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Autore: Fiore di Giada    21/06/2021    0 recensioni
[[Tosho Daimosu/General Daimos]]
[[Tosho Daimosu/General Daimos]]What if sulla puntata 11 di "General Daimos".
Per salvare Kazuya, Kyoshiro è costretto a lasciare morire Reiko e, malgrado la stupidità di lei, soffrirà per il rimorso. Ma qualcuno saprà aiutarlo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce della luna filtrava da una finestra semiaperta e si posava sul pavimento della stanza, ricoprendolo d’un impalpabile velo argenteo.

Kyoshiro, immobile, era disteso sul letto, le braccia aperte come un crocifisso. Quanto tempo era trascorso da quell’evento orribile?

Giorni? Settimane? Mesi? Anni?

Ormai, non lo ricorda più.

Gli sembrava di essere fermo a quell’orribile giornata, prigioniero di un incantesimo beffardo.

Sapeva di avere compiuto il suo dovere, ma non riusciva a non sentire il rimorso dilaniargli il cuore.

Le lacrime, a stento frenate, tremarono sulle sue lunghe ciglia e appannarono gli occhiali. Reiko era ritornata e aveva preteso di sposarlo, in nome di un equivoco privo di senso.

E, a causa della sua stupidità, sono stati rapiti da Balbas e dai suoi soldati.

Il loro nemico, astuto, lo ha posto davanti ad una scelta dilaniante.

La vita di Kazuya Ryuuzaki. La vita di Reiko.

E, se avesse parlato, avrebbero coperto il pianeta con una letale arma batteriologica.

A stento, Kyoshiro frenò un urlo e si strinse la testa tra le mani, immergendo le lunghe dita nervose tra i riccioli castani. Per salvare uno, avrebbe dovuto condannare a morte l’altro.

Il suo senso del dovere e il suo rispetto per la vita umana avevano combattuto un’aspra battaglia.

Violenti conati di vomito, simili a pugni, colpirono il giovane pilota allo stomaco e lui, di scatto, si alzò e si piegò. Il viso di Reiko, stravolto dal terrore e umido di lacrime, si dipingeva nella sua mente con colori vividi.

Poi, svaniva in una macchia di sangue, accompagnata dal ronzio di una pistola.

I suoi occhi, sbarrati e vitrei, si stagliavano nella sua mente e, accusatori, lo fissavano.

Gli chiedevano la ragione di una morte crudele e lo condannavano.

Ma non potevo condannare Kazuya… Se lui fosse morto, avrei ucciso tanti innocenti. E, se avessi parlato, l’esito sarebbe stato simile. – mormorò, lo sguardo fisso davanti a sé. La sua mente, tenace, gli rammentava le priorità, tragicamente imposte dalla guerra.

La vita di Kazuya era legata all’esistenza della Terra con un doppio filo.

Egli era l’unico capace di pilotare Daimos e, se fosse morto, le forze baamesi, guidate dal feroce principe Rikiter e dai suoi generali, avrebbero dilagato, come un’onda impetuosa.

E tanti, troppi civili sarebbero morti.

Lui era un soldato dell’esercito terrestre e anche sulle sue spalle erano appesantite dal peso di una simile, asfissiante responsabilità.

Non basta… Non basta… – si ripeté, lo sguardo stralunato e gli occhi rossi. Tante ragioni lo avevano condotto ad una decisione sì lacerante, ma la voce del suo cuore, incurante, gli ricordava la sua colpa.

A stento, controllava la sua pena e si imponeva di non abbandonarsi alle lacrime.

Nessuno doveva conoscere il suo tormento.


Ad un tratto, la porta si aprì e, a passo rapido, entrò Kazuya.

Il giovane pilota, per alcuni istanti, studiò il compagno. Sul suo viso scavato, bianco d’angoscia, nereggiavano le occhiaie e i suoi occhi erano rossi d’insonnia.

Il suo petto era sollevato da respiri sempre più affannosi, mentre il suo corpo, smagrito, era scosso da tremiti, simili a quelli di un malato febbricitante.

Si sedette accanto a lui e gli appoggiò una mano sulla spalla destra. Tutti si erano avveduti della pena di Kyoshiro, che si era chiuso in una torre di tristezza e silenzio.

