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Autore: Cladzky    12/06/2021    1 recensioni
[Tetsuwan Atom (Astro Boy)]
Il dottor Tenma ha un sogno. La creazione di robot autonomi e capaci di pensare. fallimento dopo fallimento, la morte infine lo indirizza sulla via giusta. Ma non può farcela da solo e finisce con il chiedere aiuto e indebitarsi con le persone sbagliate. Nasce Atom, il primo robot senziente, ma finirà presto con il perdersi nell'abisso che è l'umanità stessa.
Espansione del manga "Tetsuwan Atom", di Osamushi Tezuka.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Anche attraverso gli occhiali da sole la luce gli pareva insopportabile e il caldo asfissiante. Risalì l’argine del fiume, per coricarsi sotto le fronde di un debole pioppo. Grugnì per quella sistemazione così scomoda e provò a chiudere gli occhi, ma non ci fu verso di riposare, perché lo scrosciare dell’acqua gli dava alla testa.

Riaprì le palpebre, ma proprio non gli riusciva di trovare alcuna bellezza in quel luogo. Il ministero gli aveva concesso, o meglio, caldamente consigliato di prendersi delle ferie, trascorrere del tempo con la propria famiglia e così aveva fatto. L’idea di passare un fine settimana di escursionismo nell’Hokkaido fu tutta di Hoshie, perché fosse stato per lui sarebbe rimasto a lavorare giù a Tokyo. E invece si trovava nel bel mezzo dei monti, lungo le rive del fiume Ishikari, mentre nel mondo civilizzato piani e progetti andavano avanti senza di lui. Come diavolo avrebbe fatto a riposare?

Abbassò lo sguardo. Con l’acqua alle caviglie, Hoshie e Tobio giocavano a far rimbalzare i sassi sull’acqua. Rabbrividì al pensiero di quanto fosse gelido quel fiume. Eppure sembravano divertirsi. La mise estiva di suo figlio, in pantaloncini e canottiera, metteva in risalto una delicatezza delle forme tale che ebbe paura la corrente potesse portarglielo via.

—Attenti a non scivolare voi due— Gridò dalla sua posizione, portandosi una mano alla bocca. Non l’avesse mai fatto. Tobio si voltò di scatto al richiamo, e non appena gli occhi nocciola di entrambi si incontrarono, i piedi scalzi del bambino scivolarono sul letto d’alghe del fiume. Nella questione di un attimo Tobio si trovò a gambe all’aria nelle acque dell’Ishikari, mentre Tenma era saltato in sella alle sue per soccorrerlo. Ma quando si avvicinò la situazione appariva assai meno grave: Tobio sedeva, con l’acqua alla cintola, più confuso che spaventato, tremando appena per lo sbalzo di temperatura. Anzi, prese a giocare strizzandosi l’acqua fra le mani verso Hoshie, chinata verso di lui, che non mancò di rispondere, ridendo —Ma insomma, che ti avevo detto?

—Non essere così duro, caro— Lo rimproverò sua moglie, raccogliendo il figlio dall’acqua, cingendoselo in seno, testa sulla spalla, stringendolo con amore. Gli strofinò il naso appuntito con il proprio. Il suo, Tobio, lo aveva ereditato dalla madre e così i capelli, meno ricci del padre —Dopotutto non si è fatto niente. Piuttosto, perché non vi divertite un po’ insieme?

Così dicendo gli passò Tobio. Tenma, che era rimasto sulla riva, lo prese per i fianchi, tenendoselo lontano e poggiandolo per terra.

—Non adesso, è bagnato fracido— Si lamentò lui. Hoshie sospirò, mentre il bambino si scuoteva gli abiti zuppi. Tenma allargò le braccia —Non fate così, non ho mica detto di no— Poggiò una mano sulla testa del ragazzo —Cosa hai voglia di fare Tobio?

—Ecco— Esitò il figlio, guardandolo da sotto i ciuffi di capelli neri —Volevo chiederti se potessi insegnarmi a pescare oggi— Concluse, imitando il gesto di una canna con le mani.

