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Autore: Stella Dark Star    24/06/2021    0 recensioni
Nonostante la calorosa accoglienza dei suoi genitori (Ranpo e Yosano), Moriarty è soggetto a tremendi incubi a causa della terribile avventura inglese che è costata la vita al suo amato Mafuyu (figlio di Mori ed Elise). Ma cos'è accaduto a Londra quando Sherlock (gemello di Moriarty) e Hana (figlia di Akutagawa e Atsushi) sono andati a riprenderlo dopo la sua fuga? La situazione non impedisce a Sherlock e Hana di procedere coi preparativi per il loro matrimonio in grande stile, a cui sono invitati 'parenti' e amici sia dell'Agenzia che della Port Mafia. La sera prima della cerimonia, il piccolo Akira (figlio di Dazai e Chuuya) viene spaventato da una presenza luminosa fuori dalla finestra, ma l'intervento di papà Dazai non rivela nulla di sospetto. E invece...
-Il grande ritorno delle amate ship di Bungou e dei loro figli! Se vi siete persi le precedenti tredici one-shot, vi invito a recuperarle nella sezione "Serie di Stella Dark Star" oppure cliccando sul link all'interno della storia! :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akiko Yosano, Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ranpo Edogawa
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Mafuyu x Moriarty
Dazai x Chuuya:
Dolceamaro
(parte 1)
 
Il clima inglese era molto diverso da quello giapponese. Mentre nell’isola nipponica le estati erano caratterizzate dalla forte umidità, in quella inglese era già tanto se si indossavano maniche corte durante quei rari giorni in cui il sole batteva più forte e già a fine agosto era più che normale indossare una giacca di sera per ripararsi dall’aria fresca. Altra cosa più che normale, era dormire avvolti da un vaporoso piumino, qualunque fosse la stagione. Un dettaglio che Moriarty aveva apprezzato fin dal primo giorno in cui era arrivato a Londra e aveva dormito per la prima volta nell’ampio letto di quell’appartamento che aveva affittato in gran segreto quando era ancora in Giappone a progettare la sua fuga. Da allora, ogni singola notte l’aveva passata in quel letto, fra le braccia del suo amato, immerso in una bolla di protezione. La morbidezza del materasso e del piumino non erano che un’estensione di quella bolla, in cui lui riposava pacifico. Anche quella sera di fine agosto, mentre fuori scendeva una pioggerella passeggera e gli ultimi bus si aggiravano per le strade per terminare le corse della giornata, cullato da quei rumori, col capo poggiato al petto di Mafuyu e il suo braccio a stringerlo dolcemente, Moriarty era prossimo a scivolare nel sonno, per riposare e ricaricarsi prima di svegliarsi al mattino e affrontare una nuova giornata lavorativa.
“Domani, dopo la riunione all’istituto con gli altri professori, andrai all’albergo dove alloggiano Sherlock e Hana?”
Nonostante il tono basso e tranquillo di Mafuyu, Moriarty spalancò gli occhi e un leggero brivido gli attraversò la schiena.
“Uh uh! Credevi non lo sapessi? Io sono parte di te, Moriarty, non c’è niente che tu possa tenermi nascosto!”
Non aveva il coraggio di proferire verbo e anche il suo corpo sembrava immobilizzato. Credeva di aver agito con la massima discrezione, ma a quanto sembrava non aveva più abbastanza controllo su di lui. Poteva dargli ordini o provare  a modificare le sue impostazioni, ma Mafuyu era in grado di ignorare tutto questo, a riprova che anche essendo un’abilità appartenente a lui, aveva riconquistato la propria autonomia.
A Moriarty mancò un battito quando sentì la sua mano toccarlo e sollevargli un po’ il mento. I suoi occhi di ametista incontrarono quelli azzurri di lui. L’unica cosa buona era che col tempo Mafuyu era stato in grado di riassumere un aspetto umano quando si ‘disattivava’, il che significava che se lo voleva poteva smettere di brillare come un neon e di librare nell’aria (come sua madre Elise), cosa che in principio, dopo essere diventato parte integrante di Moriaty, non gli riusciva.
“Non sono arrabbiato. Posso capire cosa stai provando, in fondo è da quasi due anni che non vedi il tuo gemello, è più che normale che ti manchi.”
Fosse stato solo quello il motivo…
“Puoi incontrarlo, non preoccuparti. Io resterò qui, così potrete parlare liberamente.”
Quindi non sospettava nulla? Sapeva solo che aveva fatto in modo di farsi trovare e che gli aveva prenotato l’albergo? Se era così forse poteva stare tranquil- “MH!”
Il bacio improvviso di Mafuyu gli spezzò il respiro e la prepotenza con cui premette le labbra contro le sue non fu affatto rassicurante. Non appena lo lasciò libero, diede dei colpi di tosse prima di ansimare per riprendere fiato. Ed ecco che di nuovo lui gli sollevò il mento e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Ora il suo sguardo era freddo.
“Vi concedo anche di passare qualche giorno insieme se hai voglia di fare da guida turistica ai due piccioncini, ma poi loro se ne andranno senza sapere nulla del piano che stiamo progettando. Sono stato chiaro?”
Da quando si erano conosciuti lui gli aveva rivolto quello sguardo minaccioso solo due volte. La prima era stata quando aveva tentato di convincerlo a lasciar perdere un’eventuale vendetta su suo padre Mori ai danni dell’intera città di Yokohama. Inutile dire che Mafuyu non aveva preso affatto bene quel suggerimento. Però lui non aveva intenzione di permettergli di fare una simile follia. Per quanto rancore provasse nei confronti di quel padre che non gli aveva mai donato un briciolo di affetto, non era giusto che altre persone soffrissero e restassero vittime dell’attacco terroristico che stava organizzando. Indubbiamente i giorni in cui erano entrambi assetati di potere e volevano rovesciare sia la Port Mafia che l’Agenzia di Detective Armati, erano svaniti da un bel pezzo. Il problema imminente era come fare a chiedere aiuto a Sherlock senza farsi beccare da Mafuyu e scatenare la sua ira. Era troppo stanco per pensarci, prima aveva bisogno di dormire.
