Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: RLandH    15/06/2021    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La nostra eroina ci è riuscita. Sono riuscita ad aggiornare, finalmente, questo capitolo è stato un parto, ho cambiato narratore tre volte ed alla fine ho deciso di andare con July, principalmente perché è quella con cui mi trovo meglio a scrivere, anche se be, questo capitolo è stato un parto. Però lo volevo inserire.
È molto probabile che da questo momento io proceda ad una correzione generale della storia, quindi, si, niente, lo volevo annunciare.
Vorrei fare un grazie speciale ad Edoardo811 che spreca del tempo prezioso a recensire questa amenità.
Un bacio e buona lettura

 

Ps – Illustrazione preparata per il capitolo 20, con ben 10 capitoli di ritardo:


https://www.facebook.com/photo?fbid=10222993914709459&set=a.4306009101571

 

IL CREPUSCOLO DEGLI IDOLI

A volte anche i semidei hanno una giornata ordinaria, nessuna ironia nel testo (tranne per l’intervento di Eris, il rito, l’Ippogrifo, la Corrispondenza divina, la Dea Misteriosa ed il Barman figo, okay, forse, quello va bene!)

(July V)

 

Una volta July aveva avuto un viso d’ambra, un po’ allungato, ma comunque piacevole, con capelli corvini ed una pelle liscissima, come quella di tutti i bambini – i bambini ricchi.
Poi era entrata nel labirinto, nulla era stato più lo stesso.
Era rimasta ferita, nel corpo, graffi bianchi e rossi avevano decorato la carne d’ambra.
Si era fatta bionda perché voleva che … voleva che l’immagine che le era stata restituita dallo specchio fosse in toto quella di un’estranea e non più quella di uno spettro.
In quel momento, dopo quasi due anni a guardarla vedeva una sconosciuta con un viso famigliare.
La pelle era scottata – nonostante la primavera che stavano attraversando fosse fredda ed il sole ancora invernale – era squamata, rovinata.
Lo scontro con Fama le aveva lasciato una cicatrice nuova su una guancia vicino al mento, i dottori l’avevano sistemata e Taumante l’aveva rimarginata per bene; ma restava lì, una riga chiara che tagliava la pelle, da sotto il mento che risaliva fino a metà della guancia.
Il corpo anche era rimasto segnato dall’incornate di Atteone.
Però, July, era ancora lì.
Aveva coperto il biondo impallidito di una tinta troppo consumata e una ricrescita evidente con una colata di nero.
Per un secondo, guadandosi, si era ritrovata ad essere July Goldenapple, figlia di suo padre, con un attico a Los Angeles, abituata al gusto del paté. Per un secondo.
Poi la realtà era tornata prepotente in lei, ricordandole in che situazione si trovava e chi fosse veramente, sebbene rimanesse ancora abbastanza perplessa dal fatto di non essere figlia di Afrodite.

“Non pensi di star vezzeggiando un po’ troppo?” l’aveva stuzzicata il suo riflesso, nello specchio del lavandino del bagno del motel.  Il suo doppio aveva assunto l’espressione contrita ed arcigna di Eris, sua madre, bianca come un lenzuolo e con le trecce nere.
“Ovviamente ora ti fai viva” aveva ribattuto July, cercando di contenere l’amarezza, ma sbrigliando senza vergogna il sarcasmo.
Eris aveva sbuffato, “Quando avrei dovuto? Ti ho dato tutti i mezzi e tu ti sei dimostrata capace. Brava. Te lo avevo detto, no?” aveva chiesto retorica sua madre.
“Pungolata posso arrivare a valicare i cieli” aveva dichiarato July, ricordando quella mezza profezia.
“Ho scoperto quello che volevi e chi lo ha” aveva mentito spudoratamente.
“Oh, sì, ma che brava!” aveva squittito soddisfatta Eris.
Doveva esserci qualcosa sotto, July se ne rendeva conto, sua madre poteva essere come tutti gli dei, costretta con le mani legate, ma non era una persona da lasciare il caos così a piede libero, senza insidiarsi per bene.
Se era apparsa era perché voleva qualcosa …

Il Sonno Più Profondo ovviamente …
Che July non aveva ancora. E non era più la sola a cercarlo, orami era palese.
“Tu non mi hai dato profezie o indizi, mi hai solo detto di dover cercare qualcosa” aveva valutato July, passandosi una mano sotto il mento, “Un’arma” aveva dichiarato Eris.
July non era sicura di ricordare che sua madre le avesse detto di cercare specificamente un’arma, l’indizio principale per trovare il Sonno Più Profondo lo aveva avuto da Momo e Giuturna, così come l’indizio per trovare la dea fluviale lo aveva avuto dal Pittore.
Per parlare con Giuturna era stato necessario il consiglio di Orual – certo Eris aveva fornito il mezzo, come se fosse stata assolutamente consapevole che July avrebbe dovuto usarlo ad un certo punto.
Giuturna le aveva detto della Luna.
Ed Orual …
Sua madre le aveva detto solamente: vai.
Si era nascosta dietro un bel: “Nasciamo, viviamo e moriamo soli”.
Però, ecco, qualcosa stonava.
“Tu non sai cosa è” aveva realizzato July, “Tu sai che io posso trovarla, perché lo hai letto nel mio destino – come Giuturna – ma non sai cosa è” aveva ripetuto.
L’espressione divertita di Eris era morta, “Non parlare di cose che non sai, bambina” la richiama subito all’ordine, “Sono la figlia della signora del caos” le aveva risposto July, le sopracciglia nere di sua madre si erano incrinate in un cruccio, “Io non sono serva di nessuno” aveva chiarito, prima di tirare un pugno allo specchio.
La superficie va in frantumi e l’urto le ferisce le nocche, ma il dolore non arriva, non subito, prima arriva la forza che fa ammaccare anche il muro dietro.
Poi arriva il dolore. Due volte più forte, ma dura un solo momento.
Potrebbe abituarsi a quel potere.
Quando esce dal bagno, si ritrova nella stanza del motel del Crepuscolo, dove sono un paio di giorni che lei ed Al si erano dovuti fermare.
Avevano dovuto lasciare di fretta la loro vecchia sistemazione dopo l’improbabile funerale di Giuturna ed il messaggio dei ragazzi del campo.
Alabaster forse aveva trovato il modo di rendere i mostri – e le dea, a quanto pare – permanentemente fuori gioco, ma la cosa non aveva minimamente sfiorato Cetus e Forco che non avevano gradito molto essersi visti distrutto il loro piccolo mondo da Percy Jackson e derubati da loro.
E se il figlio prediletto dell’Olimpo era una figura fin troppo difficile a cui stare dietro (July immaginava che la sua testa fosse ricercata da ogni mostro di questo mondo) loro due erano bersagli molto più avvicinabili.

