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Autore: Gaia Bessie    09/06/2021    5 recensioni
Tre donne, tre voci.
Sullo sfondo di un processo per necromazia di cui la propria innocenza Asteria Greengrass non è intenzionata a dimostrare, Daphne, George, Draco ed Hermione respirano.
[3 capitoli | Fred/Asteria, George/Daphne, Draco/Hermione | Prima classificata al contest Dantedì! indetto da Severa Crouch nel forum di EFP e partecipa alla Challenge organizzata da Bluebell su FB]
Dal terzo capitolo: Quel che c'è rimasto
«Tuo figlio, Draco» sussurra Hermione, con una calma che non riesce a provare. «Qualcosa di buono ti è rimasto per forza».
Ma lui ride, così forte che le fa temere gli si possano spezzare i polmoni, e la guarda con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono rimasti i bambini» sussurra, prendendole l’anima nuda tra le mani. «Che altro abbiamo, io e te? Matrimoni falliti, vite incrinate e i bambini».
Lei vorrebbe contraddirlo, difendersi, ma lui le fa passare una mano dietro il capo e la costringe in un bacio che non ha senso e non ha scopo – quando si staccano, sta ridendo.
«Mi hai dato uno schiaffo» le sussurra, alzandosi e lasciandola lì, perplessa.
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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E mi manca la tua voce (oramai)

Sei un po’ bambina, le dice lui con rimpianto, guardandola sorridere per farlo sorridere – quando, voglia di sorridere, non ne hanno nessuno dei due.
«Non te l’ho chiesto io, di guardarmi».
 
3. Quel che c’è rimasto
 
[Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e]
 
E non ti ho chiesto di guardarmi
(Celeste Gaia, Un Millimetro)

 
 
