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Autore: Old Fashioned    25/06/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Momenti di tensione, su Rieducational Channel! Ecco che torna fuori il nostro amico britannico, per la gioia dei suoi fan.
Come sempre grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo e commentando.






Von Knobelsdorff guardò fuori dalla finestra: stava arrivando un'altra automobile. La vide procedere adagio sul viale ghiaiato, poi fermarsi davanti all'ingresso. Da essa scese uno chauffeur in uniforme, che aprì cerimoniosamente la portiera del sedile posteriore.
Ne uscirono divise e abiti lunghi da signora, con tanto di cappello.
Sbuffò infastidito: divise e abiti lunghi, cappelli per signora larghi come ruote di carro, pieni di velette, fiori finti e pernici impagliate. Non vedeva altro da giorni. Ogni tanto compariva qualche raro abito civile da uomo, perlopiù di membri anziani della famiglia.
Aveva sperato di trascorrere la licenza nella pace e nel riposo, ma vi era un'ininterrotta processione di parenti che volevano vederlo e complimentarsi con lui, amici di famiglia, funzionari e delegati di associazioni patriottiche.
Aveva già posato per decine di foto, aveva già sopportato gli sguardi forzatamente innocenti di innumerevoli signorine aristocratiche in cerca di marito, aveva signorilmente tollerato l'invadenza delle loro madri, che invece l'innocenza non si preoccupavano nemmeno di simularla.
Il fastidio che da qualche giorno lo assediava ebbe un parossismo. Senza starci troppo a pensare su, abbandonò il suo punto d'osservazione e si diresse alle scuderie.

Respirò sollevato quando l'edificio di mattoni rossi apparve dietro una barriera di querce. Rallentò e socchiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare da refoli d'aria carichi di quello che nella sua mente era sempre stato l'odore della libertà.
Si appoggiò con la schiena al tronco di un albero, già pregustando la gioia di una lunga cavalcata in sella al suo cavallo preferito.
Si avvicinò di soppiatto, attento a non farsi vedere. Ormai era talmente infastidito da complimenti e felicitazioni che avrebbe rischiato di rispondere male anche agli incolpevoli garzoni di stalla. Molto meglio non dar segno di sé, sellare il suo bravo sauro e distendersi i nervi con una bella galoppata.
Entrò adagio. Nell’aria c’era silenzio, a parte i tonfi di qualche cavallo che si muoveva sulla lettiera. Dalla selleria proveniva lo sfregare rapido di qualcuno che ungeva dei finimenti.
Nonostante ogni suo buon proposito, sorrise fra sé e sé al pensiero di rivedere il decano degli artieri: un uomo piccolo, rugoso, precocemente ingobbito, che però gli aveva insegnato più cose sui cavalli di tutti gli istruttori di dressage e ostacoli con cui aveva mai avuto a che fare.
Con l’intento di fargli una sorpresa, cominciò a strisciare silenziosamente lungo la parete. Raggiunse la porta della selleria, azzardò una cauta occhiata all’interno e d’improvviso il cuore gli balzò nel petto.
Seduto su una cassa, una testiera sulle ginocchia, un barattolo di grasso a fianco, c’era un uomo dalle spalle larghe, sicuramente non vecchio, con i capelli neri e la pelle stranamente pallida. Lavorava con impegno sui finimenti, ma era evidente che si trattava di un’attività cui non era abituato.
Notò accanto a lui, sul bordo del tavolo, il levarsi di un esile filo di fumo. Riconobbe l’odore di tabacco forte che aveva già sentito all’interno del vagone in cui era stato rinchiuso e interrogato.
Arretrò. Rinculò passo passo, di colpo attento a non produrre alcun rumore, aspettandosi a ogni istante che una mano gli calasse sul collo e lo strattonasse indietro. Raggiunse l’entrata della scuderia con i muscoli tesi come corde, si dileguò rapido all’esterno, addentrandosi come un animale selvatico nel folto dei boschi che circondavano la tenuta.

