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Autore: Nocturnia    23/06/2021    0 recensioni
A volte si ferma a riflettere su chi siano; cosa, oltre un'eredità scomoda e pesante.
A volte si sveglia affogando e lo trova sempre al suo fianco - una presenza costante e calda, rovinosamente
sua.
A volte il pensiero la colpisce all'improvviso, le attraversa la mente come una scossa elettrica - l'afferra per i piedi, facendole provare una vertigine uguale a quella prima di ogni balzo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evie Frye, Henry Green, Jacob Frye
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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(Α)&(Ω)



1.

"Tu conoscevi i tuoi genitori?"
"No."
"Erano assassini? Sono morti in missione?"
Una scrollata di spalle, seguita dal click della pistola nella fondina.
"No e ancora no."
Sam la studia in silenzio, incuriosito.
"Non credo di ricordare il tuo nome."
"Ah, pessima tecnica di corteggiamento. Non ti ho mai detto come mi chiamo."
Il ragazzo abbozza un sorriso a metà, leggermente imbarazzato.
"Rimedio subito: Sam Crowder, Confraternita britannica degli Assassini."
La ragazza infila un coltello tra il polpaccio e lo stivale, tendendogli la mano.
"Lydia Frye; stessa Confraternita della tua."
Sam apre la bocca in un o ridicola - sorpresa.
Lo sguardo di Lydia si illumina di una scintilla furba, divertita.
"Già: faccio questo effetto quando sentono il mio cognome."
Lydia gli batte la mano sulla schiena un paio di volte, oltrepassandolo; il ritratto dei gemelli Frye lo fissa dalla parete della sala in silenzio.


(A)

Londra è perduta.

Per adesso.

Evie posa lo sguardo fuori dalla finestra, il davanzale già ricoperto da un sottile strato di neve.
"Abberline ti credeva morto."
"Non ci è poi andato molto lontano."
Evie si volta, le palpebre pesanti di sonno e preoccupazione.
Jacob apre e chiude le dita delle mani lentamente, le nocche ancora gonfie e tumefatte.
"Il ginocchio è ridotto male."
Jacob tace, fermandosi nei suoi movimenti.
"Non sono sicuri tu possa tornare a camminare come prima."
"Magnifico."
Evie si alza, sedendosi al suo fianco.
"Ci proveremo comunque."
Jacob preme le labbra in una linea biancastra, l'occhio destro ormai completamente cieco.
Evie scivola sotto le lenzuola, sfiorandogli la benda che gli ricopre l'orbita svuotata.
"Adesso ho capito, Jacob." mormora, nella sua voce una nota spietata - durissima.
Jacob inclina il viso verso di lei, assorto.
Evie ne sostiene lo sguardo, sul fondo della pupilla una luce famelica - pericolosa.

Lupi e aquile non sono fatte per vivere nella giungla, ma per conquistare il cielo e la terra.

"Adesso so." confessa, cercandogli la bocca in un bacio esigente, pieno di tutto.

"Londra può bruciare, Evie. Londra e i templari e tutto il resto."

Ciò che sono nemmeno la morte può cambiarlo.


2.

La guerra è arrivata, ma loro questa volta non la combatteranno.
Sorvola i cieli, ruggisce nei mari, ma riposano le loro lame - quiete, saziate.
"Dove sono finiti i funghi?"
"Non ne ho la più pallida idea."
Evie libera un suono dal fondo della gola, irritato.
"Li hai mangiati."
"No."
"Jacob Frye, sei un pessimo bugiardo."
Una risata trattenuta, il fruscio di un giornale che viene richiuso.
"Ti odio."
"Sorella, sei crudele. Vuoi uccidermi di crepacuore?"
Evie gli lancia contro un uovo che Jacob afferra al volo, incrociando le caviglie sotto il tavolo.
"Sei come l'erba cattiva: non muori mai." ribatte lei, dandogli le spalle.
Jacob si alza, appoggiandole il mento nell'incavo del collo.
"Mi piacerebbe." mormora contro la sua pelle "Ma rimarrei solo, per cui declino l'offerta."

"E poi invecchieresti senza di me. Diventeresti come nostro padre."
"Un destino peggiore della morte."

Evie si blocca a metà del gesto di tagliare un pomodoro, cercandogli le mani e intrecciando le proprie dita alle sue.
"Siamo già vecchi, Jacob; non te ne sei accorto?"
"No." ribatte lui, baciandole una tempia "E nemmeno mi importa."
Evie chiude gli occhi, reclinandosi all'indietro.

"Il mio sangue è il tuo sangue."

La guerra avanza, implacabile.
Davanti a loro il tempo non è più una scommessa.


(Ω)

Sono soli i gemelli Frye; di nuovo sperduti in una foresta di lame e acciaio.
Sono soli, ma sono insieme - e non sono più bambini.

"Siamo Jacob ed Evie Frye, e da questo momento lavorate per noi."

Evie ha studiato la situazione, il terreno; ha visto i Rooks disperdersi, combattere tra di loro - sbranarsi come branchi di cani selvatici.
"Signori." esordisce, estraendo i due kukri che portava al fianco.
Uno dei Rooks si volta, seguito dagli altri.
Evie snuda i denti, sorride.
"Che cazzo vuoi?"
"È così che accogli il tuo capo?" ribatte lei, inclinando il mento di lato.
L'uomo ridacchia, scuotendo la mano nell'aria.
"Il mio capo? Tu? Per vedermi in ginocchio devi prima succhiarmelo, bella."
Il gruppo ride, ammiccando; Evie si unisce a loro, contando - uno: femore rotto, mascella fratturata. Due: spalla dislocata, setto nasale deviato. Tre: dita spezzate, tagli multipli all'addome.
Il quarto uomo viene sollevato verso l'alto, attorno al collo la corda del rampino - le guance paonazze, la lingua già gonfia.
Evie si scosta appena il capuccio dal viso, fissandoli.
"Dove si trovano gli accoliti di Jack?"
Nessuna risposta.
"Riproviamo: dove si trova la feccia di Jack?"
Uno degli uomini si scosta dalla folla, stropicciando il cappello tra le mani.
Evie gli concede un'occhiata fugace, asciutta.
"Io forse potrei sapere qualcosa."
Evie rimane immobile, aspetta.
L'uomo solleva lo sguardo, deglutendo e guardandola come se avesse appena visto un fantasma.
"Lei è... lei è Evie Frye, vero?"
Evie annuisce bruscamente, rafforzando la presa attorno l'impugnatura del kruki.
Dal gruppo si leva un mormorio sommesso, stupefatto.
"La sorella del capo." esclama uno.
"Del capo che avete così velocemente tradito." sibila lei, umettandosi le labbra.
"Jack ci ha detto..."
Evie lancia una lama a pochi centimetri da uno di loro, zittendoli.
"Questa città appartiene a Jacob ed Evie Frye, ficcatevelo bene in testa." proclama, nella sua voce una nota durissima, spietata.
"E se qualcuno vuole opporsi, be', sappia che Jack è a putrefarsi sul fondo del Tamigi."
"Quindi il signor. Frye è vivo!"
Evie posa lo sguardo su un ragazzino di appena quindici anni, una zazzera di capelli biondo sporco e un incisivo mancante.
"Vivo e vegeto." ribadisce lei, sollevando un'altra serie di mormorii confusi, meravigliati.
Evie sbatte un piede sul tavolo, attirando nuovamente la loro attenzione.
"Ora." continua lei "Se qualcuno volesse dirmi dove trovare quei relitti umani mi farebbe un immenso favore."
Estrae le doppie lame celate, ampliando il sorriso.
"Oppure possiamo fare con le cattive; questa puttana, come soleva chiamarmi Jack, è capace di farvi tornare le palle in gola e alcuni di voi dovrebbero ricordarlo."
Il ragazzino spintona di lato un uomo, affiancandola; ne segue poi un altro, e un altro ancora - alcuni imbarazzati da loro stessi, altri spaventati e mortificati.
Evie scende dal tavolo, aprendo le porte del pub e riversandosi con il primo, piccolo, gruppo in strada.

"Rooks, con me!"

Londra è i Frye: se loro la rivogliono indietro, l'avranno.


3.

Lydia salta, e con lei Sam.
È veloce la piccola Frye, e stacca tutti gli altri apprendisti di qualche metro buono.
Sam accelera, taglia per una strada laterale, appare al suo fianco.
Lydia gli scocca un'occhiata asciutta, che dicono essere uguale a quella di sua zia.
"Se ti supero, cosa vinco?"
Lydia abbozza un sorriso a metà, toccandosi appena il bordo del cappuccio.
"Non succederà mai, Sam." ribatte, sbattendo al suolo una bomba fumogena e arrotololandogli attono le caviglie un cavo che lo fa inciampare nei suoi stessi piedi.
Sam emette un suono sorpreso, cade in avanti, sbattendo il mento sulle tegole.
Lydia ride, aprendo le braccia e gettandosi di schiena verso il basso.
Tra di loro un gioco che non smette mai di ripetersi.


