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Autore: NPC_Stories    15/06/2021    1 recensioni
“Quando riprenderemo Trademeet, vi siete ricordati di non andare alla torre dell’orologio? Non dovevate assolutamente…”
Il criptico avvertimento di Sanna avrà voluto dire qualcosa, ma Rebecca lo ricorderà? Oppure la guerra contro gli Ogre Magi e il loro esercito di mostri ha assorbito tutta la sua attenzione?
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Sequel di "Molto molto lontano".
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Nota: questa storia è il sequel di Per sempre felici e contenti e di Molto molto lontano; consiglio di leggere prima quelle.

1373 DR: Incontri e scambi a Trademeet


Dodicesimo giorno del mese di Flamerule

“Io non condivido questa idea” sbottò Marcus, di nuovo. “Scendere a patti con l’Ogre Magi! Rifornire le sue truppe, i nostri nemici!”
“Non fa piacere neanche a me” sospirò Rebecca, guardando con pazienza e comprensione il suo amico paladino. “Ma c’è ancora qualche umano in città, schiavi o prigionieri. I pochi bambini rimasti vengono usati come giocattoli, come bersagli per i coltelli dei goblin, gli uomini sono condannati ai lavori di fatica. Le donne invece… devo dirti cosa accade alle donne?”
Marcus rabbrividì, perché perfino un ragazzone buono e onesto come lui aveva un briciolo di immaginazione, e aveva sentito delle voci.
“No. Hai ragione. Salvare quegli innocenti è una giusta priorità. Non credevo nemmeno che all’esercito importasse, sono colpito. Ma sarà una buona idea mandare dentro dei carri di cibo? Stiamo assediando questa città, lo scopo è proprio quello di prenderli per fame. E regalargli delle armi, addirittura?”
“Non preoccuparti di queste cose. Ora dobbiamo liberare i nostri connazionali. Immagina che siano… come degli ostaggi. Dopo avremo campo libero per assediare a oltranza o tentare una sortita, ma finché ci sono dentro dei cittadini umani io non me la sento di attaccare in forze, e nemmeno i generali. D’altronde, non è che abbiamo qualcos’altro da fare.” Era seduta su un muretto alto e lasciò oscillare i piedi, in segno di frustrazione. “Le difese di Trademeet sono troppo valide e non riusciamo a fare breccia nelle mura. Chi avrebbe detto che i goblinoidi fossero in grado di costruire qualcosa di così solido? Per di più, la divinazione ci sta dando risultati parziali e insufficienti. Questo non è solo un assedio, è uno stallo.”
Marcus sospirò lentamente, e il suo sguardo vagò in direzione della città fortificata. Non aveva mai considerato l’Amn come una nazione unica, non gli era mai importato granché di Trademeet, una città nel sud di cui conosceva l’esistenza solo per fede. Adesso però era diverso. I goblinoidi, gli orchi e i giganti l’avevano devastata. Moltissima gente era morta. Persone come lui, umani, fratelli. Adesso Marcus era pronto a combattere per loro, e quindi, per estensione, a riconoscerli come suoi simili.
“Come si suol dire… Restiamo umani, giusto, Becca?” Scherzò, riferendosi alla necessità di trarre in salvo i prigionieri anche a costo di cedere risorse al nemico.
“Umorismo nero, Marcus? Sei un paladino.” La maga sollevò un sopracciglio, un po’ colpita. “Ti stai sottilmente prendendo gioco di Beryl?”
“No, poveraccio” Marcus scosse la testa, mentre il suo sorriso si spegneva all’improvviso. “Non era mia intenzione, non invidio affatto il suo compito!”

In quello stesso momento, un hobgoblin invisibile e molto furtivo si reggeva a due maniglie sotto a un carro di rifornimenti, mentre i piedi erano infilati in altre due maniglie all’altra estremità del carro. Tutto il suo corpo era in tensione per permettergli di restare a lungo in quella posizione rigida e scomoda, ma era cruciale che nessuno si accorgesse di lui.
Il carro si fermò. L’hobgoblin sbirciò alla sua sinistra e incrociò gli occhi di un piccolo goblin con un orecchio che sembrava essere stato sbocconcellato da un topo. Lo sguardo del goblin gli passò attraverso, naturalmente, ma l’intruso trattenne comunque il fiato.
