

“Dacci un taglio Monitsu, volevo solo mangiare uno di quei cosi.”

Inosuke lo ignorò, continuando imperterrito a tirare il vassoio verso di sé e ringhiando di fronte alla resistenza sempre più debole dell’altro.

“Cosa ci fate voi qui?”

Tanjiro era certo che se non fosse intervenuto sarebbero potuti andare avanti così per ore, prima che Zenitsu decidesse che una manciata di dolci non valeva lo scotto di nuovi lividi.

Quello che non si aspettava era il tentativo di menzogna peggiore a cui avesse mai assistito, peggiore perfino di quanto potesse fare lui, che notoriamente era un pessimo bugiardo.

Beccati con le mani nel sacco, i due ragazzi dimenticarono per un attimo il vassoio, per elaborare una scusa che fosse anche solo vagamente convincente; peccato che anche qualcuno senza l’olfatto soprannaturale di Tanjiro li avrebbe scoperti subito.

“Stiamo preparando quei cosi bianchi e appiccicosi che t-” 

Il calcio agli stinchi, ben poco incospicuo, che lo spadaccino del fulmine aveva rifilato al compagno, era servito a zittirlo, se non che l’occhiataccia che si era guadagnato sarebbe stata sufficiente a far impallidire una delle Lune demoniache.

“Stiamo preparando dei mochi per la signora Satō. Sai, per ringraziarla di averci  ospitati”

Dei tre, Zenitsu era il migliore quando si trattava di mentire, ma dopo aver passato le due ore precedenti a filtrare la farina di riso e a preparare il ripieno di fagioli rossi, il tutto mentre cercava di impedire all’altro di divorare ciò che di commestibile c’era sul tavolo, doveva riconoscere che la sua capacità di risultare convincente fosse diminuita notevolmente.

Ciononostante, anche se fosse stato nel pieno della forma, all'olfatto di Tanjiro non sarebbe sfuggita quella nota salata di panico che accompagnava immancabilmente le sue scuse.

Il che parava di fronte a quest'ultimo una scelta: insistere per farsi dire la verità o lasciar perdere. 

Considerando che il peggio che quei due potessero fare con dei mochi era discutere per chi dovesse mangiarli, il ragazzo dai capelli rossi optò per far finta di nulla, prendere un sorso d'acqua, in modo da giustificare la sua visita alla cucina, e lasciare che se la sbrigassero tra di loro.

"Senti un po', Ponchiro, non ne vuoi nemmeno uno?"

Che Inosuke si offrisse di condividere del cibo era già di per sé un evento più unico che raro, ma sommandolo alla bugia di Zenitsu e al fatto che non li aveva mai visti cucinare, considerò seriamente di rifiutare l'offerta.

Dopo tutto non ci teneva a morire avvelenato.

Purtroppo Tanjiro, la maggior parte delle volte, era troppo gentile per il suo stesso bene, quindi finì per capitolare di fronte all'espressione speranzosa di Inosuke e a quella supplichevole di Zenitsu

"Allora ne prendo uno, eh"

Tra tutti i dolci casalinghi, i mochi erano i suoi preferiti. 

In quella che sembrava, ormai, una vita precedente, la mamma li faceva per ogni Capodanno e ad ogni compleanno, perché erano veloci da preparare e gli ingredienti poco costosi.

Quello che aveva in mano era più appiccicoso e decisamente meno bello esteticamente, ma l'odore era invitante e il sapore, doveva proprio ammetterlo, non aveva nulla da invidiare a quelli che era abituato a mangiare da bambino.

"Sono proprio buoni! Complimenti, siete stati bravissimi."

Anche senza l'udito eccezionale di Zenitsu, riuscì a sentire chiaramente il sospiro sollevato del ragazzo, che aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo, mentre gli sfuggì totalmente l'espressione sconvolta e il rossore di Inosuke.

"Va bene ragazzi, io torno in città dalla famiglia della prima vittima e vedo se riesco a scoprire qualcosa in più sulla sua vita. Ci vediamo qui tutti quanti tra tre ore per preparare un piano per stasera."

Al gesto affermativo di entrambi, Tanjiro tornò sui suoi passi, attraversando la villa al ritroso, prima di imboccare il cancello e dirigersi verso nord.

 

Chiyoko Shimizu aveva due figli, il minore di appena un anno; il marito era al servizio dello Shogun, presso il quale ricopriva l’incarico di ambasciatore.

Nonostante avessero avuto la possibilità di stabilirsi nei pressi del castello, il signor Shimizu aveva preferito che la famiglia si stabilisse nella dimora storica dei suoi avi, situata al centro della cittadina, perciò è lì che si era diretto.

L’odore pungente delle lacrime colpì il suo naso ben prima di arrivare di fronte all’ingresso della tenuta.

Il custode lo lasciò passare senza una parola, riconoscendo la divisa degli Ammazzademoni; il cortile era perfettamente in ordine, curato come la prima volta in cui c’era stato, subito dopo la disgrazia, in occasione della veglia funebre.

A distanza di tre giorni, era evidente il vuoto che la signora Shimizu aveva lasciato in quella casa: l’atmosfera spettrale che aleggiava nel cortile era diventata asfissiante non appena aveva messo piede in casa.

Nei corridoi il silenzio era assordante: la poca servitù che aveva incontrato non lo aveva degnato di uno sguardo, tirando dritto a testa bassa, muovendosi rapida e affaccendata; Tanjiro ricordava la struttura della villa abbastanza bene, così che non ebbe bisogno di fermare nessuno di loro per trovare la sala principale.