D’arrendersi, Draco Malfoy non s’è arreso mai – ma, quando arriva l’ultimo giorno del processo, l’ultimo attimo, si rende conto che non gli è rimasta poi così tanta speranza. Forse, si dice, non ne è rimasto nemmeno un surrogato.
Ma il Ministro della Magia non smette d’esser saldo e, anche quando chiama a testimoniare la Medimaga che ha avuto in cura Asteria Malfoy durante i giorni del processo, non le trema la voce – ma Draco è un osservatore attento e, se ne rende conto perché ormai si è arreso al processo semplice e ovvio del doverla guardare, un po’ le tremano le mani.
Si chiama Anne-Marie Lewis: cognome inglese per nome francese, singolare mescolanza la sua, ma il sangue non mente e il suo ha la lavanda della Provenza a profumarla – quando si siede sulla sedia, di fronte a tutto il Wizengamot, ha i capelli perfettamente acconciati in una treccia a spina di pesce e gli occhi scuri sono saldi.
Nome, cognome, data e luogo di nascita. Tutte informazioni futili, inutili, che Draco si rifiuta di registrare: silenziosamente, la odia già, quella donna – ha frugato nella mente di Asteria, estraendone il suono di uno schiaffo e il rimbombo di un amore ormai terminato. È che è lui a volerlo credere terminato, mai esistito, insensato e così non è.
Sua moglie si è spaccata le unghie e l’anima su quella terra dura, nuda, cercando di ricostruire la vita di Fred Weasley.
Sua cognata s’è spaccata il cuore su quella vicenda, cercando di difendere la sorella con ogni brandello di lacrima che le è rimasto – che George Weasley le ha permesso di versare.
«Dottoressa Lewis» la voce di Hermione spacca i suoi pensieri, deformandoli. «Potrebbe quindi riassumere, a beneficio di noi tutti, il suo parere professionale riguardo il caso di Asteria Malfoy?».
La Medimaga china il capo, come se stesse riflettendo, prima di guardare senza timore ogni singolo membro del Wizengamot.
«La signora è un caso difficile» comincia, incerta. «La sua testa… è confusionaria, lei stessa è confusa».
Draco pensa allo sguardo di sua morte nel momento in cui le hanno detto che Fred Weasley è morto ieri, pensa all’urlo che l’è uscito fuori dalle viscere e pensa a come si sia strappata i capelli con quelle mani ancora fasciate, ancora ferite. Ci pensa e non riesce a trovarla confusa o confusionaria: è lucida, nel proprio dolore, follemente seria nel dire che adesso ha smesso d’avere altri motivi per vivere.
Asteria Greengrass ha dimenticato. Suo figlio, che ha sei anni e in questo momento dorme nel lettone dei genitori, suo marito, sua sorella. Tutto ha perso di importanza, di senso e di significato, così che adesso niente conta se non il fatto che di Fred Weasley non rimane altro che polvere di stelle.
«Si spieghi meglio» la esorta il Ministro, calma. «Sta sottintendendo che la signora non sia in grado di intendere e di volere?».
Draco Malfoy trema quanto le mani di Hermione Granger, nell’udire la risposta di Anne-Marie Lewis. Inizialmente, non la comprende nemmeno.
«D’esser pazza non so dire se lo sia» sussurra la Medimaga, torcendosi le mani. «D’altronde, nemmeno siamo sicuri di cosa sia, la pazzia».
La donna fa una pausa, sospira, prima di lanciare uno sguardo carico di scuse diretto a Malfoy – l’investe, facendolo tentennare.
È quello, il momento. Quello in cui il Paradiso si incrina e inizia a crollare giù, in una miriade di cocci insensatamente affilati – e cosa rimane, lì, nell’alto dei cieli?
Rimane lo sguardo speranzoso della Granger, un po’ da bambina, che ancora si aspetta che Asteria Malfoy venga scagionata solamente perché lei lo spera.
«Ha bisogno di un colloquio più approfondito?» domanda, speranzosa. «Non sarebbe un problema, prolungare il processo di qualche altro giorno: noi non condanniamo innocenti».
Draco, in quel momento, le è intimamente grato – ma ha compreso prima di lei che non v’è speranza, non ve n’è stata mai.
Perché la Medimaga scuote il capo, e una ciocca di capelli nerissimi sfugge da quell’acconciatura inappuntabile, e semplicemente lo dice. In maniera chiara, limpida, senza alcun orpello – e Draco non può fare finta di non comprendere, così che si ritrova la propria mano stretta in quella di sua madre che, ghigno teso e perso di chi subisce l’ennesima sconfitta della propria vita, scuote il capo con aria disillusa. Speranza per speranza, meglio sentirlo così che apprenderlo in altre maniere.
Un urlo soffocato riecheggia nella sala – Daphne Greengrass è svenuta tra le braccia del compagno, nel mare di Weasley presenti in quel processo privato e al contempo pubblico, e George Weasley sta borbottando qualcosa in direzione di suo padre. Forse, un tentativo di difesa.
Ma Draco è lì, fermo, e guarda Hermione Granger – e lei guarda lui: hanno udito entrambi e, ormai, la sentenza è inappellabile.
«Ma di una cosa sono certa, Ministro» ha sussurrato la Medimaga Lewis, calma. «La signora Malfoy ha agito con piena cognizione di causa».
Hermione sospira: sa che adesso le toccherà proporre, farà votare una condanna che sarà giusta ma soprattutto ingiusta, e allora sarà sempre e comunque una condanna sprecata nei confronti di una donna resasi colpevole solamente d’aver amato troppo e troppo a lungo.
«Facciamo una pausa» propone, conciliante. «Ho bisogno di riflettere e ormai è ora di pranzo: la corte può riunirsi nuovamente nel pomeriggio».
Si apre un mormorio – c’è chi vuole il sangue, chi invoca pietà, chi semplicemente è curioso della conclusione. Ma al Ministro Granger non importa.
Si alza dal proprio scranno, con tutta la calma e la dignità che possiede, e a passettini s’avvicina alle file dei testimoni – che oggi ospitano famiglie, amici, il marito.
Nessuno muove un fiato mentre alza la mano e scuote per una spalla Draco Malfoy, che sta soffocando in un singhiozzo silenzioso, prendendolo per un braccio e trascinandolo nella sua scia. Lui si lascia trainare, senza dire una parola, fuori dall’aula.
Sua cognata, i capelli rizzati come quelli di una Gorgone, lo pietrifica con un urlo sulla soglia della porta, congelandolo in quel grido – sei già pronto a tradirla, Draco?
 
