Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hedera_helix    13/06/2021    7 recensioni
Svegliarsi accanto a qualcuno era in qualche modo strano, qualcosa di estraneo e inaspettato, del tutto fuori dall’ordinario. Non era mai successo da quando viveva lì e solo una volta nel suo precedente appartamento —l’unica volta oltre a quella sciatta sveltina da ubriachi che si era consumata nel bagno di un locale e Levi non amava pensare a quel poco che ricordava di quella serata. Non lo aveva anticipatamente programmato nemmeno questa volta: era già una settimana che dormiva tra quelle lenzuola — le cambiava ogni domenica —in bagno vi era il bucato steso e l’aspirapolvere si trovava ancora in un angolo della cucina, in attesa di venir usato. Niente di tutto questo aveva avuto la minima importanza quando la notte precedente avevano arrancato per l’appartamento, ubriachi fradici, tanto da essere quasi caduti l’uno sopra piedi dell’altro, ma in quel momento, alla luce del giorno, Levi si preoccupò dell’impressione che avrebbe dato e di che cosa ci fosse in quel ragazzo da fargli venire voglia di dare una buona impressione di sé.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere over Canal Street
 
A Violet


Svegliarsi accanto a qualcuno era in qualche modo strano, qualcosa di estraneo e inaspettato, del tutto fuori dall’ordinario. Non era mai successo da quando viveva lì e solo una volta nel suo precedente appartamento —l’unica volta oltre a quella sciatta sveltina da ubriachi che si era consumata nel bagno di un locale e Levi non amava pensare a quel poco che ricordava di quella serata. Non lo aveva anticipatamente programmato nemmeno questa volta: era già una settimana che dormiva tra quelle lenzuola — le cambiava ogni domenica —in bagno vi era il bucato steso e l’aspirapolvere si trovava ancora in un angolo della cucina, in attesa di venir usato. Niente di tutto questo aveva avuto la minima importanza quando la notte precedente avevano arrancato per l’appartamento, ubriachi fradici, tanto da essere quasi caduti l’uno sopra piedi dell’altro, ma in quel momento, alla luce del giorno, Levi si preoccupò dell’impressione che avrebbe dato e di che cosa ci fosse in quel ragazzo da fargli venire voglia di dare una buona impressione di sé.
L’altro stava ancora dormendo, con una ciocca di capelli biondi che gli copriva gli occhi. Levi si rese conto di non riuscire a ricordare di che colore fossero le sue iridi. Alla luce del giorno poteva vedere la spolverata di lentiggini pallide che erano rimase invisibili nel buio del locale, nel taxi che gli aveva accompagnati a casa sua e nell’appartamento, dove nessuno dei due si era preoccupato di accendere la luce mentre si dirigevano verso il suo letto.
Si chiese distrattamente che ora fosse e quante ore era riusciti a dormire dopo che avevano finalmente smesso di spassarla, sentendo la stanchezza l’uno dell’altro attraverso i loro stessi corpi e dai loro baci — interrotti qua e là da qualche sbadiglio — che erano diventati pigri, dolci e stranamente familiari.
Scivolò fuori dalle lenzuola lentamente e goffamente, riuscendo a non svegliare il ragazzo. Ricordava che il suo nome era in qualche modo strano, uno di quelli che sapevano di vecchio e che ormai non ci andavano più di moda. Ernest? Marvin? Si erano presentati troppo presto durante la serata e i nomi avevano smesso di avere importanza in fretta perché Levi potesse ricordarlo. Però rammentava la prima cosa che l’uomo gli aveva detto: un semplice “ciao!” seguito da “Non sei dell’umore giusto per una festa, vero?” Era una domanda abbastanza giusta da fare a qualcuno che se ne stava seduto da solo al bancone del bar. Levi non si offese per questo, ma lui si scusò comunque; fu un gesto che gli piacque molto. Con il trascorrere della serata, notò molte altre cose di quel ragazzo che gli piacevano: la sua altezza, la sua gentilezza che non era svanita nemmeno dopo aver bevuto qualche bicchiere di più e il modo in cui era riuscito a convincerlo ad unirsi a lui sulla pista da ballo senza farlo sentire come se fosse costretto a farlo. Erano entrambi dei ballerini terribili e questo gli fece scoppiare dal ridere; bastò il ricordo per far nuovamente sorridere Levi.
