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Autore: Obiter    24/06/2021    3 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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È curioso come la nostra mente, di fronte alle sorprese spiacevoli, tenda a reagire secondo uno schema costante: prima si nega la realtà, poi si cerca il colpevole e infine ci si lascia sopraffare dai sentimenti.

È esattamente così che ho reagito quando ho capito di avere una sorella. C'è stato il momento di diniego, seguito da una rabbia rancorosa verso la mia famiglia e poi la realizzazione, l'incredulità, l'angosica e la paura. Tutto è iniziato con noi tre: Jim, la ragazza con la parrucca e io. Siamo usciti e ci siamo fermati in un chiosco, fuori piovevano gocce finissime e pungenti, ma per fortuna i tavolini erano coperti da un gazebo di plastica giallo, molto spartano. Jim si mangiò un panino e quella fu la prima volta che l’ho visto mangiare qualcosa di solido, la ragazza con la parrucca invece si prese un frappé e per tutto il tempo parlò di me come se io non fossi presente. Sentenziava come un giudice implacabile e ogni sua parola sembrava la portata non scritta della verità. Non ho mai ascoltato una persona così rapida di intelletto come lei. Una rapidità davvero impressionante, che la portava perfino a precedere i miei dubbi, deduceva dalla mia espressione le mie domande e rispondeva senza nemmeno darmi il tempo di formularle. Anche Moriarty taceva e restava incantato ad ascoltarla, come se fosse stregato da lei e dal suo flusso continuo ma logico di parole. A un certo punto noi tacevamo e lei parlava, solo lei parlava, in modo fluido e ipnotico. Non sbatteva mai le palpebre e aveva sempre un sorrisetto appena accennato sulle labbra che era… inquietante.

“Cos’è quell’espressione?” mi ha domandato di punto in bianco “Sherlock, cosa ti avevo detto sull’avere paura? Sul mostrare le sofferenze? Mostrare le sofferenze espone solo alla derisione!”

E poi…

“La pubertà ti ha reso più brutto. Eri così carino da piccolo, sembravi una bambola di porcellana, adesso sei lungo e secco come una cavalletta, ma almeno hai ancora il brillio dell’intelligenza negli occhi”.

“Come mai sei ancora vergine? Leggo tanta confusione nel tuo sguardo, mi ricordi tanto un’infermiera del mio reparto, anche lei era molto confusa, ma il mio violino le ha fatto aprire gli occhi. Aveva perso tutte le corde e mi era rimasto solo il sol, proprio come successe all’illustrissimo maestro” si stava riferendo a una delle tante leggende che circondano la figura del celeberrimo Paganini, il più grande violinista dell’ottocento “Hai mai provato a suonare il violino con solo la corda del sol, Sherlock? Sai che tutti lo chiamano Sherlock per merito mio?” si rivolse improvvisamente a Jim “Prima tutti lo chiamavano William, ma io mi sono rifiutata di chiamarlo così fin da quando ho iniziato a parlare, perché il suo nome era Sherlock, io sono stata la prima a capirlo. Ti ho sempre voluto bene anche se non volevi giocare con me” mi ha puntato gli occhi addosso “Ti ho dato un bacio, te lo ricordi? Ma la mamma mi ha sgridato subito, gli adulti si imbarazzano quando i bambini fanno queste cose”

Più lei parlava, più io ricordavo. Erano come frammenti paragonabili a scene tagliate della mia infanzia, attimi colorati in cui il Mare del Nord e lo scosciare delle onde facevano da sfondo in quello che era un ricordo brumoso e sbiadito.

Ho ricordato lei e il suo nome, all’improvviso, ma la cosa più inspiegabile era che una parte di me lo aveva sempre saputo. Quando l’ho vista di fronte alla mia porta e ho sentito la sua voce, ho sussultato. Ho capito subito chi fosse, anche se il mio inconscio traumatizzato non mi ha permesso di realizzarlo pienamente, forse per un meccanismo di auto difesa e di preservazione che il cervello instaura per proteggersi dallo shock? Non saprei, non sono così ferrato in psichiatria per potermi dare delle risposte.

