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Autore: _Lightning_    09/06/2021    2 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Episodio 4
LA TRAPPOLA

Parte V



 

“L’operazione mineraria su Awath deve procedere come da programma, a ogni costo e con ogni sacrificio. 
Assicurati che il Rodiano segua le direttive... e forza la mano, se proprio devi.

Non farmi pentire di aver chiuso un occhio sul tuo popolo e sul fallimento di Carkoon.”
– Moff Gideon, comunicazione dallo Star Destroyer Revenant,
destinazione ignota, 8ABY ca.

 

 

Din batté più volte le palpebre e quasi pensò che la sua reazione fosse trapelata attraverso il beskar, visto che si sentì gli sguardi di tutti i presenti fisicamente appuntati addosso.

Cosa?

Le assurde parole di Cal si rifrangevano in echi metallici all’interno dell’elmo.

Il Bambino... non poteva diventare uno Jedi? Anzi, non era affatto uno Jedi come aveva sempre creduto? Quel ragionamento seguiva una logica impensabile, errata. Andava a cozzare contro ogni sua convinzione, come un colpo di blaster impazzito che rimbalzava senza via d’uscita su pareti in durasteel.

Lui aveva vagato per mezza Galassia alla ricerca di quei cosiddetti "stregoni" sulla base di cosa? Dicerie e leggende? Menzogne, a quel punto?

Eppure, quella era la Via. L’Armaiola era sembrata così sicura di sé, quando gli aveva assegnato la sua missione. Come se fosse a conoscenza di risvolti dell’Universo a lui ignoti, sondabili solo tramite una profonda conoscenza del Credo, del manda, della vita stessa. Come se fosse in grado di leggere la verità oltre il mito, rendendola visibile anche agli altri.

Si era dunque sbagliata? Din non riusciva a crederlo, non del tutto. Gli aveva... mentito, allora? Din irrigidì la mandibola, ripensando alle rivelazioni di Scorch e a quell’angolo di dubbi nella propria mente che, col passare del tempo, si espandeva sempre più.

C’erano altri Mandaloriani, al di fuori delle Tribù. Mandaloriani che non seguivano il Credo, ma che sembravano saperne molto più di lui su Mandalore e sulla sua storia – persino sui Jedi. Mandaloriani che seguivano un’
altra Via, con la medesima fierezza con cui lui calcava la propria.

Non scacciò quei pensieri molesti: non poteva più ignorare tutti i vicoli ciechi della Via. Non poteva più escludere la possibilità di essere stato ingannato, anche se non riusciva a capirne lintento.

Strinse le dita in un gesto automatico che fece scricchiolare il cuoio del guanto, incrinando la sottile patina di sangue rappreso. Comunque fosse, lArmaiola aveva molto di cui rispondere, sempre che fosse ancora viva. Così come Ruu’buir – anche se da lei poteva aspettarsi una risposta solo attraverso il manda, se davvero esisteva.

Din fece un passo avanti, verso Cal e il muro che aveva appena posto sul suo cammino.

«Lui deve diventare uno Jedi. Questa è la Via,» declamò, appigliandosi a quel concetto rassicurante e accompagnandolo con un moto veemente dellelmo – perché anche sul fondo della menzogna doveva esserci un granello di verità.

Vide il volto di Cal farsi più cupo, gli occhi gettati in ombra delle sopracciglia rossicce che si corrugarono. La sua prima affermazione parve dispiacergli particolarmente.

«Non cè nessun "dovere", Mandaloriano. Non da quando lOrdine è caduto, almeno; e anche allora non era una reale costrizione.»

«Hai detto tu che sei stato costretto,» osservò lesta Cara, cogliendolo apparentemente in fallo.

Invece, Cal si limitò a un sorrisetto dalla piega amara.

«È più corretto dire che non ho avuto scelta. I miei genitori hanno pensato fosse meglio una vita devota allOrdine Jedi che una di stenti, cresciuto in mezzo alla guerra.»

Din deglutì in silenzio, senza poter contraddire quelle parole che sembrarono piantarsi in un punto fin troppo vicino al cuore, in quel frammento di sé rimasto sotto il cielo stellato di Concord Dawn. Ma nessuno lo aveva obbligato a seguire la Via di Mandalore: era stato lui a sceglierla, pur ancora bambino, nel momento in cui aveva accettato di indossare il ciondolo di mitosauro offertogli da Ruu.