Entrò silenziosamente in bagno, prese della biancheria pulita e si fece una doccia veloce prima di lavarsi i denti. Quando tornò nella sua camera per vestirsi in un angolino, gli sembrò che il ragazzo stesse ancora dormendo, ma, quando si voltò verso il letto dopo aver finito d’infilarsi della biancheria pulita, un paio di pantaloni neri della tuta e una semplice maglietta grigia, rimase sorpreso nel costatare che l’altro lo stesse fissando.
Blu. Ecco qual’è il colore dei suoi occhi.
“Sei sveglio,” borbottò.
L’altro ragazzo si mise a sedere, massaggiandosi il volto e ridendo leggermente.
“Scusa,” rispose, stiracchiandosi le braccia e ridacchiando nuovamente. Improvvisamente Levi ricordò che la sua voce era un’altra delle cose che gli erano piaciute di lui, di quanto l’avesse trovata gentile nonostante al locale avevano dovuto urlare affinché riuscissero a sentirsi —però non andava così pazzo per quel accento snob. “Non avevo intenzione di fissarti. Penso che, semplicemente… non sapevo che cos’altro fare.”
“Va tutto bene,” rispose Levi, lottando per mantenere l’equilibrio mentre si infilava un paio di calzini neri. Quindi afferrò dei cuscini extra e li gettò sul letto. “Non sono turbato.”
“Bene,” borbottò l’uomo mentre Levi si mise a sedere sul letto. Notò che l’altro stava guardando il proprio cellulare che stava squillando, ma alla fine non rispose, limitandosi a fissare lui, con il mento premuto contro il palmo della mano e gli occhi illuminati dal sorriso che aveva stampato in volto. Per qualche istante, nessuno dei due parlò. Levi tenne lo sguardo basso, fisso sul tappeto, alzandolo solamente quando l’altro disse a bassa voce: “Ehi!”
Levi mormorò qualcosa e il ragazzo ridacchiò, non nascondendo il proprio nervosismo.
 “Vai di fretta?” gli chiese. “Hai bisogno che io…”
“No,” si affrettò a rispondere Levi “No, non ho fretta. Oggi è il mio giorno libero, quindi non devi…”
“Va bene,” disse l’altro sorridendo. “Mi spiace, so che può è una richiesta un po’ seccante, ma… potrei, per caso, utilizzare la tua doccia?”
“Certo,” rispose immediatamente Levi, balzando in piedi. “Certo, sì, naturalmente. Fammi solo… prendere un asciugamano pulito.”
Attraversò la stanza per raggiungere l’armadio dove riponeva la biancheria e tirò fuori un asciugamano  pulito che porse al ragazzo. Quest’ultimo non si era alzato dal letto e, quando Levi intravide un paio di boxer a righe bianche e blu sul pavimento, realizzò che dovesse essere ancora nudo. Il ragazzo lo ringraziò — con lo stesso tono educato della sera precedente — e iniziò a parlargli nuovamente, anche se Levi si voltò per dargli un po’ di privacy.
“Sai, questo è davvero imbarazzante,” spiegò. Nel secondo che rimase in silenzio, Levi ebbe tutto il tempo per immaginare che avrebbe continuato con qualche espressione di rimpianto per la notte che avevano trascorso insieme. “ma è davvero difficile per me… voglio dire, è da un po’ che mi sto arrovellando il cervello a pensare se è più imbarazzante chiederti nuovamente come ti chiami o dire il nome sbagliato perché… Cioè, sono abbastanza sicuro di ricordarlo, ma ho pensato che se lo avessi sbagliato sarebbe stato…”
“Levi.”