Nella stanza non c’erano né Al, né Horward, né Bells, c’era solo Pippin l’Ippogrifo. La bestiaccia aveva completamente distrutto il letto matrimoniale del motel, per il solo gusto di strappare e beccare ed in quel momento impunemente se ne stava appollaiato come una gallina – July non aveva idea di come fosse anatomicamente possibile – affianco ai ruderi della sua preda.
“Siamo rimasti solo noi, pare” aveva detto spenta.
Secondo Al era meglio tenere la bestiaccia dentro la camera che legata fuori assieme alle biciclette, i mortali guardando l’ippogrifo vedevano un cavallo, cosa che poteva quasi passare inosservata, ma Pippin aveva l’abitudine di beccare chi passava troppo vicino.
E i cavalli attiravano sempre lo sguardo.
Pippin aveva emesso un verso stridulo, che ricordava l’urlo di un aquila. July aveva scansato con la scarpa un mucchio di piume e lanuggine per sedersi su una sedia sfuggita alla distruzione della bestia, molto poco contenta di essere chiusa in una scatola di sardine con tre mezzosangue.
“All’inizio pensavo che quella di mia madre fosse uno dei suoi giochi mentali alla Eris, porto una mela ad un matrimonio, una serie di tessere domino dopo Troia sta bruciando. Però, sì, penso che Momo non le avesse detto dell’arma” aveva dichiarato a Pippin, che aveva inclinato la sua testa d’aquila.
July aveva sospirato, alzandosi ed andare a rovistare tra le sue cose, non ne aveva molte con se, quando sua madre l’aveva prelevata da L.A. ma nel girovagare con Alabaster ne aveva rubacchiate un po’.
Aveva ritrovato la pergamena su cui era raffigurato il dipinto che il Pittore le aveva fatto durante la sua battaglia con Fama, non lo aveva più guardato da quel giorno, lo aveva volontariamente lasciato al parco, ma fastidioso quello continuava a tornare da lei.
Lo aveva srotolato, dissociata tra il voler guardare nuovamente ed il non volerlo fare.
Ho visto il tuo futuro. Fidati July Goldenapple, tu vuoi fallire questa missione qualunque essa sia o sarai un passo più vicina a quello che il Pittore ti ha mostrato
Aveva avuto un brivido ricordando le parole che Giuturna le aveva detto mentre impersonavano la loro versione tarocca di inception.
Questo destino hanno dato gli Dei ai mortali infelici: vivere afflitti …” la voce di Horward l’aveva colta di sorpresa, il lare era passato attraverso la porta chiusa ed ora lo guardava con bonaria pietà nel suo viso viola opalescente. July aveva accartocciato la pergamena, “Odissea?” aveva provato, “Illiade” l’aveva corretta il lare personale di Alabaster. July aveva buttato l’oggetto nel cestino più vicino, consapevole di non potersene liberare comunque.

L’imposta della porta si era aperta permettendo ad Alabaster di entrare, aveva un’espressione funerea in viso e l’inquietudine negli occhi verdi.
Qualche giorno prima aveva detto, cupo, che qualcuno lo stava cercando, un sesto senso da stregone super potente, a July era parso ovvio, visto che Lou Ellen aveva detto loro che una presenza oscura si stendeva sul loro cammino.
Lei pensava si riferisse ad Eris, Al credeva che ci fosse qualcun altro. July per la sua sanità aveva deciso che il suo amico dovesse essere paranoico, altrimenti non sarebbe sopravvissuta tra Satiri assassini che apparivano in sogno, sua madre, il pittore ed Orual.
“Stai bene” era stato il commento di Al, cogliendola di sorpresa, “Grazie, Torrigton” aveva risposto lusingata July. “Hai quello che ci serve?” aveva chiesto subito poi, tirandosi in piedi. Il figlio di Ecate l’aveva guardata, “Avevi i capelli così quando ci siamo conosciuti, vero?” aveva chiesto.  July aveva sollevato un sopracciglio, “Sì, ho preso quello che ci serve per
éukhesthai!” aveva confermato il figlio di Ecate e nel farlo aveva sorriso, soddisfatto ed avido di quella sensazione.
“Ringraziamo Chris ed il tuo amico Will per averci fornito la formula” aveva dichiarato lei, “E Maya per averla trasmessa” aveva concordato Alabaster, riferendosi alla conversazione che avevano avuto nella Stazione dei Sogni proprio in merito a quello – così da non dover disturbare un’altra volta dei di altri pantheon.