Solo quando fu ad alcune centinaia di metri dall’edificio si concesse di fermarsi a riposare. Si lasciò cadere su una pietra, si passò una mano fra i capelli.
The Bishop.
Era lui. L’aveva visto solo di spalle, ma era certo di non sbagliarsi.
Si guardò intorno sentendosi un cervo che percepisce l’avvicinarsi dei cacciatori, consapevole che avrebbe dovuto fare qualcosa, ma troppo agitato per pensare lucidamente a cosa.

§

Di nuovo al magazzino delle granaglie, in abiti da semplice impiegato, von Thurn und Taxis entrò in uno degli uffici al piano terra e chiuse la porta alle proprie spalle. L’uomo che sedeva alla scrivania al suo ingresso sollevò appena lo sguardo. “Desidera?” chiese neutro.
Il Werwolf non si scompose. Anche se la persona che aveva di fronte era un suo collega e amico, in quel posto la regola era di trattarsi sempre come estranei. “Le bolle di carico per la spedizione in partenza,” rispose.
L’altro annuì. “Le ho già preparate.” Spinse verso di lui una cartellina bigia.
Il primo la raccolse, quindi senza aggiungere altro abbandonò la stanza, si trasferì al primo piano ed entrò in un ufficio nel quale si trovavano un tavolino, un telefono, una libreria vuota e uno specchio. Fece un cenno di saluto verso la lastra di vetro e si sedette al tavolino. Aprì la cartella.
All’interno vi era una seconda cartella, più piccola, con scritto sopra Maximilian von Knobelsdorff. Ne sfogliò il contenuto: fotografie, corso di studi, una copia del brevetto di ufficiale, parenti conosciuti, amici. Sollevò le sopracciglia nel leggere di un cadetto di nome Friedrich von Wangenheim, col quale il tenente sembrava avere avuto un’amicizia intensa che si era poi inspiegabilmente raffreddata.
Scorse i dati anagrafici, l’indirizzo della residenza di famiglia. Una grafia conosciuta aveva tracciato una sequenza di cifre sul margine di una pagina.
Tese una mano verso l’apparecchio telefonico e compose il numero. Attese la linea tamburellando sul piano del tavolo. Dall’altra parte, l’apparecchio cominciò a suonare.
Forza,” ringhiò il Werwolf dopo un po’.
Il palazzo era grande, magari non c’era nessuno vicino al telefono.
Forza,” ripeté. “Rispondi.”
Finalmente, dall’altra parte del filo una voce maschile annunciò: “Residenza von Knobelsdorff.”
Devo parlare immediatamente con Maximilian von Knobelsdorff,” disse asciutto l’agente segreto.
Dall’altra parte ci fu qualche secondo di silenzio. “Chi devo dire?” chiese infine la voce.
Principe Karl Ludwig Amadeus von Thurn und Taxis.”
Altro silenzio, infine l’uomo rispose: “Abbia la compiacenza di attendere, eccellenza.”
Il Werwolf percepì il rumore della cornetta che veniva posata su una superficie dura e poi dei passi che si allontanavano rapidamente.
Trascorsero lunghi secondi, l’agente segreto riprese a tamburellare sul tavolo. “Muoviti,” disse a mezza voce. “Muoviti, maledizione. Quanto accidenti potrà essere grande questa residenza?”
I passi del domestico che ritornava interruppero il picchiettare delle dita. “Il signor barone è uscito, eccellenza,” annunciò l’uomo.
Il Werwolf sentì i muscoli irrigidirsi. “Dov’è andato?”
Non lo ha lasciato detto, eccellenza.”
È questione della massima urgenza,” specificò tagliente il principe.
Mi dispiace, eccellenza, il signor barone non c'è.”
Von Thurn und Taxis chiuse pensoso la comunicazione. Maximilian era solito andarsene senza specificare dove? Impossibile saperlo, così come era impossibile essere certi che la sua scomparsa non avesse a che fare con the Bishop.
L'unica era verificarlo di persona. Si voltò verso lo specchio e disse: “Mi serve un mezzo veloce.”
Dall'altra parte del vetro provenne la domanda: “Per andare dove?”
Rollwitz.”
Quando?”
Adesso.”

