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Autore: _Nimue_    27/06/2021    4 recensioni
Dalla storia:
L'edera ha la capacità di adattarsi e crescere forte. Impara a non abbandonare il suo percorso, perché imperterrita attecchisce, fino a ricoprire ogni centimetro di pietra dura.
La avvolge e talvolta, persino, la sostiene.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jaken, Rin, Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Quel tempo lo disgustava. Le nubi cariche di pioggia oscuravano il cielo, riversando al suolo, senza sosta, acqua sporca. Pioveva, e lui odiava quella pioggia. Sentiva il puzzo acre dell'acqua invadergli le narici con prepotenza, al punto che, paradossalmente, più respirava e più si irritava. A lui non piaceva irritarsi, soprattutto se quel fastidio nasceva come effetto provocato da altri. Umani. Tsk. Feccia sulla terra.
Gli avevano fatto odiare uno dei momenti che preferiva: il temporale e la sua fine.
Secoli prima, quando libero vagava per le valli, le foreste e le montagne di quella terra, ogni odore era autentico; la pioggia arrivava purificatrice, dissolvendo il lordo delle battaglie combattute, un tempo praticate con frequenza inaudita.
A pensarci bene gli umani continuavano ad ammazzarsi tra loro, a combattere, a fare la guerra, come piaceva chiamarla. In verità, avevano solo escogitato modi più efficaci di uccidersi a vicenda, tecniche e armi all'avanguardia per sopraffare il nemico e dominare la terra del mondo conosciuto. Umani. Piccoli e insignificanti boriosi bastardi.
Odiava quella pioggia, perché l'aria non diventava pulita, non si rischiarava. Soprattutto non in città, dove molte volte il diluvio non faceva che aumentare il tanfo insopportabile. Dannazione. Sentire le varie sfumature del cemento pregno degli scarichi dei mezzi, l'odore di cibo e sudore dei chioschi sul ciglio della strada, e persino la puzza della pattumiera bagnata nascosta dietro il vicolo, lo innervosiva al tal punto da voler fare una strage.
Il non poterla fare, neanche a dirlo, aumentava la sua collera: legato a catene invisibili, la violenza con cui per secoli si era espresso, era bandita nella società umana come la peggiore calamità. O meglio, di violenza era pieno il mondo intero, ma pochi gli eletti a controllarla, a monopolizzarla. Umani. Avidi scarafaggi.

Era Aprile, pioveva incessantemente da giorni e il suo umore nero non migliorò quando suo padre, in un tragitto in macchina, gli parlò del prossimo ritorno del suo secondogenito; l'occasione, come al solito, era l'incontro per commemorare la morte della donna umana che aveva sposato decenni prima.

-Mi stai chiedendo di partecipare ad un circo?- mormorò, senza degnare di uno sguardo suo padre. Toga affilò lo sguardo e senza scomporsi rispose: -Non ti sto chiedendo niente Sesshomaru.- e poi continuò sospirando -Vorrei solo che tra voi non ci fossero screzi...non quel giorno almeno.-
-Non devi dirlo a me, padre- masticò scocciato, continuando a rivolgere la sua attenzione altrove. Un altro sospiro aleggiò nel veicolo -Devo invece.- e poi, non richiesto, aggiunse: -Non commettere l'errore di considerare con sdegno il dolore altrui, non comprenderlo non lo rende meno importante.-
Sesshomaru abbandonò l'impassibilità che fino a quel momento l'aveva accompagnato e si rivolse finalmente al suo interlocutore, lo guardò dritto negli occhi e con tutto il disprezzo che gli impregnava l'anima, sibilò -Siete patetici.-
Poi, con forza, picchiò il divisorio scuro e ordinò all'autista di fermarsi.
-Io scendo qui.- disse brevemente e in pochi secondi si ritrovò sotto l'acquazzone.
Odiava quella pioggia, ma ancora di più odiava le lezioni di morale del suo nobile padre.
Scocciato, sentì un famigliare formicolio solleticargli le mani e la testa pulsare per la furia.
Nelle orecchie, vibrante, il ringhio di suo padre. In sottofondo le ruote dell'auto che, sgommando sull'asfalto bagnato, ripresero la corsa.
Finiva sempre così tra loro. C'era una sorta di incomunicabilità che li divideva e li manteneva distanti, senza possibilità di incontro; eppure, Sesshomaru ricordava, secoli prima era diverso... c'erano sempre state battaglie tra loro, ma vi era anche rispetto; almeno fino a quando Toga non aveva abbandonato in parte la sua ascesa per l'insulso interesse nei confronti di una donna umana. Una vergogna per il loro Clan, un affronto a Lui. L'onta che la sua mente aveva riportato a galla lo innervosì ancora di più e perciò decise di camminare, come faceva un tempo, lungo le strade, fino a giungere alla sua residenza a pochi chilometri di distanza da dove si trovava. Avrebbe potuto volare, ma non poteva rischiare di trasformarsi e attirare l'attenzione su di sé.
Demoni e umani convivevano, ma l'integrazione tra le due specie era ben lontana dall'essere realizzata e gli scontri tra clan non invogliavano di certo gli esseri umani alla relazione. Non che a lui importasse, ma il disturbo di una trasformazione demoniaca era di gran lunga una scocciatura che lui non aveva la benché minima intenzione di affrontare.
Si incamminò per la strada, le mani in tasca e i lungi capelli gocciolanti attaccati alle spalle e al volto. Odiava quella pioggia, odiava quel tempo che lo insidiava fino a stordirlo,
tanto che incominciò a sperare di poter trovare uno sfogo per scaricare la tensione e liberare finalmente la mente.
La periferia di quella zona era desolata. La vita vivace e scoppiettante di città non giungeva in quel luogo malconcio e poco ospitale e ciò lo relegava a luogo ancora più infimo e triste. Perso in considerazioni su quanto la società umana fosse spregevole, passando accanto agli ultimi vicoli bui che si diramavano fitti in quel sobborgo dimenticato dagli Dei, sentì dei gemiti sommessi spezzare il cadenzato scrosciare della pioggia. Non seppe perché lo fece, ma si fermò e dopo poco si ritrovò a seguire quel suono stonato, quell'incrinatura nello spazio che lo incuriosì a tal punto da abbandonare, per il momento, la sua intenzione di chiudere la porta del suo uscio al mondo.
Quello che trovò fu una scena indecente, persino per lui.
Un paio di uomini stavano picchiando selvaggiamente una bambina che, raggomitolata su un fianco, tremante, si teneva la testa con piccole mani bianche.