Ma di una cosa ero certo: intorno alla figura di Eurus si delineavano i traumi più grandi della mia vita. Ciò che sto per dire è molto penoso per me e richiede un grande sforzo, e non solo mnemonico.

Eurus aveva un rapporto piuttosto morboso con me, un attaccamento equivoco. Mi ricordo che una notte è salita nel mio letto e ha iniziato a contarmi le costole, ho bene in mente le sue manine fredde sotto il pigiama e la sua voce contro l’orecchio. Eravamo bambini ma io, in tutto il mio candore e la mia ingenuità, avevo avuto la percezione che c’era qualcosa che strideva, che non andava. Ho iniziato a scacciarla e a rifiutarmi di passare del tempo con lei, la escludevo deliberatamente e intanto giocavo con il mio cane, il quale è poi scomparso in circostanze tuttora misteriose che ricordo appena. Ricordo solo il grande dolore che provai, la sensazione di smarrimento e incredulità che può provare un bambino la prima volta che entra in contatto con la morte.

Ebbene, la sparizione di Redbeard coincide con quella di Eurus. I miei ricordi si fermano lì, i due eventi sono in un certo qual modo collegati e non posso fare a meno di pensare che sia stata lei ad aver ucciso il mio cane, più di dieci anni fa. Ne sarebbe stata capace, fin da quando era piccolissima ha dimostrato di avere un intelletto degno di un adulto e una curiosità macabra e peccaminosa, che poco si addice all’ingenuità tipica dei bambini. Eurus non è mai stata pura o ingenua, non sul serio.

Quel rinvangare nel passato fu molto angosciante, tanto che non sono tornato a casa per tutta la notte. Mi sono addormentato accanto a lei in una panchina, intontito dalla sua voce intonata e dal fortissimo senso di angoscia provato in quelle ore. Sono proprio crollato, collassato. Le sue braccia mi hanno cinto da dietro come tentacoli ma il fatto di averlo già vissuto da bambino mi rassicurava.

La mattina dopo l’ho vista sotto una luce nuova, prima di tutto era senza parrucca. Ha dei capelli neri e riccioluti come i miei ed è bianca e delicata come un chicco di riso. È davvero molto bella, simile a me, ma in bello. Vista la somiglianza fisica e visti i pochi mesi che separano le nostre nascite potremo essere tranquillamente scambiati per gemelli. Non mi stupirei se lo fossimo sul serio, dopotutto i miei ricordi non sono certo affidabili.

In ogni caso, quella mattina l’ho vista con occhi completamente diversi. La luce del sole l’ha resa meno spettrale e senza quella parrucca aveva un’aria molto più giovane e molto più innocente. Non era più un incubo recondito del mio inconscio, era solo mia sorella.

Non sono tornato a casa neanche quel giorno, sono stato nascosto con lei e ho ascoltato il suo racconto. Eurus è giunta qui grazie anche a Jim. Non ho capito come sia riuscito a scoprirla e se ha minacciato o levato dai guai un pezzo grosso che era a guardia della struttura carceraria, fatto sta che lei in tre minuti è riuscita a scappare e a spacciarsi per infermiere, usando dei baffi finti che si era confezionata da sola con i suoi stessi capelli. E poi si è nascosta dentro la stiva di una nave mercantile che dall’isola della prigione (sita nel Mare del Nord, da quanto ho potuto appurare dalle sue minuziose descrizioni) l’ha portata in un estuario del Tamigi.  Da lì, arrivare nel cuore capitale è stata un gioco da ragazzi.

Ovviamente, non voleva tornare in quel manicomio dimenticato da Dio per nessun motivo al mondo e non avrei saputo dire se la sua paura fosse genuina o solo il provento delle sue formidabili doti d’attrice, ma sta di fatto che non sono riuscito ad abbandonarla. Era mia sorella, malgrado tutto le volevo bene. Ed era ricercata, aveva un’enorme taglia sopra alla testa e chi meglio di me e di Jim Moriarty poteva aiutarla a nascondersi e a depistare ogni traccia? Con tutto il rispetto, ma l’incompetenza di Scotland Yard rappresenta forse l’unica certezza che ho nella vita, ciò su cui avrei sempre fatto affidamento. Gli agenti inglesi non avevano fatto alcun progresso nelle ricerche mie e di Eurus, brancolavano nella nebbia come di consueto e sembravano più confusi del solito, dato che avevano legato la mia sparizione al mancato invito alla festa di Baskerville (che movente indecoroso da affibbiarmi, dico io!). Li immaginai nel Devonshire a cercarmi in mezzo ai boschi, con i pastori tedeschi al guinzaglio e una torcia tra le mani, quando io in realtà ero semplicemente in città a un tiro di schioppo dal commissariato... E qui inizia forse la parte più divertente dell’avventura.