Alla fine il goblin si rialzò in piedi e berciò qualcosa in tono aspro. Alcune altre creature risposero nella stessa lingua, da sopra il carro, e Beryl il ladro capì che stavano frugando le vettovaglie per controllare che non ci fossero imbrogli.
A quanto pare restarono soddisfatti, perché poco dopo alla destra del falso hobgoblin cominciò a passare una fiumana di piedi. Piedi umani. Beryl cercò di contarli, non era facile perché erano ammucchiati, non in una fila ordinata, ma si fece l’idea che dovessero essere una ventina. Forse di più, perché aveva sentito del bambini piccoli che piangevano, e dovevano essere in braccio agli adulti.
Il carro a cui si reggeva disperatamente venne fatto muovere in avanti, Beryl percepì uno spostamento di qualche metro, poi fu fatto fermare di nuovo. Ormai doveva essere all’interno delle mura di Trademeet.
Lentamente, con gesti misurati per non fare rumore, l’ometto furtivo stese le braccia, lasciando che il suo corpo si avvicinasse al terreno. Intorno a lui, alcuni bugbear erano stati messi al lavoro per scaricare le vettovaglie dal carro. Beryl approfittò del rumore di un grosso pacco che veniva buttato a terra con malagrazia, per sfilare i piedi dai loro appigli, fare un ultimo sforzo con le braccia e calarsi a terra il più discretamente possibile. Rimase sdraiato sotto il carro, invisibile, finché tutti i pacchi non furono scaricati. Poi, non appena i bugbear si allontanarono un poco, l’agile furfante uscì da sotto il carro, rotolando per terra.
Si rialzò velocemente, spazzolando i vestiti perché la polvere della strada avrebbe potuto compromettere la sua invisibilità. Si avvicinò al rudere di una casa, perché sapeva che la sua invisibilità non sarebbe durata per sempre. Il suo compito era indagare sulla situazione degli umani a Trademeet, e nonostante la sua famosa mancanza di empatia verso i suoi connazionali, quel giorno Beryl era molto vicino a sentirsi male per loro.
Il carro vuoto venne fatto uscire e un nuovo carro, stavolta pieno per metà di cibo e per metà di armi, venne mandato dentro la città. In cambio, i goblinoidi mandarono fuori un altro gruppo di persone. Erano uomini e donne provati, denutriti, alcuni anche mutilati. I bambini erano così magri da fare spavento. Una donna teneva in braccio quello che ormai era chiaramente un piccolo cadavere, ma perfino a distanza il ladro poteva capire dalla sua espressione che aveva perso il senno da tempo.
Per tutti gli dèi, pensò, perché non osava nemmeno mormorare.
Rimase a guardare in silenzio mentre quel gruppo veniva buttato fuori dalle mura. Un hobgoblin dirigeva le operazioni e ridacchiava fra i denti, come se trovasse molto divertente l’idea di scambiare umani mezzi morti con provviste e beni di utilità. Doveva star pensando che l’esercito umano fosse composto da matti e pappemolli.
L’hobgoblin al comando contò sommariamente i prigionieri mentre uscivano, e ad un certo punto fece cenno alla fiumana di interrompersi. Non tutti gli umani avevano guadagnato il portone d’uscita, un piccolo gruppetto era rimasto indietro, ma a quanto pare secondo lui avevano già ceduto abbastanza ostaggi.
Fra gli uomini trattenuti indietro c’era un poveraccio zoppo che si reggeva al braccio di una donna emaciata. Vennero separati a forza, lei aveva avuto la fortuna di essere conteggiata fra gli ostaggi da liberare. La donna si accorse della manovra, si voltò indietro e gridò, un urlo disperato e senza parole. Beryl immaginò che l’uomo fosse suo marito o suo fratello, e capì che anche l’hobgoblin l’aveva pensato. Non era l’unica famiglia che stava separando, con quella decisione.
Un solo cenno del malvagio comandante, e il primo gruppo di umani venne spinto fuori a forza, da alcuni orchi che li minacciavano con delle picche. Il secondo gruppo, quei pochi umani a cui era stata promessa la libertà e che se l’erano vista sfuggire per un pelo, rimase dall’altra parte di quelle picche. Un altro cenno dell’hobgoblin diede il via a una mattanza.
