I
Dalì, ignari del motivo della litigata tra
Nairobi e Bogotá, decidono di incentrare la loro attenzione
sul racconto di
Hanna, la quale si appresta a comunicare alla banda tutti i dettagli
dell’inseguimento di miss Honey.
“Ho
qui una foto, è bene che Sebastìan la
veda per confermare o meno che sia l’auto su cui è
salita Ginny” – spiega la
finlandese, tirando fuori dalla sua borsa il cellulare.
Il
bambino, momentaneamente assente, viene
fatto chiamare da uno dei suoi fratelli.
E’
Julian, incaricato dal Professore, a
convocare il piccoletto di casa.
“Seba,
abbiamo bisogno di te!” – gli
comunica, raggiungendolo nella cameretta dove il gemello di Ginevra
è alle
prese con i compiti scolastici.
Non
ha mai amato dover passare le ore sui
libri, eppure, in momenti tanto difficili, rimpiange i rimproveri
materni e le
sue punizioni per le disobbedienze in tema di studio.
“Cosa
fai?” – domanda il maggiore, curioso,
buttando l’occhio sul quaderno del parente.
“Inglese”
– spiega il più piccolo, indicandogli
la traccia del tema da scrivere.
“Credevo
che voi seguiste una scuola
bilingue” – commenta Quito.
“No!
Perché lo pensavi?”
“Beh,
siete spagnoli” – riflette ad alta voce
il maggiore, alleggerendo, con quelle bizzarre domande, la situazione
stressante respirata in casa.
L’osservazione
di Julian fa ridere il suo
fratellino che lo mette alla prova – “Tu parli
inglese?”
“Ehm…non
proprio, io vengo dal Messico”
“E
allora?! Io sono australiano, però parlo
anche lo spagnolo” – la constatazione di
Sebastìan è logica e veritiera ed
spiazza il giovane, che superficialmente non ha mai creduto potesse
essergli
utile comunicare in un altro idioma.
E
il piccolo Seba nota l’imbarazzo del
consanguineo e così gli propone –
“Appena Ginny sarà qui, ti prometto che io e
lei ti daremo una mano ad imparare l’inglese”
“Davvero?”-
il viso di Quito s’illumina
udendo tali parole.
Presi
da quei discorsi, fuori contesto
rispetto all’argomento centrale,divenuto focale da giorni tra
quelle mura, si
dimenticano che il Professore dieci minuti prima aveva incaricato
Julian di
chiamare Sebastìan per verificare la fotografia di Hanna.
E
infatti, Erik bussa alla porta e rimprovera
i due del ritardo – “Insomma, stiamo aspettando
voi. Scendete in salone o no?”
“Uffa,
proprio adesso che stavamo parlando di
una cosa seria?!” – precisa Julian, creando
ilarità e scatenando la risata
buffa e coinvolgente del bambino.
S’incamminano,
seguendo Copenaghen, verso la sala
che ospita tutti i Dalì.
Però
uno strano rumore proveniente dal
corridoio attira l’attenzione proprio del figlio messicano di
Bogotá.
“Ehm…scusatemi
devo scappare in bagno, arrivo
subito!” – dice, congedandosi momentaneamente. La
sua è un’evidente scusa che
Erik coglie al volo, ma sulla quale sorvola.
Mentre
gli altri due scendono le scale,
chiacchierando di quello che a breve sta per accadere, Quito si accinge
ad
origliare tutte le porte delle stanze di quel piano, fino a riconoscere
che uno
strano lamento proviene dalla camera matrimoniale di suo padre.
Preoccupato
dallo stato emotivo del genitore,
non varca l’uscio ma, rimasto immobile di fronte ad esso,
interviene -
“Papà, va tutto bene? Che succede?”
“Torna
dagli altri, Julian!” – risponde il
saldatore, dopo qualche secondo di esitazione. La sua voce manifesta il
suo
stato depressivo, e il tono distaccato, non tipico dell’uomo,
specialmente nei
confronti della sua prole, spiazza il messicano il quale insiste -
“Ti ho visto
entrare in casa poco fa, ed eri fuori di te. Ti prego, raccontami.
Posso
esserti d’aiuto!”
“Mi
passerà, tu piuttosto va’ dai Dalì.
È
bene trovare tua sorella Ginevra quanto prima”
“Sai
che in fatto di testardaggine sono
esattamente come te, non me andrò fino a quando non aprirai
questa porta” – persevera
il ragazzo.
“Cazzo,
non dovete essere come me. Chiaro? Non
è un bene per nessuno di voi” – si
altera Bogotà. Quello sfogo ha delle
fondamenta, che però sono sconosciute a suo figlio.
“Non
capisco, cosa vuoi dire? Credevo fosse
un orgoglio saperci tanto simili a te” – commenta,
perplesso, Julian.
“Lo
era. Mi sono accorto, purtroppo, che rischiamo
di avere idee e gusti identici…su tutto…questo
non deve accadere più”
Quell’affermazione
confonde il messicano – “Io
voglio essere come te. Anche se ti ho vissuto poco, anche se ho
trascorso la
mia infanzia e parte della mia adolescenza soltanto con mia madre, non
ho
smesso di sognare di diventare un uomo forte e deciso come te”
Di
fronte a tale esternazione, Bogotá
sussurra profondamente e, all’improvviso, apre la porta.