-Dicci dove sono i soldi piccola merda-
-Vuoi fare la fine di quel verme di tuo padre?-
Nessuna risposta giunse dalla piccola che continuava ad emettere piccoli singhiozzi ad ogni colpo. I due umani non si accorsero subito dell'inaspettato spettatore; solo quando alzarono lo sguardo, colti da un'ombra che si allungava sui ciottoli, si ritrovarono davanti agli occhi una sagoma ferma, immobile, che li fissava da lontano. La figura era illuminata da un lampione che, in un effetto ottico distorto, la faceva apparire immensa.
-Tu chi cazzo sei?- parlò il primo,
-Vuoi essere il prossimo?- sfidò il secondo.
Sesshomaru alzò un sopracciglio, squadrandoli, e un sorriso ironico si fece largo sul suo volto. La voglia di riversare su di loro la rabbia di quella giornata, di quei giorni scuri, gli balenò per la mente. Lo solleticava, irretendolo.
-Stiamo parlando con te stronzo! Ne vuoi anche tu?-
Sì, decisamente avrebbe trovato piacevole quella distrazione. Sentiva già lo scorrere caldo del sangue sulle dita pallide e un pizzicore intenso gli sfiorò la nuca, stava fremendo.
Il pensiero di rilasciare la sua collera gli faceva scorrere in circolo una quantità tale di adrenalina da stordire chiunque. Sembrava un pivello, ma non gli importava.
Avanzò lentamente, un passo dopo l'altro, con gli occhi dorati infuocati e in volto un'espressione di indomita fierezza. Segni demoniaci brillarono sotto l'acqua annerita dalle prime ombre della sera, un monito chiaro: nessuno avrebbe potuto scappare da Lui, non ora, non l'avrebbe permesso.
Dall'altro lato del vicolo i due uomini si immobilizzarono come elettrificati.
Da leoni si tramutarono in topi.
Sesshomaru percepì i respiri crescere e diventare affannati, i cuori battere nel petto fuori controllo e sulla punta della sua lingua il sapore del loro terrore. Squisito.
-A-a-ascolta... noi adesso a-a-ndiamo via e ci p-p-portiamo questa qui c-c-on noi...non vogliamo rogne con un d-d-emone.- il più coraggioso dei due, indietreggiando, afferrò la bambina per i capelli e prese con l'altra mano il braccio del compagno, come ad incitarlo ad andare via. Fu un errore, lo strattone che compì per alzare il cucciolo d'uomo da terra mosse nell'aria un misto di odori che invasero il fiuto più che sensibile del Demone: lacrime e sangue si fecero strada in lui senza tregua, coprendo persino il sentore sgradevole della pioggia.
Fulmineo gli passò accanto, trovandosi pochi secondi dopo alle loro spalle.
Tre tonfi rimbombarono della sera: i primi due furono quelli dei due uomini che, inginocchiati a terra, si stringevano la gola in un vano tentativo di trattenere il sangue, tossendo e annaspando suoni sconnessi; il terzo fu poco più che un fruscio.
La bambina cadde a terra senza emettere un suono, picchiando il naso e la fronte sulla strada dura. Altre lacrime le pizzicarono gli occhi, ma svelta e silenziosa gattonò vicino al muro, trattenendosi le gambe con le braccia smunte.
L'enorme figura davanti a lei le dava ancora le spalle, così ancorato al terreno da sembrare una statua, finché, ad un tratto, non curvò il viso, rivelando un profilo di nuovo perfetto e inalterato. La piccola alzò gli occhioni su di lui, pietrificandosi quando con con voce imperiosa si rivolse a lei. -Vattene.-
Era un ordine svogliato, annoiato, come se l'elettricità che poco prima ammantava le sue forme fosse sparita e avesse lasciato dietro di sé il nulla, ad eccezione dei corpi dissanguati sulla strada, uniche prove di quello che era successo.
Sesshomaru non aspettò un secondo di più, riprese la marcia, le mani insanguinate ficcate nelle tasche e gli occhi fissi sulla strada davanti a sé.
Poco dopo Rin, con le mani ancora tremanti, si appoggiò al muro ruvido e alzandosi faticosamente sulle gambe mal ferme, senza guardarsi indietro, lo seguì.






