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Autore: Ivy001    25/06/2021    1 recensioni
Quando la felicità di una famiglia viene distrutta da un evento inaspettato e inspiegabile...qualcuno scompare, la Banda si riunisce
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bogotà, Nairobi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Dalì, ignari del motivo della litigata tra Nairobi e Bogotá, decidono di incentrare la loro attenzione sul racconto di Hanna, la quale si appresta a comunicare alla banda tutti i dettagli dell’inseguimento di miss Honey.

“Ho qui una foto, è bene che Sebastìan la veda per confermare o meno che sia l’auto su cui è salita Ginny” – spiega la finlandese, tirando fuori dalla sua borsa il cellulare.

Il bambino, momentaneamente assente, viene fatto chiamare da uno dei suoi fratelli.

E’ Julian, incaricato dal Professore, a convocare il piccoletto di casa.

“Seba, abbiamo bisogno di te!” – gli comunica, raggiungendolo nella cameretta dove il gemello di Ginevra è alle prese con i compiti scolastici.

Non ha mai amato dover passare le ore sui libri, eppure, in momenti tanto difficili, rimpiange i rimproveri materni e le sue punizioni per le disobbedienze in tema di studio.  

“Cosa fai?” – domanda il maggiore, curioso, buttando l’occhio sul quaderno del parente.

“Inglese” – spiega il più piccolo, indicandogli la traccia del tema da scrivere.

“Credevo che voi seguiste una scuola bilingue” – commenta Quito.

“No! Perché lo pensavi?”

“Beh, siete spagnoli” – riflette ad alta voce il maggiore, alleggerendo, con quelle bizzarre domande, la situazione stressante respirata in casa.

L’osservazione di Julian fa ridere il suo fratellino che lo mette alla prova – “Tu parli inglese?”

“Ehm…non proprio, io vengo dal Messico”

“E allora?! Io sono australiano, però parlo anche lo spagnolo” – la constatazione di Sebastìan è logica e veritiera ed spiazza il giovane, che superficialmente non ha mai creduto potesse essergli utile comunicare in un altro idioma.

E il piccolo Seba nota l’imbarazzo del consanguineo e così gli propone – “Appena Ginny sarà qui, ti prometto che io e lei ti daremo una mano ad imparare l’inglese”

“Davvero?”- il viso di Quito s’illumina udendo tali parole.

Presi da quei discorsi, fuori contesto rispetto all’argomento centrale,divenuto focale da giorni tra quelle mura, si dimenticano che il Professore dieci minuti prima aveva incaricato Julian di chiamare Sebastìan per verificare la fotografia di Hanna.

E infatti, Erik bussa alla porta e rimprovera i due del ritardo – “Insomma, stiamo aspettando voi. Scendete in salone o no?”

“Uffa, proprio adesso che stavamo parlando di una cosa seria?!” – precisa Julian, creando ilarità e scatenando la risata buffa e coinvolgente del bambino.

S’incamminano, seguendo Copenaghen, verso la sala che ospita tutti i Dalì.

Però uno strano rumore proveniente dal corridoio attira l’attenzione proprio del figlio messicano di Bogotá.

“Ehm…scusatemi devo scappare in bagno, arrivo subito!” – dice, congedandosi momentaneamente. La sua è un’evidente scusa che Erik coglie al volo, ma sulla quale sorvola.

Mentre gli altri due scendono le scale, chiacchierando di quello che a breve sta per accadere, Quito si accinge ad origliare tutte le porte delle stanze di quel piano, fino a riconoscere che uno strano lamento proviene dalla camera matrimoniale di suo padre.

Preoccupato dallo stato emotivo del genitore, non varca l’uscio ma, rimasto immobile di fronte ad esso, interviene  - “Papà, va tutto bene? Che succede?”

“Torna dagli altri, Julian!” – risponde il saldatore, dopo qualche secondo di esitazione. La sua voce manifesta il suo stato depressivo, e il tono distaccato, non tipico dell’uomo, specialmente nei confronti della sua prole, spiazza il messicano il quale insiste - “Ti ho visto entrare in casa poco fa, ed eri fuori di te. Ti prego, raccontami. Posso esserti d’aiuto!”

“Mi passerà, tu piuttosto va’ dai Dalì. È bene trovare tua sorella Ginevra quanto prima”

“Sai che in fatto di testardaggine sono esattamente come te, non me andrò fino a quando non aprirai questa porta” – persevera il ragazzo.

“Cazzo, non dovete essere come me. Chiaro? Non è un bene per nessuno di voi” – si altera Bogotà. Quello sfogo ha delle fondamenta, che però sono sconosciute a suo figlio.

“Non capisco, cosa vuoi dire? Credevo fosse un orgoglio saperci tanto simili a te” – commenta, perplesso, Julian.