Distolse lo sguardo da Cal per posarlo sul piccolo: aveva già gli occhi puntati su di lui, incastonati nei suoi, le mani strette su quello stesso ciondolo che ora pendeva dal suo collo. Din non aveva mai pensato di obbligarlo a seguire la Via, anche se il destino – il manda – li aveva uniti spingendoli a percorrerla insieme, come trovatello e guardiano.

Provò una morsa allo stomaco al pensiero di averlo involontariamente spinto su una strada che, forse, non gli apparteneva. La sentì stringersi ulteriormente nel ripensare agli occhi calmi di Ruu, alla stilla di mestizia e paura che vi galleggiava quando gli aveva detto che doveva seguire la Via. Che, un giorno, avrebbe capito.

Aveva davvero avuto una scelta? Quella domanda si abbatté con un rintocco argentino contro il beskar. La testa gli pulsò attorno alle tempie e incenerì quei pensieri prima che potessero attecchire, immaginandoli spazzati via da una vampata del suo lanciafiamme.

Chiuse per un istante gli occhi, ad attutire il colpo invisibile. Larmatura gli sembrò dun tratto stretta e troppo calda.

Ruotò il capo verso Cal. Il giovane sembrava in attesa che venisse a capo delle sue riflessioni – fu limpressione che gli diede, con quella sua postura flemmatica e gli occhi placidamente socchiusi a schermare le iridi limpide.

Din sospirò, riportando una mano a stringere il bordo della culla. Per trovare una sorta di appoggio ma, anche, per tenerla in qualche modo più vicina a sé – questo laveva scelto, nonostante tutto, e il Bambino aveva scelto lui.

Se era vero che la sua ricerca dei Jedi poteva forse dirsi conclusa, non era del tutto certo che quello fosse davvero il suo desiderio. Ma era la sua missione, legata al Credo e alla promessa fatta ad esso, allArmaiola e al Bambino. Fu solo per quel motivo, che si costrinse a parlare di nuovo:

«Obbligo o no, non puoi almeno aspettare che sia "pronto"? Addestrarlo quando verrà il momento, se lo vorrà?»

A quel punto, la composta patina di compostezza di Cal sembrò incrinarsi, facendo largo a unombra sul suo volto giovane. Strinse le labbra in un moto indecifrabile e scosse la testa con decisione.

«No, Mandaloriano. La Forza mi ha mostrato molti anni fa cosa accadrebbe se prendessi degli allievi, e non ho intenzione di realizzare quella visione. Cè unombra, nel mio futuro, e ho giurato che mai avrei addestrato dei padawan,» asserì, in quella che suonò senza dubbio come una sentenza definitiva, sebbene venata da una sfumatura contrita. «Se davvero vorrà diventare uno Jedi, dovrà trovare un altro Maestro.»

Fu sollievo, quello che si riversò nel petto di Din. Non lo riconobbe subito come tale: avvertì solo mille rivoli dacqua tiepida che scaturivano dal freddo blocco incastrato sotto lo sterno che finalmente si scioglieva. Non ancora, sembrò sussurrare, mentre il concentrato dansia e aspettativa defluiva quietamente.

Gettò unocchiata a Cara, scoprendola adombrata da quelle ultime rivelazioni. Una reazione sensata che avrebbe dovuto avere anche lui, ma che tardava ad arrivare, nonostante avesse appena scoperto di dover ripartire da zero. Da meno di zero, in realtà.

Chinò lentamente il capo, appesantito dai troppi pensieri che vi si affollavano come uno sciame di myrmin inferociti, senza mollare per un istante il bordo della culla. Non poteva lasciarsi sopraffare dai dubbi. Non ora, almeno. Non prima di avere delle risposte.

Prese una boccata daria fredda e stantia: stava per interrogare Cal su quei fantomatici "altri Maestri", quando il giovane puntò di scatto gli occhi verso la fenditura nella parete. Din spostò subito la mano al calcio del blaster, imitato da Cara, una scarica di pelle doca a pizzicargli sotto il beskar. Si era quasi dimenticato che non erano soli, là sotto.

