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Autore: Challenger    16/06/2021    0 recensioni
Allucinazioni terrificanti metteranno a dura prova Marco
Genere: Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Laura non mi parlava ancora. Ero dispiaciuto per l’accaduto, probabilmente avevo distrutto il bel rapporto che avevamo creato. Chiesi a Stefano di fare da mediatore, ma tornava sempre sconfitto; Laura non ne voleva sapere. Se nemmeno uno come lui riusciva a farle cambiare idea, io non avevo alcuna speranza. Rimuginando su ciò che era accaduto, mi resi conto che la reazione di Laura era stata troppo esagerata: c'era sotto qualcosa. I giorni passavano e sentivo l’odio riaffiorare, ora non avevo più dubbi, dovevo procedere con il piano. «Toc toc…posso entrare?», era Stefano. Alzai appena lo sguardo: «sì, certo», volevo essere gentile, ma il mio tono risultò seccato. «Ce l’hai anche con me?», chiese con una vocina mortificata. «Ma no. Scusa…è solo che sono stanco dell’atteggiamento di Laura, a volte sa essere davvero stronza», stavolta era la mia voce ad essere avvilita. «Stavo andando a prendere qualcosa alla macchinetta, vieni con me?», disse gioviale. «Va bene», mi alzai e lo raggiunsi. Nella piccola zona ristoro c’erano Sara, Valeria e…Laura, ovviamente. «Tu lo sapevi vero?», bisbigliai beffardo. «Io? Assolutamente no!», poi alzando il volume della voce: «allora signore, posso offrirvi un cornetto al bar?», disse battendo le mani in un applauso rivolto a Sara e Valeria. Le ragazze si guardarono tra di loro: avevano capito la situazione e decisero di accettare quel cornetto gratis. Eravamo rimasti soli. «Possiamo parlare?», le chiesi in modo pacato. «Mi dispiace Marchi. Ho esagerato, non avrei dovuto aggredirti in quel modo. Ti chiedo scusa», i suoi occhi sembravano sinceri, decisi di crederle. «Marchi, eh?», risi di gusto. Rise anche lei (aveva una risata melodiosa): «sei il solito scemo! Dai, avvicinati che ti offro un caffè», mi fece cenno di avvicinarmi, «ho rubato qualche zolletta a Stefano», fece l’occhiolino come se volesse rendermi complice. Sbagliavo a dubitare di lei, in fondo Laura era fatta così. Bella e provocatrice. * Le 16.00 in punto. Tra un’ora sarei andato a casa, finalmente. Avevo la testa pesante dalla mattina. Ultimamente avevo spesso questi malesseri, eppure non ero uno di quei tipi che si ammala facilmente. Da diversi giorni avevo anche le allucinazioni. Vedevo ombre che mi seguivano dappertutto, credevo di impazzire! Avevo sempre la sensazione che qualcuno o qualcosa mi stesse seguendo, il senso della realtà spesso era confuso, i contorni non erano ben delineati, come fossi un miope senza occhiali. Spesso vedevo macchie che si muovevano intorno a me, provavo a voltarmi per sorprenderle, ma erano troppo veloci. Una sera, mentre tornavo a casa dopo una cena con Stefano e Vincenzo — il responsabile marketing dell’azienda —, incrociai un ragazzo, bianco come uno spettro, che veniva verso di me a passo svelto. A circa cinque metri cominciò a correre come un forsennato, ero impietrito, non sapevo cosa fare…ad appena dieci centimetri dalla mia faccia, con occhi grandi e sanguinolenti, aprì la bocca marcia con i denti aguzzi e urlò a squarciagola (fu un urlo terrificante e stridulo che mi spaccò i timpani) ed io con lui. Urlai atterrito con quanto più fiato avessi in gola. Svenni. Quando mi ripresi accanto a me c’erano alcune persone. Avevano sentito il mio strillo isterico e si erano precipitati per vedere cosa fosse