July fu colta da un momento di tristezza; era un pensiero stupido ma le dispiaceva, alla fine, che Chris non avesse potuto lasciare il campo e si fosse dovuto limitare ad aiutarli da lontano. July aveva speso tempo a odiarlo, dopo il labirinto, dopo il tradimento, ma dopo aver sentito di nuovo la sua voce, si era sentita sollevata.
Chris era vivo.
Chris stava bene.
Un altro di loro era vivo e stava bene.
Un altro di loro che comprendeva l’orrore che lei aveva vissuto – in particolare.
Lei voleva bene ad Al, come ne aveva voluto agli altri, ma Chris era stato nel labirinto con lei, come un mappatore e … Jake e Mary erano morti. Le restava solo Chris.
Era egoista si rendeva conto, ma era anche la figlia di Eris, si sentiva in dovere, in bisogno, di essere egoista.
Voleva rivedere Chris, davvero.
“Tutto bene?” l’aveva risvegliata Alabaster.
“Che ne pensi di Bells? Possiamo fidarci?” July aveva ignorato la sua domanda a pie pari, preferendone porre un’altra, dopo un sospiro, d’altronde, come poteva stare bene?

Alabaster aveva sollevato le spalle, “Non so, penso di sì? Ci stiamo fidando dei ragazzi del campo. Bells era una di noi, era la ragazza di Ethan” aveva considerato il figlio di Ecate, ma July la leggeva nella sua voce quella sfumatura di incertezza. “Lo hai notato anche tu quello, vero?” aveva insistito poi il ragazzo, notando evidentemente un’espressione che July non doveva essersi accorta di aver fatto. Gli occhi verdi di Alabaseter erano luccicanti come il veleno, sembrava mortalmente serio, come di quei tempi July si era abituato a vederlo.
Lei si era morsa il labbro, timorosa. Aveva avuto un grandissimo dubbio su Bells – all’infuori del suo provvidenziale arrivo, con tanto di Ippogrifo, proprio quando serviva a July, con tanto di benedizione di Orual – ma non aveva potuto dirlo ad alta voce fino a quel momento, specie perché Bells era stata sempre con loro, ad aspettare che Orual si palesasse.
July aveva inclinato il capo “Che non è cambiata di una virgola?” aveva domandato retorica, “Ho parlato con Bernie tramite messaggio di Iris, prima di quella brutta faccenda con Fama, be, Bernie era decisamente cresciuta, se capisci” aveva spiegato Al, con le guance arrossate, cercando di mimare con le mani delle coppe, ma rinunciando troppo presto a causa dell’ilarità di July.
Alabaster era sempre misurato, faceva strano vederlo così. “Ed ecco come il composto Alabaster C. Torrigton diventa un adolescente bruciante quando si parla di seno, sì, comunque, diciamo che Bells non è cambiata di una virgola” aveva ripetuto July.
Tra lei ed Al, che ora aveva perso il colore peperone, c’era stato uno sguardo di intesa.
“Ho l’impressione mi manchi un referente” aveva commentato Horward.
Bells era arrivata dopo di loro, interrompendo le loro speculazione. La ragazza aveva sul viso dipinta un’espressione tranquilla, “Se avete finito di spettegolare su di me, sono stata a Starbucks e nessuna sirena mi ha aggredito” aveva detto con leggerezza. “Wow, a me non succede mai” aveva realizzato July, “I mostri stanno alla larga da me, sono sicuro che ad una certa mi abbia servito il pranzo una dracena” aveva dichiarato Al, con quel suo sorriso sardonico.
Bells aveva sibilato qualcosa in greco ad Alabaster che prevedeva l’uso non esattamente canonico di un ravanello[1].

Bells aveva dato una ciambella a Pippin, commentando qualcosa sul fatto che Theos fosse troppo rigido con lui.
Loro di rimando avevano deciso di consumare la loro colazioni fuori dalla stanza – che ormai odorava ad un brutto misto tra stalla e voliera. Mortale.
“Non so cosa sia questo dolce, ma grazie” aveva dichiarato Al, dando un morso al panetto pieno di cioccolato che Bells aveva portato.
Per July aveva preso un cappuccino, cosa che a lei andava benissimo, per sé stessa Bells si era presa un caffè nero lungo – “Come i tuoi poteri” aveva scherzato la figlia di Eris, venendo accolta da uno sguardo un po’ amareggiato dell’altra.