(A)

Quando Agnes lo rivede si porta le mani alla bocca, trattenendo un guaito ferito.
"Non sono ancora morto." la raggiunge la sua voce, più bassa di qualche ottava.
Jacob si tocca con l'indice la tesa del cilindro, nella sua postura qualcosa di profondamente sbagliato - il modo in cui si piega la sua schiena, trascinando il piede destro.
"Ma ci è mancato poco." aggiunge, appoggiandosi con entrambe le mani sulla testa di corvo del bastone.
Agnes raddrizza le spalle, lisciandosi le pieghe della gonna.
"Avrebbe dovuto avvisarmi."
Jacob abbozza un sorriso stanco, annuendo.
"Hai ragione, ma le cose si sono fatte un po' movimentate."
"Le avevo detto che Bertha sarebbe stata più sicura."
"L'hai fatto."
"Ma lei è il solito ignorante testardo."
Jacob ridacchia, scuotendo la testa.
"Dio, Agnese; vent'anni e ancora mi tratti come un ragazzino."
"Perché lo è." ribadisce lei, ruvida.
Jacob rimane immobile, negli occhi una luce quieta, risoluta.
"Evie è tornata."
Nessuna risposta.
"Mi ha salvato."
Agnes libera un sospiro tremulo, sedendosi un attimo nella poltrona consumata.
"Ci riprenderemo Londra, Agnes. E i Rook."
"Aye, sono troppo vecchia per queste cose, signor. Frye."
"Lo so. Ed è per questo che volevo darti questi."
Agnes si volta, attirata dal suono metallico di qualcosa che si posa su una superficie.
"Non li voglio."
"E invece li prenderai. Li userai per tuo figlio, per i tuoi nipoti e perché no: per rimettere a nuovo Bertha. Dicono che i tour in treno siano il futuro."
"Non mi servono."
Jacob allarga leggermente le gambe, e Agnes adesso può vedere quanto gli costi mantenere l'equilibrio.
"Grazie di tutto, Agnes."
Agnes solleva il viso verso il suo e per un attimo - un solo istante - è di nuovo il ragazzino sfrontato e impetuoso che li aveva liberati con il solo scocco di una lama.
"Chi penserà a lei, signor. Frye?" mormora, ma sa già la risposta.

"Evie è tornata, Agnes."

Jacob tamburella tre volte sulla tesa del cilindro, un sorriso a metà e negli occhi la stessa scintilla di quando.
I gemelli Frye escono dalla sua vita senza fare alcun rumore.


4.

Lydia a volte li guarda e si scopre studiare la mappa dei loro visi per immaginare sua madre.
Le hanno detto che era uguale alla zia Evie - stesso naso delicato, stessa piega delle labbra.
Ha sette anni, Lydia, e rovista sul fondo del piatto, schiacciando le patate con la forchetta.
Evie alza un sopracciglio, fissandola.
"Lydia Frye."
Nessuna risposta.
"Smettila di giocare con il cibo."
Lydia la ignora, disegnando due profili nel purè - abbozzati, ma pur sempre riconoscibili.
"E questi chi sarebbero?"
Lydia ruota il piatto, attirando anche l'attenzione di Jacob.
"Tu che fai il culo al nonno."
Evie sgrana gli occhi, Jacob soffoca una risata in un colpo di tosse - chi ti ha insegnato a parlare così, Lydia!
Il suo sangue racconta più di quanto lei possa immaginare.


(Ω)

Bedelia li fissa in silenzio, penzolante contro il fianco una manica vuota - lo stigma di uno scontro con Jack finito molto male.
"Sono sorpresa." li accoglie, le dita sotto la giacca, negli occhi una sfumatura sospettosa - guardinga.
"Non avrei mai immaginato che i gemelli Frye volessero parlarmi."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, inclinando il capo di lato.
"Pensavo ti avesse uccisa."
"Altrettanto, Jacob Frye." ribatte lei, mantenendo lo sguardo fisso su Evie.
"Felice non ci sia riuscito."
Bedelia si batte l'indice sulla spalla sinistra, arricciando le labbra.
"Me l'ha tagliato lentamente, Frye. Molto lentamente. Ho potuto sentire ogni singolo nervo venir reciso, ogni più piccolo tendine saltare come la corda di un violino."
Jacob solleva il mento, la cicatrice biancastra che gli attraversa l'occhio destro ancora arrossata ai bordi.
"L'avevo addestrato bene."
Evie inspira con forza a quelle parole, Bedelia snuda i denti, furiosa.
"Hai creato un fottuto mostro, Frye. Questo fate voi assassini: date una lama in mano a degli psicopatici e poi li liberate per il mondo."
"Non mi pare voi templari siate da meno."
Bedelia tace, premendo le labbra in una linea sottile.
"Qual è il motivo del nostro incontro."
"Londra." la prende in contropiede Evie, aprendo le mani davanti a sé - vedi, non mordo? Non ancora.
Bedelia alza un sopracciglio, aspetta il seguito.
"La città è devastata."
"Grazie della notizia ovvia."
"Gli accoliti di Jack più numerosi di quanto ci aspettassimo."
"Quei cuccioli erano da affogare da piccoli, signor. Frye."
Evie lancia una mappa sul tavolo, la lama celata scintillare nella penombra della stanza.
"Questi sono solo alcuni quartieri in cui si sono rifugiati."
Bedelia butta un'occhiata alle sue spalle, scorgendo un insieme di strade cerchiate in nero.
"Volete che noi li uccidiamo per voi?"
Jacob ride - un suono asciutto, derisorio.
"No. Ma sappiamo quali sono i prossimi obiettivi."
Bedelia arretra leggermente, ruotando con l'anulare e l'indice la mappa - dilata le narici, avvampando lungo gli zigomi.
"No."
"Jack era un uomo meticoloso."
Bedelia si volta, sbattendo il pugno chiuso sulla scrivania.
"Sono bambini, donne. Famiglie intere." mastica, inferocita.
"E sono le vostre." aggiunge Evie, quieta.
Bedelia sposta lo sguardo da Jacob a Evie e viceversa, ancora dubbiosa.
"Tutto ha un prezzo: cosa volete?"
Jacob ruota il bastone tra le dita, battendolo poi sul pavimento con un tondo sordo.
"La loro morte."
Bedelia tace, fissandolo.
"Siamo assassini, ma sappiamo la differenza tra giusto e sbagliato."
Evie preme il pollice sulla leva di sgancio del rampino, Jacob fa altrettanto.
"Fanne quello che vuoi dell'informazione che ti abbiamo dato: se deciderai di fermarli, le famiglie dei tuoi alleati sopravviveranno e noi avremo una decina di accoliti in meno. In caso contrario..."
Jacob si stringe nelle spalle, Evie spalanca la finestra di lato, appoggiando un piede sul bordo e calcolando la distanza all'edificio successivo.
"... a te la scelta, Bedelia."
Evie salta, Jacob la segue: all'anulare sinistro la croce templare brucia.


5.

Evie fissa il calendario con un'espressione stolida, un po' ottusa.
Conta sulla punta delle dita qualcosa, e Jacob all'inizio non ci aveva fatto molto caso.
Evie è precisa; pignola, a dirla tutta.
Evie si ricorda persino quella volta che le aveva fatto il solletico mentre stava bevendo, facendole sputare tutto lungo la camicia.
Evie è così - animata da un bisogno di controllo che la rendeva suscettibile a strani comportamenti.
"Sono quattro mesi."
Jacob sta controllando un'informazione su un probabile frammento dell'Eden - e tutto per fare un favore a lei - quando glielo dice.
"Di cosa?"
"Che non sanguino più."
"Oh, meraviglioso."
Evie aggrotta le sopracciglia, si chiede se suo fratello sia stupido.
"Non hai capito."
Jacob scarabocchia qualcosa a margine del foglio, libera un piccolo hum hum di gola, distratto.
Evie gli assesta un pugno sulla spalla, facendolo sussultare.
"E questo per cos'era?" ribatte lui, stizzito.
Evie apre le mani davanti a sé come se fosse ovvio per cosa era.
"Non mi stai ascoltando."
"Ti ho sentito, Evie, ma non è una cosa normale per voi donne? Voglio dire, hai una certa età e non sono completamente sicuro di quali siano i tempi, ma..."
"Sono stata dal medico."
Jacob si zittisce all'improvviso, preoccupato.
Evie sospira, il viso un ovale pallido e nel quale le poche lentiggini risaltano ancora di più.
"È qualcosa di grave?" si costringe a chiedere Jacob, tra le costole un morso gelido, che gli stritola le viscere, il cuore.
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"Forse dovrei sedermi."
Jacob si impone di rimanere calmo, ma vorrebbe solo afferrarla per le braccia e scuoterla e gridare e...
"Sarai padre."
Silenzio.
Evie lo fissa, negli occhi un'espressione che passa dalla paura alla confusione, diventando poi irritazione quando Jacob non replica nulla.
"Sei diventato sordo?"
Jacob sbatte le palpebre una, due volte.
Evie emette un verso frustrato, passandosi le mani nei capelli.
"Jacob Frye, giuro che se non..."
"Sei incinta."
"È quello che ho appena detto."
"Ed è mio."
Evie annuisce, guardandolo con attenzione.
"Pensavo... ormai credevo che..."
"Lo so."
"Come... voglio dire..."
"Ci sono dei rischi." aggiunge, stropicciando la manica del cappotto tra il pollice e l'indice.
Jacob solleva il viso verso il suo, attento.
"Sia per l'età, sia perché siamo fratello e sorella."
Nessuna risposta.
"Un ultimo salto?" gli propone, dentro quella domanda loro - tutto.
Jacob l'abbraccia e libera una risata che la svuota d'ogni incertezza.