Avevano deciso di non forzare la sua natura schiva, ma non avevano tenuto adeguato conto del suo orgoglio e della sua fierezza.

E la situazione si era aggravata.

Non aveva perduto la sua efficienza guerriera, ma la perenne angoscia del suo viso era per loro fonte d’amarezza.

Che cosa ti succede? - domandò, preoccupato. Spesso, aveva criticato Kyoshiro per il suo spirito sarcastico, a volte assai acre, ma quel suo silenzio sepolcrale era ben più penoso.

Preferiva le sue freddure a quella quiete sinistra, quasi spettrale.

Lo spadaccino, sentendo la domanda di Kazuya, alzò la testa e i suoi occhi si rifletterono nelle iridi dell’amico.

Strinse le labbra in una linea diritta, poi chinò la testa. Non voleva rivelare a Kazuya l’origine del suo sconforto.

Non meritava alcuna consolazione.

Niente che non si possa risolvere. Stai tranquillo. – rispose, il tono apparentemente deciso.

Kazuya sospirò e scosse la testa. Il suo amico spadaccino mentiva.

Il suo cuore era lacerato da un cupo tormento, ma egli, fiero, non condivideva le ragioni della sua pena.

Perché? Perché non consentiva a nessuno di aiutarlo?

La sua mano, dolce, si posò su quella dell’altro e la strinse, quasi cercando di trasmettergli conforto. Kyoshiro aveva forti motivazioni, ne era sicuro.

Ma una simile mascherata era insensata.

Kyoshiro, pur senza alcuna volontà, condannava lui e gli altri ad una angoscia divorante, priva di scopo.


Il giovane spadaccino, sentendo il tocco dell’amico, con un gesto brusco, allontanò la mano, come se scostasse, poi si alzò e si avviò verso una finestra.

Per alcuni istanti, lasciò vagare lo sguardo sul paesaggio, immerso nella notte, velata da una densa nebbia grigia. Perfino il tocco di Kazuya era per lui angosciante.

Il suo amico si preoccupava per le sue condizioni psicologiche ed egli era indegno di tale considerazione.

Kazuya lo squadrò, gli occhi sbarrati dalla meraviglia. Perché aveva respinto il suo tocco con una tale veemenza?

Kyoshiro, malgrado la sua lingua tagliente, era di temperamento introverso e non era incline a rivelare le sue fragilità.

Ma un simile gesto di rifiuto era esasperato anche per lui.

Aveva allontanato la sua mano con un gesto brusco, quasi fosse stato scottato e nel suo movimento aveva avvertito una paura gelida.

E il suo cuore si era stretto in una morsa.

Quale pena opprimeva la sua anima? Perché reagiva come un animale ferito?

Scosse la testa, energico. Qualsiasi fosse il suo problema, non avrebbe dovuto abbandonarlo.

Le loro personalità erano differenti, ma nutriva per il suo amico spadaccino un affetto profondo.

Lasciami in pace. Non è successo niente. – sibilò, il tono apparentemente aspro.

Strinse le braccia sul petto e tentò di controllare il tremito del suo corpo. Se Kazuya avesse continuato a porgli quelle domande, sarebbe crollato e gli avrebbe confessato quanto accaduto dieci giorni prima.

No, non poteva concedersi un siffatto lusso.

Il pilota si alzò e gli appoggiò le mani sulle spalle, irrigidite in uno spasmo d’orgoglio. No, non lo avrebbe abbandonato.

Non è vero che stai bene. Da dieci giorni, soffri e hai paura di guardarci. Perché? Hai l’atteggiamento di un criminale in fuga, oppresso dal peso della sua colpa. E tu non sei così. – affermò, sicuro.

A quelle parole, deboli singhiozzi strinsero il petto dello spadaccino e i suoi occhi si velarono di lacrime. Quanta fiducia era racchiusa nelle parole del suo amico…

Pur essendo d’indole opposta, quasi speculare, Kazuya non nutriva alcun dubbio sulla sua onestà.

E si sentiva indegno di un tale, limpido sentimento.

Come poteva confidargli la sua vergogna?