Faccia
a faccia i due si confrontano. Basta un
solo sguardo e il venticinquenne ha la prova decisiva dello stato di
malessere
del padre.
Così,
agitato, il messicano gli chiede - “Che
cosa è accaduto per ridurti così?”
– impossibile non preoccuparsi quando si ha
davanti agli occhi un uomo spento emotivamente, un corpo che cammina,
che non
manifesta sentimenti di alcun tipo.
La
voce di Bogotá è rauca e viene emessa a
fatica – “Non pretendere di essere come me. Io sono
stato un pezzo di merda,
per anni. Ho avuto tante donne, tanti figli, tanto denaro, e anche
tante
sfortune!”
“Però
hai poi trovato l’amore, hai costruito
una famiglia vera” – precisa il venticinquenne,
ignaro di aver toccato un
argomento fin troppo delicato, una ferita ancora sanguinante.
“Mi
sbagliavo di grosso. Nulla è per sempre. Neppure
l’amore”
“Eh?
Cosa dici?” – Julian lo guarda,
stranito, ad occhi sgranati.
“Adesso
vai dagli altri”
“E tu?”
“Ho
bisogno di tempo”
“Dobbiamo
trovare Ginny, ricordi? Torna in
te, papà. E’ tua figlia la priorità,
metti da parte i tuoi drammi!” – Quito è
intenzionato a riportarlo con i piedi per terra, risvegliandolo da un
evidente
stato di depressione –
“ Siamo vicini
alla verità, e adesso Sebastìan sta per offrirci
un dettaglio essenziale. Ti prego,
scendi in salone con me!” – gli porge la mano in
attesa che venga afferrata.
Bogotá
sente sulla sua pelle il peso di ogni
singola parola appena pronunciata da suo figlio. Sa benissimo che
Ginevra ha la
precedenza su tutto, eppure al momento sembra faticare addirittura ad
uscire da
quella maledetta camera ed affrontare la realtà.
“Devi
reagire, qualsiasi cosa sia accaduta. Hai
noi qui per te, siamo i tuoi figli, non ti lasceremo solo”
Già…i
suoi figli, la sua prole, i suoi eredi…quel
pezzo di cuore per cui lui venderebbe l’anima, nonostante il
passato,
nonostante la poca vicinanza.
E
invece, il pensiero vola diretto ad Emilio
in auto con Nairobi.
Il
flash del bacio tra i due non gli dà pace.
E istintivamente chiede - “Posso farti una domanda?”
“Certo”
“Tu
tradiresti mai la mia fiducia?”
Quesito
altrettanto bizzarro, così come il
comportamento del saldatore, agli occhi di Julian, che, spiazzato, non
comprende il senso di quell’interrogativo e si limita a
rispondere con una
verità assoluta - “Ovviamente no!
Perché me lo chiedi? È indubbio”
È
la risposta che Bogotá che pietrifica il
messicano – “Non è sempre
così scontato che un figlio sia fedele a suo padre,
sai?”
Seguono
attimi di silenzio che sembrano
durare un’eternità.
È
chiaro che l’adulto è furioso con qualcuno;
Quito se n’è accorto - “Ti riferisci a
qualcuno in particolare? Non riesco a
stare dietro ai tuoi ragionamenti, papà! Dimmi chiaramente
cosa ti è successo. Riguarda
uno di noi?”
In
quel preciso istante, una porta delle
stanze degli ospiti, precisamente quella in fondo al corridoio, si apre
e ne
fuoriesce l’ultima persona che il saldatore ha intenzione di
affrontare.
“Ehi,
ma dove vai?” – lo chiama Julian,
notando Yerevan con una valigia.
E
così il venticinquenne in un battibaleno si
trova di fronte un padre che si richiude nuovamente nella stanza, e un
fratello
la cui partenza inspiegabile alimenta i suoi sospetti.
“Ehi,
fratello ma che cosa cazzo fai?” –
anche Drazen, nota subito il venezuelano con il trolley, prossimo a
raggiungere
il portone.
Nel
giro di alcuni secondi, Emilio è
circondato da tutta la Banda presente.
Alle
mille domande poste, il ventisettenne
non risponde.
Si
limita ad ignorare e a cercare di farsi
strada tra i compagni che ostacolano la sua uscita di scena.
“In
bocca al lupo per tutto” – dice il ragazzo,
riferendosi al Professore, l’unico rimasto in disparte,
silenzioso come suo
solito.
“Non
puoi lasciarci” – singhiozza Sebastìan,
sentitosi tradito da quell’improvviso cambio di rotta del
fratello maggiore.
“Piccolo,
sono certo che ve la caverete anche
senza di me. E appena Ginevra tornerà a casa,
verrò a salutarvi” – saluta tutti
con un cenno di mano, affranto dal doverli lasciare, seppure
promettendo di
riunirsi presto. Promessa che sa benissimo di non rispettare, dati gli
attriti
creatisi con Bogotá e Nairobi.