Attivò la visione termica, senza registrare nulla di anomalo oltre la roccia che li separava dal cunicolo principale, ma non sottovalutò lo stato dallerta di Cal, né le rughe di preoccupazione che si inspessirono di colpo sulla fronte del Bambino. Premette il tasto di chiusura della culla, lasciando schiuso uno spicchio appena sufficiente a permettergli di vedere il piccolo.

«Credo che sia meglio riprendere dopo il discorso,» mormorò Cal, sganciando lelsa della spada della cintura e impugnandola saldamente.

BD emise un sommesso cicalio che suonò preoccupato – per quanto "preoccupato" potesse davvero essere un droide, e lologramma della parete traballò a tempo col suo molleggiare inquieto. Din estrasse il blaster, arricciando le dita sul calcio ad accomodare la presa.

«Ci sono altre uscite, oltre a quella della miniera?» chiese Cara, riducendo sensibilmente la voce a un mormorio.

Cal indicò col capo e uno scatto di sopracciglia una direzione precisa, oltre la parete più vicina.

«Ho individuato un paio di sbocchi verso la superficie. Aperture naturali, forse non mappate da Zetz e compagnia.»

«Speriamo, perché non ho alcuna intenzione di fare la fine del womprat in trappola.»

Din non partecipò allo scambio di battute, limitandosi ad accostarsi alla fessura dingresso alla nicchia, una mano che regolava tacca dopo tacca il dispositivo auricolare dellelmo, così da amplificare i suoni circostanti. Oltre il rimbombo cavernoso dei tunnel, scossi da sommovimenti vulcanici e smottamenti tellurici, colse una cadenza più acuta, ritmata. Passi, molti passi che impattavano ritmici e frettolosi contro il suolo, accompagnati da uneco di voci.

Riportò la manopola a una sensibilità non assordante, ma comunque, superiore al normale e scavalcò rapido BD, trapassando lologramma e ignorando le fitte residue al costato. La culla lo seguì dappresso.

Non cera più spazio per i pensieri, adesso: la sua mente si inserì senza scossoni nellassetto da battaglia a cui era stato abituato sin da bambino, lasciando a dopo dubbi e domande.

«Muoviamoci. Abbiamo ancora un vantaggio su di loro,» li incitò, uscendo nel cunicolo tinto di luminescenza azzurrina, dopo aver scrutato entrambe le direzioni a blaster spianato.

Sincamminò nella direzione delluscita senza ulteriori tentennamenti, seguito a ruota da loro: la culla si posizionò tra lui e Cal, mentre Cara andò a chiudere la fila.

«Luscita più vicina?» chiese Din dopo poche falcate, avanzando a fatica oltre una strettoia che grattò contro la beskar’gam.

Cal svicolò con più agilità dietro di lui, assicurandosi che la culla procedesse senza intralci.

«Circa un click. Dà sul versante orientale di Kaha, verso lo spazioporto,» rispose poi, con puntualità apprezzabile.

«Laltra?»

«Due click al massimo. Sbuca su un costone accidentato, ma si può scendere verso la città... anche se senza un sentiero battuto ci vorrà tempo.»

Din si limitò ad annuire, senza rallentare il passo.

«Portaci a quella più vicina: la mia nave è allo spazioporto. Tu non hai intenzione di combattere, vero?» chiese poi, a bruciapelo.

Cal tentennò per un singolo istante, prima di liberare uno sbuffo dallangolo della bocca.

«Non se posso evitarlo. Non voglio essere identificato come "Jedi" e avrei comunque difficoltà contro il tuo compare in beskar,» commentò, con un tenue sorriso che baluginò per un istante nella penombra fluorescente.

Din quasi inchiodò, rischiando di creare un tamponamento a catena dietro di lui. BD, aggrappato alle spalle di Cal, emise una successione di suoni che suonò decisamente seccata. Din ruotò su se stesso, il fiato costretto e improvvisamente bollente nellelmo.

«Il mio "compare in beskar"?» scandì, con la bocca secca.

Cal aggrottò la fronte, colto da genuina sorpresa.

«Laltro Mandaloriano, no? Lakk da guardia che supervisiona Zetz.» Scrollò il capo, come se non riuscisse a raccapezzarsi di fronte alla sua reazione, e qualche ciocca rossa gli scivolò sulle tempie. «Scorch non te lha detto? Pensavo avesse mandato te apposta.»