Eppure, quelle parole avevano aperto una breccia nella sua anima, chiusa in un silenzio disperato.



Sospirò e, con un gesto deciso, sguainò la katana.

Fissò il suo riflesso nel gelido chiarore della lama, poi si girò e il suo sguardo si specchiò nelle iridi castanee di Kazuya.

Questi sollevò le labbra in un gentile e incoraggiante sorriso.

Dieci giorni fa, io e Reiko siamo stati rapiti dalle truppe baamesi… Hanno usato lei come arma di ricatto nei miei confronti. Per salvare lei, avrei dovuto uccidere te. Avrei dovuto portare loro il tuo corpo privo di vita, in cambio della sua libertà e della sua salvezza. – confessò, triste.

Kazuya spalancò gli occhi, costernato. Quelle parole rivelavano la fonte della sua angoscia.

I baamesi avevano forzato Kyoshiro ad una scelta crudele ed egli, solo, aveva affrontato un simile, tremendo dramma.

Non aveva confidato a nessuno le sue pene e aveva chiuso il suo dolore nella sua anima.

Quanto aveva patito in quei dieci, orribili giorni?

Cosa ne era stato di Reiko? Perché non era lì, con lui?

Tremò. Ne era sicuro, Kyoshiro non gli aveva rivelato l’intera verità.

E la sua mente era percossa dal maglio di un sospetto terrificante, che, invano, egli cercava di scacciare.

Serio, guardò l’amico e le sue mani, leggere, si appoggiarono sulle sue spalle.

E poi… Poi cosa è successo? – domandò.

Lacrime discrete bagnarono le esangui guance di Kyoshiro. Giungeva in quell’istante la prova più ardua…

Ho scelto te, amico mio. Ho scelto di salvare la tua vita, perché tu sei il pilota di Daimos e sei fondamentale per la salvezza della Terra. Non ho voluto dire nulla a nessuno, perché la situazione era stata colpa mia. Davanti ai soldati baamesi, ho finto una noncuranza totalmente estranea al mio cuore. Ho lasciato che Reiko fosse uccisa. – confessò.

Si passò una mano sulla fronte, come a volere sostenere il peso dei suoi pensieri e, per alcuni istanti, il silenzio serrò le sue labbra.

Da quel giorno, non ho più pace… Non riesco a dimenticare l’istante precedente la sua morte. Ogni istante, vedo il suo volto, umido di lacrime e distorto dal terrore bagnato di sangue… – concluse.


Per lunghi, eterni minuti Kazuya non parlò. La chiarezza illuminava la situazione.

Il suo amico spadaccino aveva affrontato, privo di qualsiasi conforto, una situazione tragica.

Non riusciva a non provare compassione per lui.

Kyoshiro non aveva compiuto quelle scelte per puro compiacimento sadico, ma per non condannare a morte decine di civili.

Fedele al suo adamantino e ferreo senso di giustizia, aveva posto il suo dovere ai suoi pur nobili sentimenti di compassione ed empatia.

La morte di quella ragazza era stata angosciosa e il suo cuore era impantanato nelle secche del rimorso.

Perché non ne hai parlato? Avremmo potuto aiutarti. – domandò, premuroso. Capiva le ragioni più vere delle decisioni di Kyoshiro, ma gli risultava oscuro il suo silenzio.

Perché non si era fidato di loro? Non lo avrebbero incolpato di quanto accaduto.

Sono stato minacciato… Se avessi osato parlare, avrebbero usato un’arma batteriologica sulla Terra, con conseguenze catastrofiche. E poi mi sentivo in colpa… Ho pensato fosse mio solo dovere risolvere quella situazione. Perché avrei dovuto coinvolgere altre persone in un errore che ho commesso solo io? – domandò.

Kazuya, senza parlare, lo strinse in un forte e silenzioso abbraccio. No, non poteva giudicare le scelte del suo amico.

Certo, la morte di un civile era una perdita dolorosa, ma la guerra imponeva un tributo amaro di sangue e lacrime.

Una simile, dura realtà era per lui fonte di malessere quasi fisico, ma non poteva negarla.

A volte, la somma giustizia era somma ingiustizia.


   
 
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