Il ragazzo smise di parlare e le sue labbra carnose si aprirono in un ampio sorriso.
“Levi,” ripeté. “Allora me lo ricordavo.”
Merda, pensò Levi. Ernest o Marvin? Ernest o Marvin? Ernest o…
“Io sono Erwin,” disse l’uomo, allungano una mano che Levi si sbrigò a stringere. Improvvisamente si ricordò che aveva fatto quel gesto anche la sera precedente, come se stesse incontrando un fottuto primo ministro. “Questo nel caso i dettagli fossero un po’ nebulosi anche per te.”
“Sì, infatti,” ammise Levi imbarazzato. Erwin. Ecco qual era il suo nome. “Scusa. Non è qualcosa che mi succede spesso.”
“Non preoccuparti, lo capisco,” rispose Erwin.
Il sorriso sul suo volto era così rassicurante che fece sorridere anche Levi, lasciandolo fermo sul posto fino a quando l’altro non si schiarì la gola.
“Scusa,” sussurrò nuovamente Levi, passando frettolosamente la mano tra i propri capelli bagnati prima di indicare la porta alle sue spalle. “Il bagno è di là. Usa quello che riesci a trovare nell’armadio.”
Erwin lo ringraziò nuovamente e Levi lasciò la stanza, attaccando il suo aspirapolvere alla presa della corrente per ripulire i pavimenti del suo appartamento più velocemente di quanto avesse mai fatto prima. Sentendo che l’acqua della doccia era ancora aperta, decise di preparare la colazione, ma rimase piuttosto deluso quando, guardando dentro al frigo, non trovò altro che un sacchetto di cavolo nero, una confezione da sei di birra bionda, due patate dolci, diverse cipolle e una selezione di cibo in barattolo: marmellata, jalapeños e pomodori secchi. Rovistò nel congelatore, ma trovò nient’altro che delle banane congelate e del ghiaccio. Aveva dei muesli, ma niente latte o yogurt. Aveva dell’avena per il porridge che avrebbe mangiato prima di andare a fare la sua solita corsa mattutina, che sarebbe terminata con lui che faceva un salto in negozio per fare la spesa. Il cestino del pane era vuoto e la ciotola per la frutta sopra al tavolo conteneva solamente tre limoni e una mela verde solitaria.
Cazzo.
Afferrò una busta per la spesa riutilizzabile e andò a frugare nelle tasche dei jeans che aveva gettato ai piedi del letto, in modo da tirare fuori il portafoglio e prendere il cellulare che aveva lasciato sul comodino. Da una rapida occhiata, vide che vi erano due chiamate perse di sua madre, tre messaggi di Farlan e uno d’Isabel. Li lesse velocemente prima di infilarsi il cellulare in tasca. Proprio in quel momento Erwin uscì dal bagno, con un asciugamano avvolto intorno alla vita e i capelli che sembravano essere diventati improvvisamente più scuri a causa dell’acqua. Guardò Levi, aggrottando le sue folte sopracciglia.
“Oh,” esclamò, notando la borsa per la spesa che stava stringendo tra le mani. “Stai…”
“Devo solamente fare un salto in negozio,” spiegò Levi, cercando d’impedire ai suoi occhi di vagare sul volto dell’altro ragazzo. “Stavo pensando… cioè… volevo dire… non so te, ma io ho fottutamente fame.”
“Giusto,” rispose Erwin ridacchiando, anche se sembrava leggermente confuso. “Wow.”
“Che cosa?”
“Nulla,” replicò Erwin, ridacchiando nuovamente, anche se sembrava ancora accigliato. “Non è nulla. Semplicemente io sono… beh, sono per te un perfetto sconosciuto. Sei davvero sicuro a non avere problemi nel lasciarmi qui da solo? E se avessi programmato di derubarti alla cieca?”
Merda.