Ciò che fu chiaro fin da subito è che l'avrebbe seguito fin in capo al mondo, o almeno finché non si chiuse la porta alle spalle lasciandola fuori dal suo, di mondo.
Dopo aver lasciato i vicoli del sobborgo, si era accorto di passi malfermi che piano piano ripercorrevano 
i suoi, a distanza; una distanza che lui considerava comunque troppo piccola, perché diavolo lo seguiva? Tuttavia il pensiero più importante, e di questo si stupì, era l'assoluta necessità di un bagno; sentiva il bisogno di spogliarsi di tutto il lerciume di quel giorno. E così fece, appena varcata la soglia della dimora: si spogliò di tutto per sprofondare nell'enorme vasca incassata che dava sul giardino interno, la testa reclinata sul bordo. Sentiva le gocce di pioggia cadere sulle piante e scivolare sull'erba grazie alla porta finestra accostata, lo scalpiccio di Jaken sul pavimento che frenetico si muoveva per le stanze; se avesse saputo che il demone Kappa nella vecchiaia sarebbe diventato peggio di una bisbetica domestica, lo avrebbe fatto fuori prima. Ora sarebbe stato solo un disturbo in più.

A proposito di disturbo... prese un respiro più lungo. Presto anche lui si sarebbe accorto della cucciola d'uomo che l'aveva disgraziatamente seguito, e allora non avrebbe avuto pace.
-Mio Signore Sesshomaru!-
Iniziava.
-Mio Signore Sesshomaru, signore! Ma-ma-a c'è un cucciolo d'uomo accasciato davanti alla porta!-
Jaken aveva pronunciato quelle parole con un tono sbalordito, perché la situazione era talmente inverosimile che temette, per un attimo, di aver avuto un'allucinazione.
Sesshomaru non rispose e Jaken ritornò su i suoi passi diretto all'ingresso. Il lungo corridoio era essenziale e senza fronzoli, il legno scuro del pavimento si allungava sino alla porta d'entrata, anch'essa in legno, solida e formata da due ante finemente intagliate.
Curioso ne aprì una e mise fuori la testa; voleva controllare se la percezione avuta al rientro del Demone fosse giusta, e ciò che vide lo lasciò di stucco: una bambina sporca e bagnata sedeva sotto il tettuccio che impediva alla pioggia si insozzare il porticato.
Fece un balzo in dietro sbattendo l'anta. Guardò dietro di sé, ma del suo Padrone non c'era nessuna traccia. Rialzò la zampa squamata e riaprì l'uscio lentamente. La bambina era vera e, nonostante fosse mal messa, lo fissava con un luccichio curioso. Questa poi!
-Cosa guardi?- gracchiò supponente, ma non arrivò risposta.
-Sto parlando con te, piccola maleducata.- ancora niente.
-Beh non puoi stare qui. Vattene prima che ti cucini per cena.-
e le sbatté nuovamente la porta in faccia. Rimase fermo cercando di acuire l'udito, ma non sentì niente. 'Ma guarda cosa mi tocca fare' pensò Jaken mentre trascinava una
sedia, pesantissima, vicino alla finestra a fianco dell'uscio. Da lì avrebbe potuto capire se la bambina era effettivamente andata via; fece un tale baccano che l'unica cosa che sentì con chiarezza fu il ringhio sommesso provenire dalla camera dall'altra parte del corridoio.
Maledetto sacco di pulci, quello sgorbio avrebbe portato solo guai.
Si arrampicò sulla sedia e spiccicò la faccia sul vetro. Impossibile! Era ancora lì, si guardava i piedi scalzi mentre accarezzava distrattamente i fiori che aveva sistemato solo la settimana prima. Agitato, ruzzolò sul pavimento e riaprì di scatto la porta, facendola sobbalzare.
-Ei Tu! Non toccare con quelle tue manacce i miei bellissimi fiori! Sai quanto ci ho messo a sistemarli ?- la sgridò con voce alterata e vide la bambina sgranare gli occhi, abbassandoli poi a terra, spaventata.
Bene, era ora! Continuò -Fuori dai piedi.-
Rientrò in casa e decise di lasciare la sedia di legno vicino alla finestrella; era troppo pesante da spostare e poi, appurò, era un ottimo punto di vedetta.
Zampettò di nuovo nel retro della casa e raccattando da terra i vestiti del suo nobile signore si perse in nuovi borbottii, fino a che una voce lo gelò sul posto.
-Mi stai scocciando Jaken-
-Perdonate Mio signore, Jaken va subito via.-

La mattina dopo Sesshomaru trovò il demone alitare sulla finestrella, di nuovo su quella dannata sedia.
-Piantala Jaken.- Quest'ultimo si voltò e inchinandosi proferì solennemente, come una sentinella in tempo di guerra -Mio Signore, la piccola umana è ancora qui fuori. Pare non abbia intenzione di allontanarsi dalla vostra magnifica dimora.-
Sesshomaru piantò gli occhi sulla porta. Non la vedeva ma percepiva ogni singolo respiro, ogni piccolo movimento che compiva nel suo giardino cercando chissà cosa tra i fiori e gli arbusti.
-Forse dovremmo...- incominciò incerto Jaken.
-Scordatelo, se ne andrà.- disse lapidario.
Il mal tempo era andato via, sarebbe andata via anche lei.
Si recò nel giardino interno e si sedette sotto la quercia centenaria respirando a pieni polmoni. Nessuno avrebbe contaminato la sua oasi di pace.