C’eravamo rintanati dentro un appartamento sfitto in Baker Street, una viuzza con poche pretese, pochi locali e poca movida. E questo perché la proprietaria del palazzo era anche la moglie del nuovo spacciatore di Jim, ovvero il capo di un cartello colombiano il cui cognome era noto nel mercato degli stupefacenti. Ebbene, questa arzilla nonché loquace signora ci ha offerto la disponibilità mensile dell’appartamento in cambio di una promessa da parte mia, ossia che avrei fatto tutto il possibile per spedire il suo dispotico marito in galera e buttare via la chiave. Per farlo, mi sono spacciato per un investigatore privato di ventisei anni e il caso ha voluto che avessi anche il berretto giusto e una lente d’ingrandimento che mi sbucava dal taschino, ma posso dire con sincerità che avrei fatto tutto il possibile per onorare la parola data e mettere quel tizio dove si meritava.

Ciò detto, Eurus è tuttora nascosta dentro quell’appartamento, Moriarty a un certo punto è scomparso mentre io, invece, sono rimasto a vagabondare come un randagio per le vie di Londra. Ho già accennato del mio buon rapporto con i senzatetto e derelitti della città, quindi mi sono rivolto a costoro e sono stato accolto con un calore umano inaspettato e commovente. I dormitori dove si recano per me sono off-limits, essendo io ricercato da Scotland Yard, perciò ho ripiegato per dormire all’aperto, in aeroporto, dentro una macchina e così via. Avrei potuto dormire con Eurus in quell’appartamento malandato, ma non mi sembrava il caso, e poi entrare nella rete dei senzatetto era più conveniente per procacciarmi del cibo e per avere notizie dal “mondo”.

Tutti erano sulle mie tracce ed ero finito perfino nel telegiornale: Ragazzo di diciotto anni scomparso da sabato pomeriggio. L’appello disperato della famiglia e degli amici: “Torna a casa, Sherlock, ti vogliamo bene”.

Mi auguro che la mia famiglia avesse fatto due più due, non potevano non collegare la mia sparizione all’evasione di mia sorella rediviva, di cui erano stati certamente informati. Mi sembrava davvero un collegamento a prova di idiota. Tuttavia, quando ho visto quel servizio su di me nel telegiornale mi sono sentito severamente a disagio. Ho immaginato mia madre moribonda per la preoccupazione, Mycroft inappetente per la preoccupazione, e perciò ho deciso di fare qualcosa. Ho mandato loro un biglietto, infilandolo nella buchetta delle lettere, anche se ero arrabbiato nero e ho sentito seriamente di odiarli per questa loro fitta rete di menzogne e reticenze. Ho scritto loro semplicemente che stavamo bene e che eravamo vivi, usando appositamente il plurale.

E poi… Poi il quarto giorno ho camminato per la città, intabarrato e coperto dalla testa ai piedi con degli abiti sdruciti e di terza mano,  e sono passato di fronte al tetro istituto. Ho notato come prima cosa che era chiusa e come seconda cosa che c’erano dei mazzi di fiori (ipocriti) e delle candeline votive (inutili) di fronte all’ingresso. E di nuovo mi sono sentito egoista e a disagio, ma dopotutto non avevo altra scelta. Non credo che capiti a tutti di ritrovarsi nella propria vita una sorella così, d’emblée. Una sorella che è rimasta chiusa dentro un manicomio criminale fin da quando era piccola, una sorella che la mia famiglia mi aveva tenuto deliberatamente e imperdonabilmente nascosto, una sorella che era venuta da me a chiedermi aiuto e che era in combutta con la persona più controversa che io avessi mai conosciuto, ossia il mio caro “amico” James.