I bugbear che avevano scaricato i carri tornarono verso le porte, con le spade appena donate dall’esercito umano, e massacrarono con gusto i pochi ostaggi quasi liberati.
I loro amici, i loro parenti, coloro che avevano sgomitato per uscire per primi, rimasero a guardare quello scempio senza poter fare nulla, e nemmeno i soldati amniani osarono fare nulla. Sapevano che era una provocazione, così come sapevano che limitare le vittime a zero era soltanto un’utopia.
Beryl strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Le urla dei disperati appena fuori dalle mura erano ancora più strazianti di quelle degli uomini e delle donne che stavano morendo sotto i colpi. Ma la cosa peggiore forse era il silenzio. Alcuni di quegli ex-prigionieri non urlavano, non piangevano, guardavano la scena come se non avesse importanza. Quasi con sollievo.
Restiamo umani, pensò fra sé, un incoraggiamento che in quei giorni aveva preso piede nel campo dell’esercito, e che veniva ripetuto in continuazione per aiutare i soldati ad accettare la decisione dello scambio di beni e ostaggi. Mi chiedo se ci sia ancora qualcosa di umano in quella gente. Forse le torture e la fame li hanno fatti impazzire.
Beryl distolse a fatica gli occhi e si passò una manica sul volto, per asciugare le lacrime. L’incantesimo di invisibilità stava per esaurirsi, avrebbe potuto contare solo sulla protezione della magia di metamorfosi e sulla sua recitazione, e gli hobgoblin non piangono per gli umani.

Quando i malvagi invasori di Trademeet si erano resi conto che gli umani erano disposti a pagare per riavere indietro quei relitti, quegli scarti, quegli schiavi ormai troppo deboli per essere utili, prevedibilmente avevano pensato subito a come trarne il maggior vantaggio.
Quasi ogni giorno una delegazione pacifica dell’esercito amniano veniva ai portoni di Trademeet per contrattare. Spesso i goblinoidi non gli davano nemmeno udienza, ma gli lanciavano sassi ed escrementi da sopra le mura. Era solo un gesto di disprezzo, per far capire agli umani che non avevano bisogno di mercanteggiare. Però non era una mossa di totale chiusura, in quel caso avrebbero fatto piovere frecce e dardi di balestra.
Ogni due o tre giorni, gli umani si presentavano con un paio di carri e chiedevano in cambio la liberazione dei loro simili. Non erano rimasti molti prigionieri a Trademeet, solo qualche dozzina, e ormai stavano esaurendo la loro utilità.
Dopo averci pensato un poco, la possente Ogre Magi Cyrvisnea, compagna di Sothillis, aveva fatto spallucce e aveva accettato lo scambio. Era rimasta a Trademeet perché credeva che ci fosse qualcosa di interessante - qualcosa di magico - sotto la torre dell’orologio, ma fino a quel momento non era riuscita ad accedervi. Nei sotterranei della torre c’era una porta che era stata chiusa e sigillata con una forma di magia che lei non poteva spezzare, la magia del sangue. All’inizio aveva provato a usare gli umani per aprire quella porta, nella speranza che uno di essi condividesse il sangue con il mago che aveva apposto il sigillo, ma non aveva mai funzionato. Solo dopo che la porta aveva fatto perdere la sanità mentale a una ventina di umani, lei si era accorta che il sangue utilizzato per la magia di protezione aveva una sorta di aura magica innata, quindi non poteva essere sangue umano. A sua discolpa, non era facile vedere la debole aura magica del sangue in mezzo alla complessa magia del sigillo.
“Gli umani sono inutili in ogni caso” aveva borbottato la possente Ogre Magi “se quegli altri umani sono disposti a pagare per spazzatura… così sia.”
E così era cominciato il lento esodo dei prigionieri verso la libertà. Non tutti ce la facevano, e non tutti erano in lista per essere rilasciati. Le donne incinte sarebbero rimaste a Trademeet, perché potessero partorire e svezzare i loro bastardi mezzi-hobgoblin o mezzorchi. Le donne più giovani e in forze sarebbero state trattenute anch’esse, per il divertimento delle truppe e nella speranza che fossero incinte. Cyrvisnea aveva comandato così, perché tendeva a pensare a lungo termine. L’esercito di goblinoidi aveva subito molte perdite ed era il caso di cominciare a produrre nuovi futuri guerrieri, inoltre i mezzosangue che assomigliavano di più agli umani sarebbero stati usati come spie, un giorno.

