La nostra eroina
ci è riuscita. Sono riuscita ad aggiornare, finalmente,
questo capitolo è stato
un parto, ho cambiato narratore tre volte ed alla fine ho deciso di
andare con
July, principalmente perché è quella con cui mi
trovo meglio a scrivere, anche
se be, questo capitolo è stato un parto. Però lo
volevo inserire.
È molto probabile che da questo momento io proceda ad una
correzione generale
della storia, quindi, si, niente, lo volevo annunciare.
Vorrei fare un grazie speciale ad Edoardo811 che spreca del tempo
prezioso a
recensire questa amenità.
Un bacio e buona lettura
Ps –
Illustrazione
preparata per il capitolo 20, con ben 10 capitoli di ritardo:
https://www.facebook.com/photo?fbid=10222993914709459&set=a.4306009101571
IL CREPUSCOLO DEGLI IDOLI
A volte anche i semidei hanno una giornata ordinaria, nessuna ironia nel testo (tranne per l’intervento di Eris, il rito, l’Ippogrifo, la Corrispondenza divina, la Dea Misteriosa ed il Barman figo, okay, forse, quello va bene!)
(July V)
Una volta July
aveva avuto un viso d’ambra, un po’ allungato, ma
comunque piacevole, con
capelli corvini ed una pelle liscissima, come quella di tutti i bambini
– i
bambini ricchi.
Poi era entrata nel labirinto, nulla era stato più lo stesso.
Era rimasta ferita, nel corpo, graffi bianchi e rossi avevano decorato
la carne
d’ambra.
Si era fatta bionda perché voleva che … voleva
che l’immagine che le era stata
restituita dallo specchio fosse in toto quella di un’estranea
e non più quella
di uno spettro.
In quel momento, dopo quasi due anni a guardarla vedeva una sconosciuta
con un
viso famigliare.
La pelle era scottata – nonostante la primavera che stavano
attraversando fosse
fredda ed il sole ancora invernale – era squamata, rovinata.
Lo scontro con Fama le aveva lasciato una cicatrice nuova su una
guancia vicino
al mento, i dottori l’avevano sistemata e Taumante
l’aveva rimarginata per
bene; ma restava lì, una riga chiara che tagliava
la pelle, da sotto il mento
che risaliva fino a metà della guancia.
Il corpo anche era rimasto segnato dall’incornate di Atteone.
Però, July, era ancora lì.
Aveva coperto il biondo impallidito di una tinta troppo consumata e una
ricrescita evidente con una colata di nero.
Per un secondo, guadandosi, si era ritrovata ad essere July
Goldenapple, figlia
di suo padre, con un attico a Los Angeles, abituata al gusto del
paté. Per
un secondo.
Poi la realtà era tornata prepotente in lei,
ricordandole in che situazione
si trovava e chi fosse veramente, sebbene rimanesse ancora abbastanza
perplessa
dal fatto di non essere figlia di Afrodite.
“Non pensi
di star
vezzeggiando un po’ troppo?” l’aveva
stuzzicata il suo riflesso, nello specchio
del lavandino del bagno del motel. Il
suo doppio aveva assunto l’espressione contrita ed arcigna di
Eris, sua madre,
bianca come un lenzuolo e con le trecce nere.
“Ovviamente ora ti fai viva” aveva ribattuto July,
cercando di contenere
l’amarezza, ma sbrigliando senza vergogna il sarcasmo.
Eris aveva sbuffato, “Quando avrei dovuto? Ti ho dato tutti i
mezzi e tu ti sei
dimostrata capace. Brava. Te lo avevo detto, no?” aveva
chiesto retorica sua
madre.
“Pungolata posso arrivare a valicare i cieli” aveva
dichiarato July, ricordando
quella mezza profezia.
“Ho scoperto quello che volevi e chi lo ha” aveva
mentito spudoratamente.
“Oh, sì, ma che brava!” aveva squittito
soddisfatta Eris.
Doveva esserci qualcosa sotto, July se ne rendeva conto, sua madre
poteva
essere come tutti gli dei, costretta con le mani legate, ma non era una
persona
da lasciare il caos così a piede libero, senza insidiarsi
per bene.
Se era apparsa era perché voleva qualcosa …
Il Sonno
Più Profondo
ovviamente …
Che July non aveva ancora. E non era più la sola a cercarlo,
orami era palese.
“Tu non mi hai dato profezie o indizi, mi hai solo detto di
dover cercare
qualcosa” aveva valutato July, passandosi una mano sotto il
mento, “Un’arma”
aveva dichiarato Eris.
July non era sicura di ricordare che sua madre le avesse detto di
cercare
specificamente un’arma, l’indizio principale per
trovare il Sonno Più Profondo
lo aveva avuto da Momo e Giuturna, così come
l’indizio per trovare la dea
fluviale lo aveva avuto dal Pittore.
Per parlare con Giuturna era stato necessario il consiglio di Orual
– certo
Eris aveva fornito il mezzo, come se fosse stata assolutamente
consapevole che
July avrebbe dovuto usarlo ad un certo punto.
Giuturna le aveva detto della Luna.
Ed Orual …
Sua madre le aveva detto solamente: vai.
Si era nascosta dietro un bel: “Nasciamo, viviamo e
moriamo soli”.
Però, ecco, qualcosa stonava.
“Tu non sai cosa è” aveva realizzato
July, “Tu sai che io posso trovarla,
perché lo hai letto nel mio destino – come
Giuturna – ma non sai cosa è” aveva
ripetuto.
L’espressione divertita di Eris era morta, “Non
parlare di cose che non sai,
bambina” la richiama subito all’ordine,
“Sono la figlia della signora del caos”
le aveva risposto July, le sopracciglia nere di sua madre si erano
incrinate in
un cruccio, “Io non sono serva di nessuno” aveva
chiarito, prima di tirare un
pugno allo specchio.