Ma tra i miei pensieri, oltre alla mia famiglia, c’era anche un altro amico. Un amico nuovo, sincero, con cui avevo appena legato e che già era entrato nel mio cuore. Sono stato ogni sera di fronte alla finestra di John Watson, indeciso sul da farsi. Malgrado fosse giunta la notte, nella sua camera c’erano sempre le luci accese e non potevo fare a meno di pensare che fosse in pena per me.

Dopotutto, supposi che anche per i miei coetanei questa mia sparizione fosse correlata al mancato invito da parte di Henry Baskerville alla sua stupida festa di compleanno e temetti che John si sentisse in colpa. Sarebbe stato illogico da parte sua, lui era stato l’unico ad essersi offerto di restare a casa ed ero stato io a dirgli di andarci, che colpa poteva mai avere lui!? Ma la mente umana non è logica, non come la mia. Ero stato sul punto di tirargli un sassolino contro il vetro della finestra, ma poi ho visto le luci spegnersi. Così ho gettato a terra la pietra e con essa tutti i buoni propositi che avevo di parlargli.

…La verità?

La verità era che mi sentivo turbato, e non solo per Eurus. Mia sorella certamente aveva dato la stoccata finale a quelle corde tese che erano i miei nervi, ma era stata anche uno stimolo e un’occasione per affrontare me stesso e i miei burrascosi sentimenti.

Il fatto è che non ho mai dedicato particolare attenzione alla mia sessualità, l’ho sempre percepito come un argomento ostico e distante, molto lontano da me e dal mio essere. Ma non perché io sia del tutto privo di appetito sessuale, quanto perché non ci ho mai speso del tempo, non sul serio. In teoria ho sempre dato per scontato di essere eterosessuale, ma è stata una scelta pigra, quella di un disinteressato che non prende posizione e lascia che sia la società a decidere per lui. Nella pratica, non riesco davvero a immaginarmi in un contesto sessuale, fuori controllo e con le mutande calate di fronte a una donna. Di fronte a un uomo mi sembra tutto più facile e se questo uomo è John, allora la cosa può considerarsi già fatta, non esiste proprio il problema. Lui è diverso, tutto con lui è diverso e questi giorni di solitudine e riflessione me lo hanno fatto capire. Io mi sento in pace quando parlo con lui, sereno. È talmente calmo, lineare e logico che per le mie sinapsi impazzite è come un impacco caldo di camomilla, un massaggio rilassante sui nervi scoperti. Non mi è mai capitato di sentirmi rilassato con qualcuno senza al contempo provare noia, è incredibile, miracoloso, ma con John Watson è proprio questo che accade. Pensandoci, la sua semplicità trasuda sicurezza, non banalità. È la semplicità di un ragazzo sicuro di sé, che non ha bisogno di maschere o sotterfugi per piacere o relazionarsi con gli altri. Ed è la semplicità di chi segue una linea dritta, a testa alta. La strada è prevedibile ma percorrerla non è così facile, è molto più facile sbandare e deragliare nella complessità come faccio sovente io, piuttosto che seguire un percorso sintetico e rettilineo. La cosa poi divertente era che, secondo John, ero io quello che seguiva una linea retta ed era lui invece ad andare a zigzag, tanto per dire quanto i cervelli umani possano elaborare diversamente la realtà esterna.

Ma c’è moltissima logica nella semplicità di John, e dopotutto che cos’è la logica se non semplicità, sensatezza e comprensione? Lui era molto, molto sensato, forse un po' superficiale, ma ermetico, chiuso come una cassaforte a doppia mandata. Aveva un suo mistero ed esercitava un grande fascino ai miei occhi.

E dopotutto dicono che quando trovi la persona giusta, non esiste l’imbarazzo iniziale, tutto è naturale e spontaneo e tu ti senti subito a tuo agio, sereno, proprio come è capitato a me la prima volta che ci siamo parlati.