Beryl non parlava il linguaggio dei goblin, ma Rebecca gli aveva donato un oggetto magico che gli avrebbe permesso di capire e comunicare in qualsiasi lingua. Sapeva però di dover stare attento, perché il fatto di poter tradurre nella sua mente le parole e le frasi dal linguaggio umano a quello goblinoide, non gli consentiva di conoscere espressioni tipiche e modi di dire di quei popoli bestiali.
Cominciò a gironzolare per la città, cercando di orientarsi. Aveva passato gli ultimi giorni a studiare mappe di Trademeet, ma risalivano a prima della guerra. Restavano pochissimi punti di riferimento; i palazzi più grandi e la torre dell’orologio. Le case in legno erano state distrutte, a quanto pareva da un incendio, e molte case in pietra erano state smontate per recuperare materiale con cui erigere le mura. Della vecchia palizzata in legno non restava nulla.
L’umano travestito da hobgoblin cercò di tenere un profilo basso mentre indagava la situazione in città. Trascorse la giornata a esplorare, con calma, fingendosi sempre indaffarato a trasportare cose o svolgere commissioni. Gli hobgoblin avevano un rango superiore ai goblin, ma anche fra loro c’era una gerarchia, e un individuo minuto come Beryl non aveva problemi a farsi passare per un galoppino.

Quando calò la sera, la cosa lo colse quasi di sorpresa. Era stato impegnato tutto il giorno, e per tutto il giorno era stato esposto a scene raccapriccianti o disgustose. Non era solo il modo in cui i goblinoidi e gli orchi trattavano gli occasionali schiavi umani, era anche il modo in cui si comportavano gli uni con gli altri. Beryl aveva ricevuto la sua parte di calci e di ordini sbraitati, perché qualunque mostro più grande o più aggressivo di lui cercava di sottometterlo e prenderlo al suo servizio. Funzionava così; quando non c’erano comandanti o generali nei paraggi, l’ordine apparente andava a farsi benedire.
Il tramonto lo sorprese perché da quella mattina non aveva toccato cibo eppure non sentiva i morsi della fame. Forse era semplicemente disgustato da tutto quello che stava vedendo… e annusando, per dirla tutta.
Qualcun altro invece aveva fame. In una baracca mezza diroccata qualcuno stava cucinando, l’odore era quasi rivoltante e una zaffata arrivò proprio in faccia a Beryl quando il vento girò nella sua direzione. Insieme alla puzza arrivò anche un debole suono, come un lamento. Il ladruncolo era troppo curioso per non andare a indagare.
Un hobgoblin grassottello stava rimestando in un calderone. Accanto a lui, su un tavolo male in arnese, c’erano tranci di carne sanguinante e qualcosa che sembrava un braccio umano. In una gabbia appesa al soffitto c’era un ragazzino coperto di stracci, che piangeva in silenzio. L’hobgoblin gettò la carne nel calderone, poi si girò verso il ragazzino, con una mannaia in mano, e con l’altra cercò di afferrargli un piede. Il prigioniero gridò, uno strillo acuto e disperato, e si ritrasse il più possibile all’interno della gabbia. Il mostro rise e fece oscillare la gabbia, in modo da far cadere il ragazzo a portata di mano.
Beryl decise che aveva visto abbastanza. Con un agile balzo scavalcò la finestra, che era soltanto un buco nel muro, e si lanciò sotto il tavolo. Il cuoco percepì il rumore alle sue spalle e si girò, ma il rapido ometto era già rotolato al di sotto del tavolo e dietro all’hobgoblin mentre quello si voltava. Beryl per una volta scelse un’arma più discreta delle sue verghe metalliche appuntite, un’arma che potesse manovrare senza attirare l’attenzione: il pugnale che teneva nascosto nella manica.
L’hobgoblin non seppe mai cosa fosse il rumore che aveva sentito, perché un istante dopo era morto, con un coltello piantato nella nuca.