“Invece di trattarmi così, perché non mi dai il bacio della buonanotte? Ho sonno.”
Era riuscito a dirlo accennando un sorriso, senza tradire le sue vere emozioni. Bene così. Chiuse gli occhi e ricevette il bacio. Un bacio gentile e pieno di calore, il tipo di bacio che preferiva ricevere dalla persona che amava e con la quale stava vivendo.
“Moriarty…”
Non era la voce di Mafuyu. Un momento…
Riaprì gli occhi e si ritrovò al tavolino del cafè dell’albergo. Forse si era appisolato un istante mentre ripensava a cosa dire durante l’incontro. Giusto, aveva fatto colazione con Mafuyu in appartamento, poi aveva trascorso la mattinata all’istituto per discutere gli ultimi dettagli del nuovo programma scolastico che sarebbe iniziato fra pochi giorni, e solo dopo si era recato lì e aveva preso un caffè prima di contattare Sherlock. Non era nemmeno passato da casa a cambiarsi, indossava ancora il completo grigio che odorava di inchiostro di stampante e caffè scadente del distributore automatico.
Con la mano invitò Sherlock a prendere posto sulla sedia libera di fronte a lui. Ora che erano uno di fronte all’altro erano entrambi in soggezione e nessuno dei due sembrava trovare il coraggio di dire qualcosa. Da dove si poteva cominciare? Con tutto quello che era successo, era meglio iniziare dalla questione più urgente oppure partire dai convenevoli?
Alla fine Moriarty decise di parlare per primo. In fondo era lui il fratello ‘maggiore’…
“Mi fa piacere vedere che stai bene! E Hana…dove…?”
Sherlock fece un cenno di lato col capo. “Le ho chiesto di restare di sopra per parlarti da solo. Temevo avrebbe posto resistenza e sarebbe scesa a tutti i costi, dato che in aereo non ha fatto che ripetere quanto abbia voglia di dirtene quattro e prenderti a schiaffi, invece… Be’ questa mattina appena si è svegliata mi ha trascinato fuori e obbligato a seguirla in tutti i negozi di souvenir del centro! E adesso sta facendo l’inventario al telefono con Atsushi! Ha messo perfino il vivavoce! Mentre uscivo ho sentito la voce di Akutagawa e Riku in lontananza lamentarsi di quanto erano chiassose madre e figlia! D’altronde  adesso in Giappone è sera!” I suoi occhi verdi brillavano mentre lo raccontava. Era così affezionato a quella famiglia che ogni cosa li riguardasse diventava per lui di grande interesse. Meglio così, visto che era di fatto entrato a farne parte sposando Hana. Però…mh…questo non poteva dirlo con certezza. La sua era una supposizione, chissà se ci aveva visto giusto. E allora, era il momento di gettare l’amo!
“Quindi…la mia prenotazione per la stanza era corretta?” Chiese, guardandolo di sottecchi e accennando un sorriso malizioso.
Il viso di Sherlock si fece paonazzo. Bingo! Cominciò a stropicciarsi le mani nervosamente come un bambino colto in flagrante! Che carino! ^-^
“I-io… Lei-insomma…” Si strinse nelle spalle e buttò fuori la verità tutta d’un fiato: “Io-e-lei-ci-sposeremo-il-primo-sabato-di-ottobre!!!”
“Tzk! Ho sbagliato di poco!” Disse, battendo la mano sul ripiano del tavolino e sforzandosi di non ridere. In compenso fu Sherlock a farlo, scoppiò in una risata cristallina così acuta e infantile che metà dei clienti attorno si voltarono a guardarlo. A Moriarty la cosa non diede fastidio, anzi, vedere il suo gemello comportarsi come sempre e scorgere in lui quel lato infantile che di solito cercava di nascondere, gli donò un’emozione che gli scaldò il cuore.
Un po’ alla volta la risata si placò, lasciando Sherlock col viso arrossato e gli occhi lucidi. “Hai…fatto crescere i capelli.” Disse, indicandoli.
“Oh…sì!” Moriarty si passò una mano fra i capelli lunghi poco oltre le spalle e lisciò una ciocca che teneva abitualmente sul davanti. “Avevo voglia di cambiare.” Con la stessa mano discese e passò il dito sul bordo della tazzina da caffè, giusto per darsi il tempo di elaborare il discorso successivo. “Io…ho cominciato una nuova vita qui a Londra. Sono partito da zero per crearmi una nuova identità. Adesso faccio il Professore di matematica in un istituto privato, una scuola maschile piuttosto importante e…sono conosciuto come James Moriarty.”
“Wow. Hai mantenuto il tuo nome, trasformandolo in un cognome.”
“Già! Mi dispiaceva cambiarlo!” Confermò, sorridendo, quindi riprese: “E poi… Qui gli omosessuali non sono malvisti, perciò sia il Preside sia i miei colleghi mi trattano alla pari, anche sapendo che vivo col mio compagno.”
Sherlock abbassò lo sguardo. “Non avevi problemi nemmeno in Giappone, mi sembra.” Non attese una risposta, allungò la mano e andò a posarla su quella di lui che ancora stava giocherellando con la tazzina. Lo guardò dritto negli occhi con serietà. “Torna a casa, Moriarty. I nostri genitori sentono la tua mancanza. Te ne sei andato in quel modo…”
“I…i nostri genitori…come stanno?”
“Male. Nostro padre è crollato e si sta consumando, peggio di quando era morto il nonno, e nostra madre sta soffrendo di conseguenza. Non importa ciò che hai fatto, loro vogliono solo riaverti a casa, rivogliono il loro figlio.”
