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Autore: Yunomi    13/06/2021    1 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Sulfur & sage
 

 
 
 
Il mondo è fuor di squadra:
che maledetta noia, esser nato per rimetterlo in sesto!
(Hamlet, I. Sc. V)
 
 



La Papessa era torva, e i suoi occhi grigi parevano schiaffeggiare qualsiasi cosa su cui si posassero.
“Vuoi una tazza di tè?”
Si voltò verso la sorella, che a sua volta la osservava con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indifferente.
“Non male.”, disse la Papessa, indicando il salotto dell’appartamento di Whitechapel dove era piovuta senza preavviso, con estremo disdegno di Margaret. “Vedo che il dottor Huxley non manca di viziarti.”
Margaret chiuse gli occhi e sospirò. “Che cosa vuoi, Iris?”
Quanto possono essere taglienti, i rapporti incrinati tra due sorelle. Entrambe si guardavano come se potessero vedere i tagli che si erano rispettivamente impartite: ricoprivano i loro volti come il manto delle tigri. 
La Papessa rabbrividì a sentirsi chiamare col proprio nome di battesimo, ma dissimulò. Sorrise, invece. “Questo divano color crema è squisito.”, disse passando le mani sulla pelle morbida, con uno spesso strato di veleno sui denti. “Cos’è, di design?”
Margaret stava iniziando a spazientirsi. “Senti, i bambini tornano da scuola a momenti…”
“E non vuoi che conoscano la loro bislacca zia, vero? Sarebbe un’onta imperdonabile.”
“Sai che non è così. E’ che Alfred…” Margaret si interruppe, sospirando. Si grattò un occhio e osservò la sorella,  che era impassibile come un papa di gesso. La Papessa si sedette sul divano e accavallò le gambe.
“Lo hai già capito perché sono qui.”, disse, accendendosi una sigaretta.
“Preferirei che non fumassi. Alfred odia l’odore del fumo.”
La Papessa la ignorò, continuando a fumare. “Perché?”, le chiese, tergiversando.
Margaret si sedette in punta al divano, diametralmente opposta alla Papessa.
“Perché lo chiedi a me? Come se fossi io a chiamarlo ogni volta, cazzo.”, disse, distogliendo lo sguardo dalla sorella. “E’ lui che si presenta qui, puntualmente, distrutto e schiacciato dal peso delle cose, e lo fa almeno da una decina d’anni. Perché ti scomodi a fare l’avvocato del diavolo proprio ora?”
“Perché lo sai perfettamente che Thomas non è più solo.”, sibilò la Papessa con una ferocia inusuale nella voce. Più si guardava intorno, in quel salotto arredato con minuzia certosina, con i libri perpendicolari ai bordi delle mensole e le orchidee abbinate alle tende e alle candele, più saliva in lei il desiderio di cospargere tutto di benzina e far cadere un fiammifero sul pavimento. Quella non era sua sorella. Non lo era mai stata. Sbuffò, amareggiata, in direzione di uno stupido soprammobile a forma di gnomo allegro. “E questo che cazzo è?”, chiese, indicandolo con la sigaretta. “Ma stiamo scherzando?”
Margaret saettò lo sguardo nell’angolo opposto a dove si trovava la sorella e serrò le mandibole come uno squalo.
“Thomas è un depresso. E un insoddisfatto. Perché ci tieni così tanto a rendermi la cattiva della situazione?”, sputò Margaret, senza alzare lo sguardo su quelli della Papessa. “Forse sarebbe il caso che smettessi di difenderlo come se fosse un tuo problema. Non è che per caso ti sei presa una cotta, Iris?”, chiese, provocatoria.
La Papessa schivò la frecciatina con agilità e si scostò una ciocca di capelli dal viso: la ignorò, e questo fece marcire a Margaret il sangue nelle vene.
“Tu lo incoraggi.”, disse poi, iniziando a perdere qualche cc di pazienza.
“Non è così, e lo sai. Lui è un autolesionista, Iris. Una mina vagante che muore dalla voglia di esplodere in faccia a qualcuno.”
La Papessa non poté fare a meno di notare una vena di soddisfazione in quelle parole, e un fremito di rabbia le percorse le dita. “Ti piace così tanto…”, disse, guardando con amarezza la donna che le stava davanti. Così simile a lei, eppure così radicalmente diversa.
A Margaret piaceva vedere le persone strisciare. Era disposta a tranciare i tendini del tibiale al suo stesso marito pur di vederlo per terra a dimenarsi come un lombrico. Con Thomas non ci era mai riuscita, non totalmente. Ma come godeva nel vederlo zoppicare, questo la Papessa non l’avrebbe mai saputo quantificare.
“Ti piace sapere che lui dipende ancora così tanto da te.”
“Non essere sciocca.”, ribatté secca Margaret, anche se i suoi occhi le davano ragione su tutta la linea. La Papessa credette di notare un sorriso veloce fiorire sulle labbra della sorella, ma preferì credere di esserselo immaginato.
“La ramanzina me l’hai fatta, no? Ora puoi anche andartene.”, disse Margaret dopo poco, consultando l’orologio da polso.
La Papessa scosse la testa e si alzò dal divano. Resse con dignità invidiabile il peso della consapevolezza: sapeva che non sarebbe mai riuscita a far cambiare idea a sua sorella, e tantomeno sarebbe riuscita a farla sentire in colpa. Sospirò e spense la sigaretta su un libro di Marie Kondo, L’arte del riordino, aperto e appoggiato a faccia in giù sul tavolino.