Tuttavia, passarono giorni e la bambina non si schiodava dalla sua soglia.
Non sapeva se lo irritava di più che Jaken avesse disubbidito ai suoi ordini o se quel fantasma infestasse la sua tana. Perché questo era, si trascinava smangiucchiando bacche nei dintorni dell'abitazione; disturbato al pensiero che non sarebbe morta di fame, si confortò sapendo che prima o poi sarebbe morta di sete.
Ma quell'idiota di Jaken aveva iniziato a portarle ogni giorno acqua fresca, che lei puntualmente razionava. Intelligente.
Aveva cercato anche di pulirsi la faccia dal sangue incrostato, emettendo però fastidiosi mugolii di dolore; il Kappa si era così spazientito che si presentò personalmente dalla bambina, munito di acqua calda e di un panno, per stropicciarle la faccia e rimproverarla. Da quando in qua, il suo più fido servo, era diventato una balia?
Se non fosse stato per il colore violaceo dei lividi l'avrebbero scambiata per uno spettro. Uno spettro scocciatore. Impertinente. Molesto.
Come se non bastasse, passavano i giorni e lui sentiva una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco, cosa diamine gli prendeva? Sesshomaru si interrogò a lungo, troppo, e alla fine decretò che, ciò che gli mordeva il petto, era pena. No, era la sua punizione per essersi intromesso quel giorno.
Maledetto sangue di cane, cuccioli eh? Stronzate.
Alla fine ordinò a Jaken di farla entrare; non voleva saperne niente, ma sperò che una volta rimessa in sesto se ne sarebbe andata da sé. Che sarebbe tornata alla sua, di tana.
Era deciso a lavarsene le mani, insomma.
E poi fuori avrebbe sicuramente attirato ospiti sgraditi. Si, era meglio così.
Aveva già abbastanza rogne.


Una volta pulita e rifocillata Jaken la mise al lavoro, se aveva intenzione di impestare gli spazi del suo Padrone con il suo odoraccio umano avrebbe sgobbato. Proprio come faceva
lui. Il problema era che la bambina non parlava, non spiccicava parola, anche se era molto diligente e lo seguiva sempre dappertutto, soprattutto in giardino, dove passava il pomeriggio a sistemare i fiori. Ne andava molto fiero, i lunghi viaggi che un tempo lo portavano a seguire il suo Padrone per le terre e il cielo ormai erano solo un ricordo.
E comunque il Demone Maggiore non lo portava più con lui, dopo che il Nobile Padre lo aveva rimproverato parlando di quanto fosse antiquato nei modi e nei costumi.
Inutile dirlo, Jaken aveva pianto per giorni. Finché Sesshomaru non aveva nuovamente varcato la soglia di casa e lui, sputando moccio, non si era buttato ai suoi piedi, ringraziandolo di essere tornato. Si era beccato un calcio, ma il sollievo era troppo per curarsi del dolore. Da quel giorno aveva deciso che si sarebbe occupato a tempo pieno di quella dimora; in particolar modo del giardino, in cui il suo Signore si sedeva per ore a meditare.

-Ma insomma! Dovrai pur parlare prima o poi. Non sopporto più di chiamarti a vanvera.-
La piccola infossò la testa nelle spalle e si portò le manine dietro la schiena, strusciando il piede scalzo sul pavimento, colpevole.
-E non fare quella faccia da cane bastonato.- sbuffò, poi riflettendo si illuminò -Sei hai un nome puoi scriverlo, sai scrivere?-
Lei timida annuì, afferrando con le mani, sudaticce per colpa del caldo, la minuscola veste azzurrina che Jaken le aveva procurato tagliando una tenda sgualcita.
-Per fortuna...dico io, ma non insegnano più niente al giorno d'oggi?-
Andò nel salone e da un cassettino del tavolino al centro della stanza prese della carta e una penna, spazientito la chiamò – Signorina vedi di muoverti, non abbiamo tutto il giorno.-
Lo raggiunse a passo svelto, a volte si spaventava ancora quando sentiva quel tono di rimprovero. In passato toni del genere la mettevano sempre in guardia.
Ma il Signor Jaken non era cattivo, un po' burbero forse, ma non l'aveva mai toccata in tutti i giorni che era stata lì.
Prese la penna e scrisse a fatica il suo nome, da quanto tempo non scriveva? Sen le aveva detto di fare pratica costantemente se non voleva perdere la manualità; ma poi la donna era andata via, e l'unica sua preoccupazione era diventata trovare un posto dove nascondersi.
-Rin...è così che ti chiami dunque?-
Lei annuì.
-Beh, è qualcosa. Ora aspettami qui-e si diresse verso alcune stanze a cui lei non aveva il permesso di accedere. Da quanto aveva capito, dovevano essere quelle del Nobile Signore.
Un po' era dispiaciuta che Lui non fosse chiacchierone come Jaken. Sembrava freddo e distaccato dal mondo, non faceva altro che uscire e rientrare dalla porta di ingresso e poi si rinchiudeva nell'anticamera che dava sul giardino interno, immergendosi per ore nell'acqua e senza degnare di uno sguardo nessuno.
Pensierosa, alzò il nasino e si fermò ad ammirare il bellissimo soffitto decorato sopra di lei; sembrava un cielo solcato da vaporose nuvole ed ebbe per un attimo la tentazione di acchiapparle. Che sciocca. Girò su se stessa e si lasciò cadere sul pavimento, le braccia alzate e le punta delle dita che veloci disegnavano ghirigori immaginari sul soffitto. Chissà se oggi il Signor Jaken le avrebbe permesso di andare tra i fiori del giardino. Ne era molo geloso.
Sentì una porta sbattere e un attimo dopo, come fosse entrata una folata di vento, la sua visuale fu occupata da una coltre di capelli argentati. Si immobilizzò così com'era: 
le mani in alto, i capelli sparsi sul pavimento e le gambe divaricate. Due occhi color dell'oro la scrutarono dall'alto, inquisitori.
-Rin!- la chiamò Jaken prima di entrare nella stanza.
Non fece in tempo a sorridere che il Demone era scomparso dalla sua vista.