(A)

Jack aveva detto che era morto.
Jack aveva riso mentre lo diceva, gocciolando sangue a ogni parola.
Jack li aveva raccolti sotto un'unica bandiera, un unico Credo - purga la città, libera il mondo.
I Rooks lo osservano in silenzio, studiandolo.
Alcuni sono volti nuovi, molti li conosce da prima - e non sopporta la loro espressione contrita, quasi avessero fatto una semplice cazzata il sabato sera al pub.

"Non sei pronto."
"Devo."
"Il ginocchio potrebbe cederti da un momento all'altro."

Un ragazzino fuorisce dal gruppo, avvicinandosi.
"Sei Jacob Frye."
"In persona."
Il ragazzino lo squadra da sotto in sù, alzando un sopracciglio.
"Ti manca un occhio."
"Riuscirei a beccare il tuo culo anche a metri di distanza."
Il ragazzino persevera nel suo studio, scivolando con lo sguardo lungo il pesante cappotto scuro, il bastone animato dalla testa di corvo.

"Io devo riprendere i Rooks, Evie. Devono vedere che sono ancora capace di guidarli - di controllarli."

"Tua sorella ha rotto il braccio ad Alton."
"Che peccato."
"E la mascella a Bart."
"Posso sentirne il rumore."
Il ragazzino ridacchia, scoccando un'occhiata divertita agli uomini alle sue spalle.
"Le aveva detto di fargli un pompino."
Jacob arcua un angolo delle labbra, posando lo sguardo su Bart - un metro e ottanta di muscoli e vergogna.
"Be', può sempre farselo da solo se gli spacco le ultime costole."
Il gruppo rumoreggia, tra di loro risate, qualche pacca sulle cosce.
"Sono stato via per un po' di tempo." dice, afferrando una sedia e ruotandola.
"Ma voi avete disertato molto prima." prosegue, sedendosi e appoggiando le braccia sullo schienale.
"Boss, noi..."
Jacob lo fulmina sul posto, la lama celata fuoriuscire dalla manica del cappotto come la testa di un serpente.
"Boss un cazzo." sibila, guardandoli "Avete compiuto una scelta ben precisa."
Il ragazzino sposta il peso da un piede all'altro, incuriosito.
"Vent'anni fa sono arrivato a Londra e alcuni voi c'erano: ricordano bene come mi sono fatto strada tra i Blighters e come vi ho salvato il culo." prosegue, nella voce una flessione gelida - spietata.
Uno dei più anziani abbassa lo sguardo, qualcun altro solleva invece il mento in un atteggiamento di sfida.
Jacob sospira, togliendosi il cilindro e porgendolo al ragazzino.
"Come ti chiami?"
"Paul, signor. Frye."
"Puoi tenermelo qualche minuto, Paul?"
Paul annuisce, prendendo il cilindro e ammirandone la fodera rosso borgogna.
Jacob si alza, ignorando la fitta che gli attraversa il ginocchio e risale fino ai testicoli; trasforma quel dolore in una rabbia brutale, che spegne ogni altro stimolo.
"Immagino abbiate tutti bisogno di un piccolo richiamo all'ordine."
Uno dei giovani avanza fino al centro del locale, negli occhi la stessa espressione di sempre - arroganza, supponenza.

Non poi molto diversa dalla tua all'inizio, uhm, Jacob?

Jacob sorride, assume una posizione difensiva - nella mente la voce di Evie, i suoi consigli.

Persino quelli di suo padre.

L'adrenalina della lotta riempie ogni altro pensiero.


6.

"Quindi avete deciso di riaprila."
Jacob socchiude gli occhi, schermandosi da un sole insolito per gennaio.
George lo affianca, incrociando le mani dietro la schiena.
"Non sapevo saresti venuto." lo apostrofa Jacob, fissandolo.
"Sono il custode di questa casa da prima che tu nascessi, Jacob Frye: nulla sfugge alle mie orecchie."
Attorno a loro vengono spalancate finestre, scrollati tappeti - controllati i materassi, esaminati mobili e pavimenti.
"Abbiamo pensato fosse una buona idea darle un po' d'aria."
George sposta il peso da un piede all'altro, quieto.
"Per i tempi difficili: per quando saltare da un tetto diventerà complicato."
"Mi sembra tu ti sia ripreso piuttosto bene." sottolinea George, indicando con la punta del bastone il suo ginocchio.
Jacob abbozza un sorriso a metà, sorveglia gli operai che stanno ora sistemando il tiraggio della canna fumaria.
"Ne sono rimasto sorpreso persino io."
George lo guarda, studiando la cicatrice che lo attraversa dal sopracciglio destro fin quasi metà guancia - un filo sottile, biancastro.
"Ti ha conciato proprio male."
Jacob si tocca distrattamente l'orbita - un gesto istintivo, che ripete spesso quando è nervoso.
"La Vista non ne è stata inficiata; dall'altro lato la mia visione periferica normale è pessima."
George gli appoggia una mano sulla spalla, stringendo.
"Sei stato bravo."
"Uhm."
"Ti sei ripreso i Rooks e Londra."
"Il Gran Maestro ha fatto il suo."
George sbuffa, ritraendo la mano.
"Si è limitata a fare quello che doveva."
Starrick non l'avrebbe fatto, si ritrova pensare Jacob, ma tace, perché ormai è morto, e con lui gran parte del suo tempo.
"E dimmi, come sta Evie?"
Jacob aspetta qualche secondo prima di rispondere, tormentandosi una pellicina del pollice.
"Bene."
"Non è venuta?"
"Aveva da fare; è sempre dietro a quei giocattoli dorati dell'Eden."
George ridacchia, scuotendo la testa.
"Ah, che bello vedere che certe cose non cambiano mai."
Jacob arcua appena un angolo delle labbra, slacciandosi il primo bottone della giacca.
George inspira con forza, nell'aria l'odore acre della polvere, quello freddo della neve.
"Immagino verrete qui in estate."
"Probabile."
"O quando cominceranno a farti male le ossa."
"Ti seppellirò prima." ribatte lui, divertito.
George gli concede uno sguardo limpido, che sembra scavargli dentro - metterlo a nudo.
"Sei un ragazzino impudente e arrogante, Jacob Frye."
"Lo prendo come un complimento, George Westhouse."
"Ricordi com'era la primavera a Crawley, no?"
Jacob annuisce, assorto - nella mente gli allenamenti con Evie e piedi nudi nell'erba.
"Si riempie di narcisi e calle rosse."
Jacob ascolta il quieto frusciare dei ricordi - della risata di Evie, di quella volta che si era disperata perché le aveva incollato i capelli con lo zucchero e l'acqua.
"Vostra madre le adorava." continua George, sollevando il viso verso il cielo.
Un ramo si spezza sotto il peso della neve caduta nelle ultime settimane - plof: atterra in un tonfo sordo, a malapena udibile.
"Hai fatto la scelta giusto."
Jacob percepisce la nota diversa nella voce di George - si volta, guardandolo.
George sostiene il suo sguardo, attorno agli occhi una fitta rete di rughe che si apre come una ragnatela quando sorride, e gli prende una mano tra le proprie.
"È un bel posto dove crescere, no?"
Jacob deglutisce, annuendo.
"Eravate felici."
Jacob tace, le dita di George calde, asciutte - rassicuranti.
"Forse non lo siete stati sempre, ma..."
George tace, quello strano sorriso sempre lì, adesso poco più di un'ombra.
"Sì, Crawley è un bel posto dove crescere un bambino." mormora poi, voltandosi di lato e schiarendosi la gola.
Jacob rimane immobile, fissandolo.