***
 
Hermione sigilla la porta del bagno, silenziando la stanza – lui non lo dice ad alta voce, ma sa qual è il motivo: vuole permettergli di piangere e lui non riesce nemmeno a farsi pregare così che, appena lei posa la bacchetta, un singhiozzo gli squarcia in due il torace. Draco si lascia scivolare sul pavimento, nascondendo il viso tra le ginocchia.
Lei non dice niente: si lascia scivolare di fianco a lui, silenziosa, sfiorandogli la spalla con la propria. Dopo una manciata di minuti, lui riemerge dai propri pensieri e le dedica uno sguardo (solo, disperato) e le pone la domanda.
«E adesso?» sussurra, passandosi una mano tra i capelli radi. «Adesso cosa le succederà?».
Hermione sospira, esausta. «Dopo la dichiarazione della Medimaga, nessuno voterà mai per rimandarla a casa» spiega, con professionalità crepata dal dispiacere. «Voteranno tra la reclusione al San Mungo o ad Azkaban, Malfoy. Mi dispiace».
Lui vorrebbe mettersi a gridare ma, quando apre la bocca per compiere questo gesto così elementare, non esce alcun suono – così la guarda, producendo un sibilo rauco e disperato, prendendole la mano con aria disperata. Fa qualcosa, sembra dirle, ti prego.
Hermione Granger – il Ministro inflessibile, ferreo, del Mondo Magico – ha gli occhi lucidi e sta tremando.
«Mi dispiace così tanto» sussurra, stringendogli le mani. «Ho fatto di tutto per salvarla, Malfoy, ma…».
Lo pensa per la prima volta in quel momento, Draco, mentre lei lo guarda e ha il labbro inferiore che le trema: sembra una bambina, la Granger, una bambina scarmigliata che lo guarda con quegli occhi tondi come scodelle e colmi di lacrime.
«Pensi che sia sciocco?» le sussurra, a capo chino. «Aver amato così tanto una persona che, d’avermi amato, forse non mi ha amato mai».
Lei vorrebbe non essere tanto razionale: dirgli che non vi trova niente di sciocco o insensato, nell’amore privo di limiti, ma è sciocca anche lei – e allora, sciocchi in due, si guardano con quell’aria un po’ disperata di chi non conosce tregua nel proprio animo. Tormentato, lo sguardo che Malfoy le lancia, e che lei non sa quietare. Asteria Greengrass c’è mai riuscita?
«A volte» sussurra, infine. «Credo sia necessario amare un’ombra, per uscirne rinsaldati».
Lui ride. «Cazzate» sibila, scuotendo il capo. «Asteria non era un’ombra, lei… non so di cosa sia fatta, forse è per davvero da pazzia e acqua stagnante. Ma, forse, anche soltanto per un secondo…».
Lei lo ha amato. Una certezza piccola, vana, quella di Draco.
Hermione non glielo dice. Sulla scrivania al Ministero Asteria Greengrass non teneva fotografie, se non un’istantanea del Ballo del Ceppo nascosta tra un plico di documenti e il successivo – l’unico momento in cui era riuscita a strappare un ballo a Fred.
Draco Malfoy scuote il capo, come per liberarsi di quel pensiero fastidioso, e la guarda dritto negli occhi. Chissà cosa ci starà vedendo, si domanda Hermione, quieta, che mondo vi starà interpretando.
«Lo sai, vero, che troverà il modo di morire, piuttosto che vivere separata da lui?» sussurra, masticando quelle parole amare. «Che si avvelenerà, si strapperà via l’anima a unghiate, ma lei non sopravvivrà a questo processo».
Hermione lo sa e teme quando le comunicheranno la sentenza – giusta o ingiusta ma che, in qualche modo, Asteria Greengrass già conosce.
Le hanno preso tutti i ricordi. Qualcuno le ha riferito che ha pianto, nel rivedersi giovane e innamorata, ma che ancora di più ha singhiozzato nel rivedersi ancorata a un redivivo Fred Weasley.
Poi, ha chiesto carta e penna e ha scritto una lettera e nessuno ha saputo ben dire a chi fosse indirizzata – a Fred? A suo marito? A suo figlio? Al Ministro?
Nessuno l’ha letta mai. Forse, invocava clemenza – ma Asteria Greengrass, che s’era vista strappare la vita dalla vita stessa, che clemenza avrebbe mai potuto invocare?
Non quella di Salazar Serpeverde, che la vita se l’era avvelenata nel fallimento, nella delusione.
Non quella di Corinna dai polsi fragili, che la vita forse nemmeno l’aveva desiderata più e, allora, semplicemente l’aveva restituita a chi di dovere – che quando il cuore ti si spezza i tentativi di ricostruirlo sono vani e inutili.
Non quella di Tosca dai begli occhi di ghiaccio, che aveva visto tutto e presofferto il resto in un sorso di tè nero: fatta non era stata per vivere senza amore, eppur senza amore s’era dovuta arrendere a passare il resto dei suoi giorni.
E, sul finire, nemmeno Godric.
L’altro uomo, l’amico, il fratello, colui che avrebbe potuto essere il marito se Madama Corvonero ne avesse accettato il nome per sé – e non l’aveva fatto mai. Avrebbe mai potuto, Asteria Greengrass, pregare Godric Grifondoro?
Asteria forse no. Hermione sì.
«Credo sia la prima volta in cui non so cosa fare» ammette, in un sussurro. «Devo condannarla, Malfoy, ma come posso mandare a morte qualcuno senza dirgli che deve morire?».
Lui scuote il capo. «Fallo e basta» sussurra, rassegnato. «Forse non dovrei provare rancore, ma… cosa mi è rimasto, del mio matrimonio?».
Hermione pensa a Godric – al fallimento di ogni battaglia, di ogni preghiera e, infine, di una spada infilzata al cuore di Salazar Serpeverde: non c’è stato tenzone, solamente un lasciarsi morire e Godric non ha vinto, non ha trionfato, ha solamente riportato ordine nell’ordine e caos nel caos.
Cos’è rimasto?
Non frammenti di stelle, non foglie di alloro o stupide infiorescenze, non polvere di speranza o stupidi sogni infranti.
«Tuo figlio, Draco» sussurra Hermione, con una calma che non riesce a provare. «Qualcosa di buono ti è rimasto per forza».
Ma lui ride, così forte che le fa temere gli si possano spezzare i polmoni, e la guarda con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono rimasti i bambini» sussurra, prendendole l’anima nuda tra le mani. «Che altro abbiamo, io e te? Matrimoni falliti, vite incrinate e i bambini».
Lei vorrebbe contraddirlo, difendersi, ma lui le fa passare una mano dietro il capo e la costringe in un bacio che non ha senso e non ha scopo – quando si staccano, sta ridendo.
«Mi hai dato uno schiaffo» le sussurra, alzandosi e lasciandola lì, perplessa. «Mi hai dato uno schiaffo».
 