Per Moriarty era difficile da credere. Perché volevano riavere un figlio così problematico? Un figlio così irriconoscente che non aveva accettato il loro aiuto e la loro guida? Si erano dimostrati disponibili fin da subito, quando Mafuyu era diventato parte di lui, però la loro presenza quasi asfissiante e la loro insistenza a volerlo nell’Agenzia, aggiunta all’invadenza del Boss Mori che invece reclamava il figlio nella Port Mafia, alla fine lo aveva portato ad un esaurimento. Non sopportava più nessuno, non voleva ascoltare più nessuno. Fu allora che Mafuyu ebbe l’idea di fuggire lontano e sparire definitivamente. Per entrambi era stata una via d’uscita, una fuga d’amore, qualcosa che apparteneva solo a loro e così avevano progettato tutto nei minimi dettagli. I primi tempi a Londra avevano vissuto come in luna di miele ed erano stati felici. Ma poi…
“No.” Scostò la mano da quella del gemello. “Non posso tornare. Te l’ho detto, ora la mia vita è qui. Ho un buon lavoro e vivo con la persona che amo. Non voglio lasciare tutto.”
“Continui a parlare di amore e felicità, ma dubito fortemente che tu ti sia fatto trovare solo per raccontarmi questa storiella.” Sherlock sospirò, deluso. “Non è giusto che ti rifiuti, dopo quanto ti ho detto sui nostri genitori.”
Aveva ragione. Lo sapeva che aveva ragione lui. Ogni parola che gli era uscita dalla bocca era per descrivere una realtà che in parte si era già frantumata. Mafuyu era cambiato, era diventato più potente e più pericoloso. Non avrebbe mai dovuto coinvolgere suo fratello in tutto questo. Si alzò dalla sedia e disse con tono cupo. “Devo andare o si insospettirà.”
Avendo preso posto al tavolino più vicino all’ingresso, fu rapido ad aprire la porta e scivolare fuori, ma questo ovviamente non fermò Sherlock dall’inseguirlo.
“Non fuggire, Moriarty. Devi affrontare la realtà!”
“Non ti riguarda. Goditi la vacanza con Hana e poi concentrati sull’organizzazione del matrimonio.” Non si voltò nemmeno, si limitò a percorrere la strada affollata, a capo chino.
Sherlock si stava davvero arrabbiando. Non aveva viaggiato fino all’altra parte del globo per essere liquidato così.
“Dannazione! Voglio sapere perché mi hai fatto venire qui! Fermati!” Balzò in avanti e afferrò la mano del fratello con forza, obbligandolo così a voltarsi verso di lui. Moriarty non poté fare nulla per nascondere le lacrime che gli gonfiavano gli occhi. Riflettendosi nei suoi, vide per la prima volta l’uomo che era diventato, un uomo spaventato e infelice. Era un mistero come avesse fatto a sorridere fino a pochi minuti prima.
“Moriarty, ti aiuterò io. Devi solo dirmi cosa succede.”
Quanto avrebbe voluto! Moriva dalla voglia di raccontargli tutto, di scoppiare  a piangere, di supplicare il suo aiuto per uscire da quell’incubo. Ma farlo significava agire contro Mafuyu e forse doverlo combattere. No, lo amava troppo per permettere che accadesse questo. Avrebbe trovato da solo un modo per farlo ragionare, tutto sarebbe finito e loro sarebbero stati di nuovo felici. Aveva commesso un errore a farsi trovare, se ne rendeva conto solo ora.
Strinse i denti e ringhiò: “Lasciami in pace!” Tentò di liberarsi dalla sua stretta, ma Sherlock mantenne salda la presa. Perché non capiva? Perché si ostinava? Non era stato chiaro quando aveva abbandonato la famiglia per fuggire con Mafuyu? Aveva rinunciato a tutto per amore e ancora una volta era pronto a farlo. Una volta liberatosi di Sherlock avrebbe lasciato il lavoro, l’appartamento, avrebbe cambiato nome e sarebbe fuggito altrove. E se anche questo non fosse bastato, se al mondo non avesse trovato un posto per loro due, allora…allora…allora avrebbe rinunciato anche alla sua stessa vita.
La mano che lo stringeva sembrava d’acciaio. Faceva male… Faceva tanto male…
Moriarty chiuse gli occhi. Era sfinito a tal punto che cominciò a sentire freddo. Anche troppo. Si era alzato il vento all’improvviso? Oltre al freddo cominciava a sentire dolore in tutto il corpo, oltre alla mano che il fratello gli stringeva. Cosa stava-
Riaprendo gli occhi si ritrovò ad osservare una scena che aveva già visto, che aveva già vissuto e che conosceva in ogni dettaglio. Non era uno spettatore, era il protagonista, altrimenti il freddo e il dolore non sarebbero stati così reali. Già, stare appesi con una mano al Tower Bridge e avere l’acqua del Tamigi sotto non era certo confortevole! Diede una veloce scorsa sopra di sé, come per controllare che ogni cosa fosse al proprio posto. Hana aveva evocato il Potere della Tigre per trasformasi, i suoi occhi felini luccicavano nonostante quella sera non ci fosse la luna e anche i suoi artigli erano ben visibili dal parapetto del ponte. Accanto a lei era Sherlock, il quale si stava sporgendo il più possibile e allungava il braccio nel vano tentativo di afferrarlo. E poi c’era il Mastino del fratello che stava combattendo col suo, entrambi sospesi nel vuoto, così neri da confondersi col buio, tranne gli occhi di rubino.
“Sherlock, ritira il tuo Mastino. O mi butto immediatamente!” Gridò, la sua voce disturbata dal rumore dell’acqua del fiume che scorreva.
“Lo faccio solo se tu afferri la mia mano. Non ti lascerò morire così.”
