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Autore: DanieldervUniverse    14/06/2021    1 recensioni
[Lex Arcana]
In una provincia dell'Impero Romano uno strano morbo distrugge il grano, e uno sconosciuto coperto da un mantello nero semina panico e devastazione tra la popolazione. Un contubernium di Custodes della Cohors Auxiliaria Arcana viene inviato ad investigare...
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno sguardo agli immensi campi non lasciò dubbi sullo stato delle messi: piante deboli, fragili, e piagate da malattie. Nemmeno gli sciami di insetti osavano aggredire il raccolto.
-Questa non è opera d’uomo- parlò il vecchio Tisebio, il capo della comunità del piccolo villaggio, mentre il vento scuoteva le fragili spighe di grano -Un male così grande non ha mai colpito questa terra. Il favore degli dèi ci ha abbandonati.
-Il favore degli Dèi romani- intervenne in quel momento uno sconosciuto, avanzando tra la folla di contadini a dorso di un cavallo bianco come i picchi innevati delle Alpi. Portava un mantello nero che copriva quasi interamente la sua forma, incluso il volto grazie al cappuccio, ma il suo portamento e la sua voce ostentavano sicurezza e forza.
I popolani si fecero da parte, incerti di fronte alla misteriosa figura, mentre il pretore e la sua guardia rivolsero all’individuo uno sguardo sospettoso e oltraggiato.
-In nome della legge romana ti ordino di identificarti, uomo. Chi sei e cosa ci fai qui?
Per tutta risposta l’individuo fece un sorriso inquietante che si illuminò da sotto il cappuccio, nonostante il resto dei suoi lineamenti rimase sostanzialmente nascosto.
-Sono la voce del destino, e vengo a raccontare la verità che voi romani tenete sigillata dietro un muro di fandonie.
-Identificati- insisté il pretore.
-Questi campi sono avvelenati dalla volontà degli dèi di Roma!- declamò lo sconosciuto, alzando il braccio destro al cielo e compiendo un mezzo giro col cavallo -I romani desiderano possedere il mondo e dominarlo con il pugno di ferro!
-Se non ti identifichi immediatamente ti farò arrestare…
-È l’invidia di Roma che ha colpito questi campi!- lo sconosciuto non sembrò notare il pretore, che cominciava a spazientirsi. Lo stallone bianco iniziò a muoversi a trotto sostenuto da un capo all’altro della folla a mano a mano che le parole dello sconosciuto prendevano impeto. I contadini fissavano intimoriti l’uomo, persino il vecchio Tisebio non osava interromperlo. Anche i soldati della guardia cominciarono a sentirsi a disagio, non sapendo cosa stesse succedendo o come avrebbe reagito la folla, e molti di loro rivolsero sguardi quasi supplici al pretore perché desse loro direttive.
-Sono i Romani che alla vista di questi campi floridi, in comparazione ai loro, alzarono preghiere agli dèi affinché maledicessero questa terra e la riducessero in miseria. Sono i Romani, per invidia della vostra abbondanza, ad avervi portato via il grano con cui sfamare i vostri figli. Sono i Romani, per mantenere il loro potere, a lasciarvi morire di fame. Sono i Romani, per proteggersi, a terrorizzarvi con le loro divinità!
-FANDONIE!- urlò il pretore, con rabbia. Il suo volto anziano era rosso d’ira e persino il suo cavallo pezzato agitava la testa, nervoso -Queste terre appartengono a Roma, e come tali sono sotto la protezione degli Dèi e della potenza dell’Impero! Non affameremmo mai i nostri sudditi…!
-Bugiardo!- lo interruppe lo sconosciuto, volgendo il cavallo verso il pretore e puntando il dito accusatore sull’individuo -Voi Romani avete sterminato il popolo e rubato la ricchezza di questa terra quando l’avete conquistata! Avete ridotto in fame migliaia di persone e in schiavitù altre migliaia, e tutto per saziare la vostra gloria!
-Roma conquista in nome della civiltà!
-È chi è giudice delle azioni di Roma dunque!? Roma stessa! Siete voi che vi assolvete per quello che fate ai popoli che così barbaramente conquistate!- adesso la voce dello sconosciuto tuonava, facendo vibrare l’aria tutt’attorno. Le guardie erano spaventate, e stavano con le lance strette nelle mani a lanciare sguardi timorosi alla folla.