—Pescare?— Si strofinò il mento Tenma, alzando gli occhiali al cielo —È da molto che non lo faccio, non credo di esserne ancora capace.

—Ricordo che eri bravissimo una volta— Tobio gli afferrò con la mano bagnata un lembo della camicia, che suo padre subito si adoperò per staccare. Ma quando si chinò per farlo incontrò il viso apprensivo del figlio, con quelle sopracciglia che si incurvavano verso l’interno e le palpebre inferiori alzate, pur mantenendo una facciata di sorriso —Dimmi di sì, almeno questa volta.

—D’accordo, hai vinto tu— Si arrese, ponendo indice e pollice a stringersi la radice del naso, strizzando gli occhi —Se ti metti qualcosa di asciutto giuro che oggi ti insegno a pescare.

—Davvero?— E subito Tobio sgranò gli occhi e fece per abbracciarlo, non si fosse ritrovato la mano di suo padre in fronte a tenerlo a distanza.

—Ho detto di cambiarti prima— Rise Tenma. Tobio assentì e si diresse verso la tenda, sotto lo sguardo del padre. Hoshie uscì dall’acqua e gli si mise accanto.

—Mi ero dimenticata quanto fosse bello vederti interagire con tuo figlio— Commentò lei senza guardarlo.

—Per favore, non di nuovo questa storia— Allargò le braccia lui, dirigendosi a prendere l’attrezzatura. Lei lo seguì.

—Ultimamente non sei stato molto presente nella vita di Tobio.

—Come se mi divertissi a ignorarlo— Replicò stizzito, aprendo la cassa —Lavoro sodo perché lui possa permettersi una vita migliore.

—Alle volte mi sembra invece che tu sia più interessato agli studi sulla robotica che alla tua famiglia.

—Non ti permetto di dire così— Si voltò lui di scatto, smettendo di montare la canna da pesca.

—Allora spiegami, perché il tuo stipendio è rimasto pressoché invariato da quando ti sei fatto carico di tutti quei progetti e hai preso a passare le giornate in ufficio?— Hoshie avvicinò quel suo piccolo naso all’insù al volto sudato di Tenma. Quegli occhi verdi non mostravano esitazione —Solo perché lavori più duramente dei tuoi colleghi non vuol dire che ti stai sacrificando, se a fine mese puoi ottenere lo stesso risultato con meno sforzi. La tua è una passione, non un dovere, vero?

—Come al solito non riesci a cogliere il disegno più grande della situazione— Sbottò lui, agitando una mano come a disperdere fumo —Tutte queste responsabilità che mi sto assumendo sono per dimostrare al consiglio di amministrazione che sono l’uomo ideale per assumere il posto di dirigente al ministero. E quando succederà allora sì che le cose cambieranno. Non avremmo più le preoccupazioni economiche di oggi. Tobio potrà avere quello che vuole, permettersi gli studi migliori, lo capisci?

—Ma Tobio non ha bisogno di soldi ora— Hoshie gli mise una mano sulla guancia —È un periodo delicato della sua crescita e vuole solo un padre più presente.

I lineamenti di Tenma si ammorbidirono per un momento. Le labbra tornarono a coprire i suoi denti, gli calarono le sopracciglia e gli occhi gli si fecero più liquidi, mentre poneva la propria mano su quella della moglie. Ma non durò a lungo.

—Senti chi parla— Gracchiò offeso, staccando la mano di Hoshie dal proprio viso —Come se tu ci fossi sempre per lui.

—Ne abbiamo già parlato…— Provò a deviare il discorso lei, guardando altrove.

—E parliamone ancora— Tenma porse alla moglie la canna e le esche, mentre lui si trascinava dietro lo sgabello, dirigendosi entrambi verso il fiume. Si spostarono un poco seguendo l’Ishikari, in una zona dove la pendenza si appiattiva e il letto del fiume si allargava all’ombra di una grossa sporgenza rocciosa. La corrente era più placida, quasi ferma; le acque più profonde e trasparenti. La tenda era ancora visibile poco più indietro. Quando Tobio ne uscì, cambiatosi gli abiti, e si guardò confuso attorno, cercando i propri genitori. Hoshie alzò le mani e la voce.