***
 
Quando la condannano, lei ride, ride, ride.
Asteria Greengrass-Malfoy rimane in piedi al centro della stanza, in un vestito bianco che pare a metà tra una camicia da notte e un abito da sposa sfrangiato, lì sulle ginocchia, e li guarda tutti – uno per uno, li fa rabbrividire. Si sfrega i polsi sottili, come bastoncini per accendere il fuoco, e in quegli occhi chiarissimi si consuma il vero incendio, la vera guerra: lì dentro, Salazar e Godric stanno combattendo per l’onore di Corinna dai capelli color carbone, mentre Tosca ne piange la morte (di tutti e tre).
Le dicono che non dovrà andare ad Azkaban, nessuno ha avuto il coraggio di mandare una donna così giovane, così fragile, a passeggiare tra le mura scoscese della prigione dei maghi. Ma, se non Azkaban, una stanza bianca – bianchissima – al San Mungo: le dicono che dovrà passar lì il resto dei suoi giorni, perché la sanità mentale è ingiudicabile, ma la sua sicuramente è marcita come quei tulipani che lei ha reciso a mani nude. Avrà amore, assistenza, le visite dei suoi parenti – quando glielo dicono, lei comincia a tremare convulsamente e le devono portare una sedia, perché Asteria Malfoy non si regge più in piedi.
Suo marito nemmeno la guarda negli occhi – ha colpa silenziosa dipinta sul viso, tracce di rossetto a colorargli le labbra, e Asteria se ne accorge e sorride: bravo, gli ha sussurrato passandogli di fianco, vedo che hai compreso. Che a volte uno schiaffo ti riavvia il cuore più di un bacio e tu ci hai messo così tanti anni per comprenderlo – a volte amiamo persone per anni e nemmeno ce ne rendiamo conto.
Le dicono che avrà una Medimaga che si occuperà di lei giorno e notte, che potrà persino scegliere Audrey Weasley, se lo vorrà, ma Asteria non ascolta. C’è un mondo che le si agita in mente e nessuno, nell’aula fredda del Wizengamot se ne rende conto.
«Posso parlare?» sussurra, lei, crepando l’aria con quel sussurro. «Ministro, che ne sarà di mio figlio? Potrò vederlo?».
Hermione lo dice. Lentamente, con dolcezza, che i bambini non possono entrare nell’ala psichiatrica dell’Ospedale Magico – se non con il consenso dell’altro tutore.
Asteria guarda suo marito: il viso di Draco è una maschera di marmo ed è chiaro – chiarissimo – che quel permesso non lo avrà mai. In un bacio, suo marito s’è avvelenato di rancore.
Allora lei lo guarda, semplicemente, si rialza in piedi: muove un passo, ride, cade, non si rialza. Sul pavimento, tossisce.
Il Ministro della Magia si alza in piedi in un fruscio di gonne color tortora, correndo con la bacchetta, in mano, pronta a soccorrere quella donna che lentamente si sta lasciando scivolare via – ma Asteria Greengrass la guarda con aria di sfida, tossendo una macchia di sangue sul pavimento.
Hermione fa per mormorare un incantesimo – un qualunque incantesimo – ma non le vengono le parole. Draco Malfoy, alle sue spalle, le posa una mano sul braccio e scuote la testa.
 