Lo sa.

George allarga poi le spalle, puntando lo sguardo sulla parete davanti a sé.
"Me lo concedi un tè, Jacob? In memoria dei vecchi tempi."

Perché l'orologio corre, e non si ferma mai.

Jacob gli posa una mano sul braccio - e dio, da quando è così sottile e fragile e vecchio e... - conducendolo verso la cucina.
George custodirà i loro segreti fino alla fine.


(Ω)

Evie si guarda intorno, confusa.
"Perché siamo qui?"
Scivola con lo sguardo su Westminster, alla loro sinistra il Tamigi scorre quieto, a malapena turbato dalla pioggia.
Jacob si siede al suo fianco, dandole un leggero colpo con la spalla.
"Sai che Agnes è partita verso l'Essex, no?"
Evie annuisce, fissando le carrozze che si accalcano in strada.
"Quindi non abbiamo più Bertha."
Evie alza un sopracciglio, guardandolo.
Jacob le porge la mano, invitandola.
"Ho preso un appartamento."
"Dove?"
"Qui."
Evie sgrana gli occhi in un'espressione comica, alzandosi di scatto.
"A Westminster?"
Jacob annuisce, ampliando il sorriso.
"Lungo Victoria Street: da qui possiamo anche controllare Bedelia e Whitechapel non è così lontana."
Evie apre e chiude le mani, muovendosi avanti e indietro sul cornicione - non sa cosa dire e Jacob si limita ad aspettare, la nebbia che va addensandosi attorno a loro.
Si ferma, chinandosi poi alla sua altezza e prendendogli il mento tra il pollice e l'indice.
"Se stai per chiedermi dove ho preso i soldi, be', sappi che..."
Evie gli cerca la bocca in un bacio vorace, che gli ricorda quando erano giovani - sorpresi e intimoriti da loro stessi, da quello che provavano e desideravano.
Tra i suoi capelli Jacob mormora sempre la stesse parole di allora.


7.

"Lo Squartatore è stato un disguido."
L'uomo inclina appena il capo verso la spalla, tace.
"Il Mentore l'ha creato, non io." puntualizza Bedelia, fissandolo.
L'uomo la studia con occhi quieti, di un color ambra che le ricordano quelli di Frye.
"Le famiglie sono salve, i membri dell'Ordine anche. Ho fatto quello che dovevo."
Bedelia si volta, divaricando leggermente le gambe.
"So chi sei, Victor Bolden."
L'uomo stende appena un angolo delle labbra, ascolta.
Bedelia indica il bavero sinistro della sua giacca con un brusco cenno del mento, indurendo lo sguardo.
"La tua croce nera parla per te."
L'uomo amplia il sorriso, togliendosi il cappello.
"Non sono qui per ucciderti."
"L'avresti già fatto." l'apostrofa Bedelia, nervosa.
Victor posa lo sguardo sul suo braccio mancante, studiandolo con attenzione.
"Hai pagato un pegno importante a Jack, vedo."
"E non solo quello." sibila Bedelia, una donna che ha conquistato il potere pezzo per pezzo, strappandolo dalle mani degli altri templari.
Victor avanza fino alla sua scrivania, sulle guance una rete di cicatrici biancastre che il fuoco rende solo più evidenti.
Spinge verso di lei una croce nera, picchiettandoci sopra con l'indice.
"La tua visione del mondo ci ha colpito, Bedelia. La tua alleanza con i Frye ti ha reso suscettibile di critiche, ma non per noi."
Bedelia lo fissa, negli occhi una scintilla incuriosita - sospettosa.
Victor si rimette il cappello, porgendole un piccolo inchino.
"Londra sarà importante per il futuro, Bedelia: l'equilibrio è fondamentale, non il potere fine a se stesso."
Bedelia lo osserva con attenzione, cercando di capire se sia un pericolo - una trappola.
"Spero di ricevere tue notizie presto." si congeda Victor, ritraendosi nelle ombre - assassino, templare: i guerrieri della Croce Nera servono un unico credo, un'unica fede.

La giustizia.

Davanti a lei la croce nera è una promessa e una minaccia.


(A)

Se ne è accorta svegliandosi in uno spazio tra la notte e l'alba, quando Londra rumoreggia, ma non grida ancora.
Se ne è accorta in una mattina indolente, pigra; mentre fuori pioveva e dentro Jacob chiamava il suo nome - indugiava sul suo corpo, tra le sue cosce.
Se ne è accorta durante un appostamento serale, Jacob reclinato contro un comignolo e lei protesa in avanti, verso la strada.

"Hai pensato a cosa vuoi fare per il nostro compleanno?"

Una domanda semplice; innocente.

"Io propongo una bella rissa di strada."

Evie aveva premuto le labbra in una linea sottile, esibendo la solita espressione contrariata di quando suo fratello diceva una cazzata.

"Certo; e per festeggiare un naso rotto."
"Quanto sei pessimista."

E si era resa conto che stavano parlando di un evento che avrebbe dovuto verificarsi mesi dopo - quasi tre, per la precisione.

"Una ricerca sulle ultime informazioni che abbiamo ricevuto sulla reliquia dell'Eden?"
"Uccidimi adesso, sorella ingrata."

Evie si siede, incrociando le gambe tra loro.
"Abbiamo ancora tempo per pensarci, Jacob." ribatte lei, controllando il filo della lama.
Jacob scivola al suo fianco, l'occhio cieco acceso da una luce traslucida quando usa la Vista.
"Con la fortuna che abbiamo spunterà qualcosa fuori dal buco del culo dell'India. O della Russia. Oh no, no, ancora meglio: direttamente dall'America."
Evie alza gli occhi al cielo, sospirando.
"Tu e l'India non andrete mai d'accordo."
"Hai saputo che Greenie ha altri due figli?"
Evie aggrotta le sopracciglia, perplessa.
"E tu come diavolo fai a saperlo?"
Jacob stende le labbra in quel sorriso furbo che le rifila da quando sono piccoli, orgoglioso di se stesso.
"Ho le mie fonti."
"E le usi per tenerti informato su Henry?"
Jacob annuisce e dio, quanto è infantile quando fa così.
"Sei un pettegolo."
"Ah. Solo solo attento ai dettagli; a quanto pare non riesce nemmeno a respirare."
"Uhm. E ti diverte la cosa, immagino."
"Moltissimo." chiosa Jacob, ampliando il sorriso.
Evie scuote la testa, ritraendo la lama.
"La Victoria sponge."
Jacob alza un sopracciglio, fissandola.
"Voglio una Victoria sponge. Da quando chiesi alla regina di fermare la sua politica espansionistica, be', non ne ho più mangiata una fetta."
Evie imbroncia le labbra al ricordo, sedendosi sui talloni.
Jacob ridacchia, intrecciando le dita nei i suoi capelli e baciandole una tempia.
Ed è in quel momento che se ne rende conto: che la realtà la colpisce come un pugno nello stomaco.
È in quell'istante che comprende come per loro ci sia un futuro - come se ne stiano tranquilli sulla cima di un tetto di Londra a parlare del loro prossimo compleanno.

"Potremmo morire domani, Jacob."
"Anche stanotte, sorella."

Evie percepisce qualcosa scollarsi da lei, cadere a terra e sciogliersi - al centro del petto un vuoto leggero, diverso.

"Abbiamo tempo, Jacob."

"Avrai tutto quello che vuoi, Evie." le dice, sollevandole il viso verso il suo.
Per la prima volta ci crede anche lei.


8.