Prima
di lasciare la villa, però, qualcuno si
aggrappa ad una gamba del venezuelano.
“Seba,
ti prego! Non renderla ancora più
difficile, lasciami andare via!”
“Voglio sapere perché ci abbandoni”
– singhiozza il piccolo, sotto lo sguardo
ferito e impassibile di Alba.
“Non
vi abbandono!”
“Sì
invece” – interviene Yaris, scagliandogli
contro la sua delusione – “Ti stai comportando come
papà; arrivi, resti per un po',
e infine ci dici addio. Credevo fossi diverso”
Amareggiato
dall’atteggiamento di un fratello
che ama immensamente, Mykonos si allontana e nella foga prende con
sé anche i
due più piccini, per evitargli altro dolore.
Udire
quel paragone fa sussultare Yerevan che
ormai ha l’assoluta certezza di essere diventato
ciò che non voleva diventare. Ha
assorbito il modello negativo del padre e ha recato male a chi
più tiene alla
sua persona.
“Ci
vuoi dire come mai hai preso questa
decisione?” – interviene Tokyo.
“E’
giusto così! Vi consiglio di aiutare papà
e Nairobi a chiarire. Solo così potranno collaborare alle
ricerche di Ginevra”
“Dovrebbe
essere la loro priorità, invece
nostro padre è chiuso in camera da ore e Nairobi
è con Axel in giardino” –
commenta, infastidito, Julian.
“Sai
benissimo che è la loro priorità; io
sono stato l’impiccio che ha impedito che si concentrassero
sulla bambina. Adesso
andrò via, in questo modo tutto sarà
più semplice. Addio” – conclude in quel
modo quell’avventura, un’avventura di brevissima
durata, che l’ha visto
piangere di gioia, riabbracciando la sua famiglia, scoprire persone
meravigliose, e soprattutto… arrivare a Perth gli ha
permesso di conoscere una
donna che per la prima volta gli ha dato attenzioni che mai nessuno gli
aveva concesso,
attenzioni che lo hanno illuso e hanno toccato intimamente il suo
cuore.
Con
il magone, lascia la villa, pronto a
raggiungere, in taxi, l’aeroporto.
Non
ha più senso rimanere. E
con i Dalì alle sue spalle, alcuni dei tanti
in lacrime, Emilio saluta quel briciolo di serenità che
aveva creduto di poter vivere
per il resto della vita.
E
così, la Banda dopo aver scoperto, tramite
Sebastìan, che l’auto fotografata è
esattamente quella su cui è salita Ginevra,
cade nuovamente nello sconforto.
“Che
si fa adesso?” – domanda Lisbona a
Sergio.
“La
conferma di Seba ci aiuterà a risvegliare
Nairobi e Bogotà dai loro drammi. Siamo vicini ormai. E
adesso sappiamo anche
dove si trova la bambina!”
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Carmen
è in sala da pranzo, intenta a
sistemare i piatti nella credenza, quando l’improvviso arrivo
di Jorge la fa
sussultare.
“Mi
amor, non posso crederci” – esclama,
agitato, il Gonzales.
“Calmati,
per favore. Siediti e raccontami” –
dice la donna, invitandolo a prendere posto al tavolo.
Nel
mentre, gli versa metà della camomilla
che ha appena preparato.
“Sai
bene che io controllo spesso le telecamere
di sicurezza che abbiamo posizionato fuori dalla villetta”
“Certo,
non capisco come mai lo fai. Sarà noioisissimo”
“Ebbene, stavolta direi che non è stato affatto
noioso! Non sai chi ho visto…”
“Chi?”
“Agata!”
“Cosa?”
– esclama la zingara e in un
battibaleno la tazza con la bevanda bollente cade sul pavimento,
frantumandosi.
“Non
può essere”
“Ebbene sì! Era con due ragazzini, non so chi
possano essere”
“Sei
sicuro fosse lei?”
“E’
identica a te. Non ho dubbi. Eccola,
guarda con i tuoi occhi!”
Carmen
Jimenez a distanza di circa vent’anni
ha la possibilità di vedere sua figlia, tramite immagini
registrate, proiettate
adesso tramite un computer.
“Come
mai è venuta sin qui, mi chiedo” –
riflette l’uomo ad alta voce.
La
settantenne non emette suono, fissa lo
schermo senza battere ciglio.
È
la frase di suo marito a restituirle la
parola.
“Mi
amor, dobbiamo dirlo a Carol!”
“No!”
– esclama lei, senza esitazione.
“Perché?
Non dirmi che adesso sei contro di
lei”
“Non sono contro nessuno, però è bene
per quella donna non sapere che mia
figlia si aggirava da queste parti. È assodato che ormai la
mia Agata sospetta
di questo luogo. Se è giunta fin qui, sa che noi abitiamo a
Perth e ha fatto
dei collegamenti”
“Cosa
dobbiamo fare allora?”
“Bisogna restituirle Ginevra!”
“Come?
Non dirai sul serio?” – Jorge è
allibito da tali parole.
“Non
abbiamo altra scelta. La recita è durata
anche troppo, è giunto il momento di rimettere tutto al
proprio posto”