Levi fissò Erwin, rendendosi conto solamente in quel momento che il pensiero non gli aveva mai sfiorato la mente, cosa che riusciva a malapena a credere.
“Non so perché non ci ho pensato,” borbottò, grattandosi imbarazzato il cuoio capelluto.
“Ovviamente non ho assolutamente intenzione di rapinarti. Non sono assolutamente un ladro,” si affrettò a chiarirsi Erwin. “Ho semplicemente pensato…”
Le sue parole si interruppero come se si fosse fermato per pensare. Intanto Levi stava ancora armeggiando con la borsa della spesa, mentre la sua mente era impegnata ad elencare tutti gli alimenti sparsi nel suo frigo, come se, in qualche modo, volesse costringersi con tutte le sue forze a preparare una colazione con quegli ingredienti. Improvvisamente Erwin si avvicinò con il cellulare in mano, che offrì a  Levi con uno sguardo serio dipinto in volto.
“Sai cosa? Prendi questo,” disse. “Non me ne andrei mai via senza il mio telefono, così avrai la certezza che non scapperò via da qui con qualcosa di tuo. Va bene?”
Levi guardò il cellulare e poi Erwin, non potendo fare a meno di pensare alla sua gentilezza e al suo fascino, insieme a tutte le altre ragioni che lo avevano fatto sentire così bene con lui, tanto da invitarlo  nel proprio appartamento. Scosse quindi la testa.
“No, va bene così,” rispose, sorridendo.
Erwin si accigliò.
“Ne sei sicuro?”
Levi annuì. “Sì. Sei una persona a posto.”
Lentamente, come se fosse stato appena colto di sorpresa, Erwin ritrasse la mano e posò il telefono sopra il comò.
“Dovrei iniziare a preparare qualcosa mentre tu…”
“Beh, a dire il vero, non c’è davvero nulla qui con cui poter iniziare qualcosa,” ammise Levi, ridendo leggermente per il nervoso. “Semplicemente… fa come se fossi a casa tua. Non dovrei impiegare più di dieci minuti.”
Si strinse nelle spalle nella sua felpa con cappuccio e afferrò le chiavi di casa prima di uscire dal suo appartamento. Camminò velocemente verso il supermercato più vicino, un piccolo Tesco annesso ad una stazione di servizio. Chiamò sua madre non appena entrò in negozio, che gli rispose nel momento stesso in cui afferrò un cesto per riporre la sua spesa.
“Ho trovato la tua chiamata, quindi ho pensato di telefonarti,” disse Levi, premendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla mentre afferrava delle banane.
Imprecò mentalmente quando si rese conto di non aver chiesto a Erwin se preferisse una colazione dolce o salata.
“Ti ho visto in televisione ieri sera!” rispose sua madre eccitata
Levi si accigliò, vacillando leggermente mentre con la mano stava per prendere una confezione di mirtilli.
“Che cazzo dici?”
“Sì, ti ho visto!” insistette la donna. Levi riuscì a sentire il ronzio del frullatore in sottofondo. “Eri al telegiornale. Sai, hanno fatto un intero servizio sul pride e hanno mostrato dei momenti della parata su Canal Street. È lì che ti ho visto!”
“Oh, cielo,” sbuffò Levi, gettando una confezione di funghi nel suo cestino. “Mamma, io stavo semplicemente…”
“Perché lo stavi semplicemente guardando, Levi? Perché non stavi marciando?” gli chiese sua madre, sembrando profondamente delusa. “Comunque, avresti potuto dirmi che saresti andato. Sarei venuta con te!”
“E stata…” iniziò a spiegarsi Levi, sospirando mentre spostava il telefono sull’altro orecchio e prendeva una bottiglia di latte e una di succo d’arancia. “È stata una specie di decisione dell’ultimo minuti. Non avevo la minima idea che ci sarei andato prima di…”
“O era qualcosa più da giovani, tipo una festa? Semplicemente non volevi andare in discoteca con tua madre? Sarebbe stato un po’ imbarazzante per te?”