È piccola, e ridicolmente fragile.
Jacob la fissa come se potesse rompersi anche solo guardandola, negli occhi un'espressione indecifrabile.
"Sembri un idiota." lo ammonisce Evie, socchiudendo un occhio.
Jacob tace, continua a studiare quello strano essere uguale a lui - loro - e la bambina gli restituisce uno sguardo perplesso, già irritato.
Evie sospira, massaggiandosi le tempie.
"Non morde."
Nessuna risposta.
"Jacob."
strana." dice poi, toccandola con la punta dell'indice.
"È un neonato, Jacob: non ne hai mai visto uno?"
"Sì. Be', non da così vicino."
Evie si alza, sporgendosi oltre la sua spalla.
"Ha tutte le dita dei piedi. E delle mani."
"Ho detto che avrebbe potuto avere dei problemi; non che li avrebbe avuti."
Jacob inclina il mento verso destra, osserva con attenzione la bambina - un ciuffo di capelli scurissimi e un'espressione scettica, uguale a quella di Evie.
"Non possiamo dirle chi siamo."
Evie sembra essere presa in contropiede da quell'affermazione, rimane in silenzio.
"La Confraternita." aggiunge Jacob, come se spiegasse già tutto.
Evie si umetta le labbra, a basso ventre un dolore tiepido, sopito.
"Non la proteggerebbero." spiega, e Evie sa che ha ragione.
Ne hanno parlato tanto prima, quando erano giovani e l'eccitazione li bruciava negli angoli delle strade, sul treno, sempre sul filo del niente - ne hanno discusso dopo, preparandosi al peggio.
"Diventerebbe un paria." mormora, irrigidendo un muscolo sotto la mandibola.
Evie si china sulla culla, fissando sua figlia - loro.
"Sarà tua nipote." gli dice, quieta.
"Sei sempre stato considerato incauto e non hai mai avuto una compagna fissa per i Rooks, né per la Confraternita." continua, toccandole una guancia con le dita.
"Hai avuto una figlia, ma non ne hai mai saputo niente prima di adesso - prima della lettera disperata di un ragazzo senza soldi e senza dimora."
Jacob annuisce, intrecciando le proprie dita a quelle di Evie.
"È morta di parto: come la nostra."
"Come la nostra." ripete Jacob, piano.
"Hai preso con te la bambina; ecco perché ci siamo assentati in questi mesi da Londra."
Jacob le si affianca, sfiorandole il dorso della mano con la propria.
"Sarai nonno, Jacob Frye." ridacchia lei, senza allegria.
La bambina sbadiglia, cercando di mantenere l'attenzione sue quelle due persone che la stanno fissando da ore e che sussurrano - dicono cose che non capisce, ma hanno una bella voce e...

"Benvenuta in questo folle mondo, Lydia Frye."

Lydia chiude gli occhi e sorride.


(Ω)

Ci sono notti in cui si ritrovano entrambi svegli, a fissarsi da una parte all'altra del letto.
Ci sono notti in cui i loro errori gridano, squarciando il silenzio.
Ci sono notti in cui Jack è di nuovo con loro, altre in cui l'India gli ha portato via Evie per sempre.
Ci sono notti in cui Roth ha vinto, e Jacob brucia insieme all'Alhambra.
Evie gli tocca appena una spalla, percependolo tendersi sotto le sue mani.
"Sei sveglio."
"Sì."
Jacob si volta, fissandola.
E ci sono parole sospese tra di loro - scampoli di un mondo in cui le torri toccheranno il cielo e si potrà leggere i libri su un rettagolo luminoso.
Ci sono incubi che sono ricordi e sogni che erano solo speranze - fantasmi che parlano un'altra lingua, indossano sempre la stessa lorica.

Assassini.

"Credo siano reali."
Jacob la guarda nelle penombra della stanza ed Evie nota come l'occhio destro emetta una debole luminescenza, segno di come abbia attivato la Vista.
"Alcuni di loro li conosco: li ho studiati. Ma gli altri..."

"Desmond Miles; tu può salvarli tutti. O fare la costa giusta, e liberare questo mondo da se stesso."

"Lo so."
Evie inspira con forza, sorpresa dall'ammissione di Jacob.
"Li vedo anche io, Evie. Da quando abbiamo toccato la sindone."
Evie soffoca un singhiozzo, si preme il palmo delle mani sulle palpebre.
Jacob la circonda con il proprio corpo - caldo, rassicurante.

"Nulla è reale, tutto è lecito."

Nel mezzo del tempo tutte quelle voci diventano Una.


9.

Sarà l'ultima volta che si vedranno.
Dai lati opposti del binario si studiano, Jacob ed Henry - alle spalle di quest'ultimo una piccola delegazione della Confraternita dell'India.
"Jacob."
"Greenie." ribatte lui, quieto.
È invecchiato, Henry: lo sono tutti, in fondo, ma su di lui grava il peso di una Confraternita smembrata, mutilata dall'interno.
"Ho saputo che il Koh-i-Noor è stato recuperato."
"In parte: l'aiuto di Evie si era rivelato provvidenziale, ma dovette tornare di gran fretta a Londra."
Jacob abbozza un sorriso storto alla velata accusa di Henry, solleva il viso verso di lui.
"Tra una pietra e un maniaco credo abbia compiuto la scelta migliore."
Un maniaco che ha sventrato Londra per colpa tua, gli suggerisce lo sguardo di Henry, ma Jacob sceglie volutamente di ignorarlo.
"Cosa ti porta in città?" chiede poi, spostando il peso da un piede all'altro.
"Un incontro con il re Edoardo VII."
Jacob tamburella con le dita sulla testa di corvo, annuisce.
"Un uomo divertente: un progressista. Ti piacerà."
Henry alza un sopracciglio, gettandogli un'occhiata incuriosita.
"Dicono sia particolarmente attivo con le signore dei Lord."
Jacob gli restituisce uno sguardo derisorio, che ricorda bene.
"Puoi dirlo, Greenie: ormai siamo adulti. Il re è famoso per scopare in giro, attrici comprese. Non ti cadrà la lingua."
Henry irrigidisce le spalle, fissandolo.
Jacob abbozza un sorriso, estraendo l'orologio dal taschino e controllando l'ora.
"Ora che ci siamo salutati come due rispettabili Mentori, direi che possiamo andare ognuno per la propria strada."
"Non potrei essere più d'accordo."
"Sia mai che il Concilio pensi poi che siamo in brutti rapporti."
"Assolutamente."
Jacob piega appena il capo in avanti, toccandosi la tesa del cilindro.
"Mi avrebbe fatto piacere vedere anche Evie."
"Era impegnata."
"Rimarremo in città qualche giorno."
"Riferirò."
Henry compie un passo in avanti, fissandolo dritto negli occhi.
"Non mi sei mai piaciuto, Jacob Frye."
Jacob snuda i denti, tace.
"Ma ti ho sopportato. Per il bene comune."
"Oh, che gentile."
"Sei un irresponsabile che ha rischiato di trascinare a fondo tutta Londra."
"Ma non è successo."
"Grazie ad Evie."
"A quanto pare nessuno di noi due sa fare niente senza Evie, uhm? Peccato solo sia mia sorella, non la tua."
Henry arriccia le labbra sui denti in un sorriso sgradevole, nel quale imprime tutto il suo disgusto.
Jacob si protende verso di lui, sulle nocche brillare un tirapugni in argento.
"Dillo, Henry. Cazzo, dillo. Sono anni che aspetti. Tira fuori le palle e dillo."
Green inspira con forza, la mano già al kukri - pomello in avorio, intarsi dorati.
"Tu non meriti Evie."
Jacob flette le dita della mano destra, nella cacofonia della stazione il crick crack delle sue ossa risuona chiaro come uno sparo.
"E lei è troppo gentile per vederti per quello che sei."
Jacob vorrebbe ridere a quell'affermazione, perché se Henry intravedesse anche solo un frammento di quello che è Evie, be', cambierebbe idea in fretta.
"Sei un vigliacco." mormora Jacob, sfiorandogli la guancia con il tirapugni.
Henry tende i muscoli della schiena, quelli delle braccia - aspetta.
Jacob si scosta, ritraendosi all'indietro in un movimento fluido - nell'occhio sano la stessa, fottuta, scintilla rapace di sempre.
"La mia risposta è ."
Silenzio.
"Alla tua domanda, Greenie. A quella cazzo di domanda che non riesci a fare dalla prima volta che ci hai visti. Che ti ripeti nella testa come il rullo di un tamburo."
Henry si umetta le labbra, sotto la pelle un pallore improvviso, malsano.
Jacob schiocca la lingua contro il palato, facendo scivolare il tirapugni nella tasca del cappotto.
"Ci si vede in giro, Greenie."
La nebbia di Londra rende il profilo di Jacob ancora più spietato.


(A)

"Oh, gli inarrestabili gemelli Frye."

Forse è perché hanno lo stesso sangue, la stessa pelle.
Forse è perché il simile cerca il simile e gli opposti si attraggono - e loro sono l'Uno e il Tutto fin da quando nati.

Forse.

Percorrono cicatrici vecchie e nuove, blandiscono un desiderio che da giovani li rendeva imprudenti, ora li rende liberi.
Evie ansima nell'incavo del suo collo, premendogli le unghie nella nuca - incidendo piccole mezze lune di sangue.
Ed hanno sanguinato, Jacob ed Evie: hanno scavato in loro stessi, dibattendosi contro una voglia che li rendeva soli e bagnati - l'uno ad ascoltare i respiri dell'altro dalla parte opposta della stanza.
Jacob le schiude le cosce, scivolando verso il basso - baciandole l'addome piatto, in cui una vecchia ferita ha lasciato un segno rossastro e irregolare.

"Stessa altezza, stesso sorriso diabolico."

E lo chiama, Evie: mormora il suo nome, lo dice mentre la voce le si spezza - muta in un gemito morbido, affamato.

"Un maschio e una femmina."