Din, col cuore che saltò almeno dieci battiti e una fitta violenta dirritazione a scuotergli i nervi, espirò a fatica. A dispetto di tutto, ebbe il nitido sentore che Cal avesse volutamente omesso finora quel pezzo vitale dinformazione. Lasciò correre, concentrandosi su quelli per lui rilevanti – soprattutto con una squadriglia di Imperiali alle costole.

«No. Ma ci sono troppi Mandaloriani o presunti tali su questa roccia,» sbottò, facendo quasi scoppiettare il vocoder, e trovò muto consenso nello sguardo altrettanto aguzzo e scontento di Cara.

Riprese a marciare, i passi decisamente meno lievi di poco prima. Continuarono a districarsi nellintrico di vie, guidati dai precisi cenni di Cal. Din li vedeva appena, la mente offuscata da quellultima, ennesima rivelazione che gli opprimeva i polmoni.

Un altro Mandaloriano. Che serviva lImpero. Non doveva davvero sapere tutto. Ma voleva sapere.

«Sai chi è? Lhai mai visto?» si rassegnò a chiedere, dopo poco.

«Giusto una volta, durante un suo sopralluogo. Zetz lo chiamava Beruya, o qualcosa del genere, ma non sono sicuro che fosse–»

«Beroya,» intuì Din, annuendo tra sé a dispetto della notizia infausta, che lo indusse ad accelerare il passo. «Dank farrik. Non è un nome, vuol dire "cacciatore di taglie". Che armatura indossa?»

Cal si sfregò la barba, pensieroso, mentre gli assestava un colpetto dellelsa sul gomito per indirizzarlo oltre una tortuosa viuzza che aveva quasi mancato di imboccare.

«Era messa male, ma credo fosse verde, bordata di rosso. Aveva quel teschio su uno spallaccio e un emblema che non ho identificato sullaltro,» disse infine, additando il mitosauro in beskar al collo del piccolo, che sporgeva la testolina dalla culla semichiusa.

Din strizzò gli occhi ad attutire la delusione, ma anche il sollievo. Verde per la dedizione al dovere, rosso per onorare un genitore: quei colori non gli erano familiari. Nessuno della Tribù li portava e nessuno aveva mai osato arrogarsi lo stemma sacro del mitosauro. E lunico vero e proprio beroya rimasto in attività negli ultimi anni era lui stesso.

Nessuno della Tribù si era ridotto a far da tirapiedi per lImpero. Non avrebbe sopportato lidea di dover fronteggiare un compagno, fosse stato anche quel buy’ce vuoto di Paz – che, comunque, si sarebbe tolto lelmo piuttosto che collaborare con loro.

«E adesso è qui?» chiese Cara, dal fondo della breve processione.

«Non che io sappia. Mi hanno scoperto qualche giorno fa e da quando mi sono rifugiato nelle caverne ho perso ogni contatto con lesterno. Ma si fa vivo regolarmente. È lunico in grado di tenere a bada Zetz, ed è un miracolo che non si siano ancora ammazzati a vicenda.»

Din e Cara si scambiarono unocchiata oltre Cal: ecco spiegata laccoglienza non esattamente calorosa che era stata loro riservata alla vista di un Mandaloriano. Din si spiegò anche, definitivamente, perché la sua beskar’gam non avesse suscitato tanto scalpore alla Cantina. Fu anche chiaro che, vista la tensione interna ai ranghi, Zetz aveva mire più alte che rimanere un semplice lacchè di qualunque scarto imperiale fosse a capo delloperazione su Awath – magari Gideon in persona.

Un fragore improvviso gli trapassò i timpani, spingendolo a bloccarsi col blaster puntato dinanzi a sé. Colse lombra di Cal che, dietro di lui, si piegava un poco sulle ginocchia, lelsa della spada serrata con entrambi i palmi, pronto ad attivarla.

Leco dellesplosione, accompagnato dal tonfo sordo di pezzi di roccia in caduta libera, si propagava da un punto indefinito davanti a loro – verso luscita. Laveva avvertito con molta più chiarezza dei suoi compagni grazie allausilio dellelmo, ma era indubbiamente vicino, molto più di quanto avrebbe ritenuto rassicurante.