-Sono gli Dèi a giudicare le azioni di Roma!- replicò con fermezza il pretore -E solo gli Dèi ne hanno diritto!
-I vostri dèi! Altri dèi abitavano queste terre prima di Roma, e attendono dormienti di liberare dal vostro flagello! Mai più i Romani affameranno questa gente! Mai più oscure divinità decideranno il fato di queste terre! Mai più falsi giudici saranno voce delle nostre leggi!
-Arrestatelo!- ordinò il pretore, e i soldati, sebbene esitanti, fecero come detto con marziale disciplina.
-Guardate, o popolo, la verità di Roma!- continuò lo sconosciuto, puntando il dito contro le guardie -Guardate cosa fanno gli Dèi romani ai loro fedeli!
Il pretore sbuffò, stufo di quella pagliacciata, ma improvvisamente i suoi uomini fecero cadere a terra lancia e scutum e cominciarono a contorcersi, stringendo le mani alla gola o attorno al corpo. Presto le loro armature e le loro pelli cominciarono a deformarsi, finché in pochi secondi non si trasformarono in corpi dall’aspetto vagamente umanoide, ma coperti di una nera peluria e con tratti bestiali.
Il pretore ammutolì di fronte a tanto orrore, e rimase a fissare inerme mentre le creature, qualunque cosa fossero, si lanciavano voraci sulla folla assalendo poveri sventurati e facendo fuggire gli altri, il tutto mentre lo sconosciuto incitava il popolo a ribellarsi al potere di Roma.
-È giunto il momento di riprenderci le nostre terre! Dobbiamo accendere i nostri fuochi e prepararci alla guerra purificatrice contro i conquistatori!
-Che cosa hai fatto?!- esclamò infine l’ufficiale romano, quando ormai la folla era lontana e lui non poteva fare più niente per fermare i mostri.
-Ho strappato il velo delle vostre illusioni! Ora tutto il mondo conosce il vero volto di Roma! Ora tutto il mondo potrà essere giudice delle nefandezze del vostro impero!
Stanco di perdere tempo a quel gioco, in cui lo sconosciuto sembrava essere in pieno vantaggio, Caio Ostilio trasse il proprio gladio in preparazione allo scontro.
-Cosa pensi di fare ora? Credi di potermi affrontare!? Tu sei debole romano, come i tuoi dèi oscuri e bugiardi. Non credere di poterti opporre a me.
-Ho combattuto sul limes per vent’anni, non credere di farmi paura- rispose con glaciale fermezza Caio. Poi spronò lo stallone, invocando Marte affinché desse forza al suo braccio per abbattere il nemico.
Senza pietà calò il gladio sulla gola dello sconosciuto, che non reagì minimamente, ma proprio quando Caio stava per gioire sentì un atroce dolore alla giugulare, e il sangue gli riempì la bocca. Si toccò con mano tremante e sentì un taglio nella gola, anche se nulla l’aveva toccato. Cercò di parlare ma la voce si ridusse ad un gorgogliò strozzato dal sangue.
Presto perse le forze e cadde dal cavallo, che continuò la sua corsa mentre lui rotolava al suolo impotente.
-Ora, romano, vedi la vera potenza dei miei Dèi- disse lo sconosciuto, avvicinandosi. Caio non poteva vederlo, ne girare il capo per guardarlo, ma percepiva il suo passo attraverso la terra.
-Presto un nuovo raccolto sarà seminato, e grazie al tuo sangue crescerà più grande e florido che mai. E sappi che presto il sangue di Roma scorrerà sull’intero mondo, a foraggiare la nuova vita che su esso sorgerà.
Poi Caio udì il richiamo di Plutone e lasciò il suo corpo per discendere negli inferi, tormentato dalle parole del suo nemico.

 

La piccola casupola abbandonata offriva una vista sufficiente della grande pira infuocata per trasmettere un senso di inquietudine ai custodes riuniti al suo interno. In una settimana di permanenza nella regione avevano visto decine di quei falò accendersi ogni notte tra i campi, e migliaia di persone che si recavano a danzarci attorno invocando oscuri nomi per poi sparire nella notte lasciando dietro morti e morenti, stremati dalla fame e dalla foga delle danze. L’olezzo di morte avvolgeva anche il villaggio, che ormai gli abitanti avevano lasciato: decine di cadaveri erano sparsi per le strade, abbandonati assieme al paese, dando una nota macabra all’atmosfera.