“Quindi siamo sicuri?” aveva chiesto July, cercando il coraggio, mentre con gli occhi guardava gli ultimi resti della sua bevanda.
“Be, con Giuturna non è andata male” aveva dichiarato Alabaster, “Neanche con il dio azteco o Taumante. Ultimamente con gli Dei ci sta andando molto bene, cosa incredibile” aveva aggiunto. “Anche con Fama è andata benissimo, vero?”  era stata la pigra risposta di July, che portava ancora sulla faccia i ricordi del suo incontro con la dea alata, “Direi di sì, visto che noi siamo qui e lei è in molti luoghi” aveva risposto pratico Alabaster.
Anche Bells aveva detto la sua, “Infondo Orual vuole aiutarti, no? O non mi avrebbe chiesto di portarti Pippin e fidati che per recuperarlo non è stato molto facile: ho dovuto attraversare metà dell’America, prendere il mare su una barchetta, essere uccisa, sì, uccisa, poi buttata giù da una scogliera ed avvelenata” aveva dichiarato.
“Ei, non farti troppo la figa, noi abbiamo smembrato un dio” si era difesa July, con un sorriso allegro sulle labbra “E ucciso un altro” aveva dato manforte Al, desiderosi di non apparire meno di Bells.
Bells aveva riso, “Oh titani, mi eravate mancati. Non ne avete davvero idea” aveva dichiarato spontaneamente la figlia di Nyx, “Le mie compagnie ultimamente sono abbastanza noiose” aveva aggiunto poi.
July aveva riso allungando una mano per circondare le spalle di Nyx e far aderire le loro teste, in un gesto di contatto.
“Anche a me” aveva confessato spontaneamente Alabaster, “Onestamente non credevo potessero essere tre di noi nello stesso luogo” aveva valutato lugubre, “Basta guardare come io e Bernie siamo riusciti a malapena a sfiorarci. Tu e July siete state condotte da me da due dee diverse, altrimenti non credo sarebbe possibile” aveva aggiunto.
July si era allontanata da Bells ad aveva lanciato uno sguardo ad il suo amico, con il viso sporco di zucchero, che regalava sicuramente un’aria più sbarazzina, “Elabora, Torrington” lo aveva invitato.
“Ci stavo pensando da un po’. Tecnicamente noi siamo stati esiliati e banditi dal campo o altri posti sotto la diretta giurisdizione degli Dei, temo che se mettessimo un piede a Manhattan rimarremmo fulminati lì seduta istante, però non è strano che in un anno di girovagare a destra e manca noi non ci siamo mai incrociati? Nel senso, l’America è grande sì, ma per qualche assurda ragione, mostri e semidei si ritrovano sempre, attirati da quella reliquia lì, quella fonte di energia là, e compagnia. Ma noi non ci siamo mai incontrati, l’unica che sono riuscita a sentire è stata Bernie ma poi noi abbiamo dovuto lasciare Leesville e non so se lei ci è mai arrivata. Quindi ho maturato l’idea che non siamo stati solo esiliati dal Campo …” Alabaster aveva fatto una pausa, per dare loro il tempo di elaborare.
Aveva senso.
Certo July aveva vissuto solo a Los Angeles nell’ultimo anno, ma sembrava assurdo che effettivamente nessun semideo fosse mai finito lì.
“Siamo esiliati anche tra di noi. Tipo la foschia funziona in parte su di noi, come sui mortali, e modifica le nostre percezioni?” aveva domandato Bells, interessata. “Si, forse, non ho idea di come Bernie sia stata in grado di contattarmi, ma è stato solo quando mi ha trovato July, ma guarda un po’ non siamo riusciti a raggiungerci. Però io e Juls ci siamo incontrati per volere di Eris e tu e lei per volere di Orual” aveva ripreso il figlio di Ecate didascalico.
July anche aveva annuito, bevendo un altro po’ del suo cappuccino, “Ha senso. Se non riusciamo ad incontrarci non possiamo … organizzarci per creare un altro colpo di stato?” aveva chiesto.
E perché è più crudele, aveva pensato.
Nessuno di loro aveva più un posto, per qualche ragione, come aveva appurato da Alabaster di quei tempi, nessuno di loro poteva trovarne più uno nuovo. Buona parte dei loro amici era morta e quelli che non lo erano ancora, non erano altro che biglie impazzite che riuscivano a malapena a sfiorarsi.
“Per un anno mi sono chiesta perché un fulmine non mi avesse folgorato seduta istante” aveva dichiarato July, “Pensavo che gli dei si fossero dimenticati di me, se fossi stata ben nascosta nessuno mi avrebbe notato e invece …” aveva lasciato cadere la frase.
“Esilio” aveva terminato per lei Al, pulendosi poi la bocca, “Per tutti noi” aveva aggiunto spento.
Quas tuttii, aveva pensato July, lanciando un’occhiata veloce a Bells.
Horward era scivolato fuori dalla tasca, per guardarli, “Che la vostra maledizione sia vera o meno, non potete sprecare quest’opportunità. Il tempo è prezioso, fidatevi di uno spirito che ha sprecato gran parte della sua vita” aveva cercato di tirarli su, fallimentare.
July aveva posato il bicchiere di carta vuota vicino a lei e si era sollevata, “Il Dr. Horward ha ragione; mi sono stufata di essere una pallina da ping pong tra gli dei, Orual risponderà anche a questo. Facciamo l’éukhesthai!” aveva stabilito.
“Brava Goldenapple così carica ti voglio!” aveva dichiarato Bells imitandola e dandole anche il cinque. Alabaster con gli occhi verdi scintillanti all’idea di provare un rito mortale e vecchio di secoli, avuto grazie ad un giro clandestino di semidei loro nemici, aveva sorriso trionfale, prima di perdere quell’espressione, per una un po’ più ieratica.
“Ci serve un santuario, o un tempio o un posto del genere. L’incontro tra uomini e dei per un’invocazione può avvenire solo lì” aveva spiegato subito.
“Regolare: mia madre mi piglia sul ciglio di una strada, incontro il Pittore in un parco, la Fama pure, Taumante all’acquario e Orual al bar ma l’invocazione va fatta nel santuario” aveva dichiarato sarcastica July.
“Io conosco un tempio sull’Atollo di Johnston” aveva dichiarato Bells, grattandosi il capo, “Possiamo provare a costruire un tempietto noi, varrà lo stesso?” aveva proposto.
Al stava sorridendo di nuovo, come se avesse già trovato la soluzione al problema che lui stesso aveva posto.
Possibilissimo.