La superficie va in frantumi e l’urto le ferisce le nocche,
ma il dolore non
arriva, non subito, prima arriva la forza che fa ammaccare anche il
muro
dietro.
Poi arriva il dolore. Due volte più forte, ma dura un solo
momento.
Potrebbe abituarsi a quel potere.
Quando esce dal bagno, si ritrova nella stanza del motel del
Crepuscolo, dove
sono un paio di giorni che lei ed Al si erano dovuti fermare.
Avevano dovuto lasciare di fretta la loro vecchia sistemazione dopo
l’improbabile funerale di Giuturna ed il messaggio dei
ragazzi del campo.
Alabaster forse aveva trovato il modo di rendere i mostri – e
le dea, a quanto
pare – permanentemente fuori gioco, ma la cosa non aveva
minimamente sfiorato
Cetus e Forco che non avevano gradito molto essersi visti distrutto il
loro
piccolo mondo da Percy Jackson e derubati da loro.
E se il figlio prediletto dell’Olimpo era una figura fin
troppo difficile a cui
stare dietro (July immaginava che la sua testa fosse ricercata da ogni
mostro
di questo mondo) loro due erano bersagli molto più
avvicinabili.
Nella stanza non
c’erano né Al, né Horward,
né Bells, c’era solo Pippin l’Ippogrifo.
La
bestiaccia aveva completamente distrutto il letto matrimoniale del
motel, per
il solo gusto di strappare e beccare ed in quel momento impunemente se
ne stava
appollaiato come una gallina – July non aveva idea di come
fosse anatomicamente
possibile – affianco ai ruderi della sua preda.
“Siamo rimasti solo noi, pare” aveva detto spenta.
Secondo Al era meglio tenere la bestiaccia dentro la camera che legata
fuori
assieme alle biciclette, i mortali guardando l’ippogrifo
vedevano un cavallo,
cosa che poteva quasi passare inosservata, ma Pippin aveva
l’abitudine di
beccare chi passava troppo vicino.
E i cavalli attiravano sempre lo sguardo.
Pippin aveva emesso un verso stridulo, che ricordava l’urlo
di un aquila. July
aveva scansato con la scarpa un mucchio di piume e lanuggine per
sedersi su una
sedia sfuggita alla distruzione della bestia, molto poco contenta di
essere
chiusa in una scatola di sardine con tre mezzosangue.
“All’inizio pensavo che quella di mia madre fosse
uno dei suoi giochi mentali
alla Eris, porto una mela ad un matrimonio, una serie di tessere domino
dopo
Troia sta bruciando. Però, sì, penso che Momo non
le avesse detto dell’arma”
aveva dichiarato a Pippin, che aveva inclinato la sua testa
d’aquila.
July aveva sospirato, alzandosi ed andare a rovistare tra le sue cose,
non ne
aveva molte con se, quando sua madre l’aveva prelevata da
L.A. ma nel
girovagare con Alabaster ne aveva rubacchiate un po’.
Aveva ritrovato la pergamena su cui era raffigurato il dipinto che il
Pittore
le aveva fatto durante la sua battaglia con Fama, non lo aveva
più guardato da
quel giorno, lo aveva volontariamente lasciato al parco, ma fastidioso
quello
continuava a tornare da lei.
Lo aveva srotolato, dissociata tra il voler guardare nuovamente ed il
non
volerlo fare.
“Ho visto il tuo futuro. Fidati July Goldenapple, tu
vuoi fallire questa
missione qualunque essa sia o sarai un passo più vicina a
quello che il Pittore
ti ha mostrato”
Aveva avuto un brivido ricordando le parole che Giuturna le aveva detto
mentre
impersonavano la loro versione tarocca di inception.
“Questo destino hanno dato gli Dei ai mortali
infelici: vivere afflitti …”
la voce di Horward l’aveva colta di sorpresa, il lare era
passato attraverso la
porta chiusa ed ora lo guardava con bonaria pietà nel suo
viso viola
opalescente. July aveva accartocciato la pergamena,
“Odissea?” aveva provato,
“Illiade” l’aveva corretta il lare
personale di Alabaster. July aveva buttato
l’oggetto nel cestino più vicino, consapevole di
non potersene liberare
comunque.
L’imposta
della
porta si era aperta permettendo ad Alabaster di entrare, aveva
un’espressione
funerea in viso e l’inquietudine negli occhi verdi.
Qualche giorno prima aveva detto, cupo, che qualcuno lo stava cercando,
un
sesto senso da stregone super potente, a July era parso ovvio, visto
che Lou
Ellen aveva detto loro che una presenza oscura si stendeva sul loro
cammino.
Lei pensava si riferisse ad Eris, Al credeva che ci fosse qualcun
altro. July
per la sua sanità aveva deciso che il suo amico dovesse
essere paranoico,
altrimenti non sarebbe sopravvissuta tra Satiri assassini che
apparivano in
sogno, sua madre, il pittore ed Orual.
“Stai bene” era stato il commento di Al,
cogliendola di sorpresa, “Grazie,
Torrigton” aveva risposto lusingata July. “Hai
quello che ci serve?” aveva
chiesto subito poi, tirandosi in piedi. Il figlio di Ecate
l’aveva guardata,
“Avevi i capelli così quando ci siamo conosciuti,
vero?” aveva chiesto. July
aveva sollevato un sopracciglio, “Sì, ho
preso quello che ci serve per éukhesthai!” aveva
confermato il figlio di Ecate e nel
farlo aveva sorriso, soddisfatto ed avido di quella sensazione.
“Ringraziamo Chris ed il tuo amico Will per averci fornito la
formula” aveva
dichiarato lei, “E Maya per averla trasmessa” aveva
concordato Alabaster,
riferendosi alla conversazione che avevano avuto nella Stazione dei
Sogni
proprio in merito a quello – così da non dover
disturbare un’altra volta dei di
altri pantheon.