Sua madre gli fece quelle domande così velocemente che Levi riuscì a malapena a pensare a una risposta. La sua mente era troppo occupata ad esaminare tutti gli scaffali e cercare di pensare alla colazione.
“No, mamma, non è…” cercò di rispondere, lasciando quasi cadere il telefono quando fece una brusca svolta per tornare a riprendere dei fagiolini, rendendosi conto che aveva preso in modo automatico la confezione piccola. “Sai, in questo momento sono un po’ occupato. Posso chiamarti…”
“O sei riuscito a rimorchiare qualcuno?”
Cercando di ricordare se avesse ancora della margarina in casa, Levi rimase in silenzio per un momento troppo lungo prima di realizzare correttamente che cosa rispondere.
“In realtà, non è proprio…”
“Oh mio Dio, l’hai fatto! C’è un ragazzo lì insieme a te adesso?” chiese sua madre eccitata, abbassando la voce quando aggiunse: “Merda, sto interrompendo qualcosa? Forse era meglio che non ti chiamassi?”
“Sono io che ti ho chiamata!” le ricordò Levi, afferrando un sacchetto di pancarré dallo scaffale. Quindi si recò alla cassa e mise il suo cestino sul nastro trasportatore, così che una commessa dall’aria stanca potesse fare il conto. “E non c’è nessun ragazzo qui, mamma. Sono in negozio e sono arrivato in cassa per pagare. Va bene, quindi, se ti chiamo dopo?”
“Va bene! Comunque, volevo solamente dirti che domani farò un salto in officina così potrai vedere che cos’è quel rumore che la mia macchina continua a fare.”
“Sì. Va bene. Sembra un’ottima idea. Ciao, ti voglio bene.”
Levi terminò la chiamata e iniziò a infilare la spesa nella busta. Gli tremarono le gambe mentre tornava di corsa nel suo appartamento, dove trovò Erwin intento a spazzare via del riso secco dal pavimento della cucina.
“Mi dispiace così tanto,” disse quest’ultimo quando lo vide entrare. “Stavo cercando di scoprire dove tieni il caffè e, per sbaglio, l’ho fatto cadere.”
Caffè. Cazzo. Cazzo. Cazzocazzocazzo.
“Bevo solo tè, quindi non ne ho,” spiegò Levi, appoggiando la busta sopra al tavolo. “Non avevo nemmeno pensato di comprarne una confezione. Posso tornare al negozio se tu…”
“No!” protestò immediatamente Erwin. “No, no, no. Il tè va benissimo. Il tè perfetto. È molto più salutare del caffè, quindi, probabilmente, dovrei iniziare a berlo come alternativa. Per questo motivo il tè è… perfetto.”
“Va bene,” rispose Levi.
Entrambi ridacchiarono goffamente, prima che Levi si occupasse della spazzatura e Erwin iniziasse a svuotare la busta della spesa.
Mentre preparavano la colazione, alternano qualche parola a dei momenti di silenzio, Levi non poté fare a meno di ripensare alla precedente occasione in cui si era ritrovato nella stessa situazione. Proprio come in quel momento, vi era stata un’intesa tra lui e il suo ospite, ma le cose era andate esattamente all’opposto: era stato lui a non volersi sbarazzare troppo velocemente di quel ragazzo, mentre quest’ultimo sembrava altrettanto ansioso di andarsene. Non che ci fosse stato qualcosa di sbagliato in lui: il sesso era andato bene ed era un bel ragazzo, ma vi era un tacito imbarazzo che era emerso alla luce del giorno che nessuno dei due riuscì a dissipare per tutto il tempo che rimasero nella stessa stanza.
