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Autore: flaaminia_    13/06/2021    0 recensioni
di come Erik torna a vivere
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Erano lì, con il sole del tardo pomeriggio che accarezzava i loro visi, l'enorme edificio alle loro spalle ed il radar di Cerebro ben in vista davanti agli occhi, che si stagliava tra gli alberi del boschetto come avrebbe fatto una mongolfiera nel cielo, senza però quell'aria fuori posto che l'immenso pezzo di metallo trasmetteva alla vista di chiunque posasse lo sguardo su di lui. 

Quel pomeriggio sembrava appena iniziato e loro non avrebbero mai voluto allontanarsi da quel balcone. Erik guardava, oltre il radar, il cielo che piano piano cominciava a rivelare i colori del tramonto, mostrando come invece le ore passassero ad una velocità disarmante. Sembrava impossibile immaginare un mondo di crudele freddezza, visto da quel paradiso. Ogni volta che si fermava a guardare quel posto, nei giorni trascorsi lì, riusciva a dimenticarsi della rabbia nera e straziante, del dolore e del mondo intero. Non c'era nient'altro che il prato, il cielo e, spesso, il sorriso rassicurante di Charles, che credeva nelle persone più che in qualunque altra cosa e si fidava di loro con una veemenza che la maggior parte delle volte veniva scambiata da Erik per ingenuità.

Anche adesso, che era in piedi vicino a lui, lo faceva sentire al sicuro, riusciva a trasmettergli un po' della sua speranza, osservando quello strumento che, pur essendo senz'anima, sarebbe servito ad unire le loro. Erik cominciava a credere nella difesa; era ancora soltanto una breccia nella sua armatura, ma ogni giorno che passava in compagnia del professor Xavier, era sempre più tentato ad abbandonare l'idea dell'attacco. 

"Vedi quel radar? Prova a spostarlo verso di noi."

Una domanda facile, giusto? Ormai Erik sapeva controllare piuttosto bene il suo potere; certo, guardando tutto quel metallo posto ad una considerevole distanza un po' lo scoraggiava, ma aveva fatto cose ben più straordinarie nella sua vita, no? 

Così si avvicinò lentamente al parapetto ed alzò le mani; stavolta sarebbero servite davvero. 

Come al solito, si concentrò intensamente sul suo obbiettivo e sul movimento da lui voluto, poi liberò la mente. La svuotò di ogni pensiero, lasciando spazio al buio. 

Dopo qualche istante, ecco affiorare la solita, cieca rabbia. Quella che lo aveva spinto ad andare avanti per tanti anni, che lo aveva tenuto lucido nei momenti di follia, quando la sua vita dipendeva da un suo piccolo gesto, dal grilletto di una pistola o dal metallo di una moneta. Quella moneta. Quella che sentiva vibrare nella tasca dei pantaloni in quel preciso istante, mentre tentava di imporre la propria volontà a quello stupido pezzo di metallo, che di muoversi non ne voleva proprio sapere. 

Dopo quasi un minuto, abbassò le mani di colpo, sconfitto, abbandonandosi ad un rumoroso sbuffo, segnalando all'amico la fine della prova, suo malgrado non superata. 

Charles lo aveva osservato per tutto il tempo ed aveva letto nella sua mente cosa lo aiutasse ad usare il suo potere. Per esperienza, sapeva che ogni mutante aveva qualcosa che annullasse tutto il resto per permettere alla propria particolarità di esprimersi: per alcuni era la felicità, per altri l'odio, il dolore, i ricordi. L'amore. 

"Perché la rabbia?"

Lo osservò girarsi verso di lui, che era rimasto leggermente in disparte per evitare di distrarlo. Osservò con attenzione la flessione sinuosa del suo busto, celato dal nero del maglione. Contemplò la torsione a cui per poco quel busto fu soggetto, il momento magico in cui un corpo cambia posizione, sforzando i muscoli. Osservò Erik in silenzio e fu grato di essere lui, il telepate. 

Quando il suo sguardo si spostò sul viso di Erik, notò un accenno di confusione nei suoi occhi. Forse non si aspettava questa domanda, o che gli leggesse nel pensiero. Aveva fatto male? Si sarebbe arrabbiato con lui? 

Invece la sua risposta fu tranquilla, quasi distaccata.

"È l'unica emozione forte che ho."

Sorrise amaro al pensiero della causa del suo dolore e, per la prima volta, pose lo sguardo in quello di Charles per essere rassicurato. Avrebbe voluto che gli dicesse che quel dolore sarebbe finito, un giorno, che avrebbe smesso di torturarsi e che sarebbe stato al suo fianco, sempre, a ricordarglielo. 