July fu colta da
un momento di tristezza; era un pensiero stupido ma le dispiaceva, alla
fine,
che Chris non avesse potuto lasciare il campo e si fosse dovuto
limitare ad
aiutarli da lontano. July aveva speso tempo a odiarlo, dopo il
labirinto, dopo
il tradimento, ma dopo aver sentito di nuovo la sua voce, si era
sentita
sollevata.
Chris era vivo.
Chris stava bene.
Un altro di loro era vivo e stava bene.
Un altro di loro che comprendeva l’orrore che lei aveva
vissuto – in
particolare.
Lei voleva bene ad Al, come ne aveva voluto agli altri, ma Chris era
stato nel
labirinto con lei, come un mappatore e … Jake e Mary erano
morti. Le restava
solo Chris.
Era egoista si rendeva conto, ma era anche la figlia di Eris, si
sentiva in
dovere, in bisogno, di essere egoista.
Voleva rivedere Chris, davvero.
“Tutto bene?” l’aveva risvegliata
Alabaster.
“Che ne pensi di Bells? Possiamo fidarci?” July
aveva ignorato la sua domanda a
pie pari, preferendone porre un’altra, dopo un sospiro,
d’altronde, come poteva
stare bene?
Alabaster aveva
sollevato le spalle, “Non so, penso di sì? Ci
stiamo fidando dei ragazzi del
campo. Bells era una di noi, era la ragazza di
Ethan” aveva considerato
il figlio di Ecate, ma July la leggeva nella sua voce quella sfumatura
di
incertezza. “Lo hai notato anche tu quello,
vero?” aveva insistito poi
il ragazzo, notando evidentemente un’espressione che July non
doveva essersi
accorta di aver fatto. Gli occhi verdi di Alabaseter erano luccicanti
come il
veleno, sembrava mortalmente serio, come di quei tempi July si era
abituato a
vederlo.
Lei si era morsa il labbro, timorosa. Aveva avuto un grandissimo dubbio
su
Bells – all’infuori del suo provvidenziale arrivo,
con tanto di Ippogrifo,
proprio quando serviva a July, con tanto di benedizione di Orual
– ma non aveva
potuto dirlo ad alta voce fino a quel momento, specie perché
Bells era stata
sempre con loro, ad aspettare che Orual si palesasse.
July aveva inclinato il capo “Che non è cambiata
di una virgola?” aveva
domandato retorica, “Ho parlato con Bernie tramite messaggio
di Iris, prima di
quella brutta faccenda con Fama, be, Bernie era decisamente
cresciuta,
se capisci” aveva spiegato Al, con le guance arrossate,
cercando di mimare con
le mani delle coppe, ma rinunciando troppo presto a causa
dell’ilarità di July.
Alabaster era sempre misurato, faceva strano vederlo così.
“Ed ecco come il
composto Alabaster C. Torrigton diventa un adolescente bruciante quando
si
parla di seno, sì, comunque, diciamo che Bells non
è cambiata di una virgola”
aveva ripetuto July.
Tra lei ed Al, che ora aveva perso il colore peperone, c’era
stato uno sguardo
di intesa.
“Ho l’impressione mi manchi un referente”
aveva commentato Horward.
Bells era arrivata dopo di loro, interrompendo le loro speculazione. La
ragazza
aveva sul viso dipinta un’espressione tranquilla,
“Se avete finito di
spettegolare su di me, sono stata a Starbucks e nessuna sirena mi ha
aggredito”
aveva detto con leggerezza. “Wow, a me non succede
mai” aveva realizzato July,
“I mostri stanno alla larga da me, sono sicuro che ad una
certa mi abbia
servito il pranzo una dracena” aveva dichiarato Al, con quel
suo sorriso
sardonico.
Bells aveva sibilato qualcosa in greco ad Alabaster che prevedeva
l’uso non
esattamente canonico di un ravanello[1].
Bells aveva dato
una ciambella a Pippin, commentando qualcosa sul fatto che Theos fosse
troppo
rigido con lui.
Loro di rimando avevano deciso di consumare la loro colazioni fuori
dalla
stanza – che ormai odorava ad un brutto misto tra stalla e
voliera. Mortale.
“Non so cosa sia questo dolce, ma grazie” aveva
dichiarato Al, dando un morso
al panetto pieno di cioccolato che Bells aveva portato.
Per July aveva preso un cappuccino, cosa che a lei andava benissimo,
per sé
stessa Bells si era presa un caffè nero lungo –
“Come i tuoi poteri”
aveva scherzato la figlia di Eris, venendo accolta da uno sguardo un
po’
amareggiato dell’altra.
“Quindi
siamo
sicuri?” aveva chiesto July, cercando il coraggio, mentre con
gli occhi
guardava gli ultimi resti della sua bevanda.
“Be, con Giuturna non è andata male”
aveva dichiarato Alabaster, “Neanche con
il dio azteco o Taumante. Ultimamente con gli Dei ci sta andando molto
bene,
cosa incredibile” aveva aggiunto. “Anche con Fama
è andata benissimo, vero?” era
stata la pigra risposta di July, che portava
ancora sulla faccia i ricordi del suo incontro con la dea alata,
“Direi di sì,
visto che noi siamo qui e lei è in molti luoghi”
aveva risposto pratico
Alabaster.
Anche Bells aveva detto la sua, “Infondo Orual vuole
aiutarti, no? O non mi
avrebbe chiesto di portarti Pippin e fidati che per recuperarlo non
è stato
molto facile: ho dovuto attraversare metà
dell’America, prendere il mare su una
barchetta, essere uccisa, sì, uccisa, poi buttata
giù da una scogliera ed
avvelenata” aveva dichiarato.
“Ei, non farti troppo la figa, noi abbiamo smembrato un
dio” si era difesa
July, con un sorriso allegro sulle labbra “E ucciso
un altro” aveva dato
manforte Al, desiderosi di non apparire meno di Bells.
Bells aveva riso, “Oh titani, mi eravate mancati. Non ne
avete davvero
idea” aveva dichiarato spontaneamente la figlia di Nyx,
“Le mie compagnie
ultimamente sono abbastanza noiose” aveva aggiunto poi.