Ad aspettarlo c’era il signor Shimizu in persona.

In meno di una settimana sembrava invecchiato di dieci anni: i capelli sulle tempie si erano scoloriti, passando da un bel nero lucido al colore del fumo, la postura si era incurvata, la pelle appariva cadente e il viso stanco, segnato da profonde rughe ai lati della bocca e degli occhi, velati di lacrime e arrossati.

“Cosa ci fai tu qui?”

Anche la voce era cambiata. Il tono composto, anche nel dolore, aveva lasciato il posto ad un suono gracchiante, basso e malevolo, come il sibilo di un serpente.

Istintivamente, Tanjiro fece un passo indietro, colto alla sprovvista dall’ostilità grondante da quelle poche sillabe.

Raddrizzò la schiena, cercando di proiettare una sicurezza che non aveva. Non poteva permettersi che quell’uomo dubitasse della loro capacità: se la Squadra Ammazzademoni non riusciva a convincere le persone di poterle proteggere dai servi di Muzan, allora gli esseri umani non avrebbero più avuto alcuna speranza.

Non si sarebbe mai perdonato di esserne stato la causa

“Sono qui per esaminare la stanza di sua moglie e farle alcune domande su di lei, sulla sua vita di tutti i giorni, per assicurarmi che non ci sia sfuggito nulla di importante”

Tanjiro si rese conto dell’errore che aveva commesso un attimo dopo che le parole avevano lasciato le sue labbra.

“Nulla di importante. Nulla di importante? Mia moglie, la sua vita, avevano un valore che nessuno potrà mai restituirci, e tu vieni nella mia casa e ne parli come se fosse insignificante, come se la sua importanza si limitasse a ciò che può darti.”

La furia aveva deformato il volto esangue del signor Shimizu, gli occhi gonfi e sanguigni sbarrati, e la bocca contratta in una smorfia sempre più vicina al pianto.

Non era la prima volta che Tanjiro assisteva ad una scena del genere. I familiari delle vittime raramente vedevano di buon occhio gli Ammazzademoni e le loro domande, ma qualcosa in quell’uomo lo commosse profondamente.

“Signor Shimizu, mi ascolti, la prego...”

La voce gli tremava appena. Stava migliorando, per quanto non ne fosse affatto felice. Quante volte ancora avrebbe dovuto chiedere a delle famiglie in lutto di passare al setaccio la vita dei cari che avevano perso?

Quante volte non sarebbe stato sufficiente?

Il padrone di casa era in ginocchio sulla stuoia, la postura nuovamente curva, la testa bassa e le mani a coprire il volto. Le spalle sobbalzavano a intervalli regolari, mascherando malamente i singhiozzi che lo scuotevano.

L’ira di pochi istanti prima si era dissolta nel nulla, quando incrociò gli occhi di del ragazzo.

“Anche dopo la morte le persone continuano a chiedere aiuto a Chiyoko. Lei era fatta così, sai? Per anni, fin da prima che ci sposassimo, gli abitanti del villaggio le hanno chiesto favori di ogni tipo e, dopo il matrimonio, ha iniziato ad intercedere con me così che io potessi fare altrettanto con lo Shogun. 

Chiyoko faceva sempre tutto il possibile per aiutarli, anche quando io non lo avrei fatto, anche quando le ripetevo che non era una nostra responsabilità; lei mi rispondeva sempre che se la vita ti ha dato tanto è giusto restituire un po’ di quella felicità, di quella fortuna, agli altri. Per lei aiutare gli altri era un dovere a cui dedicare il massimo impegno. E anche ora, dopo che un demone se l’è portata via, questa gente continua a chiederle aiuto, continua ad esigere un pezzo di lei. Allora dimmi, Ammazzademoni, se nemmeno la sua vita è stato un prezzo sufficiente, cosa posso fare perchè riposi in pace?”

La tristezza negli occhi del signor Shimizu era sincera e per un momento Tanjiro si trovò a lottare contro le lacrime che minacciavano di rigargli il viso e il groppo in gola che gli rendeva difficile respirare.

Nessuna morte per mano dei demoni era giustificata, ma quando le vittime erano brave persone, come la signora Shimizu, la perdita era ancora più grave, più difficile da superare.

Con uno sforzo sovrumano si costrinse a deglutire un paio di volte, finchè gli occhi non furono sufficientemente asciutti e la voce abbastanza ferma da essere sicuro che non si sarebbe spezzata non appena avesse aperto bocca.

“Signor Shimizu, non posso prometterle che troverò qualcosa che ci possa aiutare ad eliminare questo demone, esaminando la vita di sua moglie, ma posso garantirle che farò tutto ciò che è in mio potere per rendere giustizia a Chiyoko. La prego di lasciarmi visitare la sua stanza. Mi ha raccontato di quanto fosse importantem per lei aiutare il prossimo, le consenta di farlo un’ultima volta.”

L’unica risposta che ottenne dall’uomo fu un cenno di assenso col capo, prima che le lacrime riprendessero a scorrergli sulle guance scavate.

Tanjiro si inchinò rapidamente, nonostante l’attenzione del signor Shimizu non fosse concentrata su di lui; sperava sinceramente di non dover più disturbare il dolore di quell’uomo e dei suoi figli, se non per comunicare loro che erano riusciti ad abbattere il mostro che si era preso la vita di Chiyoko.