§

Von Knobelsdorff girò lo sguardo in direzione della scuderia. Dal punto in cui si trovava non riusciva a vedere l'edificio, ma era come se ne percepisse l'immanenza sinistra.
The Bishop.
Si costrinse ad abbandonare ogni emotività, a fare il vuoto in mente. Cercò di ragionare con la testa dell'agente inglese.
Perché era arrivato lì a Rollwitz? Non certo per lui. Di sicuro intendeva usare lui per arrivare al Werwolf, ma come? Pensava forse che fosse in possesso di informazioni sull'agente tedesco? Che sapesse dove si nascondeva?
Oppure, più semplicemente, supponeva che il Werwolf avrebbe preso parte al ricevimento in preparazione?
Quale che fosse la risposta, il dato di fatto era uno solo: the Bishop era lì.
La cosa da una parte gli comunicava una tormentosa sensazione di angoscia, ma dall'altra lo poneva nella necessità di agire.

Sulla fusoliera dell'aereo inglese sono dipinte almeno otto croci nere. Forse sono anche di più, ma in volo, con l'occhio ancora poco allenato del novellino, lui conta solo quelle.
Deve essere un asso, si dice, un veterano.
Sta inseguendo il suo capopattuglia, il maggiore von Stade, e tutta la sua attenzione sembra essere assorbita da quella caccia. Vuole aggiungere un'altra croce nera, probabilmente, e l'aereo del maggiore, pieno di coccarde rosse e blu, sarebbe un magnifico trofeo.
Si chiede se sia vero quello che dicono i vecchi, ovvero che alla fine ottenere nuove vittorie diventa una specie di ossessione, che fa dimenticare prudenza e buon senso.
Ha sentito di piloti che si sono fatti abbattere per quel motivo.
Guarda di nuovo l'aereo inglese, caparbiamente incollato alla coda di von Stade, e si rende conto che l'unico che può fare qualcosa per il maggiore è lui, un tenentino appena arrivato dalla cavalleria, con un Albatros talmente nuovo che l'abitacolo puzza ancora di vernice.
Senza starci troppo a pensare dà gas: l'aereo si lancia in avanti, prende quota. Lo SPAD inglese sta volando a zig zag dietro l'Albatros di von Stade e non fa nemmeno caso a lui.
Due raffiche ed è finita: il caccia nemico scivola d'ala, butta il muso verso il basso ed entra in vite. Poco dopo si schianta sulla terra di nessuno e prende fuoco.
Rimane a fissarlo serio. Un po' si pente di averlo attaccato così, alle spalle, senza dar segno di sé, ma il rimorso dura poco: ha abbattuto un pericoloso avversario, ha salvato la vita al suo comandante. Le acrobazie sfrenate dei colleghi gli confermano meglio di ogni altra cosa che ha fatto quel che si doveva fare.

Un refolo di vento fece frusciare le foglie. Egli si tese, si guardò intorno. Doveva agire. Non avrebbe saputo come avvisare il Werwolf e non avrebbe avuto alcun senso avvisare altri. Cosa avrebbero potuto fare, ad esempio, i tranquilli gendarmi di Rollwitz, abituati a gestire ubriachi e ladri di polli, contro the Bishop?
L'unico che poteva fare qualcosa per eliminare la pericolosa spia era lui.
A quel pensiero ebbe un attimo di sgomento: aveva ucciso molti nemici in azioni di guerra, ma non si era mai trovato a pianificare lucidamente un omicidio.
Che fare?
Il problema non era a livello morale, ovviamente: l'inglese era una spia e il suo dovere era ucciderlo. Le sue preoccupazioni erano più che altro di ordine pratico: sarebbe riuscito a sorprenderlo? Sarebbe riuscito a fare ciò che si proponeva? E una volta portato a termine l'ingrato compito, come avrebbe evitato di passare per assassino ed essere perseguito come tale? Chi avrebbe confermato l'identità della spia straniera, se l'unico che lo conosceva, ovvero il Werwolf, era sparito chissà dove?
Si impose di non indugiare oltre in quelle considerazioni: era chiamato a rendere un servizio alla Patria, null'altro importava.