***
 
«L’hai lasciata morire».
Hermione cammina avanti e indietro per il bagno torcendosi le mani, la bacchetta dimenticata a tener sui capelli in un uno chignon disordinato.
«Tu hai lasciato morire tua moglie» sibila, tornando a guardarlo negli occhi. «Come lo dovrei considerare, Malfoy? Omicidio?».
Lui non risponde – incredulità ne distorce i tratti e gli impedisce di dire anche solamente mezza parola, anche solamente di guardarla. Ha visto sua moglie. L’ha vista accasciarsi al suolo e sputar sangue come fosse aria dai polmoni e non ha fatto niente per farla smettere.
«Mi ero già rassegnato, Granger» ammette, piano. «Che avrebbe trovato un modo per morire prima della fine del processo».
Lei lo guarda – sospetto, in quegli occhi scuri: ha visto l’espressione rassegnata con cui ha lasciato crollare Asteria Greengrass sul pavimento, tossendo sangue, senza muovere un muscolo. Che si dica pure che i Malfoy non hanno un briciolo di coraggio nelle vene: è tutto vero. Che si continui a dire che Draco Malfoy è un codardo ma che, soprattutto, non sa amare – è vero ancora: non si sa se faranno un’autopsia a sua moglie, ma ne rinverrebbero sogni e cuore infranti.
È quel che domanda il ministro – vuoi che ne facciamo un’autopsia – gli pone silenziosamente ed è quella la domanda cui lui non risponde.
«Andiamo via di qui» le sussurra, pianissimo, tendendole la mano con aria disperata. «In un posto dove non importa se io sono io e se mia moglie è appena morta davanti a me».
Lei è di nuovo – ancora – bambina e lo guarda: ha risentimento, voglia di rimproverarlo, dentro di sé. Non lo fa, non lo fa mai – nelle mani di lui è plasmabile, ha di nuovo sei anni e vuole giocare: così Hermione Granger gli prende la mano e Draco Malfoy è ancora disperato (un po’ di meno) e paiono la parodia stempiata e stanca dei loro figli. Cos’hai detto che c’è rimasto del Paradiso?
«Malfoy» il tono di lei è pieno di rimprovero. «Certo che importa che tua moglie sia appena morta accanto a noi. Ci sarà un’autopsia, mentre noi stiamo qui a parlare e…».
«Ehm, Ministro?».
Hermione alza gli occhi al cielo, nel sentire la voce di Biggs, il proprio assistente, bussare alla porta del bagno.
«I risultati dell’autopsia di Asteria Greengrass-Malfoy» continua l’uomo, con insolito entusiasmo. «Ho pensato che volesse vederli prima di subito e così».
Lei gli spalanca la porta davanti, afferrandogli i documenti dalle mani e tornandogli a sigillargli la stanza di fronte al naso. Legge attentamente il referto, come si trattasse della propria, di morte e, quando finalmente guarda Malfoy, ha gli occhi spalancati come una bambina.
«Si era avvelenata» sussurra, pianissimo. «Hanno trovato tracce di arsenico nel rossetto che aveva indossato quella mattina».
Draco Malfoy ride così forte da farsi dolere i polmoni e farsi venire le lacrime agli occhi mentre Hermione Granger, il Ministro della Magia, riesce solamente ad abbracciarlo sussurrandogli che non ci saranno altri processi. La morte di Asteria Greengrass è da considerarsi suicidio.
Ma allora, del Paradiso, cosa c’è rimasto?
 