Si vedeva che era nel panico, in una situazione del genere non sapeva bene come agire e, con lui con le gambe penzoloni e pronto a fare una pazzia, anche la presenza di Hana sembrava inutile.
“Fate una mossa e lascio la presa.” Li minacciò, sentendo la sensazione inebriante del potere scorrergli nelle vene. Ormai non potevano fare nulla, stava vincendo lui.
“Moriarty, ti prego…”
Giusto, quella voce… Per un momento l’aveva dimenticato. In quello scenario macabro c’era anche Mafuyu, la sua figura che brillava sospesa nel vuoto a poca distanza da lui.
“Vale anche per te! Se provi a sfiorarmi la faccio finita. E sai che se io muoio avrai la stessa sorte, in quanto mia abilità. Non sei diventato così indipendente come speravi, fai ancora parte di me. Morto io, fine del gioco.”
Era stato abbastanza convincente? Ce la stava mettendo tutta pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Mafuyu aveva lo sguardo fisso su di lui, i suoi occhi sembravano velati di tristezza.
“Se ti prometto che non porterò a termine la mia vendetta contro mio padre, ti lascerai aiutare?”
Un patteggiamento dell’ultimo minuto eh? Andava bene, spingere Mafuyu in quella direzione era ciò che voleva, però ora era necessario anche che Sherlock e Hana se ne andassero, così loro sarebbero fuggiti, ma fin che si trovavano lì non poteva fidarsi, doveva mostrarsi convinto di voler compiere quel gesto. Per il bene di Mafuyu e il suo. Se solo quel piano non avesse avuto tante lacune… Una mente geniale come la sua come poteva aver sbagliato? Il peggio era che sapeva già cosa stava per accadere, la sua mente era consapevole che tutto ciò era già accaduto e che non poteva fare nulla per cambiare le cose.
“Moriarty… E’ a causa mia se siamo arrivati a questo. Ti ho condotto su una via sbagliata, ti ho tormentato e obbligato a fare cose che altrimenti non avresti mai fatto.” Scosse il capo, i suoi capelli che già libravano nell’aria si mossero ancor più. “Non posso permettere che tu perda la vita. Ci sono tante persone che ti vogliono bene e che hanno bisogno di te.”
Ecco, era a questo punto che il piano aveva cominciato a vacillare. Pregò che Mafuyu non dicesse altro, ma, ovviamente, non fu così.
“L’unica cosa sbagliata, nella tua vita, sono io. Senza di me tutti i tuoi problemi svaniranno e tu potrai fare ciò per cui eri destinato. So che farai grandi cose e diventerai importante perché…hai molto da dare.”
Moriarty sentì un groppo alla gola. Si sforzò di deglutirlo.
“Non voglio un futuro in cui tu non ci sei! Mettitelo in testa!”
Mafuyu ridacchiò. “Mi piaci anche quando sei così egoista!” Allungò una mano verso di lui e gli sfiorò la guancia. Un tocco gentile e incredibilmente caldo in contrasto con l’aria fredda della sera.
Stava per accadere di nuovo. No… NO! Non poteva sopportare di vivere quel momento ancora una volta, non ne aveva le forze. Doveva impedirlo, doveva fare in modo che Mafuyu non facesse ciò che stava per fare. Forse era per questo che si trovava lì? Gli dei gli stavano concedendo una seconda possibilità per sistemare le cose? D’accordo, allora doveva solo dire la verità, ammettere che aveva inscenato quel teatrino solo per liberarsi dei seccatori e…
Le dita di Mafuyu scivolarono sulla sua guancia e si allontanarono.
No…
Le labbra di Mafuyu si inarcarono in un lieve sorriso.
No…
“Ti amo, Moriarty.”
No…
Gli occhi di Mafuyu si persero nei suoi ancora un attimo e poi si chiusero.
No…
Infine, il corpo di Mafuyu smise di brillare e la sua figura divenne un semplice corpo umano, pur non essendolo. L’abilità si era disattivata.
“NOOOOOOOOOOOOOO!” Moriarty gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, mentre con lo sguardo seguiva la sagoma precipitare verso il basso e finire nel fiume. Un tonfo e poi il corpo sparì nell’oscurità.
“MAFUYUUUUUUUUUU!!!”
Lasciò la presa, deciso a raggiungerlo e morire insieme a lui, ma qualcosa lo trattenne stringendolo attorno alla vita. Hana aveva allungato la coda e, approfittando della sua distrazione, lo aveva afferrato per impedirgli di precipitare. Pochi istanti e un paio di braccia lo avvolsero saldamente, trascinandolo sul parapetto e poi sull’asfalto. Per lo meno il ponte era chiuso per via di certi lavori in corso, l’area non era illuminata e nei dintorni non c’era anima viva, così che nessuno vide nulla di quanto accaduto.
Sentendo i lamenti, Sherlock si svegliò, la sua mano andò a colpo sicuro all’interruttore della lampada e, non appena la stanza fu illuminata, balzò dal proprio letto per gettarsi su quello del fratello. Moriarty era così agitato che il suo corpo era ricoperto di sudore freddo.
Lo scosse alla spalla. “Moriarty, svegliati.”
Riaprì gli occhi di colpo, spalancandoli, il fiato corto e i battiti del cuore accelerati. Riconobbe subito il volto del fratello, ma questo non bastò a calmarlo. Si sollevò di scatto e si gettò su di lui, ricercando il suo abbraccio, mentre le lacrime iniziarono a solcargli il viso.
Sherlock lo strinse dolcemente, ormai era da un mese che Moriarty aveva quell’incubo e sapeva che trasmettendogli calore umano e affetto si sarebbe calmato rapidamente. Premette le labbra sui capelli umidi e sussurrò gentile. “Sei a casa, fratello. Va tutto bene.”