“Aspetta ci stia prendendo per il culo, sai esattamente dove andare vero?” aveva chiesto July, “Dr. Horward puoi sfoggiare i motivi per cui hai un titolo accademico che ti divertiti tanto a rinfacciarmi, a tre poveri mezzosangue con la terza media, per dare una perfetta definizione di santuario?” aveva detto sfacciato il figlio di Ecate. “Un santuario è un luogo considerato sacro per la manifestazione del divino, per la presenza di sepolture o reliquie, connesso ad eventi soprannaturali. Circa” aveva risposto il lare personale di Al.
C’era stato un momento di silenzio.
“Noi siamo una manifestazione del divino. Letteralmente” aveva commentato Bernie.
“Un museo!” aveva detto invece July, “Dove di solito ci sono un sacco di chincaglierie antiche che potrebbero essere reliquie, forse”.
“Dieci e lode ad entrambe. Dobbiamo trovare un museo con reperti greci o romani, quindi dove implicitamente il culto si mantenga, poi la nostra presenza e delle nostre armi, soprattutto quelle, basterà” aveva spiegato subito il figlio di Ecate.
“Un po’ forzato” aveva valutato Horward, “Tutto quello che facciamo è sempre un po’ forzato” aveva dichiarato July.
“Quindi? Tutti in groppa a Pippin e voliamo verso New York? Lì c’è il MET, se non ricordo male hanno tutta una sezione dedicata a greci e romani” aveva dichiarato Bells con tranquillità. “Nessuno di noi ci tiene particolarmente ad essere folgorato” le aveva detto Al, “O meglio io e July. Ho la vaga impressione che tu possa tranquillamente andare a New York, vero?” l’aveva stuzzicata il figlio di Ecate.
La figlia di Nyx era avvampata per un secondo, “Può darsi” aveva ammesso sdegnosa.
July d’altronde aveva avuto un cattivo pensiero.
“Siamo a Thousand Oaks” aveva commentato, “Sì” era stata la pigra risposta di Al, nonostante quella di July non fosse una domanda.
 “Siamo a un’ora, per essere larghi, di macchina da Villa Getty, non ho idea di quanto sia a galoppo di ippogrifo o viaggio ombra, ma sospetto di meno” aveva dichiarato la figlia di Eris, tirando un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, in un immotivato desiderio di ordine.
Al aveva assottigliato lo sguardo, “Si” aveva valutato. “Immagino che sia un museo” aveva dichiarato Bells invece, passandosi le mani sulla giacca, aveva avuto l’impressione volesse dire altro ma alla fine aveva taciuto.
“Sì, è un museo, prima era la casa dell’Uomo Più Ricco del Mondo, non ricordo quando, ma ha lasciato istruzione per cui diventasse un museo dopo la sua morte. Un uomo che ha speso più soldi per incrementare la sua collezione d’arte che per pagare il riscatto di suo nipote quando è stato rapito. O una storia brutta di questo genere.
Comunque Villa Getty contiene una collezione di reperti greci, romani ed etruschi, di cui sono sicura buona parte importati illegalmente.  Mi ricordo la collezione, perché quando avevo dodici anni mio padre ci ha organizzato una sfilata di moda, con vestiti ispirati all’antichità, un po’ come quella di Gucci, solo più bella. Villa Getty è fatta sulla base di una villa romana, non ricordo se di Ercolano o di Pompei” aveva raccontato July.
“Ercolano. La villa dei Papiri” aveva colmato subito le sue lacune Horward.
“Cazzo, Goldenapple, facevi proprio la bella vita” aveva dichiarato Bells, con un sorriso da squalo.
“Certo. Mio padre mi ha portato solo perché facessi compagnia alla pestifera figlia di Tristan McLean che, come mio padre, era troppo impegnato a fare la scintillante prima donna per badare alla propria figlia preadolescente[2]” aveva dichiarato con sdegno.
Non aveva nulla contro Piper nello specifico.
Aveva due anni meno di lei e July aveva riconosciuto in lei il suo stesso sguardo, delusione e trascuratezza. Poi, July aveva conosciuto Mary, aveva scoperto chi fosse veramente ed aveva combattuto una guerra.
E ricordava quella sua insofferenza come qualcosa di stupido e frivolo. Non aveva perdonato suo padre per averla trascurata, non era voluta rimanere con lui ma non provava più tutta quell’amarezza, perché infondo ciò che July aveva detto a Giuturna era vero: i suoi amici erano morti.
Cosa voleva essere il resto davanti la cosa più definita ed irreversibile dell’universo: la morte.
“Hai conosciuto Tristan McLean? Tipo Tristan McLean Re di Sparta? Jack Steel di Fuoco e Onore? Quello?” aveva chiesto Al, confuso … ed eccitato?
“Oh, abbiamo un fanboy!” aveva dichiarato divertito July.
“Per l’amore del cielo, Alabaster, Re di Sparta è un’offesa a chiunque abbia mai aperto un libro di storia, ma riconosco la bravura dell’attore protagonista” aveva detto Horward.
July aveva riso, della faccia sconvolta di Alabaster.
“Con figlia di Tristan McLean tu intendi Piper McLean?” aveva chiesto invece Bells timorosa. “Uhm, si, cosa è diventata, tipo, una fashion blogger o un influencer? Avevo sentito che un annetto fa era stata arrestata per il furto di una macchina” aveva valutato July.
“È una semidea come noi” aveva dichiarato Bells, “La ho conosciuta mesi fa, era in una mission con due sue compagni. In realtà credo sia in missione anche adesso, sia una dei Sette, sia … insomma, con Percy Jackson ed Annabeth Chase” aveva terminato.
I due nomi li aveva sputati fuori quasi fossero un’offesa.
“Piper? Cheeroke Piper?” aveva chiesto confusa July.
“Io con Jackson ricordo solo un grosso ragazzo dagli occhi a mandorla ed un satiro con una mazza da baseball” aveva dichiarato Al. “Non è importante, adesso” aveva dichiarato July poi, “Mi fa stranissimo pensare che ho conosciuto un’altra semidea” aveva dichiarato.
E che Mary e Chris non si siano preoccupati di prenderla, “Però, ecco, lasciamo a Piper e Percy Jackson il loro lavoro e noi facciamo il nostro” aveva detto, stanca.
Troppe informazioni da processare.
Eris che voleva che trovasse l’arma.
Endimione.
La Luna.
L’Ippogrifo.
Orual.
Bells.
Anche Pipr McLean no.
“Ecco, si, appunto;  dimenticati il viaggio nell’ombra, ultimamente faccio molte cilecche” aveva detto imbarazzata Bells, “E non credo che potremmo cavalcare Pippin in tre. Non è così forte, credo sia ancora giovane, anche se, be, non sono esperta di Ippogrifi” aveva terminato.
Alabaster aveva fatto scrocchiare le dita tra loro, con un sorriso da gatto del Cheshire sulle labbra, “Lasciate fare allo stregone” aveva dichiarato.