Si conoscono, Jacob ed Evie: terribilmente, oscenamente.
Si conoscono e non c'è più vergogna in quello che sono - che vogliono, e si confessano mentre cercano di resistere e aspettare, dio, Evie, sei così pronta, così...

"Voi dovete essere i gemelli Frye."

A volte è un incontro, altre una guerra.
Jacob sa che Evie può ribaltare le posizioni quando vuole ed è questo a eccitarlo - a strappargli una risata dopo, quando si scopre lui quello ridotto in ginocchio, grondante.
Evie lo attira a sé, baciandolo - sulla bocca ancora il suo sapore.

"Sono nata quattro minuti dopo di te, non dimenticarlo."

C'era stato un momento in cui avrebbero potuto fermarsi: un istante in cui girarsi dall'altra parte sarebbe stato possibile - prima di scoprire com'era morire l'uno nelle braccia dell'altro, venire e concedersi con un abbandono totale, assoluto.

"Da qui non si torna indietro, Evie."

Jacob azzera la distanza che li separa, spingendosi in lei con movimenti languidi, che le ricordano perché si trova qui, con lui - con suo fratello.

"Vale anche per te, Jacob."

Evie morde, affonda - lo trascina con sé in un orgasmo che spegne ogni altro pensiero.

"Tutto ciò che conosciamo morirà, Evie. Non rivedremo più la nonna o Nellie. Un giorno anche papà e George moriranno, e noi saremo soli."
"Lo so."

Ed erano pensieri da bambini spaventati; nascosti l'uno nel letto dell'altro, a promettersi che no, a loro non sarebbe successo. Loro ci sarebbero sempre stati, in vita e in morte.
Evie sorride, accarezzandogli i capelli sulla nuca - cullandosi nel calore del suo corpo contro il proprio.

"Non ti lascio, Jacob. Se tu sanguini, io sanguino."
"Neppure io, Evie."

Jacob scivola di lato, cingendole la vita con le braccia - tra le cosce un desiderio quieto, appagato.

"Se tu muori, io ti seguirò."

Per certe promesse vale la pena scommettere tutto e saltare.


10.

La bambina è piccola; un mese, non di più.
George la guarda con un misto di stupore e rassegnazione, come se non fosse strano che Evie stringa una neonata tra le braccia - lei, e Jacob.
"Si chiama Lydia." gli dice, scostando la coperta.
"È mia nipote." lo anticipa Jacob, appoggiato allo stipite della porta.
George scivola con lo sguardo lungo le pareti della stanza, la riconosce come quella che fu di Ethan e Cecily - ora una nursery in piena regola.
Evie si avvicina e la bambina apre gli occhi - un blu cupo, ridicolmente stizzito.
"Quando?" mormora George, sorridendo istintivamente al gesto di Lydia di corrugare le sopracciglia.
"Ho ricevuto una lettera un mese e mezzo fa; a quanto pare avevo una figlia."
George allunga l'indice verso Lydia, sfiorandole la guancia pallida.
"E dov'è adesso?"
"Morta." ribatte Jacob, quieto.
"Non sembri molto dispiaciuto." lo rimbecca George, muovendo le dita davanti al volto della bambina.
"Non la conoscevo nemmeno."
"E la madre?"
Jacob si stringe nelle spalle, Evie studia la scena con attenzione, cercando di cogliere segnali da parte di entrambi.
"Non lo so: il ragazzo era il suo fidanzato, a quanto pare. Avrebbero dovuto sposarsi, ma poi è arrivata la bambina e la situazione è precipitata."
George ridacchia quando Lydia gli afferra il mignolo, stringendo.
"Come hanno avuto il tuo nome?"
"La madre era un'informatrice dei Rooks." interviene Evie, sorridendo suo malgrado all'espressione rilassata di George "La ragazza, Sadie, ha sempre saputo chi fosse suo padre, ma non ha mai voluto averci niente a che fare."
"Immagino il perché se non ricordi neppure il suo nome." ribatte George, inclinandosi verso la culla.
"Cosa posso dire? Ero uno spirito libero." replica Jacob, ed Evie sa che stanno camminando su un terreno fragile - sottile.
George si solleva, fissandolo.
"Hai fatto la cosa giusta."
Jacob tace, guardandolo.
"Il ragazzo non sarebbe stato in grado di prendersene cura." aggiunge Evie "Ci ha chiamato proprio per questo."
George mantiene lo sguardo fisso su Jacob, studiandolo con attenzione.
"Una figlia."
"Già."
"Sarà divertente: un po' mi dispiace non essere qui quando diventerà un'adolescente come voi due."
"Speriamo abbia preso dalla zia."
George arcua appena un angolo delle labbra, liberando un suono simile a uno schiocco.
"I gemelli Frye; inarrestabili, terribili." mormora, nella sua voce una nota lontana, malinconica.
Lydia starnutisce, borbottando qualcosa.
George le riserva un'occhiata indulgente, affettuosa.
"La istruirete al Credo?"
Evie annuisce, controllando che la bambina non abbia bisogno di nulla.
"Deve saper difendersi: il nostro è un mondo pericoloso."
"Non avrei potuto essere più d'accordo." assentisce George, percependo il freddo della sera farsi strada nelle ossa, sotto la pelle.
Evie gli appoggia una mano sulla spalla - ah, l'intrepida Evie Frye; sempre così attenta, perspicace - prendendolo poi sotto braccio.
"Un tè prima di andare? In onore dei vecchi tempi."
Jacob sostiene lo sguardo di George - l'impetuoso Jacob Frye; un sorriso beffardo e il pugno veloce - negli occhi un'espressione nuova, che gli ricorda quella di Ethan.

"Sopravviveranno, George: sono l'ultima cosa che mi è rimasta di Cecily."

George posa la mano sopra quella di Evie, sorridendo.
"Solo se lo prepara Jacob: voglio vederlo litigare con la stufa."
Jacob alza le mani al cielo, Evie ride: dietro di loro Lydia è la promessa di un futuro diverso.


(Ω)

Londra crolla - brucia.
Si alzano volute di fumo dalle sue torri, si infrange contro i suoi argini il Tamigi - questa sarà l'ultima di tutte le guerre, hanno motteggiato mentre l'Europa si riempiva di sangue e macerie.
Buckingham Palace trema, la cripta resiste, aspettando.
Nella penombra della stanza il volto di Evie sembra tornare giovane - indietro a quella notte, quando caddero entrambi.
"La reliquia è al sicuro."
Jacob l'affianca, infilandosi i guanti.
"Dobbiamo andare, Evie." prosegue, guardandola.
Evie preme le labbra in una linea sottile, davanti a loro un sarcofago in pietra e marmo - anonimo, se non fosse per il potere che custodisce all'interno.
Un secondo boato scuote l'edificio, costringendoli a flettersi in avanti per mantenere l'equilibrio.
"Evie." la chiama - sempre.
"Ho paura." mormora, cogliendolo di sorpresa.
Jacob le si avvicina, sollevandole il viso verso il suo.
Ed è sempre la sua Evie, ma negli occhi c'è una scintilla spaventata - che inganna la sua vista e lo riporta a quando erano piccoli e soli.
"Mi parla, Jacob." sussurra, e non ha bisogno di specificare altro.
"Lo so."
"L'abbiamo toccata e lei ha toccato noi."
Jacob mantiene l'attenzione su di sé, sfiorandole le guance con i pollici.
"È questo che hanno sentito gli altri? Chi è venuto prima di noi?"
"Credo di sì."
Evie cerca di spostare lo sguardo sul sarcofago, Jacob preme, trattenendole il viso verso il suo.
"Il treno ci aspetta, Evie: dobbiamo andare."

Il nostro tempo a Londra è scaduto.

Il rumore degli aerei sulla città è assordante, ma lì, nelle viscere di Buckingham Palace, c'è solo un silenzio rarefatto - la sensazione di non esserci e al contempo di non essere mai stati più vivi.
Jacob le sorride, e sono di nuovo giovani quando la bacia - a terra il corpo esangue di Starrick e la sindone che canta, invitandoli.
Evie si aggrappa alle sue spalle, soffocando un grido contro la sua pelle.
Il sibilo delle bombe che cadono al suolo riesce a infrangere persino le spesse mura della cripta - scandisce la marcia dei soldati, amici e nemici.
Jacob le accarezza i capelli, la nuca - lascia che Evie si rompa, e si ricostruisca poi a nuovo.

Come avevano sempre fatto.

"Andiamo." gli dice poi, passandosi il dorso delle mani sugli occhi.
"Sono pronta." aggiunge, intrecciando le proprie dita alle sue.
Jacob annuisce, solleva il braccio verso l'alto - le riserva un'occhiata divertita, beffarda.
"Una corsa fino al treno?"
Evie alza un sopracciglio, sganciando anche lei il suo rampino - si prepara al salto, stringendosi a lui.
"Ci puoi scommettere." ribatte, sorridendo.
La reliquia tace, in attesa.