Quasi tutti i contadini della zona avevano cominciato a vivere per strada, riuniti in bande o nelle foreste con il loro nuovo profeta. Nelle grandi città la situazione ancora non era degenerata ma la fame dovuta al pessimo raccolto cominciava a premere sulle gole dei più bisognosi, e il governatore della provincia aveva timore che scoppiasse presto una rivolta a tutti i livelli.
Cumar si prese il mento barbuto tra le mani, perso nei suoi pensieri. Al loro arrivo lui e il suo contubernium, in missione per la Cohors Auxiliaria Arcana, avevano ricevuto un freddo benvenuto dagli abitanti e dai diversi gruppi armati ostili, spesso poveracci affamati che desideravano le loro vettovaglie per non morire di fame. Quando poi avevano provato a stabilire contatti con i seguaci dello sconosciuto avvolto dal mantello nero avevano ricevuto maledizioni gridate in una lingua sconosciuta, e poi i malcapitati erano diventati creature metà uomo metà bestia e li avevano attaccati.
Negoziare con i cultisti era evidentemente impossibile, il che riduceva la possibilità di trovare soluzioni alternative al massiccio intervento militare, ma anche trattare con il governatore, che implorava ogni giorno l’invio di truppe per sterminare i ribelli, si faceva sempre più complicato.
-Allora?- disse in quel momento Aetius, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Il bel giovane romano, solitamente sempre pacato e seducente, era ora totalmente trasfigurato in un individuo sulle spine e dal volto contorto dall’impazienza.
Cumar non era stato molto convinto quando la Guardia Pretoriana e i Magister della Cohors avevano scelto Aetius, un individuo ignoto e dal bel faccino, come “supporto diplomatico e marziale” alla spedizione, specie per la fama di donnaiolo e il suo amore per il lusso, ma non era stato nelle condizioni di controbattere.
Di fronte alle proteste del giovane, Aulete, il sapiente egiziano, sollevò il capo dai semi che stava analizzando e scoccò un’occhiataccia al compagno, intimandogli di non disturbarlo. Aetius, allora sbuffò e riprese a fare avanti e indietro, innervosendo persino Cumar con il suo incedere. Il siriano si alzò in piedi, volendo scuotere l’angoscia dalle sue membra, e si diresse fuori dalla casupola, raggiungendo Elettra. La liberta guardava con sguardo impassibile il grande fuoco in lontananza, ergendosi al centro della piazza del villaggio con spregio di essere vista o individuata da malintenzionati.
-Tutto tranquillo?- domandò Cumar, affiancandola.
-No- replicò lei schietta -Niente di questo posto sembra tranquillo. C’è qualcosa nella terra e nell’aria che mi fa tremare i polsi. Posso sentirlo.
-Siamo tutti nervosi, trovo che sia comprensibile vista l’atmosfera- rispose il siriano, cercando di rassicurare sé stesso piuttosto che la compagna.
-Dovresti tornare dentro con noi, da soli qua fuori è pericoloso- aggiunse poi. Elettra rispose con un verso di scherno. Un alito di vento le scompigliò i capelli biondi e lei sbuffò di fastidio, costretta a risistemarsi la crocchia onde evitare che il suo crine le andasse negli occhi quando combatteva.
-Ho vissuto per quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza nei pozzi di sabbia di arene e anfiteatri, uccidendo amici e nemici in egual misura. Stare qua fuori non è nulla in confronto a quello.
Cumar annuì, vergognandosi un poco di fronte alle parole dell’ex-gladiatrice, ma la invitò comunque a seguirlo all’interno, insistendo che servivano le orecchie di tutti.
-Le sementi sono prive di impurità o veleni- li accolse Aulete al loro rientro.
-E non ci sono nemmeno segni di malattie- gli fece eco Clelia, la mauretana.