Tra i singhiozzi di lui, riconobbe il nome di Mafuyu.
Il giorno seguente si sarebbe svolto il matrimonio e poi lui e Hana sarebbero andati a vivere in un nuovo appartamento, ovviamente. Cosa ne sarebbe stato di Moriarty? Chi lo avrebbe abbracciato nel cuore della notte per calmarlo? Era già da tre settimane che la madre lo curava con certi medicinali e un leggero psicofarmaco, inoltre era diventata la sua più stretta confidente quando lui si era rifiutato da lasciarsi seguire da uno psicologo. Ma tutto questo finora non era servito a nulla, lui non era in grado di elaborare il lutto e quei continui incubi non facevano che aggravare le sue condizioni. Essendo gemelli, avevano una connessione naturale e profonda, perciò riusciva a sentire la sua sofferenza e il pensiero di lasciarlo da solo gli stringeva il cuore. Però non poteva rimandare il matrimonio, era troppo tardi, e di certo non poteva ospitare il fratello durante la luna di miele. Che situazione ingestibile… La felicità sembrava divertirsi a sfuggirgli ogni volta che era sul punto di afferrarla.
*
 
La luce artificiale che dall’esterno giungeva debolmente alla finestra di quel piano e si scontrava col buio della stanza, creava un rilassante e piacevole effetto blu su ogni cosa vi fosse all’interno, come lo sgabello e il tavolino su cui era tutto il necessario per la cura dei capelli, lo specchio che da una certa angolazione proiettava la luce creando un fascio più chiaro, l’ampio armadio dalle molte ante che occupava un’intera parete, la sedia all’angolo dove giacevano abiti piegati alla bell’e meglio, il caminetto decorato in stile barocco che ben presto avrebbe dovuto svolgere il proprio dovere e ospitare la legna per riscaldare la stanza, ed infine, il grande letto a baldacchino che dominava su tutto. Sotto alle coperte si intravedeva una strana sagoma al centro del materasso invece delle due che normalmente occupavano spazi leggermente distanziati.
Se a Dazai avessero chiesto qual era il luogo a cui apparteneva, lui avrebbe risposto “Chuuya”. Una persona poteva essere definita anche un luogo? In quel momento lo era di certo. Dazai era letteralmente circondato dal corpo di Chuuya e non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte sulla faccia della terra. Avere le sue braccia strette attorno alle spalle e le sue unghie che talvolta premevano sulla pelle, lo faceva sentire fiero, ed essere stretto fra le sue cosce e sentire di tanto in tanto il tocco dei suoi piedi sfiorargli le natiche, non faceva che sottolineare quanto Chuuya diventasse possessivo durante l’intimità e, se l’oggetto del possesso era lui, andava benissimo! La loro era una danza dai movimenti perfettamente coordinati, una missione dove entrambi avevano un ruolo e un obiettivo da raggiungere, una fusione che richiedeva corpo e mente e che era guidata da sentimenti solidi forgiati da anni d’amore e litigi. Il corpo di Chuuya rispondeva ai movimenti di quello di lui, Dazai sapeva esattamente quando premere più a fondo e con quanta intensità, proprio come sapeva che in risposta lui avrebbe gemuto in un certo modo o lo avrebbe stretto a sé in uno spasmo causato dal piacere. Dopo tanti anni insieme conoscevano tutto l’uno dell’altro, prevedevano ogni singola azione e reazione come avessero imparato a memoria un manuale, eppure mai una volta erano stati colti dall’insoddisfazione della routine o risucchiati dalla noia dell’abitudine. Ogni espressione di Chuuya durante l’amplesso era un dipinto che lui non si sarebbe mai stancato di guardare, ogni suono che usciva dalle sue labbra era una musica che non avrebbe mai smesso di ascoltare, il suo interno così caldo e bagnato che lo avvolgeva sarebbe sempre rimasto un luogo riservato a lui solamente. Dazai non temeva il tempo che passava, al contrario di Chuuya che ultimamente gli dava noia per via di alcuni capelli bianchi che gli stavano crescendo e che faceva di tutto per tenere ben nascosti nella folta chioma rossa. E allora lui cosa doveva dire, che ormai sulla sua testa i capelli grigi erano più numerosi di quelli castani? In effetti Chuuya era ben lontano dal dimostrare la propria età. Non aveva traccia di rughe o qualunque altro segno, la sua pelle continuava ad essere liscia come la seta, chiara e luminosa come una perla. Probabilmente era per via di Arahabaki. Usando quel corpo umano come contenitore ne stava ritardando l’invecchiamento. Restava comunque la domanda legittima, una volta che questo fosse inevitabilmente raggrinzito e privato della vita, cosa sarebbe successo ad Arahabaki? Non sapeva la risposta, l’unica cosa importante era che Chuuya avesse lunga vita e buona salute. Non avrebbe sopportato di andarsene dopo di lui, ma questo era un segreto che non gli avrebbe mai confessato. Un mezzo sorriso si dipinse sulle sue labbra nel rendersi conto di cosa stava pensando in un momento del genere! Da quando non avere il sangue nella testa gli faceva quell’effetto? Una forte esigenza dal basso ventre interruppe ogni pensiero. Sentì i lombi in fiamme ed aumentò il ritmo, le unghie di Chuuya ora si premettero più a fondo nella carne.
“Ngh! Ahh…” Chuuya strinse i denti alcuni istanti, inarcando i fianchi verso di lui e… “O… OSAMU!”
Un’esplosione di piacere li travolse entrambi, schizzando fuori sottoforma di getto bianco e denso. Dazai pensò istintivamente: “Missione compiuta!”.