11.

Il figlio di Henry è un cosino nervoso, di appena sedici anni.
Stringe tra le mani il kukri di suo padre, spostando il peso da un piede all'altro.
Jacob lo trova ridicolmente uguale a Greenie, e lo dice mentre Lydia si aggrappa al suo polpaccio, cercando di arrampicarsi fino alla cintura.
Il ragazzino accenna un sorriso alla vista della bambina, sembra risvegliarsi solo quando Jacob gli schiocca le dita davanti al naso, facendolo sussultare.
"Mahesh Mir."
Lydia afferra la fondina della pistola, viene acchiappata da Evie, liberando un gridolino offeso.
"Cosa ti porta fino a Londra?" gli chiede Jacob, neutro.
Mahesh si schiarisce la voce, arrossendo leggermente - cristo santo: la sua copia sputata.
"Mio padre."
Jacob alza un sopracciglio, Evie placca un pugno di sua figlia.
"È successo qualcosa alla Confraternita?" si intromette Evie, chiudendo le mani di Lydia in una delle sue.
Mahesh si volta, negli occhi un'espressione dolente, afflitta.
"L'abbiamo perso."
Jacob tace, inclina il mento verso destra, invitandolo a continuare.
"Noi... ecco..."
"È morto." conclude per lui Jacob, nella voce una nota assente, fredda.
Mahesh sembra essere preso in contropiede dalla sua reazione, fissandolo quasi sdegnato.
Jacob schiocca la lingua contro il palato, scuotendo la testa.
"Mi dispiace per la tua perdita, ragazzo. Immagino ti abbiano mandato qui in quanto suo primogenito, uhm?"
Mahesh preme le labbra in una linea sottile, annuendo.
"Come?" domanda Evie, e il ragazzo sceglie di concentrarsi su di lei - ah, Evie: la cara e dolce Evie.
"Un'imboscata."
"Era tornato sul campo?" prosegue Evie, sorpresa.
"Sì. Le nostre fila sono sempre meno numerose e il nuovo Gran Maestro si è dimostrato lungimirante."
Evie posa lo sguardo sul ginocchio di Jacob, l'occhio cieco - riflette su cosa significhi per un assassino tornare in guerra così, un vecchio leone mai domo.
Jacob le restituisce un'occhiata quieta, nella quale brucia una forza che l'aveva sempre reso un animale da combattimento - nocche sbucciate e sangue tra i denti.
"Mi dispiace." gli dice poi, Lydia ormai del tutto disinteressata alla pistola di suo padre.
Mahesh inspira con forza, sorridendole.
"Grazie. Il Concilio ha pensato fosse giusto inviarmi qui per rinnovare i rapporti tra noi e la vostra Confraternita."
Evie afferra sua figlia prima che riesca a raggiungere le bombe esplosive sul tavolo, abbozza un sorriso - guarda poi Jacob in una richiesta silenziosa.

Lui non è Henry.

Jacob coglie il suo messaggio, si avvicina a Mahesh, tendendogli la mano.
"Non avrebbe saputo uccidere un uomo sordo e zoppo, ma era un bravo stratega tuo padre."
Mahesh guarda Jacob come se non sapesse se prendere la sua affermazione come un complimento o un'offesa, gli stringe goffamente la mano - percepisce i muscoli del braccio tendersi, sotto il guanto dita forti, che gli danno l'impressione di essere nella presa di una tenaglia.
"Nessun problema tra le nostre confraternite." aggiunge poi Jacob, piegando un angolo delle labbra all'insù.
Mahesh lo studia con attenzione, cercando di capire cosa intraveda sotto quest'uomo - chi sia Jacob Frye, Maestro Assassino di Londra.
Jacob ritrae la mano, Lydia conquista il tirapugni che suo padre ha dimenticato sulla scrivania.
Evie osserva sua figlia brandirlo come se fosse la cosa più normale al mondo.


(A)

"Credevo fosse immortale."
"Dava questa impressione."
"Mi mancherà."
Jacob solleva lo sguardo, posandolo sul viso di Evie.
Non ci sono lacrime a rigarle le guance, ma nella sua voce vi è un nodo pesante, umido.
"Abbiamo tempo, Evie." mormora, sfiorandole il polso.
Evie non ribatte, si limita a fissare la lapide davanti a sé - George Westhouse. 30 aprile 1820 - 13 luglio 1904.
"Continuo a pensarci."
Jacob sa di cosa sta parlando - una confessione che può fare solo a lui.
"È ancora così giovane." continua, sospirando.
Jacob butta un'occhiata alle sue spalle, dove Lydia sta chiacchierando con Abbie, la governante di casa Westhouse.
"Non siamo ancora morti, Evie."
"No, ma..."
Evie tace, ripensando all'ultima volta che ha quasi mancato una presa, a quella in cui è quasi caduta dal cornicione, in cui un criminale di strada l'ha quasi sorpresa.
Jacob le afferra la mano, appoggiandole la fronte contro la tempia.
"Per dare qualcosa, toglie a qualcuno; l'hai detto tu, ricordi?"
"Sì."
Jacob chiude gli occhi, baciandole un angolo delle labbra - rapido, sicuro che Lydia non possa vederli.
"Che prezzo sei disposta a pagare?"
Tutto, vorrebe dirgli, perché ogni mattina si alza un po' più stanca e ha paura che un giorno non si sveglierà del tutto o peggio: non lo farà lui e allora...
"Anche nostra figlia?"
Silenzio.
Evie abbozza un sorriso quieto, voltandosi verso di lui.
"Ci sono voluti quasi sessant'anni per farti diventare assennato, uhm?"
"Non ci scommetterei troppo." ribatte Jacob, spostandole una ciocca di capelli dal viso.
Le loro lame sonnecchiano, quiete.


12.

Hanno detto che sono dispiaciuti per lei.
Attorno a lei gli altri bambini l'hanno fissata a lungo e Lydia ha potuto scorgere incertezza nei loro sguardi, in altri ancora persino timore.
È perché sei la nipote di due Maestri Assassini, le hanno ripetuto.
Sei Lydia Frye; indossi un nome pesante, piccola mia, aveva aggiunto una novizia.
"Cosa è successo ai tuoi genitori?"
Lydia solleva il viso dalla mappa che sta studiando, aggrottando le sopracciglia.
"Sono morti?" prosegue il bambino, un nido di capelli neri e tra le dita una mela.
"Credo di sì."
"Non lo sai?"
Lydia si stringe nelle spalle, tornando alla cartina - e se Evie potesse vederla adesso si ritroverebbe a fissare il proprio riflesso di quando aveva sette anni.
"E non sei curiosa?"
"No."
Il bambino si inclina verso di lei, perplesso.
"Tutti hanno dei genitori."
"Sì, be', io ho mio nonno e mia zia. E mi bastano."
Lydia traccia una linea dal punto a al punto b, riprendendo a ignorarlo.
Il bambino si siede proprio vicino a lei, guardando quello che sta facendo.
"Sai, tutti dicono che bisogna stare attenti con te."
"Perché mio nonno è Jacob Frye."
Il bambino stacca il picciolo dalla mela, alzando un sopracciglio.
"E tua zia Evie Frye."
Lydia sospira, voltandosi.
Il bambino le sorride, porgendole una fetta di mela.
"Cosa vuoi?"
"Fare amicizia."
"Non ti aiuterò con le mappe e la geografia."
Il bambino non perde il suo smalto, appoggiando la fetta di mela vicino alla sua matita.
"E io prometto di non metterti al tappeto troppo spesso durante gli allenamenti."
Lydia gonfia le guance in un'espressione oltraggiata, il bambino si alza, richiamato da altri loro coetanei - ehi, Sam! Vieni qui! Abbiamo trovato un nido di vespe.
Anni dopo ritroverà quel bambino sui tetti accanto a lei e nel mezzo di una guerra che non farà prigionieri.


(Ω)

È una bambina intelligente, Lydia.
Jacob la guarda e a volte ancora non ci crede - non trova possibile che sia successo.

"E dire che da giovani non ci siamo certo risparmiati."

Evie si era scrollata nelle spalle a quell'affermazione, abbozzando un sorriso divertito.

"Non so cosa dirti: a volte succede. Agnes ebbe il suo ultimo figlio a quarantasette anni, che io ricordi."