“Lo era. Mi sono accorto, purtroppo, che rischiamo di avere idee e gusti identici…su tutto…questo non deve accadere più”

Quell’affermazione confonde il messicano – “Io voglio essere come te. Anche se ti ho vissuto poco, anche se ho trascorso la mia infanzia e parte della mia adolescenza soltanto con mia madre, non ho smesso di sognare di diventare un uomo forte e deciso come te”

Di fronte a tale esternazione, Bogotá sussurra profondamente e, all’improvviso, apre la porta.

Faccia a faccia i due si confrontano. Basta un solo sguardo e il venticinquenne ha la prova decisiva dello stato di malessere del padre.

Così, agitato, il messicano gli chiede - “Che cosa è accaduto per ridurti così?” – impossibile non preoccuparsi quando si ha davanti agli occhi un uomo spento emotivamente, un corpo che cammina, che non manifesta sentimenti di alcun tipo.

La voce di Bogotá è rauca e viene emessa a fatica – “Non pretendere di essere come me. Io sono stato un pezzo di merda, per anni. Ho avuto tante donne, tanti figli, tanto denaro, e anche tante sfortune!”

“Però hai poi trovato l’amore, hai costruito una famiglia vera” – precisa il venticinquenne, ignaro di aver toccato un argomento fin troppo delicato, una ferita ancora sanguinante.

“Mi sbagliavo di grosso. Nulla è per sempre. Neppure l’amore”

“Eh? Cosa dici?” – Julian lo guarda, stranito, ad occhi sgranati.

“Adesso vai dagli altri”
“E tu?”

“Ho bisogno di tempo”

“Dobbiamo trovare Ginny, ricordi? Torna in te, papà. E’ tua figlia la priorità, metti da parte i tuoi drammi!” – Quito è intenzionato a riportarlo con i piedi per terra, risvegliandolo da un evidente stato di depressione  – “ Siamo vicini alla verità, e adesso Sebastìan sta per offrirci un dettaglio essenziale. Ti prego, scendi in salone con me!” – gli porge la mano in attesa che venga afferrata.

Bogotá sente sulla sua pelle il peso di ogni singola parola appena pronunciata da suo figlio. Sa benissimo che Ginevra ha la precedenza su tutto, eppure al momento sembra faticare addirittura ad uscire da quella maledetta camera ed affrontare la realtà.

“Devi reagire, qualsiasi cosa sia accaduta. Hai noi qui per te, siamo i tuoi figli, non ti lasceremo solo”

Già…i suoi figli, la sua prole, i suoi eredi…quel pezzo di cuore per cui lui venderebbe l’anima, nonostante il passato, nonostante la poca vicinanza.

E invece, il pensiero vola diretto ad Emilio in auto con Nairobi.

Il flash del bacio tra i due non gli dà pace. E istintivamente chiede - “Posso farti una domanda?”
“Certo”

“Tu tradiresti mai la mia fiducia?”

Quesito altrettanto bizzarro, così come il comportamento del saldatore, agli occhi di Julian, che, spiazzato, non comprende il senso di quell’interrogativo e si limita a rispondere con una verità assoluta - “Ovviamente no! Perché me lo chiedi? È indubbio”

È la risposta che Bogotá che pietrifica il messicano – “Non è sempre così scontato che un figlio sia fedele a suo padre, sai?”

Seguono attimi di silenzio che sembrano durare un’eternità.

È chiaro che l’adulto è furioso con qualcuno; Quito se n’è accorto - “Ti riferisci a qualcuno in particolare? Non riesco a stare dietro ai tuoi ragionamenti, papà! Dimmi chiaramente cosa ti è successo. Riguarda uno di noi?”

In quel preciso istante, una porta delle stanze degli ospiti, precisamente quella in fondo al corridoio, si apre e ne fuoriesce l’ultima persona che il saldatore ha intenzione di affrontare.

“Ehi, ma dove vai?” – lo chiama Julian, notando Yerevan con una valigia.

E così il venticinquenne in un battibaleno si trova di fronte un padre che si richiude nuovamente nella stanza, e un fratello la cui partenza inspiegabile alimenta i suoi sospetti.

“Ehi, fratello ma che cosa cazzo fai?” – anche Drazen, nota subito il venezuelano con il trolley, prossimo a raggiungere il portone.

Nel giro di alcuni secondi, Emilio è circondato da tutta la Banda presente.

Alle mille domande poste, il ventisettenne non risponde.

Si limita ad ignorare e a cercare di farsi strada tra i compagni che ostacolano la sua uscita di scena.

“In bocca al lupo per tutto” – dice il ragazzo, riferendosi al Professore, l’unico rimasto in disparte, silenzioso come suo solito.

“Non puoi lasciarci” – singhiozza Sebastìan, sentitosi tradito da quell’improvviso cambio di rotta del fratello maggiore.

“Piccolo, sono certo che ve la caverete anche senza di me. E appena Ginevra tornerà a casa, verrò a salutarvi” – saluta tutti con un cenno di mano, affranto dal doverli lasciare, seppure promettendo di riunirsi presto. Promessa che sa benissimo di non rispettare, dati gli attriti creatisi con Bogotá e Nairobi.