***
 
Il funerale di Asteria Greengrass è terribilmente solitario: i Weasley non hanno voluto partecipare. Solamente George ha rotto il veto di famiglia e si è presentato alla funzione con un elegante completo nero e Daphne Greengrass in veletta grigio perla al braccio: una coppia insolita, la loro, ma non per questo meno funzionante – mi piacciono i fiori, ha detto lei posando una corona di stelle di Natale precoci sulla tomba della sorella, penso piaceranno anche a lei.
Non si sono presentati amici, forse intimoriti dalle dicerie riguardanti un possibile avvelenamento della donna da parte del marito.
Herbert Greengrass è morto ormai anni fa, in occasione della Battaglia finale, ucciso da Bellatrix Lestrange in persona – qualcuno aveva fatto il suo nome e una testa era rotolata, fino a giungere ai piedi di Lord Voldemort.
Silena Greengrass non era sopravvissuta a lungo, prima di rendere doppiamente orfane le figlie, lasciandole in un maniero silenzioso e fatto di spifferi e ragnatele: morta di solitudine e crepacuore, la signora Greengrass, aveva chiesto dolcemente alla maggiore d’aver cura della minore e così era stato. Per un po’.
Poi, un giorno, Asteria s’era innamorata – o s’era ricordata d’esser stata innamorata, più precisamente, e allora era stata una discesa sempre più veloce verso l’inferno. Rosso, quell’inferno, come i capelli che aveva accarezzato in un tempo che pareva perduto, che sicuramente era passato, ma mai sepolto o comunque soggetto a dimenticanza.
Poi, un giorno, s’era innamorata anche Daphne – per sbaglio o per errore, in quel momento Daphne aveva aperto gli occhi e s’era resa conto che era tutto monocolore, rosso, come i capelli cui s’appigliava durante ogni amplesso. Il rapporto con sua sorella s’era lentamente deteriorato fino a rompersi completamente – gelosia folle, da parte di Asteria, forse brandelli di invidia: Daphne aveva ottenuto quel che lei aveva perso per sempre.
Draco Malfoy s’è presentato senza il cuore spezzato, ma con l’anima comunque in frantumi e un corteo di amici pronti a sostenerlo. S’è presentato in un elegante completo nero, il figlio di sei anni abbracciato alla sua gamba sinistra, incapace di comprendere cosa stesse succedendo e i capelli biondi come una ferita nel paesaggio.
Blaise Zabini e sua moglie Olive facevano eco al corteo funebre, con i loro completi viola scuro, subito dietro Draco e Scorpius, seguiti da Theodore e Pansy Nott, e dai coniugi Goyle.
Non è voluto venire nessun altro – amici Asteria pareva non averne e, se ne aveva, il coraggio di presentarsi non lo hanno avuto: solamente una donna ha sfidato il gelo e il freddo per posare un mazzo di biancospino su quella tomba un po’ troppo spoglia.
Il Ministro della Magia, elegantissimo in un completo blu scuro, ha tenuto la mano della propria figlia maggiore, fino a incontrare lo sguardo sorpreso di Draco Malfoy.
«Non pensavo saresti venuta» commenta, lui, sorpreso. «Grazie per averlo fatto».
«I morti meritano rispetto» risponde lei, chinando il capo. «A prescindere dal tipo di morte».
Si guardano negli occhi – c’è spazio per molto altro, ma non riescono a dirselo.
 