§

A cavallo di una potente motocicletta, un paio di occhiali da pilota a proteggergli gli occhi, di nuovo in uniforme, von Thurn und Taxis divorava la strada che portava a Rollwitz. Il rombo del veicolo, lanciato a tutta velocità, era talmente forte da coprire ogni altro suono; il paesaggio si era trasformato in un indistinto susseguirsi di macchie verdi e marroni, punteggiato qua e là del bianco d’una masseria, o del baluginare fugace di specchi d’acqua sotto il sole.
The Bishop era là.
Era chiaro come il sole che sarebbe andato là.
Si chiese come aveva potuto essere così stupido, come aveva potuto lasciar capire a un avversario come l’inglese che sulla faccia della terra esisteva una persona che gli interessava.
Aveva passato anni a costruirsi un usbergo che gli consentisse di scendere in battaglia, anni a tappare ogni falla, a togliere ogni appiglio.
Era diventato uno scafandro impenetrabile, che opponeva all’osservatore solo buio e silenzio.
E dopo tutto ciò, dopo essersi reso un micidiale strumento di morte, dopo aver rinunciato a qualsiasi altra cosa, si era lasciato prendere da quei sentimenti che credeva di aver eliminato, e invece aveva solo sopito.

Non voglio nessun altro.”
Lo dice pacato, con il tono delle decisioni su cui non si ritorna mai più.
Il suo collega interrompe il lento passeggiare, costringendolo a imitarlo. Si gira a fissarlo in viso. “Prego?” chiede infine.
Hai sentito.”
Morgenrot alza le spalle. “Si farà quel che dice Matthesius.”
Non io. Altrimenti si trova un altro agente.”
Tutti noi facciamo quel che dicono lui e la Lesser. Non vedo perché tu dovresti fare di testa tua.”
Stringe i denti. “Lavoro meglio da solo.”
Non mi risulta.”
Invece è così. Non posso preoccuparmi di un...” esita. Stava per dire ‘compagno’, ma si corregge: “Non posso preoccuparmi di un collega. Devo concentrarmi sulla missione, devo essere libero di muovermi in completa autonomia.”
Morgenrot riprende a camminare. Pone la braccia dietro la schiena, come un tranquillo signore di mezz’età che fa la sua passeggiata quotidiana. Egli lo segue per un po’ con lo sguardo: è tutto finto, naturalmente. Se volesse, il suo collega potrebbe fare una capriola da in piedi senza nemmeno darsi lo slancio. Sa che ha una lama nascosta nella manica ed è in grado di usarla con micidiale destrezza.
Non capisci, vero?” dice raggiungendolo.
Oh, no. Capisco benissimo, invece.”
Lavorare con qualcuno mi distrarrebbe,” ripete caparbio, come se volesse convincere anche se stesso. “Mi costringerebbe a preoccuparmi di un altro.”
E l’altro si preoccuperebbe di te. Quante volte è successo fra voi?”
Preferirei evitare l’argomento.”
Di nuovo Morgenrot alza le spalle con fare noncurante. “Puoi farlo, certo, ma ricordati sempre che certi argomenti non eviteranno te.”

Aveva ogni parola di quel breve scambio scolpita in mente.
Mai più nessuno, l’aveva giurato.
Eppure, certe cose di Maximilian gli facevano pensare, o forse sperare, che un giorno avrebbe potuto occupare un posto che forse era rimasto vuoto troppo a lungo.
In fondo, pensò con un sospiro, i lupi cacciano in branco, o a coppie.

Una figura comparve a un tratto nel mezzo della carreggiata: forse un animale selvatico, di cui colse soltanto una sagoma marrone e occhi gialli spalancati.
D’istinto sterzò bruscamente.
La moto sbandò, s’inclinò, uscì di strada e prese a sobbalzare sullo sterrato a folle velocità.
Il Werwolf lottò per mantenerne il controllo, evitò di stretta misura un albero, sbandò di nuovo e infine terminò la folle corsa a un passo da un torrente, con una sterzata che sollevò una nube di polvere.
Il motore tacque e per un po’ gli unici suoni che si udirono furono il gorgogliare dell’acqua e l’ansare concitato dell’uomo.
Infine il Werwolf si guardò indietro, constatando che l’animale era sparito. Gli fu grato: la sua comparsa aveva avuto il potere di strapparlo a un rimuginare inane, che lo portava a rannicchiarsi in se stesso invece di proiettarlo nell’azione.
Fece ripartire la motocicletta, la riportò sulla strada. Certo, the Bishop era là, si era preso il vantaggio di minacciare l’unica persona che era stata in grado di evocargli Reiner, ma non aveva a che fare con uno sprovveduto.
La resa dei conti si avvicinava.