Sesshomaru era tornato da un incontro estenuante con il capo del clan dei Corvi, suo padre gli aveva sbolognato l'incombenza sia per dispetto sia perché, in parte, preso dal ritorno del bastardo. La primavera stava terminando e presto si sarebbe dovuto barricare se voleva sfuggire alle scocciature che il vecchio organizzava nel periodo estivo. Per non parlare dell'autunno, in cui si sarebbe svolta quell'odiosa commemorazione. A quel punto, come minimo, avrebbe dovuto emigrare.
L'incontro verteva su una questione spinosa: le Pantere avevano ripreso a muoversi sul territorio, infastidendo i demoni più pacifici come i Corvi e i Tanuki e aizzando demoni inferiori e di stirpe più aggressiva contro il Clan dei Cani e alcune comunità umane.
Di quest'ultimi gli importava ben poco, ma le politiche demoniache erano chiare. Potere significava protezione dei Clan Alleati. Un palla al piede, in poche parole.
Lungo il tragitto aveva persino riconosciuto l'odore di Toran, una delle figlie predilette del Clan avversario, vicino a delle case diroccate, ai piedi del monte verso cui era diretto.
La cosa lo aveva incuriosito, perché si muoveva da sola? Era forse in ricognizione?
Lo scoprì appena arrivato, i Corvi erano in subbuglio. A quanto pareva avevano ricevuto una visita di cortesia che suggeriva un cambio di schieramento, l'obiettivo era abbastanza chiaro: rovesciare l'ordine gerarchico e prenderne il potere. Schifosi felini.
Si era dovuto sorbire per ore le preoccupazioni del Vecchio Okaji. Era mentalmente provato e la situazione non migliorò quando, varcando la porta di casa aveva scorto la bambina, che esasperato aveva deciso di accogliere, strusciarsi sul pavimento come una gattina. Perché diavolo non l'aveva ancora sbattuta fuori?
-Rin!- la voce stridula di Jaken la chiamò e prima che potesse vederlo e riempirlo di domande si dileguò, lasciandola lì dov'era.
Ah, ora aveva anche un nome.