-Non sono i semi a rovinare il raccolto- il sapiente si passo una mano sul capo calvo, come faceva sempre quando si sentiva a disagio, e fece migrare i suoi occhi sui presenti nella casupola, come se si aspettasse una qualche reazione.
-Questo è importante- rifletté Cumar, tornando ad accarezzarsi il mento mentre avanzava verso il centro della stanza, vicino alle luci delle torce -Se non è il grano, allora cosa potrebbe essere?
-Grano contaminato sostituito a quello sano- ipotizzò Aetius, ma Aulete scosse il capo.
-Se ne sarebbero accorti. E poi non c’è abbastanza grano malandato in tutto l’Impero sufficiente per seminare questi campi- gli occhi dell’uomo erano persi nel vuoto, come faceva sempre quando faceva accesso alla sua straordinaria conoscenza enciclopedica.
-Magari è il risultato di una siccità imprevista, impoverimento del suolo- suggerì Cumar, ma Clelia, che di natura e suolo si intendeva, bocciò la sua ipotesi.
-La terra è fertile e ricca, e il clima caldo e umido- la ragazza si alzò in piedi, lisciando la veste sotto l’armatura e guardando con occhi cupi -Ho paura che gli dèi abbiano veramente maledetto questa terra.
-Impossibile- replicò Cumar, duro -Gli Dèi non hanno maledetto queste terre. Gli augura della Cohors hanno parlato chiaro.
-Se la nostra augure si degnasse di destarsi...- sentenziò Aetius, riferendosi a Teodora, che dormiva addossata alla parete.
-Falla finita- lo rimbeccò Clelia ma Cumar non se ne curò, perché nel posare lo sguardo sulla giovane greca si era accorto che qualcosa la turbava: aveva dei tremiti, e il suo volto sembrava impallidito. Il siriano rimase concentrato su di lei, sentendo un brutto presentimento farsi strada nel suo animo, e domandandosi se fosse il caso di risvegliarla dal sonno. Ma si distolse subito dal pensiero: se gli dei stavano mandando un messaggio alla ragazza, la loro volontà andava rispettata.
-E se fosse qualcosa sotto il terreno?- disse in quel momento Elettra -Qualcosa che da sotto al terra sale e avvelena il raccolto?
-Pfft, assurdo- replicò Aulete, focalizzando il suo sguardo sulla donna dacia -Come potrebbe mai qualcosa da sotto terra salire e avvelenare il raccolto?
-Un drago celtico!- esclamò in quel momento Teodora, svegliandosi di soprassalto. Colti di sorpresa Cumar e gli altri si volsero a guardarla: la ragazza aveva i lunghi capelli castani grondanti di sudore, gli occhi castani spiritati e il volto pallido, e in quella luce, con quell’atmosfera, sembrava inquietante.
Clelia fu la prima a riprendersi e si avvicinò alla compagna offrendole una borraccia d’acqua, che Teodora si scolò volentieri. Sembrava che avesse migrato nel deserto d’Arabia per una settimana. Poco a poco il contubernium si ricompose e i membri si disposero a semicerchio davanti alla giovane augure, attendendo le sue parole.
-Di cosa parlavi prima?- domandò Aulete, con lo sguardo attento e fisso su di lei.
-È un drago celtico ad avvelenare i campi: ha il corpo di un serpente e la testa da coccodrillo. Ha costruito la tana in un complesso labirinto di gallerie sotterranee, che gli permettono di spostarsi rapidamente da un capo all’altro della regione. Obbedisce agli ordini dello sconosciuto che ha ucciso il pretore, e quello in cambio lo protegge dalle ritorsioni degli abitanti di questi territori.
-Hai visto il suo volto?- domandò Cumar.
-No. Nemmeno in sogno sono riuscita. Ma gli Dèi mi hanno mostrato le forze oscure che lo possiedono, e non c’è nulla da ridere- Teodora si interruppe per dare un altro sorso. Finita la trance si stava riprendendo in fretta, dando prova della sua incrollabile vitalità.
-Quindi adesso sappiamo come fermare la carestia- intervenne Clelia -Possiamo uccidere il drago.
-Ma come faremo a trovarlo nelle gallerie?- domandò Elettra -Saremo alla sua mercé, e rischieremo di finirne preda.