July aveva riso allungando una mano per circondare le spalle di Nyx e
far
aderire le loro teste, in un gesto di contatto.
“Anche a me” aveva confessato spontaneamente
Alabaster, “Onestamente non
credevo potessero essere tre di noi nello stesso luogo” aveva
valutato lugubre,
“Basta guardare come io e Bernie siamo riusciti a malapena a
sfiorarci. Tu e
July siete state condotte da me da due dee diverse, altrimenti non
credo
sarebbe possibile” aveva aggiunto.
July si era allontanata da Bells ad aveva lanciato uno sguardo ad il
suo amico,
con il viso sporco di zucchero, che regalava sicuramente
un’aria più
sbarazzina, “Elabora, Torrington” lo aveva
invitato.
“Ci stavo pensando da un po’. Tecnicamente noi
siamo stati esiliati e banditi
dal campo o altri posti sotto la diretta giurisdizione degli Dei, temo
che se
mettessimo un piede a Manhattan rimarremmo fulminati lì
seduta istante, però
non è strano che in un anno di girovagare a destra e manca
noi non ci siamo mai
incrociati? Nel senso, l’America è grande
sì, ma per qualche assurda ragione,
mostri e semidei si ritrovano sempre, attirati da quella reliquia
lì, quella
fonte di energia là, e compagnia. Ma noi non ci siamo mai
incontrati, l’unica
che sono riuscita a sentire è stata Bernie ma poi noi
abbiamo dovuto lasciare
Leesville e non so se lei ci è mai arrivata. Quindi ho
maturato l’idea che non
siamo stati solo esiliati dal Campo …” Alabaster
aveva fatto una pausa, per
dare loro il tempo di elaborare.
Aveva senso.
Certo July aveva vissuto solo a Los Angeles nell’ultimo anno,
ma sembrava
assurdo che effettivamente nessun semideo fosse mai finito
lì.
“Siamo esiliati anche tra di noi. Tipo la foschia funziona in
parte su di noi,
come sui mortali, e modifica le nostre percezioni?” aveva
domandato Bells,
interessata. “Si, forse, non ho idea di come Bernie sia stata
in grado di
contattarmi, ma è stato solo quando mi ha trovato July, ma
guarda un po’ non
siamo riusciti a raggiungerci. Però io e Juls ci siamo
incontrati per volere di
Eris e tu e lei per volere di Orual” aveva ripreso il figlio
di Ecate
didascalico.
July anche aveva annuito, bevendo un altro po’ del suo
cappuccino, “Ha senso.
Se non riusciamo ad incontrarci non possiamo … organizzarci
per creare un altro
colpo di stato?” aveva chiesto.
E perché è più crudele,
aveva pensato.
Nessuno di loro aveva più un posto, per qualche ragione,
come aveva appurato da
Alabaster di quei tempi, nessuno di loro poteva trovarne più
uno nuovo. Buona
parte dei loro amici era morta e quelli che non lo erano ancora, non
erano
altro che biglie impazzite che riuscivano a malapena a sfiorarsi.
“Per un anno mi sono chiesta perché un fulmine non
mi avesse folgorato seduta
istante” aveva dichiarato July, “Pensavo che gli
dei si fossero dimenticati di
me, se fossi stata ben nascosta nessuno mi avrebbe notato e invece
…” aveva
lasciato cadere la frase.
“Esilio” aveva terminato per lei Al, pulendosi poi
la bocca, “Per tutti noi”
aveva aggiunto spento.
Quas tuttii, aveva pensato July, lanciando
un’occhiata veloce a Bells.
Horward era scivolato fuori dalla tasca, per guardarli, “Che
la vostra
maledizione sia vera o meno, non potete sprecare
quest’opportunità. Il tempo è
prezioso, fidatevi di uno spirito che ha sprecato gran parte della sua
vita”
aveva cercato di tirarli su, fallimentare.
July aveva posato il bicchiere di carta vuota vicino a lei e si era
sollevata,
“Il Dr. Horward ha ragione; mi sono stufata di essere una
pallina da ping pong
tra gli dei, Orual risponderà anche a questo. Facciamo
l’éukhesthai!”
aveva stabilito.
“Brava Goldenapple così carica ti
voglio!” aveva dichiarato Bells imitandola e
dandole anche il cinque. Alabaster con gli occhi verdi scintillanti
all’idea di
provare un rito mortale e vecchio di secoli, avuto grazie ad un giro
clandestino di semidei loro nemici, aveva sorriso trionfale, prima di
perdere
quell’espressione, per una un po’ più
ieratica.
“Ci serve un santuario, o un tempio o un posto del genere.
L’incontro tra
uomini e dei per un’invocazione può avvenire solo
lì” aveva spiegato subito.
“Regolare: mia madre mi piglia sul ciglio di una strada,
incontro il Pittore in
un parco, la Fama pure, Taumante all’acquario e Orual al bar
ma l’invocazione
va fatta nel santuario” aveva dichiarato sarcastica July.
“Io conosco un tempio sull’Atollo di
Johnston” aveva dichiarato Bells,
grattandosi il capo, “Possiamo provare a costruire un
tempietto noi, varrà lo
stesso?” aveva proposto.
Al stava sorridendo di nuovo, come se avesse già trovato la
soluzione al
problema che lui stesso aveva posto.
Possibilissimo.
“Aspetta ci stia prendendo per il culo, sai esattamente dove
andare vero?”
aveva chiesto July, “Dr. Horward puoi sfoggiare i motivi per
cui hai un titolo
accademico che ti divertiti tanto a rinfacciarmi, a tre poveri
mezzosangue con
la terza media, per dare una perfetta definizione di
santuario?” aveva detto
sfacciato il figlio di Ecate. “Un santuario è un
luogo considerato sacro per la
manifestazione del divino, per la presenza di sepolture o reliquie,
connesso ad
eventi soprannaturali. Circa” aveva risposto il lare
personale di Al.