L'estate arrivò, così come i continui messaggi di suo padre che lo invitavo a presenziare ai più disparati eventi e i dannati temporali estivi.
Aveva lasciato la questione delle Pantere a Lui, non aveva intenzione di ergersi a paladino di giustizia né tanto meno a protettore degli umani. Si sarebbe mozzato le mani piuttosto.
Una notte, la pioggia batteva così tanto sulle ampie finestre e i fulmini illuminavano con così tanta frequenza le stanze che, il grido di terrore che gli vibrò nelle ossa, rimbombando come un eco per tutta le stanze, lo fecero balzare in piedi in allerta. Si fece strada irrequieto, seguendo la scia di paura per il corridoio e giungendo davanti alla porta di uno stanzino. Al suo interno Jaken, con tono concitato, cercava di calmare i singhiozzi disperati della bambina, la quale tremante e accasciata sotto il lenzuolo non voleva saperne di contenersi.
-Rin! Rin per gli Dei, calmati! E' solo un temporale!
Per gli Dei così sveglierai il Padron Sesshomaru, vuoi che si arrabbi?- in risposta ricevette solo un grido più acuto.
-Jaken.- esclamò.
-Padron Sesshomaru! Sono desolato, questa impertinente non ne vuole sapere di stare zitta.-
Il Demone si avvicinò, avvertiva lo sfrigolio della sua paura e l'odore delle lacrime pizzicargli le narici. Si fermò poco distante dal giaciglio e con voce profonda pronunciò
-Rin.- I singhiozzi si fermarono, per poi riprendere più sommessi, come se la proprietaria tentasse invano di nasconderli.
-Rin. Smetti di piangere.-
La bambina allora si fece coraggio e spostò il lenzuolo, mostrandosi ai due demoni.
Aveva gli occhi gonfi, le guance bagnate e le labbra secche per il troppo pianto.
Sesshomaru ne fu destabilizzato, neanche quando l'aveva trovata ricoperta di sangue e lividi per colpa delle botte piangeva a quel modo.
-Muoviti.- le disse e si girò dirigendosi nell'ampia sala.
Le sue vesti bianche di lino gli conferivano un'aurea eterea, i capelli argentati sparsi sulla schiena oscillavano ad ogni passo leggero e la piccola Rin fu catturata da quella visione. Sembrava appartenere ad un'altra galassia, eppure se avesse allungato la mano avrebbe potuto toccarlo, aggrapparsi a lui. Non era sicura che avrebbe apprezzato.
Lo seguì docile, stropicciandosi gli occhioni brucianti e si fermò di fianco al demone, davanti all'enorme vetrata.
Squarci di luce lampeggiavano illuminando il giardino e conferendogli un aspetto inquietante. A quella visione riprese inevitabilmente a tremare.
-E' solo un temporale.- disse, ad un certo punto, la figura accanto a sé.
L'aveva portata lì per farle capire che non doveva avere paura di quel tempo?
Un tuono scosse le finestre e lei agghiacciata si aggrappò saldamente alla gamba del demone. Alla fine l'aveva toccato, il calore che emanava la rassicurò un po'; le ricordava quello di Sen che ogni tanto la abbracciava quando era spaventata.
-Rin.- la chiamò di nuovo, irrigidito come una pietra. Nessuno si era mai rifugiato da lui, al contrario tutti fuggivano e a ragione.
Lei si staccò a malincuore poco dopo, sedendosi comunque vicino alla sua gamba.
Stettero così per molto tempo, una bambina e un Demone davanti ad un temporale, ascoltando reciprocamente il respiro dell'altro e senza emettere un suono.
Finché Rin non sbadigliò e Sesshomaru si riscosse dall'immobilità in cui era caduto.
-Non voglio più sentirti piangere, siamo intensi?-
Rin alzò il volto e i loro occhi si scontrarono nel buio. Gli occhi affilati del Demone in quell'oscurità erano così caldi che la bambina ne fu così rapita da non poter fare a meno di sorridere raggiante al suo interlocutore, rincuorata dalla premura tutta particolare che le aveva riservato. E allora parlò, felice – Sì, Signor Sesshomaru.-



Nei giorni successivi Rin non aveva più pianto, in compenso la parola divenne il suo mezzo preferito di comunicazione. Non stava un minuto zitta. Sembrava dovesse recuperare tutto il tempo in cui non aveva dato voce a suoi pensieri. Invece, nei momenti in cui si ritrovava sola e senza Jaken si prodigava a cercare piccoli doni per Sesshomaru.
Non doveva dimenticarsi di lei; era un pensiero fisso nella mente della piccola, abituata da sempre a stare sola ed a non essere considerata.
Fu così che si beccò una strigliata da Jaken, quando colse un fiore dal giardino e di nascosto lo pose sul bordo dell'enorme vasca in cui il demone stanziava ore di ritorno dalle sue uscite.
Jaken l'aveva rimproverata e Sesshomaru non aveva fatto cenno al fatto.
Decise allora di sgattaiolare fuori, nelle campagne, e raccogliere altrettanti splendidi fiori di campo e donarli al demone. Era l'unico modo per mostragli la sua più totale riconoscenza, e dal momento che non riusciva più ad entrare nell'anticamera, decise che li avrebbe riposti di fronte alla porta, così che Lui non potesse ignorarli.
Non doveva dimenticarsi di lei.
I giorni passarono, così come le settimane e per quanto si impegnasse a trovare i fiori più belli, Sesshomaru non li degnava di uno sguardo.
Arrivò al punto di adagiarli con cura, e senza sosta, in fronte all'entrata sbarrata, aspettando che Lui li vedesse.
Quando, tempo dopo, il demone uscì, si ritrovò sui piedi nudi una vastità, solleticante, di piante sciupate per il caldo e un profumo dolciastro e nauseante ad arricciarli il naso dritto.
Inarcò un sopracciglio, vagliando la stanza in cerca della cucciola d'uomo che gli stava riempiendo il salone di erbaccia. Perché Jaken non aveva tolto quell'immondizia?

-Rin! Rin! Maledizione Rin!-
-Signor Jaken la prego! Ancora un giorno, un giorno soltanto. Rin vorrebbe che Il Signor Sesshomaru vedesse cosa ho cercato solo per Lui!-
-Dannata bambina- borbottò Jaken – Al Padrone non interessano le tue sciocchezze.-
Rin si indispettì, arrossendo e gonfiando le guance
-Non sono sciocchezze! Sono dei regali!-
Poi, come attraversata da un pensiero inafferrabile, sorrise felice.
Iniziò a girare intorno al piccolo demone, facendo giravolte e tendendosi il vestitino come un principessa. -I regali sono belli! Tutti li vorrebbero!-
Un altro pensiero balenò nella mente della bambina, era difficile starle dietro.
Si fermò di colpo e in uno slanciò abbracciò Jaken, premendo la guancia rosea sulla veste marroncina del Kappa.
-Ho capito!- sussurrò sapiente -La prossima volta che Rin uscirà prenderà dei bellissimi fiorellini anche per te!- e riprese a correre spensierata.
Il signor Jaken era solo geloso. D'altronde anche lei lo sarebbe stata, ma non doveva preoccuparsi, pensò Rin, c'erano fiori per tutti nei campi.
-C-cosa?! Ma cosa hai capito, piccola mocciosa...e stai ferma! Mi fai girare la testa!-