—Siamo qui tesoro!

Lui voltò il capo, radioso, e si diresse verso di loro, saltando di pietra in pietra.

—Non mi sembra che da quando abbiamo Tobio tu abbia lasciato il lavoro da parte— Proseguì Tenma —Se io diventassi il nuovo dirigente non avresti più bisogno di contribuire alle spese, penserei a tutto io e nostro figlio potrebbe crescere con una madre sempre dedita a lui.

— Io sarei anche disposta a lasciare tutto per il bene di Tobio— Sembrò scongiurarlo di capire Hoshie, esasperata, prendendolo per un braccio.

—Ah sì?— Aggrottò diffidente la fronte.

—Certo, ma so che non c’è bisogno di arrivare a tanto. Crescere un bambino è un lavoro che spetta a tutti e due. Se mettessi da parte le tue ambizioni ti renderesti conto che l’impiego che hai ti basta e io non dovrei abbandonare il mio per ricoprire il tuo ruolo nella vita di Tobio. Lo sai che per me il fumetto non è solo un lavoro. Non costringermi ad abbandonare i miei sogni per dedicarmi interamente alla vita familiare.

—In un certo senso— Borbottò Tenma, abbassando lo sguardo e chiudendo gli occhi —Tu mi chiedi lo stesso. Se divenissi dirigente del ministero potrei ottenere più facilmente i finanziamenti che mi servono per i miei progetti. Atom non sarebbe più solo un sogno.

—Per favore, concentrati su ciò che è davvero importante— Lo pregò Hoshie, abbracciandolo alle spalle, sospirandogli all’orecchio —Atom è davvero più importante di tuo figlio?

—Non è quello che ho detto…— Ma non poterono concludere il discorso, perché Tobio si era unito per istinto al loro abbraccio. Hoshie gli mise una mano sulla guancia, Tenma sulla fronte.

—Allora papà, puoi insegnarmi a pescare ora?

***

—Allora— Illustrò Tenma, sedendosi sullo sgabello pieghevole —Prima di tutto ci si trova un bel posto dove sistemarsi.

—E come lo scegli?— Chiese Tobio impaziente, con la canna in mano, facendo dondolare il galleggiante. Hoshie li guardava poco più in là, alzando lo sguardo ogni tanto dal suo blocco di disegno. Si era messa la giacchetta perché un vento freddo aveva cominciato a soffiare nella vallata.

—Beh— si sistemò la visiera del cappello —Sono sicuro che ci sia un metodo, ma io vado a sentimento.

—Sentimento?

—Oh, sì. Vedo un posto e sento che è quello giusto.

—E come fai?

—Mah, se ci fosse una ragione da spiegarti non sarebbe più una scelta fatta a sentimento. Piuttosto passami la canna ora.

Tobio fece come gli fu chiesto. Tenma l’appoggiò con la base a terra e il resto al proprio corpo, manipolando l’amo con le braccia.

—I pesci non abboccano di propria iniziativa, vanno ingannati— Tolse il coperchio da una scatoletta e ne estrasse un gamberetto ben conservato. Procedette ad infilzarlo nell’amo —Quindi si attacca un’esca all’estremità della lenza e quando il pesce la mangia si tira su.

—E come fai a sapere quando il pesce l’ha mangiata?— Tobio si era avvicinato per osservare da più vicino l’amo, su cui si dibatteva il gamberetto, infilato per la coda. Ovvio che era ben conservato, era ancora vivo.

—Lo sai perché l’amo è fatto apposta per restare impigliato in bocca al pesce. Così lo senti tirare e puoi tirarlo a tua volta fuori dall’acqua.

—Oh— Disse il bambino, ritraendosi un poco —E fa male ai pesci?

Tenma dovette rispondere con attenzione. Buttò un’occhiata per sicurezza anche ad Hoshie. Lei scosse la testa.

—Non credo i pesci sentano dolore— Scosse la testa, poi strinse insieme le gambe —Senti, perché non ti siedi sulle mie ginocchia, così ti insegno a gettare la lenza?