Uscendo a passo svelto dalla sala principale, si lasciò guidare dal suo naso per trovare la stanza da letto della signora Shimizu. Nonostante le pareti della casa fossero impregnate dal fumo dell’incenso e dall’odore di morte.

Che anche la morte avesse un odore lo aveva scoperto molto tempo prima, ma ciò non voleva dire che si fosse abituato al retrogusto dolciastro che lasciava sui mobili e sui vestiti; a differenza del sangue, non aveva alcuna nota metallica a bilanciarlo. Somigliava a quello strato di foglie putrescenti che ricopriva il suolo dei boschi nel periodo autunnale.

Il corpo era già stato cremato, perciò era da escludere la possibilità di poterne riesaminare le ferite; fortunatamente la stanza non era stata toccata, a dispetto della veglia funebre.

Apparentemente non c’era nulla fuori dall’ordinario, ed in generale, dall’arredamento austero ed elegante si deduceva l’immagine di una donna sofisticata e riservata.

Anche aprendo qualche cassetto non trovò nulla di rilevante.

Tanjiro si era quasi rassegnato all’idea che non avrebbe trovato niente da usare, nemmeno un indizio, quando lo sguardo si fermò su un libro che sporgeva leggermente dalla piccola libreria sul lato destro della stanza.

Era un libro come tanti altri, la copertina di tessuto leggermente rovinata sugli angoli, che sarebbe passato inosservato se posizionato correttamente.

Quando lo sfogliò, rimase sorpreso nel constatare che si trattasse di un erbario; era un’edizione piuttosto curata, arricchita di disegni dettagliati di ogni pianta. Le pagine erano scritte ai margini, in alcuni punti, con una calligrafia minuta e ordinata.

“Lo shiso* è una pianta dallo stelo corto e le foglie larghe e frastagliate, di colore violaceo o verde. Si può applicare sulle ferite per mantenerle pulite o su irritazioni croniche della pelle; ma può essere anche ingerito per trattare le irritazioni stagionali o le infezioni polmonari, in aggiunta allo zenzero.”

Non sapendo ancora se e quanto potesse essere importante, Tanjiro decise di portarlo con sé e chiedere alla signora Satō di dargli un’occhiata.

Ripercorse i corridoi della casa in religioso silenzio, evitando di passare di fronte alla stanza principale, da cui sentiva provenire il pianto di un bambino, e una ninnananna sussurrata.

Pochi passi fuori dal cortile della villa Shimizu e aveva iniziato a cadere una pioggia fredda ed insistente, nonostante fosse la fine di aprile; le gocce che picchettavano, impietose, erano larghe e pesanti, mentre scendevano in rivoli fangosi, ai lati della strada.

Nella mezz’ora di cammino che serviva per percorrere la distanza fino alla dimora dei coniugi Satō, aveva piovuto abbastanza da rendere le strade esterne alla cittadina dei fiumi di fanghiglia, appesantendo ogni passo e rischiando di farlo cadere più volte.

 

Quando arrivò al riparo delle engawa*, Tanjiro era ormai completamente fradicio; nemmeno la tenuta speciale degli Ammazzademoni poteva mantenersi asciutta dopo un temporale, nonostante fosse più impermeabile della maggior parte dei tessuti conosciuti.

Fortunatamente era stato abbastanza previdente da coprire il libro con un lembo della divisa, così che apparte alcune sulla copertina, non aveva riportato gravi danni.

Ad una nuova ispezione si accorse che la rilegatura che lo teneva insieme era di un tipo particolarmente curato, in quanto prevedeva che il filo arrivasse fino ai bordi, in modo da evitare che i fogli si staccassero*, il che lasciava intendere fossero stata realizzata da mani esperte e senza badare ai costi.

Dopo aver lasciato gli zori* nel genkan*, si diresse verso la camera che divideva con gli altri due ragazzi, per lasciare lo yukata ad asciugare e confrontarsi con Zenitsu e Inosuke su quel poco che aveva scoperto; se il suo istinto aveva ragione, l’erbario che aveva trovato a casa della signora Shimizu poteva metterli sulla giusta strada.

Non aveva fatto in tempo a far scorrere i fusuma* che Zenitsu gli venne incontro, con gli occhi lucidi e un’espressione afflitta sul volto. Un classico di ogni sera, quando si trovavano in missione; la prospettiva di dover affrontare un demone lo terrorizzava, perlomeno finchè non avesse perso i sensi.

Nonostante gli avessero raccontato cosa accadeva nei momenti in cui non era cosciente, lo spadaccino del fulmine non ci aveva mai creduto, accusandoli di mentirgli o di prendersi gioco di lui; il che, di solito, finiva con Tanjiro che doveva impedire ad Inosuke di indurre tale stato con le maniere forti.

“Tanjiro, oh, sono così contento che tu sia tornato! Quell’incosciente dalla testa di cinghiale voleva a tutti i costi uscire dalla casa per pattugliare la zona. Io gliel’ho detto che sarebbe stato inutile, che saremmo finiti morti stecchiti senza un piano, ma lui continua ad insistere. Ti prego diglielo anche tu che questo incarico è un suicidio.”

Ad essere onesto, Tanjiro aveva già smesso di ascoltarlo prima che finisse di parlare; viaggiava con quei due da abbastanza tempo da poter recitare a memoria le scuse di Zenitsu e le risposte piccate di Inosuke, che al momento stava sbraitando contro la codardia dell’altro.