Poi smise di pensare, quasi preso dal panico. Poi cercò di annullare qualsiasi cosa stesse pensando. 

Gli aveva letto nel pensiero, prima, e la cosa non lo aveva infastidito, ma se avesse letto anche il resto? Se fosse venuto a conoscenza delle sue insicurezze e dei suoi desideri, che affioravano ogni volta che quegli occhi azzurri lo scrutavano con attenzione? Charles lo avrebbe accettato comunque, nel gruppo che stava formando?

Davanti a lui, il professore sorrise; fece uno di quei sorrisi che avrebbero messo d'accordo chiunque. Proprio quelli che facevano stare bene Erik, che lo facevano sentire a casa, come non gli succedeva da quando sua madre era morta, in Polonia. 

Appoggiò la schiena al davanzale ed i gomiti sul bordo, piegando l'addome. 

"Pensaci, Erik. Non sei mai stato felice? Tanto felice da pensare di non poter più provare nient'altro?" 

Per Erik fu un momento, per Charles un secolo, quando nella sua mente apparve incontrollato il ricordo dello Strip Club, le luci soffuse della stanza, le tende rosse, lo champagne che si alza, e gli occhi celesti di Charles, che lo guardavano con quella complicità maliziosa che fa sentire le farfalle nello stomaco di chiunque. 

Erik si fece improvvisamente serio. 

Rinunciò a dire qualsiasi cosa, sperando davvero, questa volta, che il ricordo fosse stato soltanto nella sua testa e non in quella di Charles, che lo fissava impassibile, con quel sorriso stampato sulla faccia e quegli occhi sempre più intensi. 

Quel pensiero spinse Charles a dire quello che avrebbe voluto dire da quando lui ed Erik avevano cominciato ad allenarsi. 

"Sono le emozioni positive, quelle più forti. La rabbia ti uccide, la felicità ti dà una ragione per vivere. A te serve soltanto.." si avvicinò lentamente ad Erik, mentre pronunciava queste parole, armato di un coraggio che non aveva niente a che vedere con le tecniche sfoderate con le studentesse nel bar dell'università. Questo nascondeva l'enorme paura di perdere quel motivo, quella felicità che il vedere Erik, parlare con lui, stargli vicino, gli dava ogni giorno di più. 

Quando gli fu a pochi centimetri, riuscì a sentire il calore del suo corpo, la mente affollata dell'uomo che aveva di fronte. Poi più nulla. 

Annullò tutto, anche la distanza che c'era tra di loro, che da giorni sentiva stretta, come una condizione asfissiante e scomoda. Abbandonò i dubbi, la paura irrazionale di essere rifiutato, le insicurezze. 

C'era solo Erik. 

Erik che, colto alla sprovvista, aveva raddrizzato la schiena e spalancato gli occhi, facendo quasi vacillare la momentanea sicurezza del professore, che ormai pensava di dover abbandonare questo folle desiderio e di prepararsi al disappunto dei suoi occhi grigi. 

L'istante dopo, però, anche Erik si lasciò andare completamente, ricambiando il bacio, con foga e con disperazione, aggrappandosi a Charles come unica ancora di salvezza, esternando famelico il suo desiderio per lui. Per tutto quello che lui rappresentava nella sua vita. Si lasciò spingere dolcemente di nuovo verso il davanzale e portò una mano al viso di Charles, e l'altra sul suo fianco. 

Sfiorare quel corpo accese qualcosa in lui, come un brivido di freddo scuote le membra durante l'inverno, ma gli fece provare un sollievo immenso, come il calore del fuoco subito dopo il brivido.

Fu felice, profondamente felice, credendo di non poter più provare nient'altro.

Dimenticò il dolore, la rabbia, la delusione, la speranza, la fiducia. Tutte le emozioni, positive o negative, non contavano più. C'era solo Charles. 

Quando poi le loro labbra si staccarono, le menti di entrambi tornarono violentemente a tutto il resto, alla realtà, alla vita, conservando però, con gelosia, il ricordo di quell'istante durato un'eternità. 

Sorrisero entrambi, però.

"Prova ancora."

Questa volta, Erik non ebbe bisogno né di svuotare la mente, né di aspettare la rabbia affiorare poco dopo. Alzò le mani ancora e, al pensiero delle labbra di Charles ancora calde sulle sue, il radar si spostò senza lamentarsi. 

Rise, felice, mostrando a sé stesso cosa poteva fare quel sentimento che aveva sepolto per troppo tempo, per troppi anni. Poi si girò verso il suo professore, che lo guardò con l'amore negli occhi, finalmente e, con una tranquillità disarmante, disse "Sì."

Poi lo baciò ancora.

   
 
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