***
 
Il giorno dopo s’incontrano.
Fingono che sia per caso, ma in realtà dietro ogni caso vi è una certa dose di premeditazione e allora loro premeditano di incontrarsi al Ministero, nell’ufficio di lei, con un’udienza fissata per la durata di ben due ore: per discutere del processo, spiega lei a chiunque sia disposto ad ascoltarla, così è conferma lui quando glielo domandano, ma entrambi sanno che stanno mentendo a loro stessi.
Che Hermione quel giorno è più nevrotica del solito e continua a far cadere le penne dal portapenne, facendole cadere come i raggi di una ruota sul pavimento, e poi a strappare l’angolo dei fogli di pergamena che le passano da firmare, dove rovina il proprio nome – Hermione Jean Granger – con una goccia d’inchiostro innecessaria.
Che Draco quel giorno si è sistemato il completo da Mago almeno una decina di volte allo specchio, stringendo e allargando la stoffa con misurati colpi di bacchetta. Suo figlio lo guarda, riflesso nello specchio, e prova ad acchiapparne l’immagine con le ditine paffute – non ci riesce mai, ma Draco continua a sistemarsi il completo, come se non dovesse incontrare il Ministro ma Dio in persona.
Il giorno dopo s’incontrano e, come due perfetti sciocchi, hanno portato con loro i due bambini, che s’osservano curiosi.
«Biggs» chiama Hermione, con una calma innaturale che non prova. «Porteresti Rose e Scorpius all’asilo del Ministero, sì? Io e Malfoy abbiamo una riunione cui presenziare».
Lui pensa che riunione sia un termine volutamente ambiguo, e le rivolge uno sguardo perplesso, che Hermione non ricambia – forse volontariamente.
Lei gli fa strada fino al suo ufficio, indicandogli la sedia posta di fronte alla propria, mentre lei si siede sulla propria poltrona, accavallando le gambe.
«Mi stavi aspettando» commenta lui, osservando come le matite siano state poste ben lontane dal bordo della scrivania. «Non posso che dirmi onorato, Granger».
Lei sorride, ha il rossetto sbaffato sui denti e nemmeno se n’è resa conto – un piccolo sbaffo nella sua vita perfetta, nella sua carriera perfetta: Hermione gli tende la mano, come avessero bisogno di presentazioni, e gli fa cenno di parlare.
«Cosa posso fare per portarti a cena fuori?» domanda lui, compitamente. «Per ringraziarti per avermi aiutato nel processo con mia moglie».
Lei si rizza sullo schienale della poltrona, mettendo in mostra le spalle ben dritte e un sorriso di circostanza. «Ma nulla» trilla. «Non è necessario e non sarebbe nemmeno etico, Malfoy».
Lui sorride – gli si spacca in due la faccia, lineamenti affilati come quelli di una bellissima statua di vetro.
«Io lo reputo necessario» risponde, pacato. «Ministro, forse per te non è importante, ma… quello schiaffo…».
A lei fa ridere l’intensità con cui pronuncia quella parola, ma trattiene la risata nel rossetto rosso un po’ sbaffato, e gli rivolge uno sguardo serissimo.
«Avevamo tredici anni e io lo ricordo a stento» risponde, calma. «Non fare di un caso il processo». Non gli dice che lo ricorda benissimo, che è un suono che le rimbomba dentro come riaccadesse a intervalli di cinque minuti, ma sorride dolcemente e gli indica la porta.
«Se è tutto qui, signor Malfoy…» suggerisce.
«Vieni a pranzo con me» sussurra lui, abbandonando ogni formalità. «O a cena, se preferisci. Ho bisogno di sapere se Asteria aveva ragione, se davvero lo schiaffo è l’anticamera di qualcosa di più».
«Tu vaneggi, Malfoy» commenta il Ministro, alzando gli occhi al cielo. «Ora, per cortesia, esci dal mio ufficio».
Ma lui si alza e si avvicina a lei a grandi passi: non è imponente, l’età l’ha mantenuto smilzo, ma nemmeno lei è mai stata famosa per essere una donna dalla statura particolarmente elevata. Per un momento si scrutano, silenziosamente, con lui che le sfiora il mento con la mano e tituba, domandandosi se avrà il coraggio – Hermione è certa che non lo avrà, finché lui non si china su di lei e le ruba dalle labbra un bacio.
Lei non riesce a non ricambiarlo, a non approfondirlo, a non gettargli le braccia al collo per attirarlo verso di sé. Semplicemente non riesce.
Così lui s’insinua tra le sue gambe, scostando i lembi della gonna color tortora, divorandole le labbra in quel bacio inutile e insensato che ha il suono e il sapore di uno schiaffo – e, mentre le sbottona la camicetta, mentre lei s’aggrappa alle sue spalle, un solo pensiero gli invade la mente: Asteria Greengrass aveva pienamente e perfettamente ragione.
Non importa quanto lui possa sfiorarle il petto a mani nude, quanto lei possa coprirsi pudicamente i seni: quello schiaffo li ha uniti, li ha resi pienamente complementari.
«Malfoy» sospira Hermione, sentendosi liberare dalla gonna color tortora. «Non dovremmo. I nostri figli sono a giocare al piano di sotto».
«Dovremmo» risponde lui, slacciandosi i pantaloni. «Perché tu sei fatta per me e io per te, da quando avevamo tredici anni e tu mi hai dato quello schiaffo».
«Che cazzata» sussurra lei, attirandolo a sé. «Trovane una migliore».
Lui ride, entrandole dentro in un sussulto. «Non ne ho, una migliore» le sussurra, cominciando a muoversi dentro di lei. «So solo che sei fatta per me e lo eri già prima che io conoscessi mia moglie».
Lei sospira, socchiudendo gli occhi sotto l’impeto delle spinte di lui.
«Non può funzionare» gli sussurra, stringendolo a sé con tutta la forza che le sue gambe snelle le permettono. «Non può».
Lui la guarda dritta negli occhi, snudandole l’anima fino al punto più puro, facendola arrossire.
Sei un po’ bambina, le dice lui con rimpianto, guardandola sorridere per farlo sorridere – quando, voglia di sorridere, non ne hanno nessuno dei due.
«Non te l’ho chiesto io, di guardarmi» sussurra, a disagio. «Come se ci appartenessimo».
«Non temere» risponde lui, alzando la mano, a metà tra una carezza e uno schiaffo. «Ci apparteniamo».
 