Sì, era decisamente arrivato il momento di riportare un po’ d’ordine.

“Ragazzi, vi prego, dobbiamo parlare.”

Aspetto un minuto, che i suoi compagni si rendessero conto di quello che aveva detto e si concentrassero sul motivo per cui erano lì, lasciando da parte i soliti battibecchi per un altro momento. 

Di loro si potevano dire molte cose, ma non che non fossero in grado di comportarsi seriamente quando era necessario, ben più di quanto dei ragazzi avrebbero dovuto fare.

Dopo che si furono seduti in cerchio sul tatami, Tanjiro estrasse dalla divisa l’erbario di Chiyoko, mostrandolo ad entrambi

“Questo l’ho trovato nella libreria della signora Shimizu. So che non sembra rilevante e anche io non so bene perchè mi abbia colpito, ma in qualche modo credo che possa aiutarci a capire come questo demone scelga le sue vittime.”

Fece una pausa, aspettandosi un intervento, ma sia Zenitsu, sia il ragazzo con la testa di cinghiale rimasero in silenzio. Prendendolo come un invito a continuare, prese un respiro e proseguì:

“ Si tratta di un erbario.” 

Riusciva quasi a vedere Inosuke che apriva la bocca, sotto la maschera, per chiedergli cosa fosse, così lo precedette

“É un libro in cui sono descritti l’aspetto e l’utilizzo delle piante; questo è un po’ diverso dagli altri perchè ha anche dei disegni per ogni erba.

Il signor Shimizu, inoltre, mi ha raccontato che sua moglie spesso aiutava gli abitanti che le chiedevano dei favori, ma non ho saputo altro. Per questo stavo pensando di chiedere alla signora Satō se poteva darci qualche informazione su cosa facesse Chiyoko per chi le chiedeva aiuto, e cercare di capire se c’è un nesso tra quello che faceva, il libro e le altre vittime.”

“Be’ Monjiro, vuoi dire che sei stato via tutto questo tempo e l’unica cosa che hai trovato è un libro?”

Tanjiro aveva imparato a rispondere a tutte le versioni storpiate del proprio nome, ma di tutte, Monjiro era la sua preferita. Perlomeno era orecchiabile.

Certo, era evidente dal tono che aveva usato, che nemmeno Inosuke trovava particolarmente entusiasmanti i pochi indizi che era riuscito a raccogliere, e non poteva dargli torto. Il tempo a loro disposizione stava scadendo: tra meno di due ore il sole sarebbe tramontato, e la città si sarebbe trasformata nel terreno di caccia personale del demone; e a quel punto nessuna donna sarebbe stata al sicuro.

Dovevano sbrigarsi, e sperare che qualsiasi cosa la signora Satō avesse detto loro fosse quel tassello mancante che stavano cercando.

“Siamo d’accordo, quindi?”

“Non abbiamo molta scelta, se la vecchia non ha informazioni da darci moriremo tutti questa notte. Io sono troppo giovane per morire, e non sono nemmeno sposato!”

“Fa’ come ti pare. Per me possiamo anche andare lì fuori ad aspettare che il bastardo si faccia vivo per ammazzarlo”

Annuendo al nulla, perchè rimproverare Zenitsu per i suoi modi, e cercare di spiegare ad Inosuke perché non potevano caricare a testa bassa, era fuori discussione, Tanjiro si alzò con il cuore leggero, per la prima volta in tre giorni.

C’era la possibilità che fosse un buco nell’acqua, ma voleva sperare che non fosse così, perchè, per quei pochi passi che lo separavano dalla sala principale, anche il dolore alla gamba era svanito, tanto che gli sembrava di volare sulle assi di legno lucido.

 

La signora Satō era in cucina, intenta a preparare gli ingredienti per la zuppa di miso.

Interrompere i propri ospiti non era cortese e, in un altro momento, Tanjiro avrebbe aspettato che fosse libera per parlarle, ma non c'era tempo da perdere.

Schiarendosi la gola, in modo da annunciare la propria presenza all'anziana donna, fece un passo in avanti, accostandosi al tavolo su cui la signora stava pulendo del pesce.

Il sorriso bonario della signora Satō non tardò a mostrarsi; la coppia non aveva avuto figli, ciononostante la natura materna della donna veniva a galla quando si trattava di ospitare le Squadre di passaggio o di badare ai bambini che le madri più giovani le affidavano, quando dovevano aiutare i mariti nei campi.

"Guarda un po' chi si vede, il giovanotto coi capelli rossi. I tuoi amici mi avevano detto che eri andato dalla famiglia della povera Chiyoko. Mi dispiace così tanto, era una ragazza così gentile, aveva una famiglia così bella… Sai che le era nato da poco un bambino? Un altro maschietto. Suo marito era talmente contento quando lo aveva scoperto! Era appena tornato da un viaggio -"

Tanjiro si passò imbarazzato una mano sulla nuca. La signora Satō faceva un complimento ad ognuno di loro, quando la incontravano, e li trattava come se fossero i suoi nipoti; se avesse scavato a fondo avrebbe notato che quella sensazione di costrizione al petto che sentiva ogni volta era la nostalgia di qualcuno che lo accudisse, che lo trattasse con dolcezza. Nei tre giorni che erano rimasti a Chiba, quella casa era diventata un po' anche la loro, e non potevano permetterselo: una parte di lui si rendeva conto che, se si fosse abituato ad avere di nuovo una famiglia, non avrebbe più trovato il coraggio di ripartire.