Tobio annuì e si arrampicò sopra le gambe del padre, premendogli la schiena sul petto, rivolto verso il fiume. Si trovava bene così vicino a suo padre, specie ora che la temperatura stava calando. Impugnò il manico della canna, giusto sotto le mani più grandi di Tenma. Quest’ultimo gliele sistemò affinché avesse la giusta presa.

—Bene— Sentenziò il padre —È il momento di gettare l’esca.

Sollevarono la canna, lasciando srotolare il filo. Tobio non contribuì ovviamente molto al movimento, ma l’illusione di farlo c’era e bastava. Quando c’era però da slanciare in avanti il filo sembrava bloccato. Tenma guardò alle sue spalle e vide Hoshie indaffarata a cercare di togliersi l’amo dalla spallina della giacca.

—Ma volete stare attenti? A momenti mi cavavate un occhio— Si lamentò poggiando il blocco da disegno.

—Scusa tesoro. Lo sapevo, mi sono arrugginito— Constatò Tenma, senza sarcasmo. Poi prese Tobio da sotto le braccia, poggiandolo a terra —Fammi un favore e vai a riprendere il filo.

Con un cenno questo partì verso la madre, che aveva già rimosso l’uncino, ma senza gambero.

—L’esca è volata via. Papà non l’aveva attaccata bene— Sospirò Hoshie, porgendo l’estremità della lenza al figlio. Gli occhi di quest’ultimo caddero sul blocchetto ai suoi piedi.

—Cosa hai disegnato mamma?— Chiese lui, raccogliendolo da terra, tenendo distrattamente il filo nell’altra mano.

—Sono gerridi, insetti che camminano sull’acqua. In questo laghetto ne è pieno.

—Come i ninja?

—In un certo senso sì— Rise Hoshie, recuperando il blocchetto —Torna da tuo padre ora e attento a non pungerti con l’amo.

—Certo— E tornò indietro. Quando però ripassò la lenza al padre, e questi la prese, avvertì un dolore al pollice, di qualcosa che gli tirava la pelle.

—Maledizione, ti sei infilato l’amo nel pollice— Osservò Tenma.

—Te l’avevo detto— Gli fece eco la madre senza alzare gli occhi dal foglio. Indispettito, Tobio rispose con una linguaccia.

Tenma procedette poi a prendergli il dito e rimuovere con cautela la punta in ferro. Appena fatto una goccia di sangue si palesò dalla ferita. Tobio se la scrutò preoccupato, portandosela vicino al volto.

—Non ti agitare non è nulla— Suo padre gli diede una pacca sulla spalla —Dovrebbero esserci dei cerotti nel mio zaino, valli a prendere.

E così dicendo lo lasciò per tornare a infilare una nuova esca. Tobio prese a risalire la riva, ma un movimento nero nell’acqua attirò la sua attenzione, come di una piccola massa puntiforme, in costante movimento. Si mise il pollice in bocca per succhiare il sangue, sovrappensiero, e si sporse verso il fiume. Era un essere vivente, si muoveva con spasmi irregolari, piccolissimo, un insetto nero, lucido, con delle zampe pelose e una testa cornuta. La corrente piatta lo trascinava lenta e inesorabile verso il centro del bacino, dove l’acqua si faceva più scura e verde.

—Papà— Lo richiamò Tobio, senza togliere lo sguardo dall’animale e il pollice dalla bocca —Che insetto è quello?

—Quale?— Tenma non alzò nemmeno il volto.

—Quello— Tobio lo indicò. Suo padre posò la scatoletta delle esche su una gamba e partì dal suo dito per tracciare una retta fino a vedere dove giungeva. Lo vide anche lui.

—Mi sembra un cervo volante.

—Sta nuotando?

Tenma scosse la testa e agitò una mano

—I cervi volanti non nuotano, annegano. Ora, per favore, ti ho detto di andare a prendere…— Ma agitare la mano si rivelò un errore, perché nel suo gesticolare buttò a terra la scatola delle esche scoperchiata. Tutti quei gamberetti vivi finirono ai suoi piedi. Sobbalzò dal disgusto, per poi chinarsi a raccoglierli frettoloso, facendo del suo meglio per non imprecare davanti al figlio. Questi considerò poco saggio fare altre domande. Ritornò dunque da sua madre.