 

Villa Getty si rifaceva brutalmente ad una villa romana in piena regola, con l’ingresso sull’atrio, che risultava porticato, e lungo, erano state riprodotte con minuzia nelle pareti gli stili di dipinti romani, dal porticato si aprivano le stanze. Infondo dove si riunivano i braccio si affacciava l’edificio principale, da lì non si vedeva ma July sapeva fosse fornito di un chiostro interno e che alle spalle vi fosse anche la riproduzione di un teatro.
L’atrio di ingresso era occupato da giardini ed il centro era attraversato da un enorme vasca, che doveva raffigurare un ninfeo, quadrata, a cui nei due vertici erano statue sedute, affrontate ad altre due statuine fuori.
Era come fare un tuffo nel passato.
Se vuoi vedere le ville romane come sono vai a Pompei, se vuoi vedere come erano vieni qui[3]” aveva tradotto Horward i suoi pensieri.
Un passato un troppo pulito e finto, ma sicuramente l’adattamento migliore all’antico che July avesse mai visto e le riportò alla memoria una stretta al cuore.
Ricordava le modelle e i modelli di suo padre, vestiti di tutto punto, con evidenti rifacimenti dell’abbigliamento togato di Roma, scivolare al fianco del canopo, perfetti e leggerissimi.
Ricordava quando aveva suggerito a Piper che sarebbe stato molto fastidioso se avessero fatto il bagno nel ninfeo rovinando il momento.
Ricordava anche la faccia indignata di suo padre.
E la sua soddisfazione: ora mi vedi, padre, mi vedi!
Aveva pensato.
Che ragazzina sciocca!

“Se non ricordo male, qui al Getty c’è un caffè, vado a prendere un caffè alla nocciola per Orual, queste stronzate mettono sempre di buon umore le dee” aveva dichiarato July, ammiccando ai suoi due amici.
Bells stava assicurando le redini di Pippin, mentre Alabastar stava adoperando un’intensa magia verde e viola per manovrare la nebbia a suo piacimento, affinché l’ippogrifo non fosse solo percepito come un cavallo, ma non fosse percepito per nulla.
Erano arrivati lì con un Pick-up rubato. July al volante, perché era la più grande, anche se non aveva una patente, Al al suo fianco e Bells era stata dietro assieme a Pippin, tenendo bene le redini, mentre questo spigava le sue ali d’aquila con il favore del vento, desideroso forse di prendere il volo.
Era una creatura fatta per i cieli, non per starsene in balia di loro tre.

July aveva sorriso nel guardare loro due, era bello stare di nuovo tutti assieme. Si chiedeva, se Al avesse ragione, per quanto ancora sarebbe potuto durare.
Il Caffè del Getty era oltre l’atrio ed oltre l’edificio principale. July aveva scorso i corridoi con fretta, finendo ugualmente meravigliata da quel poco che era riuscita a vedere. Nonostante tutto dell’edificio urlasse finzione, i giardini erano stupendi e le opere esposte erano autentiche.
Erano un po’ come loro, figli di epoca diversa, trapiantate in un mondo nuovo. Spiccavano bellissime, in un contrasto meraviglioso, forse nel loro contento originale non sarebbero mai state così appariscente.
Insomma, il buon Paul Getty conosceva il suo perché.
Nonostante le sue gambe lunghe ci aveva messo un po’ per arrivarci, specie dovendo evocare la sua memoria per farlo.
Doveva anche riordinare le idee, stavano per fare un invocazione, i ragazzi del campo avevano procurato loro la formula.
Un invocazione, loro, lei, Al e Bells, tre semidei esiliati, dal lato di Crono. Loro. Loro tre, un’invocazione. Era folle solo a pensarlo.
Era entrata all’interno del bar, zigzagando tra i tavoli esterni.