§

The Bishop raccolse un secchio, lo riempì di biada e si avviò zoppicando lungo il corridoio centrale della scuderia.
Non era stato difficile ottenere il posto: gli era bastato sfruttare quello che a suo tempo aveva detto alla finta dama della Pentecoste, ovvero che a seguito di una ferita di guerra aveva una gamba di legno. La baronessa von Knobelsdorff, donna di forti sentimenti patriottici, non aveva esitato a dargli lavoro.
Dire balle a certa gente era come sparare sulla croce rossa.
Tutt’altra cosa sarebbe stata sorprendere il Werwolf. Una trappola per un leopardo era comunque preparata per catturare una belva, non un timido cerbiatto. Certo, la presenza del ragazzo lo rendeva meno letale, appannava in qualche modo la sua pericolosità, ma non lo rendeva innocuo.

Ha dislocato in giro parecchi soldati, ha spiegato loro che una pericolosa spia tedesca è nell’edificio. Si è premurato che tra essi non ci fossero novellini, ha preso solo gente esperta, che non si lascerà travolgere dall’emotività.
Nella luce che sta calando, fissa attento il villino padronale immerso nel verde. Sa che il Werwolf è lì dentro e sa che dovrà per forza uscire, a un certo punto.
Passa un tempo imprecisato, i soldati camminano su e giù in lenti giri di ronda. Il silenzio è talmente profondo che riesce a sentire persino il fruscio dei suoi stessi abiti quando si muove.
Poi d’un tratto c’è odore di fumo. Al primo piano una finestra si spalanca, tutti puntano i fucili in quella direzione, ma ne escono solo sinistre lingue di fuoco.
Un istante dopo, al lato opposto del villino succede la stessa cosa: una finestra si sfonda e ne esce una fiammata che fa accartocciare le foglie degli alberi vicini.
Ma che fa,” ringhia inquieto, “vuole bruciare vivo?” E mentre lo dice sa che non è così, sa che quello è un diversivo per qualcosa, anche se non riesce a capire cosa.
Le fiamme frattanto ruggiscono, ormai è il calore stesso che sfonda le finestre, colonne di fumo denso salgono verso il cielo.
Un graduato lo raggiunge, gli chiede istruzioni. È chiaro che si aspetta l’ordine di chiamare i pompieri.
Mantenete la posizione,” ordina conciso.
L’altro lo fissa attonito, deve faticare per non rispondere qualcosa. Lo capisce: non sa chi sia il Werwolf, pensa di avere a che fare con un normale agente segreto.
Un istante dopo, qualcuno urla.
Corre in quella direzione, solo per trovare un uomo a terra, che sussulta gorgogliando con la gola tagliata. Echeggiano a breve distanza colpi di fucile, si ode un urlo d’agonia.
Va a vedere: altri due soldati morti, intravede una sagoma riversa anche al limitare della macchia.
Si odono altri spari, quasi coperti dal rombo cupo delle fiamme. I soldati ormai tirano a casaccio, dovunque pensino di vedere un movimento. Tutt’intorno alla casa divorata dal fuoco crepita una disordinata fucileria.

Il mattino dopo, lo spettacolo è desolante: dell’edificio rimane solo un rudere annerito, da cui si levano lente colonne di fumo. Otto uomini sono morti.
Del Werwolf nessuna traccia.
Qualcuno dice che sia perito nel rogo, ma ovviamente non è così, lo testimonia la scia di cadaveri che si è lasciato dietro fuggendo.
Eppure aveva calcolato tutto, organizzato la cattura nei minimi particolari.
Non aveva pensato al fuoco. Chi sarebbe così pazzo da dar fuoco a una casa standoci dentro?
Il dannato tedesco, evidentemente.