Che dire, un deficiente rimane sempre un deficiente! (LOL)
Stava così bene dentro al corpo di Chuuya che decise di rimanere lì, solo si limitò ad abbandonarsi contro di lui, piacevolmente sfinito, e lasciarsi coccolare dalla sua mano fra i capelli madidi di sudore. Uno stato di beatitudine impossibile da descrivere. I loro respiri pian piano rallentavano per lasciare il posto al silenzio e alla pace notturna. Fino a quando…
Clack!
Mama, papa…”
La vocina era così simile al miagolio di un gattino che per un istante le loro menti non realizzarono cosa stava accadendo. Ma fu un attimo, appunto, quello successivo Chuuya balzò e scivolò via da sotto il corpo del marito, starnazzando: “Akira! Perché sei sveglio a quest’ora?”
Subito si affrettò a coprirsi col lenzuolo fin sotto al mento, in un gesto totalmente inutile in quanto uomo. In compenso Dazai fu talmente sballottato che quasi si mimetizzò con le coperte stesse…
Akira, piccolino e adorabile dentro il suo pigiamino giallo e il coniglietto di peluche preferito stretto sotto al braccio, a piedini scalzi fece un passo all’interno della stanza.
“Un rumore fuori dalla finestra mi ha svegliato…” Poverino, era così impaurito che la voce non voleva saperne di uscire in una tonalità più normale.
Facendo appello alle ultime forze che gli erano rimaste, Dazai riuscì a raggiungere il bordo del materasso e sedersi, rassegnato all’idea di dover abbandonare il comodo giaciglio e le coccole  della sua mogliettina. Dato che al momento non aveva idea di dove fossero finiti i boxer neri e l’opzione di accendere la lampada era da escludere totalmente (pena la vita! by Chuuya), si accontentò di recuperare dal pavimento i pantaloni del pigiama e ad infilarli svogliatamente.
“Amore mio, ora papa viene a vedere…”
Raggiunse il figlioletto e lo prese per mano per rassicurarlo, quindi insieme si diressero alla cameretta. Trovandosi questa rivolta alla strada, era leggermente più illuminata, ma per l’altezza a cui si trovavano era raro che dei rumori arrivassero fin lì, soprattutto ad un’ora così tarda.
“Ora mettiti  a letto, io do’ un’occhiata fuori.”
Mentre il piccolo obbediva, lui si avvicinò alle finestra. Con cautela insinuò un dito fra le tende bianche decorative e aguzzò la vista per guardare dalla fessura creatasi. L’esterno era tranquillo, la strada era libera, nessuna presenza umana, nessun movimento…e nessun luccichio sospetto di armi in mano ad eventuali cecchini. Rassicurato, scostò bene le tende e aprì la finestra. Sporse un poco la testa per avere una panoramica dell’edificio in cui abitavano, anche tutte le altre finestre erano chiuse e le luci spente. Bene. Richiuse tutto e andò a stampare un bacio sulla fronte del figlio.
“Non c’è nulla, stai tranquillo. Cerca di dormire, ora.” Gli accarezzò i capelli ricci con affetto e aggiunse: “Altrimenti domani questo paggetto non riuscirà a sollevare il cuscino con le fedi nuziali!”
Akira sorrise e sfiorò la mano del padre in un gesto gentile.
Papa, perché tu e mama eravate senza vestiti?”
Porc-
“Perché…”
Trovaunascusatrovaunascusatrovaunascusa…
“…avevamo caldo!”
Con quell’espressione da imbecille che aveva, non avrebbe fregato neanche un...bambino! Infatti Akira lo guardò storto prima di buttarla su un: “Mama ti stava picchiando?”
Dritto al punto, il piccolo!
La virilità e l’orgoglio di Dazai andarono in frantumi. D’altra parte Chuuya non si era mai fatto problemi a suonargliele di fronte al loro figlio, quindi per lui era una cosa normale ed era convinto che fosse Chuuya ad avere il potere nella coppia. Cioè, non che avesse torto… Ma quant’era demoralizzante!
“Ehm…no…Akira… Ma grazie per l’interessamento…” A volte come uomo valeva davvero poco… Meglio lasciar perdere.
“Buonanotte, amore mio.” Gli disse in un sussurro, prima di stampargli un altro bacio sulla fronte. Ogni volta che entrava a contatto con lui poi non riusciva più a staccarsi, adorava l’odore della sua pelle, la morbidezza dei suoi capelli e non passava giorno che non ringraziasse gli dei per avergli fatto dono di quella creatura. Però non poteva restare lì ad aspettare che si addormentasse, doveva tornare da Chuuya e placare l’isterismo che senza dubbio lo stava divorando per essersi fatto beccare in un momento intimo dal figlioletto!
“Buonanotte, papa!” Rispose il piccolo, sistemando per bene il coniglietto nel proprio abbraccio.
Dazai lasciò la stanza richiudendo la porta e si preparò spiritualmente a tornare alla camera matrimoniale.
“ALLORA???”
Lo strillo fu così acuto che Dazai fece una smorfia e si portò una mano all’orecchio. Una volta lasciata ricadere, chiuse la porta anche di quella stanza.
“Forse un uccello notturno ha perso quota e ha sbattuto contro il vetro. Niente di cui preoccuparsi.”
Chuuya strinse il lenzuolo che ancora teneva sollevato fino al mento: “Non dicevo quello, stupido Dazai! E’ ovvio che non c’era niente o hai dimenticato a che altezza ci troviamo? Io mi riferivo ad Akira! Ci ha visti! Ha capito cosa stavamo facendo? Era traumatizzato?”
Dazai lasciò un sospiro, più esausto di quanto non lo fosse dopo l’orgasmo. Sfilò i pantaloni e si rimise sotto le coperte.
“E’ troppo piccolo per capire. E poi con questo buio non ha visto quasi niente. L’unico ad essere traumatizzato sei tu, Chuuya.”