C’era stato un momento di silenzio.
“Noi siamo una manifestazione del divino.
Letteralmente” aveva commentato
Bernie.
“Un museo!” aveva detto invece July,
“Dove di solito ci sono un sacco di
chincaglierie antiche che potrebbero essere reliquie, forse”.
“Dieci e lode ad entrambe. Dobbiamo trovare un museo con
reperti greci o
romani, quindi dove implicitamente il culto si
mantenga, poi la nostra
presenza e delle nostre armi, soprattutto quelle,
basterà” aveva spiegato
subito il figlio di Ecate.
“Un po’ forzato” aveva valutato Horward,
“Tutto quello che facciamo è sempre un
po’ forzato” aveva dichiarato July.
“Quindi? Tutti in groppa a Pippin e voliamo verso New York?
Lì c’è il MET,
se non ricordo male hanno tutta una sezione dedicata a greci e
romani” aveva
dichiarato Bells con tranquillità. “Nessuno di noi
ci tiene particolarmente ad
essere folgorato” le aveva detto Al, “O meglio io e
July. Ho la vaga
impressione che tu possa tranquillamente andare a New York,
vero?” l’aveva stuzzicata
il figlio di Ecate.
La figlia di Nyx era avvampata per un secondo, “Può
darsi” aveva ammesso
sdegnosa.
July d’altronde aveva avuto un cattivo pensiero.
“Siamo a Thousand Oaks” aveva
commentato, “Sì” era stata la pigra
risposta di Al, nonostante quella di July non fosse una domanda.
“Siamo a
un’ora, per essere larghi, di
macchina da Villa Getty, non ho idea di quanto sia
a galoppo di
ippogrifo o viaggio ombra, ma sospetto di meno” aveva
dichiarato la figlia di
Eris, tirando un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, in un
immotivato
desiderio di ordine.
Al aveva assottigliato lo sguardo, “Si” aveva
valutato. “Immagino che sia un
museo” aveva dichiarato Bells invece, passandosi le mani
sulla giacca, aveva
avuto l’impressione volesse dire altro ma alla fine aveva
taciuto.
“Sì, è un museo, prima era la casa
dell’Uomo Più Ricco del Mondo, non ricordo
quando, ma ha lasciato istruzione per cui diventasse un museo dopo la
sua
morte. Un uomo che ha speso più soldi per incrementare la
sua collezione d’arte
che per pagare il riscatto di suo nipote quando è stato
rapito. O una storia
brutta di questo genere.
Comunque Villa Getty contiene una collezione di reperti greci, romani
ed
etruschi, di cui sono sicura buona parte importati illegalmente. Mi ricordo la collezione,
perché quando avevo
dodici anni mio padre ci ha organizzato una sfilata di moda, con
vestiti
ispirati all’antichità, un po’ come
quella di Gucci, solo più bella.
Villa Getty è fatta sulla base di una villa romana, non
ricordo se di Ercolano
o di Pompei” aveva raccontato July.
“Ercolano. La villa dei Papiri”
aveva colmato subito le sue lacune
Horward.
“Cazzo, Goldenapple, facevi proprio la bella vita”
aveva dichiarato Bells, con
un sorriso da squalo.
“Certo. Mio padre mi ha portato solo perché
facessi compagnia alla pestifera
figlia di Tristan McLean che, come mio padre, era troppo impegnato a
fare la
scintillante prima donna per badare alla propria figlia preadolescente[2]”
aveva dichiarato con sdegno.
Non aveva nulla contro Piper nello specifico.
Aveva due anni meno di lei e July aveva riconosciuto in lei il suo
stesso
sguardo, delusione e trascuratezza. Poi, July aveva conosciuto Mary,
aveva
scoperto chi fosse veramente ed aveva combattuto una guerra.
E ricordava quella sua insofferenza come qualcosa di stupido e frivolo.
Non
aveva perdonato suo padre per averla trascurata, non era voluta
rimanere con
lui ma non provava più tutta quell’amarezza,
perché infondo ciò che July aveva
detto a Giuturna era vero: i suoi amici erano morti.
Cosa voleva essere il resto davanti la cosa più definita ed
irreversibile
dell’universo: la morte.
“Hai conosciuto Tristan McLean? Tipo Tristan McLean Re
di Sparta? Jack
Steel di Fuoco e Onore?
Quello?” aveva chiesto Al, confuso … ed
eccitato?
“Oh, abbiamo un fanboy!” aveva
dichiarato divertito July.
“Per l’amore del cielo, Alabaster, Re di
Sparta è un’offesa a chiunque
abbia mai aperto un libro di storia, ma riconosco la bravura
dell’attore
protagonista” aveva detto Horward.
July aveva riso, della faccia sconvolta di Alabaster.
“Con figlia di Tristan McLean tu intendi Piper
McLean?” aveva chiesto invece
Bells timorosa. “Uhm, si, cosa è diventata, tipo,
una fashion blogger o un
influencer? Avevo sentito che un annetto fa era stata arrestata per il
furto di
una macchina” aveva valutato July.
“È una semidea come noi” aveva
dichiarato Bells, “La ho conosciuta mesi fa, era
in una mission con due sue compagni. In realtà credo sia in
missione anche
adesso, sia una dei Sette, sia … insomma, con Percy Jackson
ed Annabeth Chase”
aveva terminato.
I due nomi li aveva sputati fuori quasi fossero un’offesa.
“Piper? Cheeroke Piper?” aveva
chiesto confusa July.
“Io con Jackson ricordo solo un grosso ragazzo dagli occhi a
mandorla ed un
satiro con una mazza da baseball” aveva dichiarato Al.
“Non è importante,
adesso” aveva dichiarato July poi, “Mi fa
stranissimo pensare che ho conosciuto
un’altra semidea” aveva dichiarato.