—Ho un altro cambio di vestiti?

—No piccolo— Hoshie si mise la matita in bocca —Un cervo volante hai detto?

—Sì, ci hai ascoltati?

—Già. È un vero peccato però. Ultimamente stanno scomparendo quegli animali— Si picchiettò il naso con lo strumento, rotolando gli occhi, prima di tornare a disegnare sovrappensiero. Tobio si voltò verso lo specchio d’acqua e prese a correre. Cercò l’animale con lo sguardo e vide che ormai stava quasi nel bel mezzo del laghetto e si movimenti si facevano più incerti. Il raggio doveva essere di appena cinque metri, ma lo spaventava il fatto di non riuscire a toccare il fondo. Fece dei grandi respiri. Dopotutto quelle lezioni di nuoto dovevano pur servire a qualcosa.

***

Tenma non si accorse immediatamente di cosa stava succedendo. Complice il fatto che stava pensando a ben altro, da com’era inginocchiato a raccogliere uno per uno i gamberetti in mezzo al pietrame della riva. Quei maledetti crostacei continuavano a infilarsi in ogni pertugio. E poi il forte rumore della corrente, dove il fiume s’immetteva nel laghetto dopo una serie di piccole rapide, gli ovattava l’udito. Fu colto da una sensazione però e guardò alla sua destra. Vide una pila di vestiti nel bel mezzo della riva, i vestiti di Tobio. Scorse un movimento in acqua. Non era l’insetto, era più grande. Quando girò il capo si ritrovò suo figlio nuotare verso terra, con una mano sola, l’altra aperta fuori dall’acqua. Il sangue gli salì al cervello in tempo zero.

—Tobio!— Si alzò più velocemente di quanto il suo corpo potesse reagire, ma non badò a questo quando tutta quell’adrenalina gli schizzava in corpo. Tobio era visibilmente paonazzo, affaticato, la bocca aperta in un respiro affannato. L’acqua era gelida, anche piuttosto profonda in quel punto del lago, chissà poi con che animali dentro. Stette un momento incerto sulla riva, a guardare negli occhi sfiancati del figlio qualche metro più in là. Tobio aveva imparato a nuotare da poco e finora solo in piscine riscaldate. Doveva fare qualcosa e mise un piede in quel freddo fiume. Non fu piacevole sentire la scarpa inzupparsi, ma non c’era altro da fare. Un altro paio di passi e poteva quasi toccarlo. L’acqua gli arrivava a metà coscia. Si sporse in avanti e tese una mano. Tobio fece lo stesso, nuotando solo con le gambe. D’improvviso Tenma sentì il vuoto sotto il suo piede, quando quel terreno pieno d’alghe cedette al suo peso. Il dislivello era impressionante, il letto del fiume diveniva profondo d’un tratto, con pareti ripidissime e in un baleno, da metà coscia, Tenma si trovò con la testa a mollo. Chiuse gli occhi e bocca d’istinto, dimenticandosi del naso, inalando una quantità d’acqua di montagna bruciante. Tornò finalmente a galla con movimenti spaventati. Riaprì gli occhi e vide che stava solo riuscendo a mettere nel panico anche Tobio. Un ottimo lavoro, pensò mordendosi il labbro. Hoshie si era mossa appena dopo Tenma, richiamata dal suo gridare. La poteva sentire alle sue spalle, arrivare di corsa e fermarsi appena prima della depressione in cui era caduto lui.

—Passami Tobio!— La voce di sua moglie era meno agitata di quanto si aspettasse, più imperativa. Era sempre riuscita controllare le proprie emozioni meglio di lui. Senza dare segni di assenso Tenma fece quanto chiesto. Tobio lo aveva ormai raggiunto a nuoto in tutto quel trambusto, cingendosi intorno il suo petto con il braccio libero, l’altro sempre sospeso sulla superficie, poggiandogli la testa al cuore, ansimando. Tenma si voltò verso riva, piantò le punte dei piedi in quel fondale ripido da cui era scivolato e si staccò dalla presa del figlio, prendendolo per la vita, sentendo una pelle non più soffice ma irrigidita. Sollevò il corpo nudo del figlio fuori dall’acqua, nelle braccia di sua madre, che arretrò subito dopo.