Invece non vi era nemmeno una piccola traccia di disagio ora che era con Erwin. Si sentiva completamente a suo agio con lui, anche quando non si affrettò per riempire ogni momento di silenzio nella loro conversazione. Muovendosi con i piatti e il cibo, andarono quasi a sbattere l’uno con l’altro, quindi Erwin spostò Levi oltre di lui, stringendolo per un momento tra le sue braccia. Levi si lasciò credere che volesse che quel tocco indugiasse più a lungo. Riuscì a percepire l’odore di sudore sui vestiti dell’uomo e questo gli fece ricordare la notte precedente, i baci e le carezze che si erano scambiati.
“A proposito, grazie mille per la colazione,” disse Erwin dopo essersi messi a sedere e aver riempito i loro piatti con funghi, fagioli e fette di pane tostato. “Penso che a quest’ora il mio hotel abbia già smesso di servirla.”
Giusto. Viene da fuori città.
“Non è un problema,” rispose Levi, sorridendo rapidamente. “Va bene così.”
Erwin ridacchiò e lo ringraziò nuovamente.
“Non lasci mai rimanere per colazione le persone che non ti piacciono?”
“Se devo essere onesto, non ho mai avuto la necessità di mandare via delle persone da casa,” rispose con sincerità Levi, mentre ammucchiava i fagioli sopra la sua fetta di pane tostato. “Come ho detto, non…”
“Non è qualcosa che fai spesso. Va bene,” disse Erwin, terminando la frase al suo posto. “Beh, penso che sia stato un pensiero davvero gentile da parte tua. Inoltre…” Smise improvvisamente di parlare e si limitò a fissare il suo piatto per qualche momento, prima di alzare lo sguardo in direzione di Levi, trattenendo un sorriso. “Non lo so,” aggiunse. A quanto sembrava, stava ancora soppesando le sue parole. “Penso che sarei molto felice se noi potessimo…”
“Parlarne quando saremo più sobri?”
Erwin ridacchiò.
“Sì. Cioè, non lo so. Semplicemente…” smise di parlare per sospirare. “Mi spiace, di solito riesco a formulare frasi più articolate di così.”
Levi osservò il sorriso di Erwin, il suo naso aquilino e le sue sopracciglia folte.
“Non preoccuparti, neanch’io ricordo la maggior parte delle cose di cui abbiamo parlato ieri sera.”
A quel punto Erwin si rilassò, le sue spalle si abbassato e sospirò nuovamente, ricordando a Levi un pallone che veniva sgonfiato.
“Oh, grazie al cielo,” sospirò, ridacchiando. “Mi sono sentito un emerito cretino per tutta la mattina.”
Anche Levi scoppiò a ridere.
“Io invece credevo che ti chiamassi Ernest quando mi sono svegliato,” confessò.
Le sopracciglia di Erwin si alzarono talmente tanto da arrivare quasi all’attaccatura dei capelli.
“Ernest?!”
“O Marvin,” aggiunse. “Tuttavia, Erwin è una specie di combinazione tra i due, quindi non penso di esserci andato così lontano.”
“Ernest e Marvin,” ripeté Erwin, scuotendo la testa apparentemente incredulo. “Beh, immagino che dovrei dirti grazie visto che mi hai fatto sentire molto meglio per il fatto che non riesco a ricordare quello che fai per vivere.”
“Sono un meccanico,” rispose Levi, osservando l’espressione sul volto dell’altro ragazzo mentre elaborava quella informazione.
“Giusto, sei un meccanico,” disse quest’ultimo, sembrando quasi sorpreso. “È… piuttosto sexy.”
“Lo hai detto anche ieri notte,” gli spiegò Levi, ricordando come quella affermazione lo aveva fatto precedentemente ridere. “E tu sei un…”
“Uno studente,” disse Erwin. “Sono iscritto alla facoltà di scienze politiche e relazioni internazionali.”
“Giusto,” concordò Levi, ritornando per qualche momento al brindisi che avevano condiviso la notte precedente. Quindi borbottò, “Un giorno diventerai primo ministro.”
Erwin ridacchiò.
“Ne dubito fortemente, ma mai dire mai, penso,” rispose, ridendo ancora mentre dava un morso alla sua colazione.