Un flebile verso si levò dalla culla. Din si affrettò a sigillarla, rivolgendo uno sguardo al Bambino, i cui occhi sgranati si persero nel buio sicuro e foderato di duraplast.

«Abbiamo appena perso una via di fuga?»

Cara diede voce al dubbio unanime che si spargeva tra loro assieme al rimbombo residuo dellesplosione.

«Probabile. Luscita è giusto un paio di tunnel più avanti,» confermò Cal, umettandosi nervoso le labbra e accennando al percorso in salita sempre più netta. «Devono averci anticipati dallesterno: non ci sono altre strade, da qui. Anche se non mi spiego come ci siano arrivati in così poco tempo. Non è un accesso facile; non cè nemmeno un punto datterraggio per–»

«Non è un problema, se hai un jetpack,» lo troncò Din, sollevando le spalle a evidenziare il proprio, e il mantello ondeggiò appena, accentuando il movimento.

I torrenti dadrenalina che gli scorrevano nelle vene si fecero più impetuosi. Se cera davvero un Mandaloriano che lavorava per lImpero, non poteva negare che una parte di lui fosse molto ansiosa di fargli rimpiangere quella scelta.

«Portate il Bambino allaltra uscita. Io controllo questa,» disse, la voce che scese di mezza ottava nel parlare. «Vi comunico tramite comlink se è agibile, altrimenti vi raggiungo. In ogni caso, rendez-vous alla Crest

Cara scosse la testa, affatto persuasa, con unocchiata alla sua corazza ancora intrisa di sangue di gundark:

«Mando, non sei nelle condizioni di–»

«Cal può... percepire i pericoli,» la interruppe, più bruscamente di quanto intendesse, «mentre tu sai vedertela benissimo con un manipolo di Imperiali. Il Bambino è più al sicuro con voi. E io so come approcciarmi a un Mandaloriano. Non possiamo comunque lasciare che ci insegua.»

Cara serrò le labbra, segno che non apprezzava quella linea dazione, ma che la riteneva suo malgrado inoppugnabile.

«Aspettate,» intervenne Cal, serrando per un istante gli occhi come poco prima, una mano alzata a mezzaria, che poi scrollò in un cenno dassenso. «Sono ancora dietro di noi. E cè una presenza singola verso questa uscita... laltra sembra libera, almeno per ora, anche se la distanza potrebbe ingannarmi,» concluse, in un chiaro sprone a proseguire.

«Bene, allora non cè bisogno di intercettare il figlio di bantha che ci ha tagliato una via di fuga,» stabilì Cara, buttando fuori un respiro intriso di sollievo.

Din scosse però la testa, nonostante ogni fibra del suo essere sembrasse tendersi in filamenti di durasteel, ordinandogli di seguire quel piano più logico e sicuro – sia per lui che, soprattutto, per il Bambino. Ma quella che gli scorreva nelle vene non era pura e neutrale adrenalina, di quella che infiammava i muscoli per permettergli di portare a termine gli incarichi più estremi scavalcando i limiti del proprio corpo. Non era nemmeno fredda, viva abnegazione di sé per uno scopo più alto, vissuto in aderenza al Credo.

Era un qualcosa di più pungente e contorto; un filo spinato formato da mille, aguzze domande che gli si appuntavano nellanima, prive di risposta e colme di raggiri sin dal primo istante in cui aveva indossato il ciondolo del mitosauro. Quel Mandaloriano traditore era semplicemente lamara goccia di kri’gee che faceva traboccare il vaso.

«No. Voglio vedere in faccia laruetii che lavora per lImpero.»

Il Mandoa, quella lingua estranea che aveva fatto propria assieme al beskar e alla Via, sfuggì tra le maglie del suo autocontrollo, come raramente accadeva al di fuori della Tribù. Scelse con estrema cura le parole che pronunciò – non Mando’ad, ma traditore. E intendeva letteralmente ciò che aveva detto: non avrebbe esitato un istante a strappare di testa lelmo a quel "Mandaloriano", gettando al vento il suo onore già corrotto dal suo voto di lealtà.

La bolla solida di silenzio che li avvolse sembrò fremere, pronta a scoppiare. Cal si fece cupo, la bocca celata del tutto dalla barba, ma il suo nervosismo pareva rivolto più allambiente circostante che a quella affermazione dura e illogica. Cara, invece, sembrava più che contrariata: si mosse inquieta sul posto, irrigidendo mento e spalle. Notò come il suo sguardo corse fugace alla culla, in un muto memento delle sue priorità.