-Rin.- Sesshomaru si palesò alla loro vista.
Era altissimo in confronto ai due, bianco e impassibile.
-Padrone!- saltò Jaken sul posto, inchinandosi e ordinando a Rin di fare lo stesso.
-Rin- ripeté – Non voglio che esci. Puoi raccogliere i fiori nel giardino interno- aggiungendo, annoiato – se per te è così indispensabile.-
Jaken balbettò scioccato – M-ma Signor Sesshomaru... il giardino..il giardino... il mio... io...-
Sesshomaru lo perforò con un'occhiata truce.
-Il tuo, cosa?-
Un verso strozzato si impigliò nella gola di Jaken.
-Ripulisci questo macello.- disse, mentre si accingeva a scendere le assi bianche che dividevano il soppalco dall'erba, diretto all'ombra dei rigogliosi alberi che come tetti naturali riparavano la terra dalla calura estiva.

Jaken era ancora paralizzato quando Rin batté le mani entusiasta.



Quella stessa sera si presentò un ospite inatteso.
Sesshomaru percepì la sua aurea solcare il cielo molto prima di trovarselo davanti alla sua porta, in tutta la sua magnificenza.
La cosa non lo stupì, aveva ignorato ogni tipo di contatto con suo padre 
e sapeva che era solo questione di tempo prima che si presentasse richiedendo attenzione.

Un'attenzione che lui non era disposto a concedere.
Sentì Jaken esclamare, onorato, tutta una serie di convenevoli che lo nausearono.
Era così schifosamente servizievole che non si stupì di vederlo varcare la soglia dell'enorme finestra con al seguito Toga, che divertito lo guardava inchinarsi ad ogni suo passo.
-Sesshomaru.-
-Padre.-
Fu un attimo. Toga fermò i suoi passi a metà strada, gli occhi brillanti catturati da un'ombra alla sua sinistra. Con enorme sorpresa ciò che vide lo lasciò per un momento senza parole, il viso leggermente inclinato e le mani intrecciate dietro la schiena, in attesa .
In mezzo alle bellissime calendule una bambina stava intrecciando con attenzione una corolla di margherite. Rin, sentendosi osservata, si voltò e si interruppe nell'atto di attorcigliare un filo d'erba nella corona di fiorellini che aveva raccolto.
C'era curiosità negli occhi di entrambi; una curiosità che nella mente di Sesshomaru non doveva esistere.
-Rin, vai dentro.- disse allora, stizzito, Sesshomaru.
La bambina si volse verso di lui e con una serietà troppo amara per il suo fresco volto inchinò il capo verso entrambi. -Certo, Signor Sesshomaru.-
Quando i due demoni rimasero soli, cadde un silenzio pieno di parole non dette.
Il primo a spezzarlo, come sempre del resto, fu Toga.
-Cosa significa?-
-Cosa significa cosa, Padre?- rispose, riprendendo un tono annoiato.
-Hai intenzione di farle del male?- sparò Toga, meglio iniziare dalla possibilità peggiore.
Sesshomaru incurvò, pigro, il labbro superiore, sprezzante.
-Forse-
-Sesshomaru.- lo ammonì Toga, non aveva intenzione di giocare.
-Ditemi perché siete qui e andatevene.- riprese Sesshomaru.
-Tu sai perché sono qui. Lo sai, ma ti neghi. Neghi volontariamente la tua presenza e in circostanza normali ti farei continuare a giocare al piccolo Principe, ma queste non sono circostanze normali. Ho bisogno di te al mio fianco, ho bisogno di mio figlio.-
-Hai già un figlio che ti segue come il cane bastardo che è. Io non sono come lui.-
-Questa guerra ci distruggerà, il tuo orgoglio... - si fermò, mordendosi la lingua. Doveva scegliere accuratamente le parole se voleva la sua collaborazione.
-Le Pantere non si fermeranno, ho bisogno di te Sesshomaru. Se non vuoi seguirmi come figlio, mi seguirai perché sono il tuo Generale. E tu devi ancora la tua lealtà a me in guerra.-
-Non siamo in guerra.- rispose contrariato Lui, -Pensi davvero che qualcuno possa osare attaccarci?-
-Non si tratta solo del nostro Clan, abbiamo un dovere...dobbiamo proteggere... Tu ti rifiuti di vedere...- fu interrotto seccamente.
-Io, Sesshomaru, non ho niente da dover proteggere. Tanto meno mi interessa di una manciata di umani.-