Prima di lasciare la villa, però, qualcuno si aggrappa ad una gamba del venezuelano.

“Seba, ti prego! Non renderla ancora più difficile, lasciami andare via!”
“Voglio sapere perché ci abbandoni” – singhiozza il piccolo, sotto lo sguardo ferito e impassibile di Alba.

“Non vi abbandono!”

“Sì invece” – interviene Yaris, scagliandogli contro la sua delusione – “Ti stai comportando come papà; arrivi, resti per un po', e infine ci dici addio. Credevo fossi diverso”

Amareggiato dall’atteggiamento di un fratello che ama immensamente, Mykonos si allontana e nella foga prende con sé anche i due più piccini, per evitargli altro dolore.

Udire quel paragone fa sussultare Yerevan che ormai ha l’assoluta certezza di essere diventato ciò che non voleva diventare. Ha assorbito il modello negativo del padre e ha recato male a chi più tiene alla sua persona.

“Ci vuoi dire come mai hai preso questa decisione?” – interviene Tokyo.

“E’ giusto così! Vi consiglio di aiutare papà e Nairobi a chiarire. Solo così potranno collaborare alle ricerche di Ginevra”

“Dovrebbe essere la loro priorità, invece nostro padre è chiuso in camera da ore e Nairobi è con Axel in giardino” – commenta, infastidito, Julian.

“Sai benissimo che è la loro priorità; io sono stato l’impiccio che ha impedito che si concentrassero sulla bambina. Adesso andrò via, in questo modo tutto sarà più semplice. Addio” – conclude in quel modo quell’avventura, un’avventura di brevissima durata, che l’ha visto piangere di gioia, riabbracciando la sua famiglia, scoprire persone meravigliose, e soprattutto… arrivare a Perth gli ha permesso di conoscere una donna che per la prima volta gli ha dato attenzioni che mai nessuno gli aveva concesso, attenzioni che lo hanno illuso e hanno toccato intimamente il suo cuore.

Con il magone, lascia la villa, pronto a raggiungere, in taxi, l’aeroporto.

Non ha più senso rimanere.  E con i Dalì alle sue spalle, alcuni dei tanti in lacrime, Emilio saluta quel briciolo di serenità che aveva creduto di poter vivere per il resto della vita.

E così, la Banda dopo aver scoperto, tramite Sebastìan, che l’auto fotografata è esattamente quella su cui è salita Ginevra, cade nuovamente nello sconforto.

“Che si fa adesso?” – domanda Lisbona a Sergio.

“La conferma di Seba ci aiuterà a risvegliare Nairobi e Bogotà dai loro drammi. Siamo vicini ormai. E adesso sappiamo anche dove si trova la bambina!”

 

***********************************************

Carmen è in sala da pranzo, intenta a sistemare i piatti nella credenza, quando l’improvviso arrivo di Jorge la fa sussultare.

“Mi amor, non posso crederci” – esclama, agitato, il Gonzales.

“Calmati, per favore. Siediti e raccontami” – dice la donna, invitandolo a prendere posto al tavolo.

Nel mentre, gli versa metà della camomilla che ha appena preparato.

“Sai bene che io controllo spesso le telecamere di sicurezza che abbiamo posizionato fuori dalla villetta”

“Certo, non capisco come mai lo fai. Sarà noioisissimo”
“Ebbene, stavolta direi che non è stato affatto noioso! Non sai chi ho visto…”
“Chi?”

“Agata!”

“Cosa?” – esclama la zingara e in un battibaleno la tazza con la bevanda bollente cade sul pavimento, frantumandosi.

“Non può essere”
“Ebbene sì! Era con due ragazzini, non so chi possano essere”

“Sei sicuro fosse lei?”

“E’ identica a te. Non ho dubbi. Eccola, guarda con i tuoi occhi!”

Carmen Jimenez a distanza di circa vent’anni ha la possibilità di vedere sua figlia, tramite immagini registrate, proiettate adesso tramite un computer.

“Come mai è venuta sin qui, mi chiedo” – riflette l’uomo ad alta voce.

La settantenne non emette suono, fissa lo schermo senza battere ciglio.

È la frase di suo marito a restituirle la parola.

“Mi amor, dobbiamo dirlo a Carol!”

“No!” – esclama lei, senza esitazione.

“Perché? Non dirmi che adesso sei contro di lei”
“Non sono contro nessuno, però è bene per quella donna non sapere che mia figlia si aggirava da queste parti. È assodato che ormai la mia Agata sospetta di questo luogo. Se è giunta fin qui, sa che noi abitiamo a Perth e ha fatto dei collegamenti”

“Cosa dobbiamo fare allora?”
“Bisogna restituirle Ginevra!”

“Come? Non dirai sul serio?” – Jorge è allibito da tali parole.

“Non abbiamo altra scelta. La recita è durata anche troppo, è giunto il momento di rimettere tutto al proprio posto”

   
 
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