Forse lui è la persona giusta, qualunque cosa ciò comporti. Questo fa di me un omosessuale? Non saprei, perché comunque le ragazze… Sono le ragazze, non mi sono mai state indifferenti. E ne ho conosciuta una in questi otto giorni di libertà. Una ragazza di origini africane, con la pelle brunita e un fisico asciutto e atletico, che conosceva Mbalie. Questa ragazza faceva la meretrice e si chiamava Sonja, proprio come la protagonista femminile di Delitto e Castigo. Ebbene, dopo aver lavorato si fermava a chiacchierare con noi, forse per lasciarsi alle spalle quei momenti spiacevoli e ringalluzzirsi un po’ e io, ogni volta che la vedevo, sentivo l’aria farsi elettrica, il mio battito cardiaco aumentare. Lei veniva tutte le sere e abbiamo parlato, con la disinvoltura di due persone che non si conoscono. È stato illuminante parlare con lei. Quando le ho detto di essere single e di non avere intenzione di legarmi sentimentalmente ad alcuno, lei mi ha dato una risposta che mi ha fatto riflettere. Mi ha chiesto che cosa avessi fatto di male per meritare una cosa del genere e mi ha detto che era molto “egoista” da parte mia, perché questo mio rifiuto non avrebbe fatto soffrire solo me, ma anche qualcun altro.

Mentre pensavo pigramente a queste cose (e a Sonja), in Baker Street con una tazza di tè del supermercato tra le mani, vidi letteralmente un piede penzolare di fronte alla finestra. Piede che riconobbi come appartenente al mio amico Raoul, un giovanotto equilibrista che aveva fatto del furto la sua professione. Si era aggrappato sulla grondaia di casa come un gatto e faceva dei segni concitati nella mia direzione. Fuori piovigginava ed era scesa la notte, se era venuto fin qui doveva essere una faccenda seria. Temetti subito che la polizia avesse individuato la nostra posizione e che dovevamo fuggire di corsa, ma non mi sembrava possibile, come potevamo averci scovato dopo tutte le precauzioni che avevo preso?

In punta di piedi ho superato Eurus, che stava giocando a scacchi con se stessa ed era finita per la terza volta in una posizione morta, e poi ho aperto la finestra. Ebbene, non era la polizia il problema ma, se possibile, qualcosa di peggio. Raoul mi informò che certi suoi conoscenti avevano visto in Fleet Street una ragazza angosciata che chiedeva di me…

“Una ragazza?” esclamai subito, sentendo lo sguardo pregnante di Eurus sulle spalle.

“Sì, una ragazza brunetta e magrolina. Hanno detto che aveva un’aria molto spaventata e che era tutta sola”

Molly. Ho chiuso istintivamente le palpebre, questa non ci voleva.

“E chiamava il mio nome?” ripetei, animato dalla speranza di aver capito male.

“Sì”.

“Dove si è diretta?” domandai atterrito, anche se era una domanda stupida.

“L’ultima volta che l’hanno vista stava svoltando per Farringdon Road…”

Ho imprecato mentalmente perché Molly non abitava da quelle parti. Era ben lontana ed era molto tardi, la immaginai da sola, indifesa come un pesciolino rosso in una vasca di squali.

“Posso prendere la bicicletta?” ho domandato al ladro, certo che era venuto fin qui con una bicicletta rubata di fresco.

“Stasera sono venuto in moto…” replicò malandrino, facendo stranamente ridere Eurus “Va bene lo stesso?”

Non avevo mai guidato una moto vera, solo un ciclomotore a pedali, ma c’è una prima volta per tutto, no? Sono quindi salito in groppa al veicolo, ho messo il casco (unto e sfondato, il proprietario doveva essere pelato, di mezza età e avere un fegato grosso quanto un bambino) e sono partito un po' insicuro e traballante. Era una Yamaha di grossa cilindrata, equilibrata e dotata di un’ottima padronanza del terreno. Sentivo il motore vibrare forte sotto il mio corpo e in poco tempo presi confidenza col mezzo.