Beryl pulì velocemente il coltello e lo nascose di nuovo nella manica, poi si girò verso la gabbia. Il ragazzino era atterrito e troppo sconvolto per gridare ancora, per fortuna.
Il lucchetto era così semplice che Beril avrebbe potuto aprirlo con un pezzo di fil di ferro e tenendolo nelle mani dietro alla schiena, ma il cuoco morto aveva al collo la chiave, per cui decise di non sprecare tempo. Non ne aveva.
Solo quando Beryl ebbe spalancato la porta della gabbia, il ragazzino pelle e ossa finalmente si riscosse dal terrore e cercò di lanciarsi fuori. Un bambino della sua stazza non avrebbe avuto problemi a sgusciare fra le braccia di un normale hobgoblin, ma il ladro aveva passato anni ad affinare i suoi riflessi. Afferrò il piccoletto per la vita, bloccandolo a metà del salto.
"Calmati!" Sussurrò con urgenza, trattenendo senza problemi il povero disperato che si divincolava come un'anguilla. "Non ti farò del male, sono anch'io un essere umano!"
Il bambino evidentemente non gli credette e gli morse una mano con furia.
Beryl sciorinò una sequela di bestemmie in alzhedo così accorate e così tipiche dell’Amn che il piccoletto si calmò un poco e smise di divincolarsi.
“Sei davvero un umano?” sussurrò, così piano che Beryl credette di esserselo immaginato.
“Tu cosa ne dici, brutto figlio del culo di un cammello?” Il ladro agitò la mano cercando di mandar via il dolore. “Mi sono infiltrato per cercare umani rimasti qui… per farvi scappare. Questo posto…” Beryl si morse la lingua, perché non poteva rivelare i piani dell’esercito umano. “Non è sicuro.”
“Grazie tante che non è sicuro” mormorò il ragazzino. “Ma c’è un posto che lo è. Abbastanza. Io sono uscita per cercare del cibo per gli altri, ma un maledetto goblin mi ha scoperta.”
Beryl registrò due cose, una interessante e una superflua. L’informazione interessante era che doveva esistere un gruppo semi-organizzato di superstiti che si nascondevano. La notizia superflua era che il bambino a quanto pare era una ragazzina.
“Tu sai dove si nascondono tutti gli altri? Mi puoi portare da loro?” La lasciò andare lentamente, permettendole di girarsi a guardarlo. Lei sostenne il suo sguardo con coraggio, ma anche se aveva deciso di concedergli il beneficio del dubbio, tutto quello che riusciva a vedere era un hobgoblin.
“Non so se posso fidarmi di te. Devi mostrarmi il tuo vero aspetto.”
“Ma non posso!” Negò lui. “Ho un incantesimo addosso che mi ha trasformato in un hobgoblin. La mia mente è sempre umana, ma non so se posso dissipare l’incantesimo o se può farlo solo la maga che me l’ha lanciato. In ogni caso, se lo facessi poi non potrei riprendere questa forma e sarei nei guai.”
La piccola accettò la sua spiegazione con espressione cupa. Verso la fine, sbottò interrompendolo sull’ultima parola. “Tu menti! Non ci sono maghe femmine!”
Beryl sorrise, un ghigno che sul suo volto umano sarebbe stato provocatorio, ma che aveva tutt’altro effetto sul brutto muso di un hobgoblin. “Vallo a dire a Rebecca di Bormton!”
La bambina sussultò, perché aveva riconosciuto il nome del borgo vicino.
“Bormton non ci aiuterebbe!” Sibilò, facendo un passo indietro. “Sono nemici di Trademeet.”
“Rivali” la corresse lui, ormai a corto di pazienza. “E infatti Bormton non ha aiutato Trademeet. Non c’è più nessuna Trademeet! Ci sono solo un pugno di superstiti umani, ed è loro che vogliamo aiutare. L’esercito dell’Amn è qui, fuori dalle mura. Rebecca ha fatto in modo che Bormton si unisse all’esercito. Anche se la sua città è rivale di Trademeet, nessuno vuole degli ogre come vicini.”