accaduto, ma cosa fosse accaduto davvero non sapevo descriverlo nemmeno io. Una volta, mentre percorrevo i corridoi dell’azienda, ho quasi preso a pugni Enrico, un altro contabile con il quale condividevo l’ufficio. Poveraccio, l’avevo spaventato a morte! Mi era simpatico però. Somigliava ad un topolino spaurito. Era basso e mingherlino, portava gli occhiali. Ogni volta che parlava gli tremava la voce; era il classico secchione sfigato, ma era un tipo apposto. Sinceramente mi dispiacque molto averlo spaventato in quel modo…non è bello quando qualcuno ti afferra per il bavero della camicia, ti sbatte con violenza sul muro ringhiando “CHI SEI?! COSA VUOI DA ME?!”. Fortunatamente il caro Enrico non raccontò nulla dell’accaduto a nessuno. Era davvero un bravo ragazzo. * CAZZO! Da due mesi orami avevo tutti giorni e tutte le notti quelle maledette allucinazioni!! Non riuscivo a concentrarmi sul lavoro, non dormivo, la gente mi guardava male per strada…Cazzo! Stavo vivendo un inferno!! Oddio! Forse stavo diventando pazzo…no, non ero pazzo! Qualcuno mi seguiva! Ne ero certo. Sentivo il suo alito mefitico sul collo ogni ora, ogni minuto della giornata! I miei capelli — una volta totalmente neri — stavano diventando bianchi…stavo diventando vecchio più in fretta? O era un sortilegio? O uno scherzo crudele di qualcuno? Non lo so, ma lo avrei scoperto e gliel’avrei fatta pagare!! Notavo diffidenza anche nei miei colleghi. Mi guardavano come se avessi qualche rotella fuori posto…ma io non avevo nulla che non andava, erano loro quelli strani! «Dovresti bere meno caffè», Giacomo mi stava rimproverando perché ero già al quarto da stamattina. «Perché non ti fai i fatti tuoi?», risposi alterato. «Sei veramente uno stronzo. Prima eri uno stronzo, ma uno stronzo simpatico. Probabilmente è la tua dipendenza da quella sbobba che ti ha fatto diventare un paranoico del cazzo», se ne andò prima che potessi mandarlo al diavolo. Non ero paranoico! Era lui il paranoico a pensare che fossi io il paranoico! Tornai alla mia scrivania. Dovevo concentrarmi, avevo un lavoro importante da fare. «Ehi, hai terminato il preventivo che ti avevo chiesto? Senza quello non posso fare mandare la mail al cliente», Valeria picchiettava irritata, con le lunghe unghie smaltate, sul legno duro per attirare la mia attenzione. «Scusa, cosa?», d’un tratto mi ritrovai nel mio ufficio, la figura di lei ben distinta davanti a me; ma…? Dov’ero andato? Da quello che ricordo ero sempre stato qui…ma forse non era così…ma che cazzo…? «Ma insomma! Mi stai ascoltando o no?!», stavolta era veramente arrabbiata. «Sì, sì…è lì nella cartellina verde, prendila pure», risposi come se mi fossi svegliato in quel momento esatto. Afferrò con violenza la cartellina e uscì senza dire nemmeno una parola. Poco tempo dopo, almeno credo, sentì qualcosa di strano sulle gambe…qualcuno mi stava toccando? No, non c’era nessuno sotto la scrivania. Mentre rialzavo la testa vidi con la coda dell’occhio un’ombra che passava tra le gambe, riabbassai immediatamente lo sguardo, c’era un serpente (?). Mi alzai di scatto. MA CHE CAZZO ERA?! Caddi a terra, le gambe mi bruciavano da morire, andavano a fuoco!! «AAAAAH!!! AIUTOOOOO!!! QUALCUNO MI AIUTIIII!!! LE MIE GAMBE VANNO A FUOCO!!!», gridai. Ero terrorizzato a morte! Entrò prima Giacomo accompagnato da Enrico — in quel momento era uscito per andare dal signor Mattei — poi Stefano. «Che succede?», Giacomo mi guardava storto. Enrico non parlava, lo sguardo allibito. «Marco, le tue gambe non