Proseguì con il suo secchio, lo distribuì nelle mangiatoie secondo le quantità che gli erano state indicate. L’ultimo cavallo cui diede la biada era un sauro con le quattro balzane bianche, snello e vivace, che scartò e frustò l’aria con la coda quando lo vide arrivare.
Era il cavallo preferito del signorino, a quanto gli avevano detto, il che lo portava a tenerlo d’occhio con particolare attenzione.
Teneva d’occhio tutto, comunque. Origliava i discorsi degli altri garzoni di stalla e si intratteneva con certe servette del palazzo. Quando era sicuro che nessuno lo vedesse, abbandonava l’andatura claudicante e compiva giri d’esplorazione nella tenuta.
Catturare l’amichetto del Werwolf non sarebbe stato difficile. Più complesso sarebbe stato convincere il suo nemico a consegnarsi. Si chiese quanti pezzi del tenente sarebbero stati necessari.

§

Chiuso nella sua camera, Maximilian von Knobelsdorff estrasse la Mauser d’ordinanza dalla fondina e controllò che fosse carica.
Successivamente andò alla porta, la aprì cauto e si affacciò in corridoio: nessuno.
Nascose l’arma nella cintura, quindi uscì rapido, scese le scale e attraversò il salone. Anche lì, nessuno in vista.
Sgattaiolò fuori e s’inoltrò nel parco.
Al riparo delle piante ripensò per l’ennesima volta a come portare a termine il compito nel migliore dei modi. Si sentiva un cacciatore da solo, nel folto della foresta, in attesa di un cinghiale particolarmente grosso e feroce.
Avrebbe avuto il sangue freddo di mirare al punto più vulnerabile e lasciarlo avvicinare quel tanto che avrebbe reso il colpo letale?
Non aveva senso porsi quelle domande: era un ufficiale di un esercito in guerra, combattere con sangue freddo ed efficienza era semplicemente il suo dovere. Si era mai chiesto cose del genere prima di decollare per le missioni di combattimento?
Portò una mano dietro la schiena, a palpare la sagoma familiare della Mauser, e ne trasse una sensazione di sicurezza: the Bishop poteva essere un impareggiabile agente segreto, ma di certo nemmeno lui era invulnerabile.