Quando Tenma riuscì a trascinarsi a riva fu accolto da una maledetta brezza. Si abbracciò le spalle del vestito inzuppate e contemplò un momento il tappeto di sassi su cui era inginocchiato. Un gamberetto gli passeggiò davanti. Lo seguì con lo sguardo, fino a incrociare la visione statuaria di sua moglie e il figlio. Hoshie si era tolta a giacchetta per avvolgerla attorno a Tobio, sedendosi e tenendo in un abbraccio il figlio, labbra sulla fronte. Tremava, cominciando a perdere il rossore dello sforzo per una tinta più pallida dovuta al freddo. Entrambi tenevano gli occhi chiusi, respirando debolmente.

—Mamma— Chiamò piano Tobio, sempre a palpebre chiuse, boccheggiando. Sollevò la mano, quella che teneva fuori dall’acqua. Sul palmo stava un grosso cervo volante, coricato di schiena, zampe rigide —È ancora vivo?

Hoshie aprì un momento gli occhi e guardò nel palmo bagnato del figlio. Aprì la bocca come per rispondere, ma il suono si strozzò in gola, ripensandoci. Con delicatezza strinse la propria mano in quella del figlio, raccogliendo l’insetto. Tobio oppose un minimo di resistenza. Lei gli baciò la fronte.

—È morto?— Chiese di nuovo Tobio.

—Sì— Detto questo riuscì a strappargli il cadavere dalle mani. Si alzò, reggendo suo figlio con un braccio sotto le coscie e lui che le si aggrappava al collo. Protese la mano che teneva il cervo volante verso il lago e l’aprì. Strofinò la sua guancia con quella fredda di Tobio e parlò con un filo di voce —Non è colpa tua.

—Avrei dovuto…— Prese a singhiozzare il bambino —Avrei dovuto fare qualcosa prima. Non avrei dovuto perdere tempo.

—È già tanto che tu abbia provato a salvarlo.

—Ma non ce l’ho fatta— Nascose il viso nel suo collo —E ora è morto.

—Non puoi salvare tutti— Rovesciò la mano, lasciando cadere il coleottero nell’acqua piatta. Tornò, galleggiante, a seguire il flusso della corrente —Prima o poi perderai sempre qualcuno, è vero. Ma quantomeno, avendo fatto del tuo meglio, non avrai alcun rimpianto.

—Io potevo fare di meglio…— Venne interrotto quando sentì sua madre togliergli i ciuffi bagnati che gli nascondevano la faccia.

—Questo non lo potrai mai sapere, perché il momento è passato— Gli asciugò gli occhi con il pollice e prese a risalire verso la tenda —Adesso non può più soffrire, tu invece stai ancora piangendo per lui. Non credi che sarebbe meglio continuare a sorridere per il tuo stesso bene?

—Io…— Provò ad obiettare Tobio, fermandosi. Non aveva capito del tutto il significato di quelle parole, ma il tono della mamma gli aveva fatto intuire di star sbagliando. Forse avrebbe capito tutto una volta cresciuto. Papà diceva sempre così. Cambiò argomento —Non sono più sicuro di voler pescare.

—Immaginavo non ne fossi tagliato— Cercò di avvolgerlo meglio nella giacca di pelle, ma non c’era verso di coprirgli le gambe. Si voltò un momento a vedere cosa stesse facendo Tenma. Seduto sullo sgabello da pesca, si teneva la testa fra le mani. Ai suoi piedi il telefono cellulare, reso inservibile dall’acqua, e un branco di gamberetti impazziti.

***

—Lascia che gli dica qualcosa— Sbottò Tenma, sbattendo un pugno sul ginocchio. Lei alzò un dito, inamovibile, senza togliere gli occhi dalla strada.