-Una creatura di tali dimensioni non può alimentarsi nel sottosuolo: deve necessariamente uscire a cacciare, lasciando quindi delle tracce che io posso seguire fino alla sua tana- spiegò Clelia, con gli occhi che brillavano. Essendo nata in una tribù nomade sotto la protezione imperiale, la ragazza amava mettersi in caccia di qualcosa, ed era molto brava.
-In questo modo sarà facile tendergli una trappola e privare lo sconosciuto di un prezioso alleato- rifletté Cumar, convinto. Ma non per questo era sollevato: lo sconosciuto era ancora inafferrabile, e se davvero altri dèi lo stavano aiutando nei suoi piani sarebbe stato un osso duro da sconfiggere. Il rischio di un massacro pendeva sulla sua coscienza come un macigno, lasciandolo incerto delle sue possibilità di evitare la catastrofe.
-Incredibile...- mormorò Aulete, con gli occhi che brillavano -Mai avuta testimonianza di un comportamento simile da parte di un drago.
-Sembra proprio che tu avessi torto nelle tue supposizioni- lo stuzzicò Aetius con un sorriso suadente, che nella cornice della sua barba castana lo rendeva quasi irresistibile.
-Lo so, vero? È affascinante! Devo studiare questo caso, porterà a una grande svolta nello studio di queste creature!- rispose il sapiente, lasciando al giovane romano l’amara constatazione che a lui non importava il torto o la ragione, ma solo la conoscenza.
-Già. Se non era per Teodora staremmo ancora brancolando nel buio- disse Clelia, facendo l'occhiolino ad Aetius. L’uomo rispose a tono, facendo appello a tutto il suo fascino. Il volto d’ebano della giovane si colorò di un tenue rossore e lei distolse lo sguardo, afferrando la sua lunga treccia e cominciando ad accarezzarla di riflesso.
Aetius si sentì in qualche modo incoraggiato da questo comportamento, ma prima che potesse lanciare un’offensiva Elettra gli poggiò pesantemente una mano sulla spalla e si chinò a sussurrargli nell’orecchio. Cosa, Cumar preferì non saperlo.
-Che stiamo aspettando!?- esclamò in quel momento Teodora, balzando in piedi con le lance in mano ed emanando vigore giovanile da tutti i pori -Andiamo subito a cercare quel serpente e diamogli una lezione!
-Calma, calma- disse Cumar, alzando la mano per quietare tutti -Adesso è tarda notte, se ci mettessimo in viaggio non riusciremmo a fare molta strada. Rimandiamo a domani i nostri sforzi.
-Ma...- fece per protestare la giovane. A vederla così energica e determinata il siriano ebbe il dubbio di darle ragione, ma la sua prudenza ebbe la meglio.
-Riposiamo e rifocilliamoci, i rifornimenti scarseggiano. Stanotte gli Dèi veglieranno su di noi, possiamo stare tranquilli. Spegnete le torce e mi raccomando, non accendete altri fuochi: rischieremmo di farci scoprire.
-ROMA INVICTA! ROMA AETERNA!- esclamarono in coro i custodes, prima di prepararsi per la notte.
-Maledetti ribelli- si lasciò sfuggire Aetius, mentre stendeva il giaciglio -Dovrebbero metterli tutti a morte.
-Chi ti ha fatto giudice?- lo rimproverò Elettra -Non sai cosa deve subire questa gente da parte dei governatori e dei pretori.
-Questi sono sudditi dell’Impero, dovrebbero rispettare la legge e obbedire ai suoi dettami!
-La legge romana è giusta solo coi romani!
-Questo SONO romani! Tutti gli abitanti dell’Impero sono romani!
-Non è vero e lo sai!
Entrambi gli individui erano rossi in volto, e si fissavano con una furia antica. Elettra era palesemente più alta e massiccia, ma negli occhi di Aetius c’era una strana luce, cupa e inquietante, che incitava alla violenza. Clelia cercò di mettersi in mezzo ma poco dopo anche Teodora, con la sua testa calda, si unì alla contesa, e per un attimo sembrò che la fiamma della discordia sia fosse accesa tra i membri del contubernium. Senza pensarci molto Cumar prese l’ultima torca e la spense, e poco a poco anche gli altri, lasciati al buio, si ritrassero nei loro giacigli.

  
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