La osserva arrampicarsi sull'albero dal quale Jacob era caduto almeno due volte da piccolo, di cui l'ultima facendosi molto, molto male.
"È più agile di te."
"Sembra una scimmia."
"Hai appena dato del primate a nostra figlia."
Jacob beve un sorso di tè, fissandola da sopra il bordo della tazza.
Evie tamburella con le dita sul tavolo, alzando un sopracciglio.
"Prima o poi ci farà delle domande scomode."
"Le ha già fatte." le ribatte Jacob, quieto.
Evie smette di muovere le dita, fissandolo.
Jacob continua a bere il suo tè, passando alla pagina successiva del giornale.
Sospira quando Evie schiaccia verso il basso la rivista, puntandogli contro l'indice.
"Cosa significa le ha già fatte?"
"Quello che ho appena detto, Evie: qualche giorno fa mi ha chiesto chi fossero i suoi genitori e perché non siano qui."
Evie si siede, incrociando le mani tra le cosce.
"Le ho risposto che sono morti, entrambi; che sua madre non ha superato il parto e suo padre è stato ucciso per un regolamento di conti."
"Criminali." ribatte Evie, asciutta.
Jacob allarga le dita davanti a sé, stringendosi nelle spalle.
"Avevo altra scelta? Né eroi, né assassini: semplicemente persone normali che sono state divorante da Londra e dalla sua avidità."
Evie si muove inquieta sulla sedia, gettando un'occhiata verso il cortile.
"Ne farà delle altre."
"Lo so."
"Dormiamo ancora in un'unica stanza, Jacob."
"La promiscuità tra i novizi e le reclute non è mai stata un problema."
"No, ma noi non siamo alla Confraternita."
Jacob ripiega il giornale, fissandola.
"E se anche le facesse queste domande, Evie?"
"Non puoi davvero pensare che..."
Jacob taglia l'aria con un gesto veloce della mano, brusco.
"Forse le farà, forse si risponderà da sola."
Cerca Lydia nel cortile, la trova intenta a inseguire una papera - correre nell'erba a piedi nudi come erano soliti fare anche loro.
"Anche nostro padre deve essersele poste, no?"
Evie si umetta le labbra, ripercorrendo con la memoria quegli anni - gli sguardi confusi di loro padre, quelli irritati, negli ultimi mesi rassegnati.

Consapevoli.

Lydia riesce a catturare la papera, la stringe tra le mani ridendo - e Jacob sa che adesso entrerà in cucina per fargliela vedere e perché nonno, guarda, ho usato la Vista e...
"Il segreto di Pulcinella." dice in un italiano un po' stentato Evie.
Jacob la fissa in silenzio, non del tutto certo del suo significato.
"È quello che avrebbe detto Ezio Auditore." gli spiega lei, sulle labbra un sorriso a metà.
La porta sul retro sbatte violentemente contro il muro, sul pavimento passi veloci, lo starnazzare disperato di un pennuto.
Jacob si alza, Evie segue il suo movimento - si incontrano nel mezzo, baciandosi.
"L'ho presa!" chiosa Lydia, comparendo sulla soglia della cucina.
Evie incrocia le braccia dietro la schiena, prova pietà per la papera che Lydia solleva come un trofeo.
Jacob ride e il suo cuore è un po' più leggero.


13.

Lydia sa quello che mormora la gente: conosce le loro parole, i sussurri con i quali credono di metterla in difficoltà.
Sam le rivolge uno sguardo morbido, toccandole una spalla con la propria.
"Sono solo degli stupidi."
"Non ha importanza."
E Sam sa che Lydia dice il vero: l'ha capito fin dalla prima volta in cui l'ha trovata china su una mappa più grande di lei, una matita dietro l'orecchio e un cipiglio concentrato sul volto infantile.
Non teme nulla, Lydia Frye, perché suo è il tempo in cui il mondo conoscerà nuovi mostri di acciaio e metallo - suo il tempo che vedrà l'Europa cambiare.
Sam estrae dalla tasca del cappotto due mele, porgendogliene una - un piccolo rituale che hanno instaurato fin dalla prima missione insieme.
"Un giorno diventerai un Maestro Assassino e li prenderai tutti a calci in culo."
"Non ho bisogno di arrivare a tale carica per farlo." ribatte lei, scegliendo la mela più lucida.
Sam ridacchia, sedendosi e lasciando ciondolare i piedi oltre il cornicione.
"Tua zia mette davvero paura quando ci si mette, eh?"
Lydia assottiglia gli occhi, dando un morso alla mela.
"Voglio dire; ha rovesciato sulla schiena quella recluta come fosse una tartaruga."
Lydia ridacchia, puntandogli l'indice contro.
"E dovevi vederla con il nonno: quando ci allenavamo insieme lo metteva sempre al tappeto."
Sam sorride e Lydia fa altrettanto, appoggiandosi al suo fianco.
"Domani torneranno a Crawley."
"È la scelta migliore." la rassicura Sam, accarezzandole la nuca.
"Londra è nostra per merito loro, ma non è più sicura." prosegue Lydia, quieta.
Sam tace, guardando la città accendersi in fuochi rossastri e famelici - il cielo nero e senza stelle.
"Resisteremo, Lydia." le promette Sam, chinandosi verso il suo viso.
"Lo so." replica lei, percorrendone i lineamenti in punta di dita - imprimendoli nella memoria, sotto la pelle.

E poi torneremo tutti a casa.

Lydia sorride, infrangendo il suo respiro - baciandolo, e strappandogli ogni altra parola.

"Divertiti con Churchill, Lydia."
"Ah. E tu non morire, Sam Crowder."

La storia ripete sempre se stessa.




(Α)&(Ω)

La guerra è finita,

e loro sono ancora qui.

La guerra è finita, e lei è ancora qui - al suo fianco.
Jacob la guarda mentre dorme e si porta una mano al petto - , dove un dolore sordo lo stritola al pensiero di alzarsi e non trovarla più, perduta per sempre.
Evie socchiude le palpebre, cercandolo a tentoni nel letto vuoto a metà - si volta, trovandolo seduto vicino la finestra.

"Abbiamo toccato la sindone e lei ha toccato noi."

Lo chiama, Evie, e c'è tutto nella sua voce - il suo sorriso, il modo in cui ancora lo riprende quando rompe qualcosa, la risata che libera alle sue battute un po' infantili.

"E poi invecchieresti senza di me."

Jacob si volta ed è di nuovo giovane - lo sono entrambi.
Ci sono notti in cui si sveglia e c'è quell'attimo - quel solo, terribile, istante - nel quale preme le dita contro il fianco e muore all'idea di non sentire più il battito del suo cuore, il suo respiro.

"Diventeresti come nostro padre."

Evie stende la mano verso di lui,

"Una sorte peggiore della morte, sorella mia."

e nei suoi occhi Jacob legge la stessa, devastante, paura.

"Il mio sangue è il tuo sangue."

E allora si svegliano entrambi nel momento più buio della notte, cercandosi come quando erano piccoli e respirando - perché ci sono ancora: sono lì, vivi, e la guerra è finita e...

"Se tu sanguini, io sanguino."

Jacob intreccia le proprie dita alle sue, scivolando contro il suo corpo - lasciando che Evie si raggomitoli contro il suo petto e liberi un sospiro tremulo, che lui sa contenere i suoi stessi pensieri.

"Mi sei mancata, Evie."

Evie disegna figure immaginarie nello spazio tra il suo collo e la spalla, segue i contorni di un vecchio tatuaggio - i Rooks e tutto ciò che hanno significato.

"Anche tu, Jacob. Anche tu."

Jacob chiude gli occhi, baciandole la fronte, le palpebre,

"Notte, Evie."

cercandola come la prima volta,

"Cosa c'è di sbagliato in noi, Jacob?"
"Niente."

ed Evie risponde, perché la pelle è sempre la stessa - il bisogno che li ha spinti a essere Uno e Tutto, a scontrarsi e ad amarsi senza riserve.

"Le tue lacrime sono anche il mio dolore."

E ne è valsa la pena; dibattersi tra le proprie ossa, combattere se stessi, alla fine arrendersi, e comprendere.

"Se tu muori..."

Evie si rovescia sotto di lui, negli occhi nessun rimpianto, nessun rimorso.

"...io ti seguirò."

Jacob cerca la sua bocca, la bacia come se fosse allora - sul treno, schiacciati da una missione più grande di loro, divorati da una voglia che li aveva lasciati nudi e ansanti sul pavimento della carrozza - come se fosse l'ultima possibilità, quando pensava che l'India gliel'avrebbe portata via per sempre, o Jack l'avrebbe ucciso prima che avesse l'opportunità di dirle...

"È finita, Jacob. Sono qui, con te."

Evie nasconde il viso contro il suo petto, chiudendo le dita nella sua camicia.
"Anche io, Jacob. Anche io."

"Ti ho sempre amata, Evie. Fin dall'inizio."

L'uno nella braccia dell'altro ascoltano i loro respiri quietarsi e vivere un altro giorno - ancora qui.

Ancora insieme.




"I loved her against reason, against promise,
against peace, against hope, against happiness,
against all discouragement that could be."
- Charles Dickens -



   
 
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