Vi fu un momento di silenzio quando entrambi iniziarono a mangiare. Levi non poté fare a meno di continuare a guardare le maniche arrotolate della camicia di Erwin, che lasciavano scoperti i suoi forti avambracci ricoperti di peli così chiari da sembrare quasi bianchi. Era chiaro che non avesse scolpito quei muscoli portando solamente dei libri in giro per il campus e non poté fare a meno di immaginare loro due mentre si allenavano insieme, condividevano dei frullati e gareggiavano a chi percorresse più velocemente gli ultimi cento metri durante le loro corse mattutine. Era uno scenario davvero adorabile e non poté fare a meno di sorridere.
“È stato anche per te il primo pride, non è vero?”
La domanda di Erwin lo fece tornare con i piedi per terra, quindi annuì.
“Non pensavo che fosse qualcosa che potesse davvero piacermi, ma mi sono divertito,” ammise, versando il tè in entrambe le loro tazze.
Rischiò di versarne un po’ sul tavolo quando si rese conto di star fissando Erwin per un istante un po’ troppo lungo.
Forse dovrei fare delle cose nuove più spesso.
“Sai, ti avevo già notato durante il corteo,” raccontò Erwin, raggiante.
“Davvero?” chiese Levi, ricordando come i loro occhi si erano incontrati per un solo momento, di come si erano sorrisi a vicenda e come aveva pensato che fosse dovuto solamente al clima di festa che vi era intorno a loro, come se bastasse per mettere le persone di buon umore.
“Non lo so,” rispose Erwin, massaggiandosi il collo. “Immagino che semplicemente… hai attirato la mia attenzione.”
“Sì,” concordò Levi, alzando lo sguardo per qualche istante, per poi tornare a tenerlo fisso sul piatto. “Sì, anche tu hai attirato la mia attenzione.”
“Però, devo ammettere che stavo per non venire a parlarti nel locale,” rivelò Erwin.
Levi ridacchiò, con la faccia immersa nella sua tazza.
“Perché?”
“Non lo so,” rispose Erwin. “Sembravi un po’… intimidatorio.”
Levi quasi sputò il suo tè.
“Stai scherzando,” disse, ma l’altro uomo scosse la testa.
“No, dico sul serio. Sembravi solo… non so.” Si fermò per ridacchiare. “Sembrava come se avessi degli standard elevati.”
Levi rimase qualche secondo a pensare in silenzio, quindi lo guardò e si scrollò le spalle.
“Forse è veramente così.”
“Allora è per questo motivo che non ricordavi il mio nome?” chiese Erwin, con un’espressione così divertente sul viso che fece scattare fuori la lingua di Levi.
“No, non è questo il motivo,” ribatté. “Inoltre… mi ricorda delle cose. Cose più importanti.”
“Davvero?” gli chiese Erwin. Annuì. “E quali sarebbero queste cose più importanti?”
“Lo sai,” rispose Levi, spostando nuovamente gli occhi sulla sua colazione. “Quanto mi sono divertito con te.”
“Ti sei divertito?”
“Sì,” annuì Levi. Il sorriso sul suo volto iniziò a vacillare mentre un brivido gli percorse tutta la schiena. “Mi sono divertito molto la scorsa notte.”
“Va bene,” rispose Erwin, ponendo fine a quella presa in giro e bevendo un sorso del suo tè. “Beh, mi sono divertito anch’io. Davvero tanto.”
Entrambi ridacchiarono nuovamente per il nervosismo. Continuarono a fare colazione, intervallando qualche battuta a momenti di silenzio. Levi rimase sorpreso di scoprire quando fosse quasi ugualmente soddisfatto da entrambe le cose, gustandosi i silenzi così come le domande ponderate e le risposte interessanti di Erwin. Scoprì che in un primo momento si era iscritto alla facoltà di storia, ma era passato alle scienze politiche quando si era reso conto di essere maggiormente interessato ad avere un approccio pratico sugli eventi mondiali. Erwin gli confessò di non sapere nulla di macchine e gli chiese di parlargli del suo lavoro. Il suo interesse non vacillò mai, anche se a Levi le sue stesse risposte sembravano noiose e poco interessanti.