Chuuya ebbe il forte impulso di tirargli un pugno ma…per quieto vivere riabbassò il braccio e andò a rannicchiarsi accanto al marito. Litigare dopo l’amore non gli era mai piaciuto. E Dazai lo sapeva. Per conciliarsi con lui, gli avvolse le spalle col braccio e lasciò che posasse il capo sul suo petto. Era bello riappacificarsi e se questo comprendeva farsi solleticare la pelle dai capelli ricci della sua mogliettina, era anche meglio!
Anche Akira, tranquillizzato, stava per scivolare nel sonno, però, nonostante l’accurato controllo di papà Dazai, lo stesso rumore di poco prima tornò a farsi sentire. Il piccolo sussultò, gli occhietti spalancati e rivolti alla finestra. C’era…una luce? Era diversa da quella che proveniva dalla strada. Cos’era? Sarà stato piccolo e impaurito, ma la sua curiosità era qualcosa di molto più potente. Pian piano scostò le coperte e, camminando carponi, raggiunse il fondo del letto. Qualcosa batté di nuovo contro il vetro e una luce gialla si fece più intensa. Gli sembrava di averla già vista, ora che ci pensava. Allungò il braccio e con dita incerte afferrò la tenda più vicina.
“Piccolo Akira! Ti ricordi di me?”
Una voce fuori dalla finestra? Sembrava…gentile. E poi conosceva il suo nome.
Scostò la tenda. Nel vedere ‘cosa’ c’era all’esterno, le sue labbra s’inarcarono in un sorriso.
*
 
La pioggia scendeva copiosa dal cielo grigio, col vento che la muoveva e la direzionava ovunque, compreso il vetro della finestra  davanti cui era Hana. Nonostante il tempaccio, la sua espressione era serena, d’altronde come non esserlo se si è al riparo dentro una lussuosa stanza di un’altrettanto lussuosa villa fuori città! Dopo aver tanto insistito e fatto innumerevoli capricci, era riuscita a farsi affittare la stessa villa dove i suoi amati nonni si erano sposati più di vent’anni prima. Vittoria!
Lasciò la finestra per spostarsi poco più in là, precisamente all’angolo dove era uno specchio a figura intera. Diede giusto una veloce scorsa ai capelli semplicemente acconciati con delle forcine perlate sulla sommità del capo, mentre la lunga e folta chioma nera dalle sfumature color cipria ricadeva sulla schiena come una cascata. Il suo sguardo non si soffermò nemmeno sugli orecchini di diamante a goccia su montatura dorata o sulla collana d’oro con tre diamanti a goccia che le impreziosivano il decolleté. Diede giusto un filo di attenzione in più all’incantevole corpetto bianco arricchito da fitti ricami floreali del medesimo colore e alle lunghe maniche in seta le cui estremità terminavano con una decorazione di pizzo sul dorso delle mani. Ciò che attirò completamente la sua attenzione, fu ben altro. Con lo sguardo seguì le linee del morbido velo di tulle che si fondeva col corpetto e ricadeva a onde sulla lunga gonna di seta con strascico. Non soddisfatta del controllo visivo, sollevò la mano e andò ad accarezzare la linea morbida del ventre.
Alle sue spalle giunse una risatina ed ecco che sull’immagine riflessa comparve Yosano, a sua volta agghindata a festa e con un velo di trucco a coprire le prime rughe attorno agli occhi e alle labbra.
“Non può vedersi con questa abbondanza di stoffe!” Le disse, sorridente.
“Hai ragione, Akiko.” Fece spallucce: “In fondo, sono ancora nel primo trimestre della gravidanza!” La lingua fece capolino dalle labbra in modo sbarazzino, tradendo così il suo spirito infantile nonostante i ventiquattro anni di età.
Sniff sniff!
Quel rumore fece voltare entrambe le donne. Ad un altro lato della stanza, ancora con in mano una spazzola che aveva evidentemente appena usato per sistemare la ciocca ribelle a lato del viso, Atsushi non cercò nemmeno di nascondere gli occhioni pieni di lacrime. Con voce distorta dal pianto, esplose in un: “Mia figlia si sposa e presto diventerà maaaaammaaaaaa!!! Buahh!!!”
Se Yosano rischiò di rovinarsi il trucco facendo un’espressione di chi ha esaurito la pazienza, al contrario Hana ridacchiò, coprendosi parte del viso col dorso della mano.
Okaa-san, è da una settimana che piangi! Spero non continuerai fin che non sarà nato il bambino!”
“Sniiiiiiif! Hai ragione… Sono un uomo adulto, devo essere forte e controllare le mie emozioni!” Posò la spazzola sul tavolino con gesto sicuro e recuperò un fazzoletto dalla tasca degli eleganti pantaloni che componevano un tailleur rosa confetto con scarpe ballerine abbinate. A dirla tutta, coi lunghi capelli legati in una coda alta (salvo la tipica ciocca prima citata), sembrava lui stesso un confetto!
Si asciugò le lacrime e poi soffiò il naso rumorosamente, in un modo così buffo che sua figlia si piegò in due dal ridere, mentre Yosano strinse il pugno con tutta l’intenzione di andare a darglielo in testa. Tanto Atsushi era un uomo, quindi poteva picchiarlo tranquillamente! (LOL)
E mentre in quella stanza si folleggiava, in un’altra che si trovava esattamente al di là del ballatoio allo stesso piano, la situazione era decisamente più…seria (?)
“Non sono pronto! Sarò un pessimo marito, già lo so! Lei merita di meglio! L’ho sempre detto! Io vado bene come migliore amico, come marito sarò un disastroooo!!!”
Sherlock, le mani nei capelli e seduto su un poggiapiedi come a mettersi in castigo da solo, da un po’ non faceva che demoralizzarsi con quelle sciocchezze, in un insolito attacco di panico pre-cerimonia! Se avesse avuto accanto una persona normale, di certo questa l’avrebbe rassicurato, ma…ritrovandosi con due scemi certificati, la storia era ben diversa!