Il fatto che Nezuko avesse potuto riposare indisturbata, da quando erano arrivati, contribuiva a costruire quella parvenza di calma; certo, se si fermava a pensare si rendeva conto che nulla era cambiato dal giorno in cui aveva perso tutto: la sua famiglia era ancora morta, Nezuko era ancora un demone, che riposava per rigenerare le ferite subite, e lui era ancora un orfano che si era imbarcato in un'impresa quasi impossibile per cercare di salvare l'ultimo pezzo di casa che ancora gli restava.

Ma non poteva dire niente di tutto ciò alla signora Satō, non sarebbe stato corretto nei suoi confronti. Dopotutto, non poteva fargliene una colpa della sua gentilezza.

In ogni caso doveva assolutamente fermarla, prima che iniziasse a raccontargli di tutta la famiglia Shimizu.

“Signora, mi scusi, volevo farle alcune domande su Chiyoko, se per lei non è un problema”

L’anziana donna si irrigidì solo un momento, il sorriso vacillò per un battito di ciglia, prima che riguadagnasse il solito aspetto bonario.

“Ma sì, certo, chiedimi tutto quello che vuoi”

Gli servivano informazioni chiare e concise, perciò la domanda doveva essere formulata di conseguenza: non troppo ampia, per evitare che la signora Satō si perdesse in aneddoti e ricordi, ma nemmeno troppo specifica, perchè avrebbe potuto farle trascurare alcuni aspetti, e ancora non era certo di cosa fosse importante e cosa no.

“Il signor Shimizu mi ha raccontato che Chiyoko era benvoluta da tutti, perchè anche prima di sposarsi era sempre disposta ad aiutare chi si rivolgeva a lei. Ecco, vorrei sapere che tipo di aiuto le chiedevano di solito…”

La proprietaria si prese qualche istante, prima di rispondere. Il naso di Tanjiro si arricciò appena, sentendo l’odore di diffidenza che si diffondeva lentamente nella stanza; non era la reazione che si sarebbe aspettato, ma se c’era un segreto nella vita della signora Shimizu, per quanto gli dispiacesse doverlo scoprire, voleva dire che era sulla buona strada. 

C’era una buona probabilità che fosse qualcosa di importante, se il marito non aveva voluto scendere nei particolari e se la signora Satō, solitamente così loquace, improvvisamente voleva mantenere il riserbo.

Un sospirò gli segnalò che la donna era giunta ad una decisione. Tanjiro non poteva far altro che sperare fosse in suo favore.

“Quello che sto per raccontarti deve rimanere un segreto.” gli lanciò uno sguardo severo che non accettava repliche. 

Annuì.

“Secoli fa, il villaggio fu salvato da una sacerdotessa, che decise di stabilirsi qui e fare il possibile per difendere la città dai demoni. Ovviamente questo è accaduto prima che la Squadra Ammazzademoni fosse creata ma, da quel momento, le mie antenate hanno offerto riparo e aiuto agli spadaccini che passavano di qui.”


Tanjiro non capiva ancora cosa questo avesse a che fare con Chiyoko, nè come potesse essergli d’aiuto nella sconfitta del demone, ma aveva la sensazione che ognuno di questi elementi fosse collegato al racconto della signora Satō; non gli restava che aspettare e ascoltare il resto della storia

“Vedi, una miko può compiere esorcismi anche in assenza di un tempio, ma da quando è stata creata la vostra organizzazione il nostro compito è diventato quello di aiutare le persone con i problemi quotidiani: cure per i mali stagionali, aiuti per il parto, riti di purificazione dopo le morti. É da quando ero bambina che non si vedeva un demone a Chiba, e anche quello non aveva fatto che la metà dei morti di questo qui.”

Posò il coltello che aveva tra le mani, pulendosi le mani dal sangue su un panno lì vicino. Forse per prendere tempo, o forse perchè le sembrava di tradire la fiducia di Chiyoko, Tanjiro non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Anche a distanza di un giorno da quando era avvenuta quella conversazione, non era riuscito a capire quanto gli avesse raccontato la signora Satō, nè quanto dell’amabile vecchietta che impersonava, corrispondesse alla sua verità; col senno di poi, avrebbe potuto arrivarci prima, ma svegliarsi da un bel sogno è sempre difficile, dopo quanto era accaduto sul treno infernale ancora non aveva imparato la lezione.

Dalla signora Satō non proveniva alcuna ostilità, ma era innegabile che il suo odore fosse cambiato: non era come quello dei demoni, ma c’era qualcosa di strano, qualcosa che la avvicinava alle Colonne, e allo stesso tempo era profondamente diverso. Non avrebbe saputo dire cosa fosse, di preciso, ma era sufficiente affinchè le credesse.

“Come puoi vedere io non ho avuto figlie, ma la tradizione vuole che a Chiba ci sia sempre una miko, e che questa tramandi la propria esperienza, e quella delle sue antenate, alla sua erede. Chiyoko era una ragazza dotata: fin dall’infanzia aveva dimostrato una predisposizione naturale per la spiritualità, e una grande passione per le erbe; la sua famiglia non era benestante, così, io e mio marito, ci siamo offerti di prenderla con noi e di educarla. Naturalmente ha sempre mantenuto i contatti con la famiglia di origine, mentre mi occupavo del suo apprendistato*. Poco dopo aver completato la sua istruzione, Chiyoko ha iniziato a sostituirmi. Il mio compito era terminato, o almeno così credevo: le avevo insegnato tutto ciò che sapevo, e lei lo metteva in pratica alla perfezione; anche dopo essersi sposata ha continuato a servire come miko, finchè quel… quell’abominio non l’ha strappata alla sua famiglia. Finchè non ce l’ha portata via.”