Questo discorso effettivamente aveva un senso, e finalmente la ragazzina si calmò. Beryl si chiese chi fosse; all’inizio aveva pensato che fosse un monello di strada, un ladruncolo, ma poi aveva raccontato di essersi presa la responsabilità di cercare il cibo per gli altri e questo l’aveva molto colpito. Quella giovane aveva a cuore la sua gente. E poi aveva dimostrato di conoscere lo stato delle relazioni diplomatiche fra Trademeet e Bormton prima della guerra, quindi non poteva essere una semplice figlia di cittadini comuni. Doveva venire da una famiglia di politici o di famosi mercanti.
“Sono stato mandato qui per aiutarvi. Ho fino all’alba per trovare il maggior numero di umani possibile e metterli in salvo.”
“In salvo… dai mostri che hanno preso città?” Domandò lei, perché dal tono urgente di Beryl aveva l’impressione che il finto hobgoblin non si stesse riferendo ai mostri invasori.
“In salvo dall’esercito dell’Amn” la corresse lui, con voce cupa, confermando i suoi sospetti.

“Pensavo che questo fosse un assedio!” Sbottò il paladino, sbattendo entrambe le mani sul fragile tavolo da campo. Una candela oscillò pericolosamente, ma Rebecca l’afferrò per impedire che cadesse. Riuscì perfino a non scottarsi, ma lanciò un’occhiataccia all’amico, che non fece il minimo gesto di scuse. Anzi, ricambiò l’occhiataccia con maggior vigore. “Invece ora mi dici che è una… una sortita? E Beryl? È ancora lì dentro!”
“Pensi che lascerei Beryl in pericolo? Prima dell’alba sarà qui.”
“E come? Non ci sono passaggi nelle mura, le porte sono ben sorvegliate e quella maledetta ogre magi che presidia la città si accorgerà se qualcuno si teletrasporta all’interno!”
“Nessuno si teletrasporterà all’interno. C’è un contingente di incantatori mercenari che Athkatla ha assoldato proprio per missioni furtive come questa.”
Alla parola mercenari Marcus storse il naso. Rebecca aveva una gran voglia di alzare gli occhi al cielo, ma non lo fece perché non voleva compromettere la sua amicizia con il paladino. E poi neanche lei andava pazza per i mercenari.
“Finché fanno ciò che devono e ci aiutano a vincere la guerra, io non ho nulla da obiettare” replicò invece. “Non conosco i dettagli del tipo di magia che usano, ma ha a che fare con le ombre e sembra che sia più difficile da identificare rispetto alla magia normale. In questo momento è ciò che ci serve quindi non ho intenzione di essere fiscale e indagare la fonte della loro magia.”
“Va bene. Sei tu la maga. Sei tu che dovresti la tua lealtà a Mystra per i suoi generosi doni. Se non ti interessa che qualcuno usi magia da una fonte eticamente compromessa…” pungolò lui, con espressione schifata.
“Non so se sia una fonte questionabile o no” ripeté lei. Il nome di Shar, la dea oscura della magia, nemica di Mystra, rimase ad aleggiare non detto. Shar era la patrona della Trama d’Ombra, la fonte della magia dell’ombra, ma Rebecca non era sicura che questi incantatori ne facessero uso. C’erano anche incantesimi perfettamente legittimi che usavano le ombre, senza scomodare Shar e la Trama d’Ombra.
“Ma non hai intenzione di chiedertelo, mi par di capire.” Insistette lui.
“No, esatto, non ho intenzione di chiedermelo perché non sono un dannato inquisitore” Rebecca incrociò le braccia, ostinata. “In questo momento ci potrebbero essere delle vite umane da salvare a Trademeet e non mi interessa chi le salverà o con quale metodo, purché venga fatto! Non ho nessun diritto di giudicare la moralità altrui quando io…” si zittì, restando senza fiato per un momento, perché il peso di quella rivelazione le stringeva la gola. Prese un profondo respiro. Aveva deciso di mettere Marcus al corrente dei piani d’attacco, ma ora che era giunto il momento, affrontare quell’idea era davvero faticoso.
Ne stiamo solo parlando. Non posso bloccarmi così. Se penso che poi dovrò farlo davvero…
“Io dovrò guidare l’attacco magico contro Trademeet” concluse, con un filo di voce. “Quando accadrà, dovrò bombardare la città con il fuoco e la magia più distruttiva. Per allora, io prego che non rimanga un solo umano in città. Lo prego, perché non potrò saperlo.”