—Silenzio, non vorrai che si svegli?— Sbirciò dallo specchietto retrovisore. Tobio era sdraiato sui sedili posteriori su un fianco, con il braccio destro a farsi da cuscino. Alle sue spalle, dal lunotto, si intravedeva un tramonto che pareva baluginare di fuoco, oltre la catena montuosa dell’Ishiraki. Il cielo andava a rannuvolarsi di viola.

—Hai passato tutta la giornata a consolarlo— Ritentò Tenma, abbassando i toni a fatica —Adesso basta trattarlo come un angelo, bisogna insegnargli a non combinare più certe cose.

Hoshie trovò difficoltà a tenere le mani sul volante. Aprì e richiuse i palmi, sospirando.

—Cosa credi che abbia fatto?

—Cosa credo che…?— Si morse un pugno per non urlare. In lontananza si udirono dei tuoni —Che a momenti rischiava di annegare, ecco cosa. Per un maledetto insetto poi.

—E credi forse che dovremmo dirgli che ha sbagliato? Di non farlo mai più?

—Ma che razza di domande, certo.

—Io…— Inghiottì un groppo di saliva —Amore, ascolta. Essere un genitore non vuol dire solo preoccuparsi che nostro figlio stia bene. Vuol anche dire dargli un’educazione, una morale. E io non posso dire a Tobio che quello che ha fatto oggi è sbagliato.

—Ma ti rendi conto di quello che dici? Vuoi forse incoraggiarlo ad agire ancora senza pensare? Potrebbe mettersi in pericolo di nuovo per delle altre idiozie un giorno e noi non saremo lì ad aiutarlo.

—Tenma— Lo fermò lei, dandogli una veloce occhiata, mentre cambiava la marcia. Quando ritornò a guardare la corsia aveva preso a piovigginare —Non credere che io non stia in pensiero per lui. Ma dirgli oggi che sia da sconsiderati provare a salvare una vita significherebbe portarlo in futuro a valutarla di meno. Io non posso scoraggiare un comportamento così disinteressato.

—Disinteressato, certo, se è così che lo vuoi chiamare, fai pure. Intanto il mio telefono è completamente rovinato— Disse, sollevando con due dita un modello nero.

—Non incolpare Tobio anche di questo, per piacere. Potevi togliertelo dalla tasca prima di buttarti in acqua.

—Come se sul momento potessi perdere tempo a pensarci.

—Eri sotto pressione, hai ragione, ma non puoi dire che è colpa sua. Ha aspettato che fossimo entrambi distratti per immergersi e sperava di tornare prima che ci accorgessimo di cosa stava facendo. Non voleva coinvolgerci, perché sapeva sa che ci teniamo a lui e che glielo avremmo impedito.

—Continua pure a difenderlo, in ogni caso sono io che devo comprarmi un telefono nuovo.

—Se è questo il problema te lo posso anche comprare io, se può renderti felice.

—No che non mi rende felice. Starà succedendo di tutto nei corridoi del ministero e io sono tagliato fuori ora.

—Non è nulla che ti riguarda— Sbuffò Hoshie, roteando gli occhi —Le tue ferie durano fino a mercoledì e loro possono benissimo andare avanti senza di te, considerando che ti ci hanno messo loro in vacanza forzata.

—Vacanze forzate, ci hai preso— Tamburellò furioso il cruscotto, rimirando la propria immagine nell’aletta parasole —Questo è il loro primo passo per togliermi di mezzo.

—Ma di che stai parlando?— Chiese lei, scuotendo la testa incredula.

—Ma non capisci che non sono l’unico ad ambire al posto di dirigente? Specie dopo il mio ultimo fallimento per il progetto Atom devo fare di tutto per dimostrarmi sempre presente, indispensabile. Qualcuno sta facendo di tutto per lasciarmi indietro, come affibbiarmi queste maledette ferie.

—Oh, risparmiami i tuoi complotti. Il periodo che abbiamo trascorso insieme finora è stato così piacevole, non parlarne in questo modo. Devi per forza pensare a queste cose invece di rilassarti.