«Vogliono lui e sanno che è sempre con me. È più al sicuro con voi,» si obbligò a ripetere Din, recuperando un tono di voce neutrale. «Non possiamo permetterci di essere seguiti, se è un cacciatore di taglie.»

I cenni dassenso che seguirono quellultima affermazione furono tirati e affatto naturali, ma nessuno dei suoi due compagni sembrava intenzionato a ostacolarlo attivamente, più pressati dalla loro finestra di fuga che si riduceva di secondo in secondo.

Un sommesso patu raggiunse le orecchie di Din oltre la protezione della culla. Dovette fare appello a ogni fibra di volontà per non riaprirla e per trattenere le parole che gli premevano in gola. Per la prima volta da quando aveva accolto con sé il piccolo, vi fu una rigidità ben palpabile nella sua voce infantile. Unombra di rimprovero.

Din tacque, sentendo quellobbligo – quella forza – che lo legava a doppio filo al Bambino tendersi in modo doloroso, quasi fosse cucito sotto le costole, dentro al petto. Come quando aveva visto quella stessa culla allontanarsi al seguito di uno scienziato imperiale. Ignorò la sensazione, come laveva ignorata allora.

N’e’takisit, ad’ika. N’e’takisit. Ni yaimpar iviin’yc, pensò comunque, con tutta l’intensità di cui fu capace. Scusa, ad’ika. Scusa. Torno presto.

Non disse quelle parole: non voleva che fossero le ultime che il piccolo gli sentiva pronunciare, come era accaduto a lui con Ruu. E non lo sarebbero state, questa volta.

Non aprì la culla, né si trattenne ancora, se non per un cenno dintesa con gli altri: voltò le spalle al terzetto e sinerpicò lungo lerta scoscesa del cunicolo, col cuore che batteva fermo ma doloroso alla base della gola.


 


 

Il tunnel si fece più spazioso dopo appena pochi metri e gli permise di procedere con più agevolezza, evitando di urtare le pareti. La percezione del suo mondo si era ridotta alla pressione del blaster nel guanto, al raschiare amplificato del suo respiro nel casco e al franare sommesso di roccia sotto gli stivali.

In lontananza, i passi di Cal e Cara erano già sfumati nel concerto di rombi, scricchiolii ed echi del complesso di caverne. Avrebbero raggiunto ben presto la superficie, evitando forse anche uno scontro diretto con Zetz e la sua banda. Lo sperava, almeno. I due erano comunque guerrieri esperti, più che in grado di tener testa a un misero rimasuglio di forze imperiali.

Il visore registrò un cambiamento di luminosità: una tenue, livida luce solare filtrava fin lì, oltre la svolta a gomito del passaggio. Aggiustò la presa sullarma, attutendo i propri passi e procedendo con più cautela.

Sbucò in una sorta di conca sotterranea invasa da stalattiti, stalagmiti e alte colonne modellate dalleterno gocciolio. Pozze cristalline ristagnava in alcune lievi depressioni del terreno basaltico, catturando il lucore appena percettibile dellalba.

Oltre la strana architettura naturale della caverna, lame sottili di luce scaturivano da un cumulo di rocce ammonticchiate a ridosso della parete cieca. Il tumulo era ancora scosso da piccoli cedimenti e frane: una porzione del soffitto era crollata bloccando luscita, in modo troppo netto per essere naturale. Tramite il visore, scorse il punto dimpatto dellesplosivo: singolo, a medio raggio, forse un missile a concussione. Un fine velo di polvere aleggiava ancora nellambiente, abbastanza ampio da permettere comodamente alla Crest di entrarvi.

Non registrò alcun suono sospetto, né riscontrò alcuna traccia di vita. Forse cera qualche altro passaggio, oltre a quello da cui era giunto lui; oppure, chiunque li inseguisse aveva fatto saltare luscita dallesterno, limitandosi a intrappolarli.

Non era un procedimento da Mandaloriano, quello – si affrontava sempre lavversario, anche nelle operazioni più discrete e soprattutto se era anche lui un Mandaloriano – ma dovette rammentarsi che non aveva a che fare con un vod della Tribù, ma con qualcuno che obbediva allImpero per un pugno di crediti insudiciati.