Marcus rimase senza parole, mentre un poco alla volta comprendeva il significato di quel commento. Provò a mettere in ordine le idee, ma scoprì che non gli riusciva.
“Il fatto che io diventi un’assassina di innocenti oppure no dipende dall’opera di quegli incantatori delle ombre.” Concluse, lasciandosi cadere su uno sgabello, come se il peso della responsabilità le avesse fatto cedere le ginocchia. “Sai che non mi sono mai fermata davanti all’uccisione di un nemico, mostro o umano, ho sempre saputo compiere il mio dovere. Ma la possibilità che ci siano dei cittadini…”
“Ex cittadini” Marcus la corresse a denti stretti. “Ora sono ostaggi. Ricordalo. Sono vittime dell’esercito di Sothillis.”
“Non riesco a capire se mi stai dicendo che per te è un piano sbagliato o se l’approvi” ammise Rebecca. “Eppure credevo di conoscerti, ormai.”
“Salvare gli ostaggi è la priorità” tornò a ripetere Marcus, come faceva da giorni, “ma non credo che lasciarli in mezzo ai goblinoidi sia un buon modo per salvarli. Ogni volta che contrattiamo per far uscire qualcuno, quanti altri restano dentro? Giorno dopo giorno quelle persone muoiono d’inedia, o per il divertimento degli invasori. Ho sentito dire perfino che i goblin mangiano carne umana. Ogni momento in cui esitiamo non gli stiamo facendo un favore, quindi… non sono contrario al piano. In guerra…” deglutì, come se stesse mandando giù un rospo “...ci sono delle perdite.”
“Stai dicendo che morirebbero comunque” sussurrò Rebecca, sconvolta per quella presa di posizione.
“Sto dicendo che morirebbero comunque, ma più lentamente, e vivendo i loro ultimi giorni nella paura, nella fame e nel dolore. Se l’esercito dell’Amn ha preso la decisione di organizzare una sortita, è perché Trademeet va assolutamente liberata, non possiamo avere un nucleo delle truppe di Sothillis su una rotta commerciale così importante, ed è vitale abbattere questo avamposto se vogliamo avere una speranza di riprendere Murann. I cittadini di Murann non meritano di essere liberati quanto quelli di Trademeet? Inoltre Sothillis permette ai peggiori pirati di attraccare alla città costiera, il secondo porto più grande dell’Amn, mettendo in pericolo tutti gli onesti marinai e mercanti che si recano a sud di Athkatla. Non possiamo esitare oltre fuori dalle mura di Trademeet, per quanto sia… terribile il prezzo che dovremo pagare.”
“Parli come un soldato” commentò Rebecca, e in quell’osservazione c’era sorpresa, stima e forse anche un po’ di delusione. Aveva sperato che Marcus, meglio di chiunque altro, potesse capire il suo disagio e la sua esitazione.
“Parlo come qualcuno che vuole salvare il maggior numero di vite umane” la corresse lui. “Non possiamo pensare solo agli ostaggi di Trademeet, ma anche a quelli di ogni villaggio fra qui e Murann; se non sono stati uccisi, allora sono stati presi in schiavitù e portati nella città costiera. L’esercito di Sothillis ha già dimostrato di avere molti usi per i prigionieri di guerra.”
Rebecca si massaggiò il viso con le mani, per nascondere la sua espressione sconcertata. Il mondo si stava forse rovesciando?
“Sarai al mio fianco domattina?” Gli domandò invece.
“Fa parte del piano, no? Questo mi ha comunicato il Generale…”
“Sarai al mio fianco, Marcus? Non intendo per eseguire un ordine; mi supporterai?”
“Naturalmente” il paladino si avvicinò e le posò le mani sulle spalle. “Sono tuo amico. Ti supporterò sempre, e so che puoi farcela, anche se ti senti oppressa dal peso del tuo ruolo nell’attacco.”
“Dovrò usare gli incantesimi più devastanti che conosco.” Ripeté lei.
“Non lo hai già fatto in guerra?”
“Sì, ma stavolta potrebbero esserci degli umani là in mezzo.”
“Allora mi unirò a te nel pregare che questi maghi mercenari dalla dubbia moralità portino a termine il loro compito nel migliore dei modi.”

   
 
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