Sono arrivato a Fleet Street che ero diventato un motociclista provetto e ho cominciato a chiedere informazioni agli occhi e alle orecchie della città, ossia ai barboni, agli accattoni, ai lavavetri e perfino alle prostitute. Mi hanno mandato a Cannon Street, poi da lì mi hanno detto di voltare a sinistra, e poi a destra, tutti mi rispondevano di avere appena visto una ragazza come da mia descrizione muoversi a passo svelto e svoltare, girare. Stavo praticamente ripercorrendo gli stessi passi confusi e senza logica di Molly, le stavo correndo dietro con la stessa foga con cui lei aveva attraversato la città…

E poi, finalmente, arrivai a destinazione. Ho inchiodato di fronte a un pub-osteria mal frequentato, perché un gruppetto di circa tre persone aveva circondato una figura femminile. Mi tolsi subito il casco, mi abbassai sulla fronte il ridicolo cappellino da cacciatore e appoggiai la moto contro un palo della luce, l’avevo trovata ma… Rimasi sbalordito e mi bloccai per un istante in mezzo alla strada come uno stoccafisso.

Non era Molly quella ragazza.

Riconobbi all’istante chi era, anche se quella voluminosa chioma crespa non mi era certo famigliare. Nemmeno quell’aderente tuta grigia mi era famigliare, non sul suo corpo vestito sempre alla moda.

Ma che cosa ci faceva lei qui. Perché lei era qui. Mi sono avvicinato a passo di marcia, ero armato ed è bastato mostrare il calcio della pistola (giocattolo, me l’aveva prestata Raoul) per far allontanare quei tre grossi ubriaconi.

E poi le ho afferrato forte un braccio e lei si voltata di scatto. Aveva un aspetto orribile, non ho mai visto Irene Adler così malmessa in vita mia. Era sbattuta, struccata, con gli occhi gonfi e rossi e un’espressione smarrita, come quella di una bambina che si era persa in un grande magazzino.

“Cosa ci fai qui? Sei impazzita o cosa?” l’ho aggredita arrabbiato e la sua faccia sbiancò “Hai bisogno di un TSO, Adler. Parlo sul serio”

Ero stato ruvido, ma santo cielo cosa non aveva rischiato a venire qui! Anche io rischio grosso a girovagare di notte per queste strade, figuriamoci una ragazza carina come lei. Dopo, ciò che è successo mi è tuttora difficile da credere, figuriamoci da raccontare.

Lei mi mise le braccia al collo e mi abbracciò, scoppiò a piangere fragorosamente, così disperatamente da spiazzarmi. Osservai il tizio che l’aveva fermata e cercai di dare un senso alla situazione. Mi sentivo frastornato, prima di tutto perché mi aspettavo Molly. Ero certo che ci sarebbe stata lei, lo davo per scontato, e il fatto di essermi sbagliato in modo così clamoroso mi fece sentire allibito. E poi perché la sua reazione era veramente esagerata, singhiozzava parole in modo incomprensibile e mi stringeva forte, non avevo mai abbracciato nessuno così a lungo in tutta la mia vita. Nemmeno mia madre, i miei non sono mai stati prodigi di gesti affettuosi.

Le ho accarezzato lievemente i capelli e mi sono sentito il consolatore più impacciato della storia, le sue parole dolci e piene di amore mi confusero totalmente. Mi disse “ti amo” e me lo ripetè tante, tante volte. Le sue lacrime mi bagnarono il collo e le sue labbra me lo baciarono. L’empatia non rientra tra le mie principali qualità, ma realizzai con un certo sgomento quanto costei avesse sofferto per me. Rimasi stupefatto da quei “ti amo”.

Avrei voluto chiederle in che senso, ma il bacio in bocca che mi diede mi tolse ogni dubbio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore

Avrete notato che ho un’idea piuttosto audace sul rapporto tra Sherlock ed Eurus. Avete presente il film Crimson Peek? Ecco, quello ma in via unilaterale, solo da parte di Eurus. Ho avvertito parecchie vibrazioni in tal senso e potrei portarvi molti esempi per avvalorare la mia tesi, dal fatto che lei abbia ucciso Redbeard/Viktor essenzialmente per gelosia, a quella nottata pseudo romantica che ha trascorso con Sherlock sotto mentite spoglie…

Ad ogni modo, io spero che il capitolo vi sia piaciuto e ho una cosa da aggiungere: siete liberi di odiare Irene Adler quanto volete, ma non potete pretendere che il vostro discutibile pensiero sia universalmente condiviso, perché non è così. Basta non leggere!

   
 
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