La voce le si spezzò con un singhiozzo strozzato. 

Tanjiro le lasciò qualche istante per ricomporsi, abbassando lo sguardo, in modo da lasciarle un po’ di dignità. C’è qualcosa di intimo nel dolore di una famiglia, che lo metteva sempre a disagio: non riusciva a guardare le lacrime di una madre che perdeva i figli, o di un marito a cui uccidevano la moglie. In qualche modo era una presenza estranea che si inseriva prepotentemente in una tragedia che non gli apparteneva.

Ancora una volta, la signora Satō dimostrò una grande forza d’animo nel riprendersi. Si asciugò la striscia umida che le lacrime le avevano lasciato sulle guance, con il dorso della mano, schiarendosi la gola con un colpo di tosse.

“Spero con tutto il cuore che voi ragazzi riusciate a rendere giustizia a Chiyoko e alle altre.”

Era ragionevolmente certo di poterci riuscire: ognuna delle vittime era stata ritrovata in possesso di un sacchettino contenente delle erbe. All’inizio non ci avevano dato peso, ma alla luce di quanto gli era appena stato raccontato, era evidente che il demone prendesse di mira tutte le donne che li avevano con sé.

“Signora Satō, ognuna delle vittime aveva in tasca un composto di erbe, mi saprebbe dire a cosa poteva servire? Alla luce di quanto ha detto, è logico che il legame tra di loro fosse Chiyoko, ma mi sfugge ancora perché il demone abbia scelto proprio loro.”

“Ognuna di loro era stata da Chiyoko per un consulto. Probabilmente il contenuto dei sacchetti è dell’assenzio selvatico*. É un’erba che cresce solo sui monti ed è -estremamente difficile da dosare: nella giusta misura è usata per occuparsi delle gravidanze indesiderate, ma anche per alleviare l’inappetenza e prevenire gli svenimenti. Tuttavia, tradizionalmente, è anche usato come amuleto contro il male, per questo viene dato anche a ragazze nubili molto giovani.”

Ora sapeva cosa cercare: forse la signora Satō avrebbe potuto dirgli se qualcun’altra aveva chiesto recentemente dell’assenzio alla signora Shimizu, in modo da poterla proteggere dal demone.

“Sa per caso chi è stata l’ultima donna per cui Chiyoko ha preparato l’assenzio?”

Ci fu un’altra pausa. Sulla fronte dell’anziana si disegnarono nuove rughe, mentre si sforzava di ricordare; non doveva essere facile dopo quanto era successo in meno di una settimana.

“Mi sembra che fosse Keina Yoshida… Sì, è stata l’ultima a vederla, prima che fosse uccisa; soffre di svenimenti improvvisi fin da quando era piccola. Lei e sua madre erano mie clienti abituali, già da prima che Chiyoko prendesse il mio posto. Si è sposata da poco, vive vicino al mare con il marito; se partite ora potreste essere lì in poco più di un’ora.”

Tra un’ora sarebbe scesa la sera, e il demone sarebbe uscito allo scoperto; non avevano molto tempo per raggiungere la casa dei coniugi Yoshida prima che fosse troppo tardi. Sperando che fosse lei la prossima vittima programmata e non qualcun’altra.

Era una corsa contro il tempo e una scommessa con il destino, questo era sicuro; non c’era modo di prevedere se ce l’avrebbero fatta ad arrivare prima che fosse troppo tardi, e neppure se stata la scelta giusta, ma Tanjiro non poteva far altro che fidarsi del proprio istinto e delle informazioni che era riuscito ad ottenere: non poteva permettere che un’altra famiglia fosse distrutta e neppure che il demone eliminasse l’ultimo bersaglio, perchè a quel punto le cose sarebbero potute solo che peggiorare.

Era già successo che gli Ammazzademoni non fossero riusciti ad eliminare il loro obiettivo prima che questo sbranasse tutte le vittime selezionate; in quel caso potevano accadere due cose: il demone si spostava in un’altra città, o in un’altra provincia, e ricominciava la carneficina, procedendo così finchè non fosse stato eliminato. Oppure, e questo era lo scenario peggiore, abbandonava qualsiasi coerenza nella scelta e iniziava ad attaccare senza alcun criterio, rendendone praticamente impossibile l’eliminazione per qualcuno che non fosse una Colonna.

Tanjiro era già fuori dalla cucina, prima che si ricordasse dell’altro motivo per cui era lì. La signora Shimizu gli aveva già raccontato tutto ciò che sapeva, o perlomeno tutto ciò che aveva ritenuto opportuno raccontargli perchè potesse fare il suo lavoro; ad ogni modo non le serbava alcun rancore per ciò che aveva omesso: alcuni segreti era meglio che rimanessero sepolti. Ma lui aveva ancora qualcosa che non gli apparteneva, e che forse alla signora Satō avrebbe fatto piacere conservare.