E che Mary e Chris non si siano preoccupati di prenderla,
“Però, ecco, lasciamo
a Piper e Percy Jackson il loro lavoro e noi facciamo il
nostro” aveva detto,
stanca.
Troppe informazioni da processare.
Eris che voleva che trovasse l’arma.
Endimione.
La Luna.
L’Ippogrifo.
Orual.
Bells.
Anche Pipr McLean no.
“Ecco, si, appunto; dimenticati
il
viaggio nell’ombra, ultimamente faccio molte
cilecche” aveva detto imbarazzata
Bells, “E non credo che potremmo cavalcare Pippin in tre. Non
è così forte,
credo sia ancora giovane, anche se, be, non sono esperta di
Ippogrifi” aveva terminato.
Alabaster aveva fatto scrocchiare le dita tra loro, con un sorriso da
gatto del
Cheshire sulle labbra, “Lasciate fare allo
stregone” aveva dichiarato.
Villa Getty si
rifaceva brutalmente ad una villa romana in piena regola, con
l’ingresso
sull’atrio, che risultava porticato, e lungo, erano state
riprodotte con
minuzia nelle pareti gli stili di dipinti romani, dal porticato si
aprivano le
stanze. Infondo dove si riunivano i braccio si affacciava
l’edificio
principale, da lì non si vedeva ma July sapeva fosse fornito
di un chiostro
interno e che alle spalle vi fosse anche la riproduzione di un teatro.
L’atrio di ingresso era occupato da giardini ed il centro era
attraversato da
un enorme vasca, che doveva raffigurare un ninfeo, quadrata, a cui nei
due
vertici erano statue sedute, affrontate ad altre due statuine fuori.
Era come fare un tuffo nel passato.
“Se vuoi vedere le ville romane come sono vai a
Pompei, se vuoi vedere come
erano vieni qui[3]”
aveva tradotto Horward i suoi pensieri.
Un passato un troppo pulito e finto, ma sicuramente
l’adattamento migliore
all’antico che July avesse mai visto e le riportò
alla memoria una stretta al
cuore.
Ricordava le modelle e i modelli di suo padre, vestiti di tutto punto,
con
evidenti rifacimenti dell’abbigliamento togato di Roma,
scivolare al fianco del
canopo, perfetti e leggerissimi.
Ricordava quando aveva suggerito a Piper che sarebbe stato molto
fastidioso se
avessero fatto il bagno nel ninfeo rovinando il momento.
Ricordava anche la faccia indignata di suo padre.
E la sua soddisfazione: ora mi vedi, padre, mi vedi!
Aveva pensato.
Che ragazzina sciocca!
“Se non
ricordo
male, qui al Getty c’è un caffè, vado a
prendere un caffè alla nocciola per
Orual, queste stronzate mettono sempre di buon umore le dee”
aveva dichiarato
July, ammiccando ai suoi due amici.
Bells stava assicurando le redini di Pippin, mentre Alabastar stava
adoperando
un’intensa magia verde e viola per manovrare la nebbia a suo
piacimento,
affinché l’ippogrifo non fosse solo percepito come
un cavallo, ma non fosse
percepito per nulla.
Erano arrivati lì con un Pick-up rubato. July al volante,
perché era la più
grande, anche se non aveva una patente, Al al suo fianco e Bells era
stata
dietro assieme a Pippin, tenendo bene le redini, mentre questo spigava
le sue
ali d’aquila con il favore del vento, desideroso forse di
prendere il volo.
Era una creatura fatta per i cieli, non per starsene in balia di loro
tre.
July aveva sorriso nel guardare loro due, era bello stare di nuovo
tutti
assieme. Si chiedeva, se Al avesse ragione, per quanto ancora sarebbe
potuto
durare.
Il Caffè del Getty era oltre l’atrio ed oltre
l’edificio principale. July aveva
scorso i corridoi con fretta, finendo ugualmente meravigliata da quel
poco che era
riuscita a vedere. Nonostante tutto dell’edificio urlasse
finzione, i giardini
erano stupendi e le opere esposte erano autentiche.
Erano un po’ come loro, figli di epoca diversa, trapiantate
in un mondo nuovo.
Spiccavano bellissime, in un contrasto meraviglioso, forse nel loro
contento
originale non sarebbero mai state così appariscente.
Insomma, il buon Paul Getty conosceva il suo perché.
Nonostante le sue gambe lunghe ci aveva messo un po’ per
arrivarci, specie
dovendo evocare la sua memoria per farlo.
Doveva anche riordinare le idee, stavano per fare un invocazione, i
ragazzi del
campo avevano procurato loro la formula.
Un invocazione, loro, lei, Al e Bells, tre semidei esiliati, dal lato
di Crono.
Loro. Loro tre, un’invocazione. Era folle solo a pensarlo.
Era entrata all’interno del bar, zigzagando tra i tavoli
esterni.
La prima cosa che
aveva notato quando era arrivata al bancone era stato il ragazzo che
c’era dietro
e poi July doveva ammettere che difficilmente avrebbe notato altro. Era
bello,
troppo bello, per non essere sulla copertina di Vanity Fair
o Vogue,
con un’espressione da Zoolander ed una
giacca appesa alla spalla nuda o
come commesso di Abercrombie.
Se fossero stato lì, ai tempi in cui il Signor Goldenapple
stava organizzando
la sua sfilata, July non metteva in dubbio che suo padre lo avrebbe
rapito, per
avvolgerlo anche solo in una tenda e farlo sfilare nei giardini.
“Buongiorno!” aveva detto lei, con nervosismo
lisciandosi i capelli.
Prima di darsi della scema.
Aveva affrontato mostri e dei! Aveva letteralmente preso a bastonate in
faccia
il dio della meraviglia!
Cosa voleva essere un bel ragazzo?
Il ragazzo aveva sorriso, aveva una fila di denti perfetti, dritti e
bianchissimi, che spiccavano molto a contrasto con
l’incarnato olivastro, gli
occhi scuri ma penetranti e i capelli nerissimi.