***
 
Cara Asteria,
 
Sono mesi che provo a scriverti questa lettera e, tutto quello che mi viene in mente, è il rumore di uno schiaffo: così sei entrata nella mia vita (con un racconto di George) e così tuo marito si è insinuato nella mia, con delle frasi da film e il tuo fantasma che ci benediva silenziosamente. Ho sempre creduto che, in un certo senso, tu fossi dalla nostra. Che ci avessi benedetto il giorno del processo, quando ti sei presentata in un abito da sposa sfrangiato e ci hai sfidati a condannarti per aver amato troppo – io, che pur avrei dovuto presiedere la giuria, di condannarti non ti avrei condannata mai.
Ho pensato che ci avessi benedetto il giorno in cui sei arrivata e non hai voluto baciare tuo marito, per salvarlo dall’arsenico nascosto nel rossetto che avevi ingerito con grazia, senza farti notare, e allora l’ho pensata come l’ennesima personalissima benedizione che ci hai dedicato. E hai benedetto tuo figlio posandogli la mano in capo, con freddezza hanno detto di te, ma in verità avevi semplicemente paura di sfiorargli anche solamente il viso con le labbra.
Dicono che Scorpius sia il ritratto di Draco. Io, invece, trovo che tutto sommato somigli a te – ha qualcosa, in quegli occhi azzurri come una pervinca, che sa di te: a volte mi domando cosa ci abbia lasciato il Paradiso, di tutto quel che abbiamo perso, e la risposta non è mai facile.
Avrei detto le stelle – una cometa che s’infrange con dolcezza sulla terra, senza far male: esprimi un desiderio, coraggio, te lo regalo. Io lo so, che desiderio hai espresso tu, ma non c’era speranza che potesse tenere – non c’era schiaffo abbastanza forte che potesse rimbombare nell’aere.
E avrei detto le stelle solamente per dire di te, che ci stai guardando ancora e a volte sorprendo Scorpius al davanzale con le mani giunte e mi dice che sta pregando e prega mamma.
Avrei detto che erano i fiori – le stelle di Natale che tua sorella ti ha lasciato sulla tomba, premature, dato che era ancora novembre: a lei piacerebbero sicuramente, mi ha detto, amava i fiori come poche altre cose. Persino le infiorescenze inutili come quelle dell’alloro, ha detto Daphne, amava anche me, anche se diceva che ero stata capace di tradirla.
E lei forse non ci crederà mai, ma io so che nel giardino di Dio in cui ti trovi, tu, tua sorella l’hai perdonata.
Ma, in realtà, adesso so che non è niente di tutto questo: che quel che ci hai lasciato del Paradiso non sono né le stelle né i fiori.
Sono Rose e Scorpius che giocano fuori da Malfoy Manor a rincorrersi, senza cadere mai, e di fermarsi non ci riescono mai.
Non sono le stelle, mi ha detto Draco, guardandoli, né i fiori. Il Paradiso ci ha lasciato
 
[i bambini]
 
 
[Hermione]


 

2T. S. Elliot, La Terra Desolata
   
 
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