“Hai avuto occasione di sistemare il tuo matrimonio, Margot, e l’hai sprecata per correre dietro ad un facoltoso oftalmologo. Ma va bene così. Adesso però hai ottenuto quello che hai sempre desiderato, cioè un uomo che ti desse dei figli, pagasse i tuoi conti e si lasciasse mettere al guinzaglio senza troppe lamentele.”
Margaret incrociò le braccia al petto, e alla Papessa sembrò che volesse enfatizzare il successo delle sue ambizioni. Faceva fatica a riconoscere la ragazzina lentigginosa e dall’intelligenza sopraffina con cui era cresciuta dietro quella girl boss tutta d’un pezzo, ma d’altronde diventare adulti significa anche questo: rendersi irriconoscibili al proprio stesso sangue. Vige la legge della giungla, nel mondo reale, e non a tutti riesce di farsi strada mantenendosi fedeli a sé stessi.
“Lascialo andare. Lascia che sia felice, o quantomeno sereno. Smettila di farlo sentire come se tu fossi indispensabile.”
“Io sono indispensabile.”, si lasciò sfuggire Margaret, e una piccola crepa si aprì in quella maschera di gelido stoicismo. La Papessa alzò un sopracciglio, eloquente.
“Come, prego?”
“Sono indispensabile. Lui lo sa. Lui non sarebbe nulla se non mi avesse incontrato; l’ho tirato su io, l’ho mantenuto, ci ho mantenuti entrambi mentre studiavamo. Pensi che non ne sia al corrente? Sa perfettamente che ha un debito morale con me che niente potrà mai estinguere. Non importa se adesso sta a giocare alla famiglia con quella bimbetta americana, e non importa se non siamo più sposati: io sarò sempre la sua donna. La prima e l’unica. Punto. Tutto ciò che più desidero è che lui non se ne scordi mai.”, sputò Margaret. Si coprì le labbra con le dita, incredula di aver detto ad alta voce quelle cose. Cadde in una pozza di terrore gelido, e saettò lo sguardo verso la sorella, come a volersi accertare che non avesse sentito nulla. E invece, la Papessa aveva sentito tutto. Le si tinsero gli occhi di una tenerezza ambrata e compassionevole. Si avvicinò alla sorella e le sfiorò un gomito, prima che quella se ne scostasse con stizza, come se quel contatto le avesse causato un cortocircuito.
“Cosa…”, balbettò Margaret, confusa.
“Avevo bisogno di un aiutino dei miei, per essere certa che dicessi la verità.”, fece la Papessa, osservandosi le unghie. “Vieni fuori, peste.”, aggiunse, indicando un angolo scuro del soggiorno.
Margaret piantò gli occhi addosso all’uomo che uscì dalla penombra come se prendesse forma da essa. Cercò di dissimulare un  singhiozzo di sorpresa, ma fallì.
“E’ un piacere fare la sua conoscenza, mia cara. Ho sentito tanto parlare di lei. Solo cose brutte, ovviamente.”, fece l’uomo, aggiustandosi i polsini.
“E lei chi è? Come è entrato in casa mia? Iris?”, sussurrò la donna, senza riuscire a decidere se essere più infastidita o inorridita dall’intrusione. L’uomo la sovrastò, con tutta la sua altezza, e Margaret fece un passo indietro.
“Mi deve promettere…”, iniziò lui, guardandola attraverso – sì, così si sentì Margaret Burke-Huxley, quando l’uomo le piantò quegli occhi ultraterreni addosso, “Mi deve promettere che d’ora in avanti lascerà in pace il mio amico Thomas. Non esiste più per lei. Sparito. Cancellato dalla lista dei conoscenti.”
“Puff.”,  aggiunse poi, e allungò una mano a schioccarle le dita ad un centimetro dal naso.
Margaret sussultò.
La stanza si fece incandescente, come se qualcuno avesse alzato al massimo la fiamma sotto il pavimento. Margaret sentì il sudore scorrerle a fiumi sulla schiena e in mezzo ai seni. La vista si annebbiò, come se una densa coltre di nebbia malevola fosse calata dalle finestre, dalle fughe del parquet, dalla cappa del camino. Si sentì mancare il respiro e temette di avere un infarto in corso. Poi, nella confusione, vide quegli occhi: enormi, profondi, taglienti occhi color sangue che rivelavano uno ad uno tutti i suoi segreti, perfino quelli di cui non era a conoscenza nemmeno lei stessa. Quelli inconfessabili, spregevoli, sensazioni che poteva solo immaginare, senza riuscire a razionalizzare completamente.
Si sentì lacerare da un bisturi in fondo all’anima e le parve di sentire addosso lo scorrere bollente del sangue, zampillante da una ferita aperta. Si portò una mano al ventre, temendo di scoprirla grondante di sangue, ma nulla: solo la sensazione della stoffa del vestito zuppa di sudore.
“Me lo promette, signora Burke-Huxley?”, ripeté l’uomo, suadente, gli occhi rossi fissi nei suoi.
Fu un attimo.
Le affabili sembianze dell’uomo lasciarono spazio per una frazione di secondo ad un volto sfigurato dalla carne viva esposta, antico e terribile.
Margaret cadde a terra come uno straccio bagnato, e si allontanò da lui finché la schiena non toccò la parete opposta della stanza.
Dovette trattenersi dal cacciare un urlo agghiacciante.
Chiuse gli occhi con forza, credendo di star sognando, e iniziò a singhiozzare.
 
Quando riaprì gli occhi, la stanza era vuota.
Nell’aria, un persistente odore di zolfo, unito a quello della salvia fresca bagnata dalla pioggia.
 
 
 


 
 
 




 
Ci sono pugnali negli occhi degli uomini.

 
 
 
 


 
 
(sì, sono tornata.
Sì, sono in ritardo.
Fatemi un saluto.)
 
Vi voglio bene.
Y.
 
 
 
   
 
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