Il suo tipo.
Come Jake. E quel pensiero le diede una torsione alle budella che la
costrinse
a riprendere lucidità.
Oh il suo sfortunato Jake!
“Cosa posso fare per te, splendore?”
aveva chiesto lui.
Splendore … lei?
“Si vorrei un nocciolino …è, tipo, un
caffè alla nocciola, splendore”
aveva chiarito lei.
Ricordava che Orual aveva preso quello quando si erano incontrate,
quindi
immaginava lo apprezzasse.
Il ragazzo aveva ridacchiato della sfacciataggine di July.
“So cosa è, splendore”
l’aveva rassicurata lui, “Piccolo o
grande?” aveva chiesto lui, July ci aveva
pensato, “Grande” aveva valutato –
infondo era per una dea, non le piaceva
l’idea di baciarle il culo troppo, ma doveva dare a Cesar
quel che era di
Cesare, ed Orual le aveva dato una mano senza chiedere – fino
a quel momento –
nulla in cambio, “Da portar via” si era affrettata
ad aggiungere.
Lui aveva annuito. Era giovane, forse anche più di July, che
aveva quasi
raggiunto la veneranda età di diciotto anni, con il rotto
della cuffia ed una
serie di improbabili disavventure. L’altro sembrava tutto
tranquillo, allegro,
un normale ragazzo che arrotondava facendo il cameriere, per pagarsi
probabilmente il book fotografico da modello.
Poi si era messo subito all’opera, “Penso sia molto
rilassante bere caffè
caldo, mentre si gironzola per il teatro o i giardini, specie durante
questo
periodo, che ti fa chiedere dove sia finito l’effetto
serra” aveva dichiarato
divertito lui.
July aveva riso, “Si. È una primavera un
po’ fredda, per gli standard locali,
si intende” aveva fatto un po’ di conversazione.
Erano comunque in California.
“Strano, no?” aveva chiesto lui, “Ho
avuto l’impressione che la natura stesse
subendo una sorta di risveglio. Più animali in giro, specie
in zone dove
normalmente non dovrebbero esserci, giuro le vespe sono anche
più cattive;
anche i terremoti mi sono sembrati aumentati esponenzialmente di
numero, come
se qualcosa sottostante si sia svegliato, roborante” aveva
cominciato a raccontare
lui, mentre trafficava.
Gea!
Tutto quello urlava di Gea, segno che chiunque – immaginava
Jackson, Chase, il
ragazzo dagli occhi a mandorla e Piper – non dovevano
cavarsela benissimo.
Il barman aveva continuato: “…ma il clima sembra
tenersi sulla fine
dell’inverno e tutti i fiori sono in ritardo nello sbocciare,
come se la primavera
non solo non avesse risposto a questo risveglio ma si fosse dimenticata
di
arrivare” aveva raccontato.
“Che stranezza” aveva dichiarato July
assottigliando lo sguardo, quella
conversazione sembrava troppo sospetta. “Forse Proserpina non
è ancora tornata
a casa” aveva risposto lui tranquillo, mentre metteva un
tappo di plastica sul
caffè alla nocciola.
“Che cosa?” aveva chiesto July,
forse strillando un po’ troppo,
portandosi una mano al petto, dove ormai la lima aveva preso
stabilmente
l’aspetto di un pendaglio di argento lucente, quasi da
sembrare mercurio,
nonostante fosse stabile, dava l’impressione di poter mutare
da un momento
all’altro.
“Sai, no, la leggenda? Proserpina che sta sei mesi da suo
marito Plutone e sei
con sua madre Cerere?” aveva domandato il ragazzo non notando
tutto il suo allarmismo.
Sembrava rilassato.
“Non prendi il caffè?” aveva domandato
lui con un sorriso tranquillo,
rilassato, allungando verso di lei il bicchiere, lei aveva allungato
una mano
titubante, sfiorando con le sue dita quelle del barman.
“Uhm, non sei un dio greco, vero?” aveva indagato
July, sfacciata. Se tanto
doveva ballare che ballasse.
Il ragazzo aveva riso, “Non sono un dio e non sono neanche
greco, sono nato in provincia
di Çanakkale, a dirla tutta, anche se ormai sono tantissimi
anni che vivo qui,
che ho quasi dimenticato come era la mia casa” aveva
raccontato il ragazzo.
July era una capra in geografia, non aveva idea di dove fosse tale
luogo, ma
l’accento del ragazzo era assolutamente americano. Comunque,
decise di evitarsi
una pessima figura.
“Tu?” aveva domandato lui, “Los
Angeles” aveva cominciato lei, “Nata, vissuta e
probabilmente ci morirò” aveva mentito July.
“Va bene, straniera di Los Angeles; purtroppo devo tornare a
lavorare” le aveva
porto la bevanda ben gingillata, “Scusami! Ma quanto
viene?” aveva chiesto July,
mentre l’uomo le dava le spalle.
“Offre la casa” aveva risposto lui,
tranquillamente, “Poi insomma è un
nocciolino, imporre quella roba a qualcuno è una punizione
di per sé” aveva
scherzato quello.
“Puoi farlo? Non passerai dei guai?” aveva chiesto
confusa lei, “Il mio
titolare è al momento impegnato in altre cose più
urgenti, non si accorgerà di
quattro dollari e settantacinque in meno” aveva risposto
tranquillo lui.
“Sicuro di non essere un dio?” aveva insistito
July, questa volta come battuta.
“Sono solo uno che serve da bere” aveva replicato
il ragazzo, alzando le
spalle.
July aveva sorriso divertita, in una maniera colma di imbarazzo, ma
anche
rasserenata. Era un po’ strano il tipo, però era
stata un’interazione abbastanza
normale, la prima in moltissimi anni.
Pensò per un secondo di presentarsi, di chiedere di
rivedersi.
“Va bene, allora grazie, splendore” aveva detto
solamente July, decidendo che
quel ragazzo gentile non meritasse l’angoscia di essere
trascinato nella vita
di una mezzosangue esule figlia di Eris.