Si spostò adagio, sempre mantenendosi al riparo della vegetazione. Quando raggiunse la scuderia, andò alla parte posteriore dell'edificio, dove normalmente si concentravano le attività dei garzoni di stalla. Si acquattò silenzioso.
Era ormai pomeriggio inoltrato e i cavalli che avevano trascorso la giornata nei pascoli venivano man mano riportati dentro. Entro breve avrebbero cominciato a distribuire il fieno nelle mangiatoie.
Si chiese se fosse il caso di aspettare il buio: l'oscurità avrebbe forse agito in suo favore nascondendolo, ma allo stesso tempo l'avrebbe intralciato, perché tutti gli addetti sarebbero stati all'interno dell'edificio e quindi trovare the Bishop da solo sarebbe stato molto più difficile.
Rimpianse che non ci fosse il Werwolf: lui avrebbe di certo saputo cosa fare. Avrebbe saputo quando attaccare e come, sfruttando al massimo tutti i vantaggi che la situazione offriva.
Senza staccare gli occhi dalla scuderia, emise un lungo sospiro. La competenza in determinate faccende non era l'unico motivo per cui il principe von Thurn und Taxis gli mancava. Rimpiangeva le sue frasi taglienti, la sua decisione. La sua stretta sul braccio.
A quel pensiero, involontariamente si toccò appena sotto la spalla, dove solitamente si chiudeva la mano del Werwolf.
Fugacemente si domandò dove fosse, cosa stesse facendo. Aveva già un'altra missione? Era da qualche parte dietro le linee, magari travestito da ufficiale inglese o francese?
Se fosse riuscito a uccidere the Bishop, forse gli avrebbe facilitato il lavoro. A quel pensiero sorrise fra sé e sé.
Un istante dopo tutti i suoi sensi si focalizzarono sulla porta della scuderia, dove era comparso l'uomo pallido dai capelli neri. Questi scambiò qualche parola con uno dei garzoni di stalla, poi raccolse da una staccionata una serie di coperte stese ad asciugare e si allontanò.
Il tenente aggrottò perplesso le sopracciglia: claudicava vistosamente, trascinandosi dietro una gamba irrigidita.
Eppure era lui. Anche se da lontano, ne aveva riconosciuto la forma del viso e la struttura fisica. Inoltre, quei capelli neri, associati a quello strano pallore, erano inconfondibili.
Lo osservò di nuovo: zoppicava come se avesse avuto una gamba di legno.
The Bishop era sano quando lui e il Werwolf erano decollati dall'aeroporto inglese. Possibile che nel frattempo gli fosse successo qualcosa alla gamba? E come avrebbe potuto continuare a svolgere l'attività di agente segreto, con una mutilazione così grave?
Rimase a guardare. La luce andava calando, le ombre si allungavano sui prati. Gli ultimi cavalli rientravano in scuderia.
Gli parve che fosse una specie di segnale, come un invito all'azione.
Avanzò cauto, attento a non farsi vedere. Si appiattì a ridosso del muro e subito dopo scivolò lesto all'interno.
Non c'era nessuno, gli unici rumori che si udivano erano quelli dei cavalli che si muovevano sulla lettiera o masticavano la biada. Per lunghi minuti, egli rimase immobile a guardarsi intorno, attento a ogni suono, a ogni segno di presenza umana.
Poi sentì avvicinarsi un passo claudicante.
Il cuore gli accelerò i battiti. Si addossò maggiormente alla parete per non farsi vedere.
Qualcuno chiese: “Sei sicuro di farcela, Anton?”
Una voce ben nota rispose: “Sì sì, ci penso io.”
Allora vado?”
Tranquillo, finisco io col fieno.”
Poi di nuovo silenzio, rotto solo dal rumore irregolare dei passi zoppi dell'agente inglese.
Von Knobelsdorff arrischiò un'occhiata: l'uomo procedeva adagio lungo il corridoio centrale. Spingeva una carriola da cui spuntava il manico di un forcone.
Sapeva dove stava andando: a lato della scuderia c'era il fienile. Il che era un gran bene, perché nell'edificio si sarebbero trovati solo loro due. Non doveva fare altro che lasciarlo entrare e poi raggiungerlo.

Attese col cuore in gola, il tempo sembrava non passare mai. I passi si affievolirono sempre di più e poi cessarono del tutto.
Quando fu certo che l'uomo fosse uscito dalla scuderia, abbandonò il suo nascondiglio e si diresse verso il fienile.
Si fermò a ridosso della porta: da dentro proveniva il frusciare regolare del foraggio smosso, segno che the Bishop stava riempiendo la carriola. Sarebbe stato di spalle rispetto a lui.
Estrasse la Mauser ed entrò rapido nell'edificio.
Annullò la distanza che lo separava dal deposito del fieno. D'un tratto era come se avesse urgenza di concludere la faccenda. Di farlo subito, prima di ripensarci.
L'uomo era di spalle, stava lavorando tranquillo. Sollevò la pistola, ma nel movimento urtò appena un falcetto appeso a un gancio. Lo strumento emise un debole tintinnio.
In un istante, the Bishop si girò, brandì il forcone e glielo scagliò contro.
Von Knobelsdroff venne trafitto a mezzo corpo. Arretrò con un gemito di dolore mentre la pistola gli sfuggiva di mano. Istintivamente afferrò il manico dell'attrezzo come per strapparselo via, ma i rebbi, affilati come lame, gli si erano conficcati profondamente nella carne.
L'inglese lo raggiunse e ghignò: “Ma chi si rivede: Gretchen.” Afferrò a sua volta il manico del forcone e spinse brutalmente in avanti, piantandolo ancora più a fondo.
Il tenente gemette di nuovo, sentì le ginocchia cedergli. Crollò a terra accanto al mucchio di fieno.
Sei stupido e impulsivo come ricordavo,” considerò sarcastico the Bishop.




   
 
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