Quando Erwin disse che doveva proprio andarsene, sembrò rattristato tanto quanto lui.
“Vorrei poter restare più a lungo,” spiegò. “Purtroppo, però, devo prendere un treno tra poche ore.”
Levi annuì. Non sapeva proprio che cosa dire, quindi cercò di concentrarsi solamente sul evitare che il suo volto mostrasse qualche segno di quel senso di delusione che gli stava contorcendo le viscere.
“Non so come puoi sentirti al riguardo, dato che viviamo in due città diverse e tutto il resto, ma…” cercò di spiegarsi Erwin. “Pensi che potremmo scambiarci i numeri di telefono o qualcosa del genere?”
Levi si affrettò ad annuire, prendendo un profondo respiro mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca.
“Sì, certo. Scrivi pure qui il tuo.”
Si scambiarono i telefoni ed ognuno aggiunse il proprio numero nella rubrica dell’altro — Levi sorrise quando vide il nome di Erwin sopra quello di Farlan —, quindi si diressero verso la porta.
Erwin si fermò e si voltò nuovamente verso Levi, torreggiando su di lui mentre sembrava davvero imbarazzato.
“Mi stavo chiedendo…” cercò di dire, smettendo di ridacchiare e grattandosi la nuca. “Andrebbe bene per te se ti baciassi?”
Levi emise una risata sommessa, ma annuì. Le labbra di Erwin gli sembrarono più morbide, meno affamate e impazienti della notte precedente. Le mani dell’uomo si poggiarono una sul suo collo e l’altra sulla spalla, risultando quasi caste rispetto al giorno prima, quando avevano viaggiato lungo tutto il suo corpo, strattonando ogni superficie di tessuto che aveva incontrato. Levi afferrò la sua camicia e lo tirò verso il basso, rendendosi conto solamente dopo che si furono staccati di essersi alzato sulla punta dei piedi.
“È stato fantastico,” disse Erwin. “Tu sei fantastico. Sono stato davvero molto bene.”
“Sì,” concordò Levi. “Sì, è stato fantastico.”
Si salutarono silenziosamente ed Erwin se ne andò. La mano di Levi si soffermò sulla maniglia della porta ancora per qualche attimo prima di convincersi a spostarsi da lì, tornando a quella che era la sua solita routine domenicale. Lavò i piatti, ripensando a come Erwin si era complimentato per come aveva preparato i funghi. Infilò le lenzuola in lavatrice, sentendo ancora l’odore di Erwin quando le tolse dal letto. Pulì il bagno, rendendosi conto che Erwin doveva aver usato il suo deodorante, visto che si trovava vicino al lavandino invece che nell’armadietto dove lo teneva di solito.
Quando sentì arrivare un messaggio, quasi fece una corsa per andare a prendere il suo cellulare. Lesse il testo quattro volte.

Al momento sto desiderando di non trovarmi in questo treno…

Levi iniziò a digitare sette risposte diverse, cancellandone tutte quante prima di inviarne una scarna e ascetica.
Sì!

Il silenzio che seguì durò così a lungo che Levi perse ogni speranza. Iniziò quindi a pensare alle cose che avesse da fare e che fosse giunto il momento di muoversi da lì. Il suo cellulare squillò nuovamente mentre stava oltrepassando la porta di casa. Il suo cuore iniziò a battere forte e rimase fermo sul posto, senza fare un ulteriore passo in avanti.

Hai impegni per il prossimo weekend?




Ciao a tutti!
È la prima volta che traduco una storia di hedera_helix e spero proprio che vi piaceranno le sue opere tanto quanto a me. Per chi volesse, qui troverete la storia in lingua originale.
A presto,
JodieGraham

 
   
 
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