Il ragazzo l’aveva guardata ancora, con un sorriso rilassato,
prima di
dedicarsi ad un attempato signore di origine tedesca, con i calzini
bianchi
abbinati ai sandali.
Al e Bells
l’avevano raggiunta prima che lei ritrovasse loro.
“Dove, Ade, eri sparita?”
aveva indagato subito il figlio di Ecate. “Io, ecco, credo
che un ragazzo ci
abbia provato con me o almeno stesse flirtando, non so, non mi capita
spesso.
Caffè gratis!” aveva esclamato.
“Come è che non ti capita spesso? Hai le gambe da
giraffa ed il culo a
mandolino!” aveva esclamato Bells senza pietà,
July era avvampata sconvolta.
Anche Al, a quell’ammissione, specie quando la figlia di Nyx
lo aveva incalzato
a confermarlo, “Uh, hai degli occhi molto belli”
aveva cercato di tirarsi via
il figlio di Ecate.
July aveva ridacchiato, con nervosismo, pensando a tutte quelle
cicatrici che
adornavano il suo corpo. “Andiamo che è
meglio” aveva dichiarato July, “Prima
che Al venga una sincope a pensare alle parti anatomiche di una
donna” aveva
aggiunto.
“Per niente carino Goldenapple. Speculare
sull’orientamento sessuale altrui è
una cosa maligna” aveva aggiunto, incrociando le braccia
sotto al petto. “Il
mio era un riferimento alla tua timidezza cronica in quell’ambito,
ma se
senti di voler parlare con noi di qualcosa, Al, puoi parlare di
qualsiasi cosa”
aveva risposto July.
Bells aveva riso, “Andiamo, prima che convinca tutte e due di
essere delle
oche” aveva dichiarato furente il figlio di Ecate.
July era abbastanza certo che Alabaster non stesse scherzando.
La Villa Getty
offriva la bellezza di venti-tre stanze ricche di opere
d’arte, della
collezione Getty, permanenti e cinque adibite alle mostre momentanee.
E tutte ricche di opere di bellezza magnifica. Avevano deciso di comune
accordo
di evitare di fare éukhesthai nella stanza dove appariva
Giove – “Potrebbe
risentirne e siamo già criminali. Nessuno vuole essere
fulminato, parte seconda”
– o quella con il trono di Elgin – “Dovrebbero
restituirlo ai greci” – o
quello con il Giovane Vittorioso – “Gli
italiani dicono che è stato rubato”.
“Insomma facciamo schifo!” aveva dichiarato July.
“Qui dicono che c’è una gemma con
l’effige di Antinoo. Lo ho conosciuto, è
molto simpatico!” aveva dichiarato Bells.
“Io propongo Eracles. Si è stato il più
grande campione degli Dei, la nostra
antitesi in pratica, insomma alla fine è diventato pure un
dio. Poi
probabilmente era un grande stronzo, però … ecco,
per un po’ è stato uno di
noi, uno inviso agli Dei e completamente alla loro mercè.
Esule” aveva provato
Alabaster.
Bells aveva ridacchiato, “Ed è diventato un dio.
Uno di noi, potrebbe?” aveva
chiesto retorica.
“Bastano dodici fatiche” le aveva risposto
Alabaster.
“O essere carine” aveva detto July, ma non
c’era il minimo divertimento nella
sua voce, ricordava la tristezza imperante che aveva assorbito la dea
dei fiumi
per la sua condizione. O Endimione costretto al suo sonno eterno.
L’Eracle, si
trovava all’interno del suo personale Tempio, con un
pavimento in marmi
pregiati di tre colori che alternavano forme triangolari creando motivi
geometrici di tutto rispetto. Con l’eccezione della parete a
cui dava le spalle
la statua, che era di un marmo scuro puntinato di bianco, che sembrava
riprodurre
un cielo stellato, il resto delle pareti erano sistemate con marmi dai
vari
colori. Creavano un universo di sfumature meraviglioso.
Horward era uscito dalla carta specifica, sempre ben nascosta
all’interno della
giacca di Alabaster, solo per sciorinare a loro delle interessanti
nozioni sui
marmi, sulla storia della statua. Interessanti per davvero, ma
probabilmente
non con il miglior tempismo.
Alabaster aveva sollevato le braccia, i simboli runici che aveva
disegnato sul
corpo si erano illuminati di una sinistra magia verde, aveva recitato
qualcosa,
in una lingua che July non aveva compreso, fitta, praticando una magia
intesa,
che aveva riassestato completamente l’ambiente. Ogni mortale
nella stanza,
stordito dalla foschia magica del figlio di Ecate, aveva lasciato
l’ambiente e
July era certo che nessuno sarebbe più entrato.
Probabilmente Alabaster avrebbe
fatto risultare la sala come compromessa.
“Mia Dea, Al sei potente” aveva commentato Bells,
sembrava euforica, “Sul
serio, la ho sentita la tua magia, sentita tutta” aveva
dichiarato con vigore,
su di giri. July non poteva fare altro che annuire concorde.
Un sorriso soddisfatto era serpeggiato sulla faccia di Alabaster.
Bene, era ora dell’Invocazione.
[1]
Bells
sta parlando del “rafanidòo”
che è un verbo del greco
antico traducibile in “Infilare un ravanello
nell’ano” volevo inserirlo bello
declinato nel testo, ma non ho mai studiato greco e non ho idea neanche
di che
coniugazione sia e coma vada messo. Nota inutile, ma mi ha sempre fatto
troppo
ridere per non metterlo.
[2]
Non è
“fuori dal nulla”, July parlava di Piper anche nel
suo primissimo capitolo.
[3] Rielaborazione
della frase di Paul Getty stesso (aka L’uomo più
ricco del mondo): vai a
Pompei ed Ercolano e guarda le ville romane come sono adesso, poi vai a
Malibu
e vedi come erano nei tempi antichi