Avanzò cautamente verso il crollo, pur vedendo con chiarezza che non gli sarebbe stato possibile aprirsi un varco oltre la tonnellata e passa di roccia. Forse con qualche carica termica ben piazzata... così una volta fuori avrebbe avuto il vantaggio di poter raggiungere gli altri per via aerea, o almeno attirare su di sé lattenzione degli inseguitori.

Attraversò la pozza gelida che lo separava dalluscita bloccata, turbandone la superficie immacolata con onde minute, quasi solide nella luce stentata.

A metà strada si immobilizzò di colpo, uno spasmo ad attraversargli la nuca. Un rumore, oltre il gocciolio melodico dellacqua, gli aveva pizzicato i timpani, così fievole da essere quasi indistinguibile e facilmente trascurabile.

A meno che non si fosse stati abituati a sentirlo sin da bambini, e lo si fosse assimilato e catalogato assieme a tutti gli altri suoni considerati familiari, al punto da usarlo come mezzo per distinguere la beskar’gam di ciascun Mandaloriano, anche senza vederla: lacuto e inconfondibile stridio del beskar che sfregava contro il durasteel.

Fu questione di un battito di ciglia: Din si voltò di scatto e aprì il fuoco, proprio quando laltro colpo di blaster impattò contro il suo elmo in un rintocco assordante.

 



 


Note&Glossario
aruetii: estraneo, esterno ai Mandaloriani; per estensione, traditore.
beroya: cacciatore di taglie.
(’)buir: padre/madre. Si può attaccare ai nomi propri come vezzeggiativo (Ruu’buir: mamma Ruu).
kri’gee: un tipo di birra Mandaloriana, molto amara.
myrmin: insetti simili a ragni.
N’e’takisit: scusa, mi dispiaceContrazione inventata da me di N’eparavu takisit, lett. "mi rimangio l’insulto".
– La visione di cui parla Cal nel capitolo non è particolarmente rilevante ai fini della storia: basti sapere che la Forza l’ha "avvertito" che addestrare dei padawan avrebbe inevitabilmente portato al loro massacro da parte dell’Impero. Per questo motivo, in Fallen Order Cal decide di distruggere un holocron (database Jedi) contenente l’elenco di tutti i bambini sensibili alla Forza rintracciati nella Galassia.


Note dell’Autrice:

Cari Lettori,
ci ho mess un po’, è vero... ma come potete vedere, questo è stato un capitolo particolarmente delicato :’)

Vi aspettavate questo risvolto? Beh, nemmeno io, a dir la verità. A un certo punto, Din ha preso iniziativa e ha agito di testa sua... vedremo come andrà a finire ;) Insomma, le strade iniziano a incrociarsi, e vi assicuro che è solo l’inizio. La prossima parte concluderà l’episodio, finora il più lungo, e da quel momento in poi inizieranno a chiarirsi molti dubbi che, lo so, sono rimasti tali finora. Abbiate fede ♥

Detto questo, ringrazio di cuore tutti voi che continuate a seguire la storia, in particolare chi spende una parola per commentarla o aggiungerla alle liste lettura! Grazie, in particolare a Elgas, leila91, Carmaux_95, AMYpond88 e T612 per averla recensita ultimamente ♥ Dico davvero: senza di voi questo viaggio non sarebbe mai arrivato fin qui ♥

Al prossimo capitolo... con una sorpresa! ;)

-Light-

P.S. Ne approfitto per piazzare qui sotto ciò che mi sta facendo brillare gli occhi da settimane, ovvero questa meraviglia di disegno. Un grazie megagalattico a Miryel per averlo realizzato, facendomi piangere di gioia nel vederla esattamente come me l’ero immaginata ♥ Andate a mipiacciarla -> su instagram,<- che aspettate??
Comunque, questa è la mia (nostra) Ruu ♥ (Qui ha circa trent’anni, ovvero quando salva Din; nel presente della storia ne ha circa 60). E niente, ve la lascio qui, sperando che sia così come ve la siete immaginata :’)
[L’immagine in alta qualità è sul mio profilo instagram -> _lightning_efp <- ]

   
 
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