“Un’ultima cosa, signora, ho trovato questo nella libreria di Chiyoko” Le mostrò l’erbario che aveva tenuto nella divisa fino a quel momento. Gli occhi della donna si riempirono di lacrime; si portò il palmo di una mano davanti alla bocca, prima di tendere l’altra verso il libro che il ragazzo le stava porgendo.

“Non penso che al signor Shimizu dispiacerà se lo tiene lei, e nemmeno a Chiyoko. Ne abbia cura, signora Satō”.

L’anziana donna annuì, commossa, stringendo il volume al petto, senza trattenere il pianto.

Tanjiro non si fermò a consolarla. Sapeva che era inutile, non c’erano parole che potessero colmare la perdita della propria famiglia; tutto ciò che poteva fare per lei era eliminare il demone, ora che ne aveva l’opportunità.

Non c’era un attimo da perdere, avrebbe spiegato il da farsi a Zenitsu e Inosuke mentre raggiungevano casa Yoshida; fortunatamente i due erano già pronti a combattere: Inosuke aveva indossato la sua solita testa di cinghiale, mentre Zenitsu tentava di fermare il tremore alle mani.

“So dove dobbiamo andare: il demone colpirà la signora Yoshida. Andiamo!”

Non aspettò una risposta dai suoi compagni, sapeva che lo avrebbero seguito senza chiedere spiegazioni.

 

Tanjiro li aggiornò, mentre sfrecciavano tra le vie della città, cercando di non scivolare sullo strato di fango che la pioggia si era lasciata dietro.

Casa Yoshida era una costruzione modesta, praticamente uguale alle altre dimore di pescatori. L’odore salmastro e di resti di pesce putrefatti coprivano qualsiasi altra traccia, rendendo impossibile sapere se c’era un demone nei paraggi.

Quando si avvicinarono alla stuoia di ingresso, si resero conto che nello spazio angusto della casa non c’era nessuno.

Eccetto un cadavere.

Facendosi coraggio, Tanjiro si avvicinò ad ispezionarlo, cercando il più possibile di non calpestare la macchia di sangue che si allargava sul pavimento; come gli altri, non aveva ferite sugli arti: niente che facesse pensare che avesse lottato.

“Inosuke, dammi una mano a girarlo, per favore. Zenitsu, tieni gli occhi aperti nel caso in cui il demone fosse ancora qui vicino.”

Con l’aiuto dell’altro ragazzo, riuscì finalmente a voltare il corpo, mettendolo in posizione supina. In quel modo scoprì il ventre squarciato dell’uomo.

La vista delle viscere e degli arti mutilati era diventata una costante nella sua vita, ma non riusciva ad abituarsi all’odore vomitevole delle interiora. 

Mentre cercava di trattenere i conati, Inosuke aveva già infilato la mano nell’addome aperto dell’uomo, spostando gli intestini, e frugrando tra le le pareti sanguinolente; con un suono viscido, il ragazzo ritrasse la mano, pulendola sulle vesti strappate della vittima, poi si rivolse a Tanjiro

“Come negli altri, mancano i reni.*”

Tutti i corpi erano stati ritrovati con ferite identiche e tutti con gli stessi organi mancanti, come se il demone si nutrisse solamente dei reni che strappava alle vittime mentre erano ancora vive, lasciandole agonizzare finchè non si dissanguavano.

Chiyoko era riuscita ad arrivare all’ingresso della sua villa prima di morire, con uno sforzo di volontà incredibile. Dopo averla esaminata, si erano accorti che la ferita inferta era meno profonda, ed era stato asportato solo un rene, per questo era sopravvissuta più a lungo degli altri.

Forse il demone a quel punto non aveva ancora sviluppato una preferenza, oppure Chiyoko aveva usato il suo addestramento da miko per farlo ritirare, non avrebbero mai saputo cosa era successo; ma era un fatto che mostrava l’evoluzione del suo comportamento.

Anche questo omicidio aveva qualcosa di diverso dagli altri: per la prima volta aveva attaccato un uomo, e ne aveva divorato i resti, mentre della donna non c’era traccia.

L’interno della casa era a pezzi, il che lasciava intuire una lotta, anche se sul corpo del signor Yoshida non c’erano delle ferite da difesa; probabilmente si era offerto di distrarlo il più a lungo possibile, in modo da dare alla moglie il tempo di fuggire.

A giudicare dallo stato del corpo, era evidente che non era riuscito a guadagnarne molto. A questo punto dovevano sperare che Keina fosse ancora viva.

Non potevano essere molto lontani, ma Tanjiro non riusciva a sentire l’odore né dell’uno né dell’altra. Magari i suoi compagni avrebbero avuto più fortuna.

“Sentite la presenza del demone?”

Inosuke conficcò le spade nel terreno, concentrandosi. Non era la prima volta che usava la Settima Forma, ma questo non diminuiva l’impatto che aveva sapere che uno dei tuoi compagni è in grado di determinare la posizione di un ago a chilometri di distanza. 

Non era un modo di dire, lo avevano testato qualche tempo fa, per gioco. Inosuke non aveva fatto altro che vantarsene per le due settimane successive.

Quando anche il ragazzo-cinghiale scosse la testa, entrambi rivolsero lo sguardo verso Zenitsu. 

Lo spadaccino del fulmine stava ben attento a non incrociare gli occhi di nessuno dei due, fissando dritto davanti a sé, nonostante la postura rigida delle spalle lo avesse tradito da un pezzo.

“Hey Moitsu, tu non sai dirci nulla?”