vanno a fuoco. Ci hai fatto prendere paura per nulla!», anche Stefano era arrabbiato. Li guardai tutti, uno dopo l’altro, poi guardai le mie gambe. Erano intatte. Impossibile! Io l’avevo visto! L’avevo sentito! Il fuoco stava liquefacendo i tessuti e le ossa! «I…io…era…reale…era reale! Ve lo giuro!», non ci credevo nemmeno io mentre lo dicevo. «Devi farti vedere da uno specialista. Ultimamente sei un po’ troppo fuori di testa», Giacomo mi guardò con biasimo e sussurrò qualcosa in direzione di Stefano. * Arrivai non so come davanti la porta del mio appartamento. L’ultima cosa che ricordo è che stavo accusando Valeria di avermi lanciato qualche maledizione: la ritenevo, per qualche oscuro motivo, responsabile di quell’allucinazione. Forse c’entrava il fatto che somigliava ad una strega, con quel naso aquilino, gli occhi piccoli e labbra sottili. Non lo sapevo e non mi interessava, volevo mettermi a letto e dormire. Faceva caldo. Strano…era autunno e la temperatura era fresca. Mi scoprii. Non bastò, dovetti togliere anche la maglia del pigiama. Niente. Esasperato andai in bagno e mi sciacquai la faccia e il petto. Meglio, un po’ di refrigerio. Un brivido di freddo mi percorse la schiena, mi voltai, ma non c’era nulla. Girai la testa verso lo specchio…AAAAAAAARGH!!!!! C’ERA UN UOMO ERA DIETRO DI ME!!!!! Un uomo più alto di me, vestito totalmente di nero e il cappuccio calato sul volto, ma poco importava, perché sotto di esso c’era un infinito buco nero! Mi afferrò la gola, poi parlò. La voce demoniaca arrivò forte e chiara, ma da quel nulla infinito non usciva suono. Era dentro la mia testa!! “TU MORIRAI” ripeteva quel diavolo dell’inferno. «Ti prego…! Ti prego non farmi del male! Qualcuno mi aiutiiiii!!!», gridai disperato. Riuscivo a vedere la mia fine nell’oscurità della sua figura. Provai per la prima volta in vita mia una profonda paura. Ero seduto per terra, in un angolo del bagno. Tenevo le ginocchia strette al petto circondate dalle braccia e la testa affondata in quell’abbraccio. Stavo piangendo. Non lo facevo da quando ero bambino. Cosa mi stava succedendo? Perché avevo quelle strane visioni? Ero davvero spaventato. Rimasi in quella posizione fino al mattino. Feci una doccia. Avevo terrore di guardare nello specchio. Decisi di non radermi quella mattina. Arrivai in ufficio in ritardo. «Di nuovo in ritardo, signor Pastrani. Sta esaurendo la mia pazienza, questo è l’ultimo avvertimento», Mattei mi stava aspettando nel mio ufficio. «Sì, signore. Le chiedo scusa per il ritardo, ma…», mi interruppe alzando una mano. «Non mi interessano le sue giustificazioni. Recuperi i ritardi e si concentri sul suo lavoro, o la sbatto fuori!», mi passò accanto e uscì, senza aspettare la mia risposta. Cazzo. * «Ti ha fatto la ramanzina?», vidi la faccia bonaria di Stefano fare capolino dalla porta. «Già. Ultimamente sto passando un periodo di merda. Credo che Giacomo abbia ragione, devo vedere uno specialista» mi tremava la voce, sentivo gli occhi arroventati dalle imminenti lacrime. «Cosa?! Giacomo è un coglione, lo so io e lo sai anche tu. È solo un cinico egoista», cercava di rassicurarmi, ma dentro di me sapevo che c’entra qualcosa che non andava, forse stavo davvero diventando pazzo. «Vieni, andiamo a prendere un thè, ti calmerà i nervi», il suo affabile sorriso mi convinceva ogni volta. Feci di sì con la testa. «Ti sei guadagnato due zollette!», appoggiò il braccio sulla mia spalla e uscimmo dall’ufficio.
   
 
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