La prima cosa che aveva notato quando era arrivata al bancone era stato il ragazzo che c’era dietro e poi July doveva ammettere che difficilmente avrebbe notato altro. Era bello, troppo bello, per non essere sulla copertina di Vanity Fair o Vogue, con un’espressione da Zoolander ed una giacca appesa alla spalla nuda o come commesso di Abercrombie.
Se fossero stato lì, ai tempi in cui il Signor Goldenapple stava organizzando la sua sfilata, July non metteva in dubbio che suo padre lo avrebbe rapito, per avvolgerlo anche solo in una tenda e farlo sfilare nei giardini.
“Buongiorno!” aveva detto lei, con nervosismo lisciandosi i capelli.
Prima di darsi della scema.
Aveva affrontato mostri e dei! Aveva letteralmente preso a bastonate in faccia il dio della meraviglia!
Cosa voleva essere un bel ragazzo?
Il ragazzo aveva sorriso, aveva una fila di denti perfetti, dritti e bianchissimi, che spiccavano molto a contrasto con l’incarnato olivastro, gli occhi scuri ma penetranti e i capelli nerissimi.
Il suo tipo.
Come Jake. E quel pensiero le diede una torsione alle budella che la costrinse a riprendere lucidità.
Oh il suo sfortunato Jake!
“Cosa posso fare per te, splendore?” aveva chiesto lui.
Splendore … lei?
“Si vorrei un nocciolino …è, tipo, un caffè alla nocciola, splendore” aveva chiarito lei.
Ricordava che Orual aveva preso quello quando si erano incontrate, quindi immaginava lo apprezzasse.
Il ragazzo aveva ridacchiato della sfacciataggine di July. “So cosa è, splendore” l’aveva rassicurata lui, “Piccolo o grande?” aveva chiesto lui, July ci aveva pensato, “Grande” aveva valutato – infondo era per una dea, non le piaceva l’idea di baciarle il culo troppo, ma doveva dare a Cesar quel che era di Cesare, ed Orual le aveva dato una mano senza chiedere – fino a quel momento – nulla in cambio, “Da portar via” si era affrettata ad aggiungere.
Lui aveva annuito. Era giovane, forse anche più di July, che aveva quasi raggiunto la veneranda età di diciotto anni, con il rotto della cuffia ed una serie di improbabili disavventure. L’altro sembrava tutto tranquillo, allegro, un normale ragazzo che arrotondava facendo il cameriere, per pagarsi probabilmente il book fotografico da modello.
Poi si era messo subito all’opera, “Penso sia molto rilassante bere caffè caldo, mentre si gironzola per il teatro o i giardini, specie durante questo periodo, che ti fa chiedere dove sia finito l’effetto serra” aveva dichiarato divertito lui.
July aveva riso, “Si. È una primavera un po’ fredda, per gli standard locali, si intende” aveva fatto un po’ di conversazione.
Erano comunque in California.
“Strano, no?” aveva chiesto lui, “Ho avuto l’impressione che la natura stesse subendo una sorta di risveglio. Più animali in giro, specie in zone dove normalmente non dovrebbero esserci, giuro le vespe sono anche più cattive; anche i terremoti mi sono sembrati aumentati esponenzialmente di numero, come se qualcosa sottostante si sia svegliato, roborante” aveva cominciato a raccontare lui, mentre trafficava.
Gea!
Tutto quello urlava di Gea, segno che chiunque – immaginava Jackson, Chase, il ragazzo dagli occhi a mandorla e Piper – non dovevano cavarsela benissimo.  
Il barman aveva continuato: “…ma il clima sembra tenersi sulla fine dell’inverno e tutti i fiori sono in ritardo nello sbocciare, come se la primavera non solo non avesse risposto a questo risveglio ma si fosse dimenticata di arrivare” aveva raccontato.
“Che stranezza” aveva dichiarato July assottigliando lo sguardo, quella conversazione sembrava troppo sospetta. “Forse Proserpina non è ancora tornata a casa” aveva risposto lui tranquillo, mentre metteva un tappo di plastica sul caffè alla nocciola.
Che cosa?” aveva chiesto July, forse strillando un po’ troppo, portandosi una mano al petto, dove ormai la lima aveva preso stabilmente l’aspetto di un pendaglio di argento lucente, quasi da sembrare mercurio, nonostante fosse stabile, dava l’impressione di poter mutare da un momento all’altro.
“Sai, no, la leggenda? Proserpina che sta sei mesi da suo marito Plutone e sei con sua madre Cerere?” aveva domandato il ragazzo non notando tutto il suo allarmismo.
Sembrava rilassato.
“Non prendi il caffè?” aveva domandato lui con un sorriso tranquillo, rilassato, allungando verso di lei il bicchiere, lei aveva allungato una mano titubante, sfiorando con le sue dita quelle del barman.
“Uhm, non sei un dio greco, vero?” aveva indagato July, sfacciata. Se tanto doveva ballare che ballasse.
Il ragazzo aveva riso, “Non sono un dio e non sono neanche greco, sono nato in provincia di Çanakkale, a dirla tutta, anche se ormai sono tantissimi anni che vivo qui, che ho quasi dimenticato come era la mia casa” aveva raccontato il ragazzo.
July era una capra in geografia, non aveva idea di dove fosse tale luogo, ma l’accento del ragazzo era assolutamente americano. Comunque, decise di evitarsi una pessima figura.
“Tu?” aveva domandato lui, “Los Angeles” aveva cominciato lei, “Nata, vissuta e probabilmente ci morirò” aveva mentito July.
“Va bene, straniera di Los Angeles; purtroppo devo tornare a lavorare” le aveva porto la bevanda ben gingillata, “Scusami! Ma quanto viene?” aveva chiesto July, mentre l’uomo le dava le spalle.
“Offre la casa” aveva risposto lui, tranquillamente, “Poi insomma è un nocciolino, imporre quella roba a qualcuno è una punizione di per sé” aveva scherzato quello.
“Puoi farlo? Non passerai dei guai?” aveva chiesto confusa lei, “Il mio titolare è al momento impegnato in altre cose più urgenti, non si accorgerà di quattro dollari e settantacinque in meno” aveva risposto tranquillo lui.
“Sicuro di non essere un dio?” aveva insistito July, questa volta come battuta.
“Sono solo uno che serve da bere” aveva replicato il ragazzo, alzando le spalle.
July aveva sorriso divertita, in una maniera colma di imbarazzo, ma anche rasserenata. Era un po’ strano il tipo, però era stata un’interazione abbastanza normale, la prima in moltissimi anni.
Pensò per un secondo di presentarsi, di chiedere di rivedersi.
“Va bene, allora grazie, splendore” aveva detto solamente July, decidendo che quel ragazzo gentile non meritasse l’angoscia di essere trascinato nella vita di una mezzosangue esule figlia di Eris.
Il ragazzo l’aveva guardata ancora, con un sorriso rilassato, prima di dedicarsi ad un attempato signore di origine tedesca, con i calzini bianchi abbinati ai sandali.