Tanjiro lo vide sobbalzare, prima di annuire mestamente; era sull’orlo del pianto. Per quanto gli dispiacesse vederlo in quello stato ogni volta che erano in missione, non era il momento per farsi venire gli scrupoli di coscienza; avevano bisogno della sua collaborazione.

Per fortuna, Zenitsu si rendeva conto di dover dare una mano ai suoi compagni, se non voleva avere la morte della signora Keina sulle mani. 

“Sento il respiro di un demone venire da nord, in direzione del castello… M-ma devo venire anche io? Lo sapete che non servo a nulla in battaglia, io sono un codardo e sono debole, non valgo nulla come Ammazzademoni -”

Inosuke aveva deciso di averne abbastanza di quella lagna, perciò gli afferrò il braccio e lo trascinò fuori, senza fermarsi ad aspettare Tanjiro.

Anche questa era una costante, sarebbe stato quasi comico se non fossero andati incontro ad una probabile morte.

 

Attraversarono il villaggio deserto in silenzio, ad eccezione delle lamentele occasionali di Zenitsu; avevano istruito la popolazione affinché rientrassero in casa prima della sera, assicurandosi di non far entrare nessuno dopo il coprifuoco e di lanciare immediatamente l’allarme alla casa vicina, se avessero notato qualcosa di strano; se quel sistema a staffetta avesse funzionato, gli Ammazzademoni avrebbero potuto intervenire nel minor tempo possibile ed impedire ulteriori vittime.

Sfortunatamente, nel caso dei signori Yoshida, le case si trovavano ad una certa distanza, e il rumore del mare che si infrangeva sul pontile doveva aver attutito il suono della lotta; anche se non avrebbe fatto alcuna differenza.

Ora che erano lontani dalla costa, il silenzio si era fatto profondo e innaturale: non lo si sentivano lo squittio tipico dei topi, i miagolii dei gatti in calore, il pianto dei neonati né il russare della gente sfinita da un giorno di lavoro. Quel demone non aveva solo ucciso delle persone ma, soprattutto, aveva privato un’intera cittadina del sonno.

Corsero per le vie il più velocemente possibile, muovendosi come ombre su per la collina, in direzione del castello.



Note dell’Autrice

Ciao a tutti! 

Innanzitutto, grazie per aver deciso di leggere questa fanfic, spero vivamente di avervi incuriositi e, soprattutto, che questo primo capitolo vi sia piaciuto.

Inizialmente avevo previsto un unico capitolo-prologo, ma mi sono resa conto che sarebbe stato troppo lungo, perciò ho deciso di dividerlo lol. Vi prometto che dal prossimo inizierà l’azione.

Per quanto riguarda gli asterischi che troverete nel testo, qui di seguito troverete una spiegazione relativa ai termini a cui fanno riferimento; ho deciso di inserirli perchè per questa storia ho svolto diverse ricerche, in modo da essere il più accurata possibile:

*shiso: appartiene alla famiglia della menta, nella medicina tradizionale si usava per trattare l’artrite reumatoide, le allergie, gli eczemi, e le infiammazioni causate da malattie della pelle. Insieme alla radice di zenzero, inoltre, era impiegato nel trattamento della bronchite cronica

*engawa: è quella porzione di pavimento di una casa tradizionale giapponese che traccia il perimetro esterno dell’abitazione; può essere interna alla struttura della casa, e quindi simile ad un corridoio, oppure esterna, e in questo caso è simile ad una veranda, coperta dal tetto stesso della casa

*la rilegatura dell’erbario trovato da Tanjiro è del tipo Koki Yoji (o Noble Binding); a differenza della Yotsume Toji, la rilegatura più diffusa, che prevedeva quattro fori, ne aggiungeva altri due vicino agli angoli, per renderla più duratura

*zori: sono i classici sandali giapponesi

*genkan: è l’area interna che precede l’ingresso nella casa vera e propria; è qui che si lasciano le scarpe prima di entrare o che si accolgono le persone che sono in visita ma non hanno il tempo di rimanere più a lungo in casa

*fusuma: sono le porte scorrevoli giapponesi, la cui caratteristica è avere una carta washi decorata, a differenza dei più semplici shoji

*l’apprendistato delle miko durava tra i tre e i sette anni; in quel periodo, le ragazze imparavano i nomi di tutti i kami venerati nel loro villaggio, le tecniche di chiaroveggenza e le danze sacre. Non ho trovato notizie circa la loro preparazione nella preparazione di unguenti o erbe, perciò è una libertà che mi sono presa ai fini della trama

*assenzio selvatico: cresce nelle zone collinari o montuose; è altamente velenoso, ma nelle giuste dosi può essere impiegato per curare i disturbi legati allo stomaco, l’inappetenza e l’irregolarità del ciclo mestruale (ma ha anche proprietà abortive)

*i reni nella medicina orientale rappresentano la volontà e la vita, inoltre sono legati all’elemento dell’acqua; se non funzionano bene, la causa è da ricercare in un’insicurezza di base o nella mancanza di incisività del carattere

Come anticipato, questa fanfiction è un crossover, perciò mi muoverò spesso tra il canon e alcune aggiunte personali, tentando comunque di mantenermi nel verosimile. Impresa più facile a dirsi che a farsi, i know.

Ad ogni modo, spero di rivedervi al prossimo capitolo, che dovrei caricare in giornata. 

RedSonja

  
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