—Eccola— Riunì le mani Tenma, come in preghiera —Di nuovo a parlare come se il mio lavoro non significasse nulla.

—Dico solo che per te significa troppo— La pioggia stava diventando più intensa. Il paesaggio collinare e boschivo lasciava il posto alla pianura coltivata.

—Parli sempre di morali per poi sminuire la mia etica lavorativa. Ma, dopotutto, cosa vuole saperne una free lancer?

—Per carità, non affrontiamo questo argomento.

—D’accordo, smettiamo di parlare di me e del mio lavoro, torniamo invece a un argomento che ti sta tanto a cuore: Di come io sbagli a crescere Tobio.

—Ti ho detto di fare piano, Tenma— Si mise un dito alla bocca lei, per poi tornare concentrata a guidare. L’asfalto cominciava a bagnarsi pericolosamente e la visuale a calare.

—Forse non te ne rendi conto, ma questo tuo atteggiamento permissivo nei suoi confronti lo farà crescere senza una spina dorsale. Tobio ha bisogno di disciplina, capire le sue priorità, non di avere un cuore tenero. Quello lo ha già fin troppo. Oggi è stata la volta del cervo volante, ma sai cosa hanno detto alle riunioni con i professori?

—Ovvio, ci sono andata anch’io a parlare.

—Che lascia i compagni copiare i suoi compiti, che li suggerisce durante le verifiche, che scrive i temi per loro, che nei progetti di gruppo è lui a fare tutto il lavoro. E questo perché ha un cuore troppo tenero per dire di no, si lascia commuovere dalle loro preghiere. Alle volte torna a casa senza aver mangiato nulla perché ha donato il pranzo a qualcuno che glielo ha chiesto. E cosa pensi che ottenga in cambio per tutte queste sue doti caritatevoli? Solo un mucchio di “grazie” e strette di mano. È diventato lo zerbino della sua classe, tutti si approfittano di lui e se non si da una svegliata continuerà così anche gli anni prossimi.

—Io…— Hoshie si interrompette. Un fulmine abbacinò la strada per un istante. Il rumore della pioggia diveniva sempre più forte —Hai perfettamente ragione. Tobio ha bisogno di controllare le proprie emozioni, essere meno servile. Però…

—Però cosa? Non avrai da ridire anche su questo spero?

—Però non credo che la soluzione sia di renderlo cinico. Non posso dirgli di smettere di aiutare chi gli è caro.

—Figurarsi— Roteò gli occhi Tenma, stirandosi la barba. Gli appoggiò una mano sulla spalla, ma non era una stretta molto affettuosa —Dopodomani ci sarà la recita scolastica.

—Già— Replicò impassibile lei —Ma cosa centra?

—Tobio è un bambino timido, Hoshie.

—Ce la farà. Sa la parte a memoria in fondo. Si tratta solo di ripeterla sul palco.

—Davanti a tutti— Tenma si pose una mano sugli occhi, affondando nel sedile —Hai detto tu stessa che deve imparare a regolare le proprie emozioni. Non voleva fare il protagonista, me lo ha detto lui stesso, ma lo hanno convinto e come al solito si sacrificherà per gli altri. Temo che finirà male.

—Ora basta— Lo ammonì lei, dandogli un leggero manrovescio sul petto —Siamo i suoi genitori. Se non siamo i primi a dargli fiducia chi pensi che lo farà al posto nostro?

Tobio sbirciò un momento, sollevando le palpebre stanche. Si sentì stringere il cuore, pervaso dal freddo. Ma non era il freddo del lago, era più profondo. Vide un lampo saettare nell’angolo di cielo del suo finestrino e ritornò a palpebre chiuse, spaventato. Involontariamente ebbe un fremito.

—Tenma— Hoshie non aveva una situazione chiara dei sedili posteriori —Tobio dorme ancora?

Suo marito si voltò un attimo. Tobio respirava piano, occhi dolcemente chiusi, non contratti, lineamenti lisci, senza rughe che tradissero emozioni. Il corpo stava raggomitolato nell’angolo destro, appoggiato alla portiera.

—Come un angioletto— Confermò Tenma.

   
 
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