 

Al e Bells l’avevano raggiunta prima che lei ritrovasse loro. “Dove, Ade, eri sparita?” aveva indagato subito il figlio di Ecate. “Io, ecco, credo che un ragazzo ci abbia provato con me o almeno stesse flirtando, non so, non mi capita spesso. Caffè gratis!” aveva esclamato.
“Come è che non ti capita spesso? Hai le gambe da giraffa ed il culo a mandolino!” aveva esclamato Bells senza pietà,
July era avvampata sconvolta.
Anche Al, a quell’ammissione, specie quando la figlia di Nyx lo aveva incalzato a confermarlo, “Uh, hai degli occhi molto belli” aveva cercato di tirarsi via il figlio di Ecate.
July aveva ridacchiato, con nervosismo, pensando a tutte quelle cicatrici che adornavano il suo corpo. “Andiamo che è meglio” aveva dichiarato July, “Prima che Al venga una sincope a pensare alle parti anatomiche di una donna” aveva aggiunto.
“Per niente carino Goldenapple. Speculare sull’orientamento sessuale altrui è una cosa maligna” aveva aggiunto, incrociando le braccia sotto al petto. “Il mio era un riferimento alla tua timidezza cronica in quell’ambito, ma se senti di voler parlare con noi di qualcosa, Al, puoi parlare di qualsiasi cosa” aveva risposto July.
Bells aveva riso, “Andiamo, prima che convinca tutte e due di essere delle oche” aveva dichiarato furente il figlio di Ecate.
July era abbastanza certo che Alabaster non stesse scherzando.

 

La Villa Getty offriva la bellezza di venti-tre stanze ricche di opere d’arte, della collezione Getty, permanenti e cinque adibite alle mostre momentanee.
E tutte ricche di opere di bellezza magnifica. Avevano deciso di comune accordo di evitare di fare éukhesthai nella stanza dove appariva Giove – “Potrebbe risentirne e siamo già criminali. Nessuno vuole essere fulminato, parte seconda” – o quella con il trono di Elgin – “Dovrebbero restituirlo ai greci” – o quello con il Giovane Vittorioso – “Gli italiani dicono che è stato rubato”.
“Insomma facciamo schifo!” aveva dichiarato July.
“Qui dicono che c’è una gemma con l’effige di Antinoo. Lo ho conosciuto, è molto simpatico!” aveva dichiarato Bells.
“Io propongo Eracles. Si è stato il più grande campione degli Dei, la nostra antitesi in pratica, insomma alla fine è diventato pure un dio. Poi probabilmente era un grande stronzo, però … ecco, per un po’ è stato uno di noi, uno inviso agli Dei e completamente alla loro mercè. Esule” aveva provato Alabaster.
Bells aveva ridacchiato, “Ed è diventato un dio. Uno di noi, potrebbe?” aveva chiesto retorica.
“Bastano dodici fatiche” le aveva risposto Alabaster.
“O essere carine” aveva detto July, ma non c’era il minimo divertimento nella sua voce, ricordava la tristezza imperante che aveva assorbito la dea dei fiumi per la sua condizione. O Endimione costretto al suo sonno eterno.

 

L’Eracle, si trovava all’interno del suo personale Tempio, con un pavimento in marmi pregiati di tre colori che alternavano forme triangolari creando motivi geometrici di tutto rispetto. Con l’eccezione della parete a cui dava le spalle la statua, che era di un marmo scuro puntinato di bianco, che sembrava riprodurre un cielo stellato, il resto delle pareti erano sistemate con marmi dai vari colori. Creavano un universo di sfumature meraviglioso.
Horward era uscito dalla carta specifica, sempre ben nascosta all’interno della giacca di Alabaster, solo per sciorinare a loro delle interessanti nozioni sui marmi, sulla storia della statua. Interessanti per davvero, ma probabilmente non con il miglior tempismo.
Alabaster aveva sollevato le braccia, i simboli runici che aveva disegnato sul corpo si erano illuminati di una sinistra magia verde, aveva recitato qualcosa, in una lingua che July non aveva compreso, fitta, praticando una magia intesa, che aveva riassestato completamente l’ambiente. Ogni mortale nella stanza, stordito dalla foschia magica del figlio di Ecate, aveva lasciato l’ambiente e July era certo che nessuno sarebbe più entrato. Probabilmente Alabaster avrebbe fatto risultare la sala come compromessa.
“Mia Dea, Al sei potente” aveva commentato Bells, sembrava euforica, “Sul serio, la ho sentita la tua magia, sentita tutta” aveva dichiarato con vigore, su di giri. July non poteva fare altro che annuire concorde.
Un sorriso soddisfatto era serpeggiato sulla faccia di Alabaster.
Bene, era ora dell’Invocazione.



[1] Bells sta parlando del “rafanidòo” che è un verbo del greco antico traducibile in “Infilare un ravanello nell’ano” volevo inserirlo bello declinato nel testo, ma non ho mai studiato greco e non ho idea neanche di che coniugazione sia e coma vada messo. Nota inutile, ma mi ha sempre fatto troppo ridere per non metterlo.

[2] Non è “fuori dal nulla”, July parlava di Piper anche nel suo primissimo capitolo.

[3] Rielaborazione della frase di Paul Getty stesso (aka L’uomo più ricco del mondo): vai a Pompei ed Ercolano e guarda le ville romane come sono adesso, poi vai a Malibu e vedi come erano nei tempi antichi

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: RLandH