Ranpo, a cui nemmeno uno smoking riusciva a dare un’aria dignitosa dato che se ne stava seduto a gambe incrociate su una cassapanca e con in grembo un enorme sacchetto di patatine al formaggio, non fece affatto una bella figura nel parlare con la bocca piena e meno ancora per ciò che disse: “Anch’io un tempo ho pensato di me stesso le stesse cose che stai dicendo tu. Per questo non ho mai chiesto a tua madre di sposarmi!”
“Oh via via! Non parlare così!” Lo riprese Dazai. Almeno lui dal punto di vista estetico era pressoché perfetto, grazie a Chuuya che gli aveva fatto cucire su misura un abito da cerimonia color crema su cui spiccava la cravatta nocciola abbinata alle scarpe eleganti, inoltre i capelli erano stati impomatati con più cura del solito.
Si avvicinò a Sherlock e provvide a togliergli le mani dai capelli, consapevole che poi sarebbe toccato a lui sistemarglieli. Attese che lui alzasse il viso e lo guardasse, quindi gli parlò con franchezza e tono gentile: “Proprio perché sei stato il suo migliore amico per tanti anni, riuscirai a ricoprire il nuovo ruolo di marito con maggior facilità. La conosci meglio di chiunque altro, hai sempre condiviso ogni cosa e ogni pensiero con lei, l’unica differenza è che d’ora in poi vivrete sotto lo stesso tetto e condividerete il letto ogni notte. Andrà tutto bene! Sarai un ottimo marito e renderai Hana felice!”
Oh salvatore! Era impossibile avere dubbi dopo un discorso così rassicurante! La tensione e la paura svanirono in un istante, tanto che Sherlock si ritrovò perfino ad accennare un sorriso mentre i suoi occhi verde smeraldo brillavano.
“Dazai… Grazie, ora mi sento molto meglio! Pensi davvero quello che hai detto?”
Dazai sfoggiò un sorriso fin troppo ampio: “Ma certo!” Si chinò ulteriormente fin quasi a sfiorargli il naso e aggiunse: “Anche perché, se mai dovessi far soffrire la mia piccolina, sarei costretto a farti a pezzi!”
Altro che rassicurazione, quell’uomo era un pazzo quando si trattava della sua amata nipotina!!!
Inutile dire che Sherlock divenne blu e si sentì peggio di prima, mentre Dazai, convinto di aver fatto del proprio meglio, lo lasciò lì e andò a sgraffignare una manciata di patatine dal sacchetto di Ranpo.
Sul serio, perché c’erano proprio loro due assieme allo sposo quando chiunque altro sarebbe stato migliore? Grazie al cielo, o forse grazie agli dei che tutto vedono e tutto sanno, poco dopo entrò nella stanza Kenji per avvisare che tutti gli ospiti erano radunati nel salone e si poteva dare inizio alla cerimonia, così che, vedendo i due scemi a mangiare e dire fesserie per conto loro mentre lo sposo era in preda al panico in un angolo, si affrettò a rimettere  a posto le cose donando parole gentili a quest’ultimo e dei colpi ben assestati agli altri due (facendo uso del suo potere ‘Non fragile alla pioggia’). I quattro scesero insieme le scale e si diressero al salone dove si sarebbe svolta la cerimonia e dove Sherlock doveva attendere all’altare l’arrivo della sposa, come era tradizione.
Il suo ingresso fu accolto da una serie infinita di saluti, com’era prevedibile! Il salone ospitava una cinquantina di persone tra membri dell’Agenzia e della Port Mafia. L’idea iniziale era stata di invitare solo parenti e amici più cari, ma poi la lista si era allungata grazie ad (o per colpa di) Hana, la quale non aveva saputo resistere dall’invitare tutte le persone che avevano contribuito a coccolarla e viziarla quando era bambina e…tra di esse, incredibile a dirsi, c’era anche il Boss Mori. Nel suo caso, l’invito era anche un modo per dargli sostegno e per farlo sentire parte di quella grande famiglia. La recente perdita del figlio l’aveva toccato più di quanto volesse dare a vedere e di conseguenza si era avvicinato a Moriarty che lo aveva amato profondamente quando era in vita. Una catena composta di strani anelli, ma comunque tutti collegati tra loro nel bene e nel male. Comunque, vederlo seduto sulla fila dietro a quella dove era Moriarty, dava un certo effetto! Accanto  a lui c’era Elise, vestita come una bambolina con addosso un vestitino bianco decorato con pizzi e i capelli raccolti di lato con delle roselline finte. In mano aveva un cestino colmo di petali che di lì a poco avrebbe dovuto spargere lungo la navata per accogliere la sposa. In quel momento stava chiacchierando allegra col piccolo Akira, che si era momentaneamente allontanato dalla madre portando con sé il nominato cuscinetto con le fedi nuziali. Entrambi erano emozionati per i ruoli ricevuti in quella cerimonia. Fra le chiacchiere, all’improvviso Elise si immobilizzò, il suo sguardo divenne assente.
“Rintaro…”
“Mh?”
“Sento…qualcosa… Una sensazione…”
Mori si chinò su di lei, essendo la sua abilità conosceva alla perfezione ogni suo sguardo e ogni suo comportamento, ma quello a cosa era dovuto?
Akira, che la stava guardo preoccupato, chiese timidamente. “Che cos’ha Elise?”
Il tempo di finire la frase e lo sguardo di lei tornò limpido e presente. “Oh, vado a vedere se Hana sta arrivando!”
“Vengo anche io!” La seguì a ruota Akira.
Da un momento all’altro era tornato tutto normale. Beata gioventù! Meglio così, però… Mori rimase sull’attenti. Se Elise aveva reagito in quel modo significava che qualcosa l’aveva fatta ‘scattare’. Ma cosa?
 
[Continua…]
  
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