Toga sentì l'indifferenza di suo figlio colpirlo in pieno.
Quelle aspre parole erano uscite dalla bocca di Sesshomaru con noncuranza micidiale, calcolata. Mostravano, serene, una spietata verità: a Lui non importava.
Toga inspirò profondamente, doveva riprendere fiato. Non avrebbe raggiunto niente continuando su quella strada, era chiaro. E allora decise di cambiare leva.
-Il potere Sesshomaru, fallo per quello. Ho vissuto molto più di te e so che se non ci mostreremo uniti la guerra sarà inevitabile, e non volgerà a nostro favore.-
Sesshomaru guardò il cielo terso della sera, linee rosee tinte d'arancio e d'oro si mescolavano con il blu della notte che sarebbe calata su di loro, celando tutte le ombre. Presto sarebbe scesa a rinfrescare la pelle d'alabastro del demone dalla calura del sole d'agosto. Aspettava, la pazienza dopotutto è in dote a coloro che nascono nel segno dell'immortalità.
-Sesshomaru. Ci sarai?-
Non rispose, non ancora.
-Concedimi solo un giorno, hai la mia parola che la tua quiete non verrà più interrotta.
Non da me.-
Non gli sfuggì il modo in cui calcò su alcune parole, ma non gli importava.
Aveva ottenuto ciò che desiderava. Come sempre dopotutto.
-Verrò.-



***


L'edera ha la capacità di adattarsi e crescere forte. Impara a non abbandonare il suo percorso, perché imperterrita attecchisce, fino a ricoprire ogni centimetro di pietra dura.
La avvolge e talvolta, persino, la sostiene.
Se si osserva con più attenzione si potrà notare tuttavia che questi due elementi, così diversi, ma reciprocamente dipendenti, si sorreggono a vicenda.
Oltre ogni considerazione materiale si potrebbe dire, ragionevolmente, che si abbelliscono.
Un muro di pietra, per quanto forte e splendido ai raggi del sole, ed impenetrabile alla luce lunare, una volta ricoperto di edera si ammorbidisce.
E la folta pianta verde non è più un groviglio indistinto di rametti, ma si snoda sulla dura roccia cercando di crescere sempre di più, stiracchiandosi a tratti timida, a tratti sfrontata, ricordando, in un modo o nell'altro, che lei è lì, rigogliosa. Lo sarà finché esisterà il muro.



Dopo quella sera nessuno turbò la pace di quel luogo ameno, nessuno si era più presentato alla magnifica porta per richiedere un colloquio con Il Demone che risiedeva al suo interno. Quella solitudine era guadagnata; o così credeva, perché di solitudine in quel luogo un tempo silenzioso non ve n'era più. Rin canticchiava tutto il giorno e rideva, rideva di gusto alla disapprovazione dipinta sul vecchio viso di Jaken.
Ma anche il riso solare e il chiacchiericcio incessante sarebbe scomparso.
Pensavano che l'avrebbe divorata? Lui non era tipo da simili barbarie. L'avrebbe riportata in città e lì...beh, l'avrebbe lasciata. Fine della questione.
Eppure quando ottobre si affacciò, rimandò la fine inevitabile a dopo l'inverno;
perché, si disse, a quel punto il merito di sopravvivere sarebbe stato solo suo, altrimenti sarebbe morta per la stessa incapacità.
Eppure, una volta che l'abitudine incomincia a rivestire, come un velo, la quotidianità di piccoli gesti, diventa difficile scoprirsi; comoda si insinua dolcemente e senza fretta, fino a che un giorno, per caso, l'unica nota riguarda l'inaccettabilità di abbandonarla, ritornando ad un prima che, ora, non ha più forma.

L'autunno portò con sé l'atmosfera lattiginosa tipica della stagione.
Il grigiore avvolgeva le campagne, creando una bolla così sfumata da far deprimere chiunque. Il giorno dell'accordo arrivò più velocemente di quanto si aspettasse e con al seguito Jaken, tremendamente preoccupato di lasciare Rin, si chiuse la porta alle spalle, dando solo un'occhiata veloce alla bambina dietro di sé.
Rin era davvero dispiaciuta di dover rimanere da sola, era la prima volta dopo mesi e questo un po' la intimoriva. Tuttavia provava un confortante calore al pensiero che non le sarebbe successo nulla di male e che nonostante Sesshomaru e Jaken fossero andati in un posto a lei sconosciuto, lasciandola indietro, poteva considerarsi al sicuro.
Ma cosa avrebbe fatto per un giorno intero senza nessuno intorno?
Sembrava così lontano il tempo in cui si intratteneva da sola.
Il cielo ricoperto di nubi sopra di lei le opprimeva il cuore, ma la sensazione sparì in fretta quando si rese conto che era molto più divertente rincorrere con gli occhi vispi le nuvole nel cielo; le quali spinte dal vento formavano forme buffe e fantasiose.
Si ritrovò in un giaciglio bruno e caramello, cullata dal sibilo delle fronde degli alberi e dal crepitio delle foglie secche che stanche cadevano al suolo. Piantata sul terreno freddo con la commozione di stare bene, di non doversi nascondere ad ogni rumore, la soddisfazione di essersi guadagnata un piccolo, minuscolo, posto in quella casa, sotto gli occhi ambrati del Demone e il desiderio di voler rimanere lì per sempre.
Dopotutto, forse, anche lei avrebbe potuto nascondersi dal mondo.


Ma quando, nell'ombra della sera, saltellando lungo il ruscello poco lontano da casa, alla ricerca di pietre per la sua piccola collezione, si ritrovò davanti tre demoni, capì che la spensieratezza del giorno concluso non sarebbe durata.

Scioccamente era uscita dalla dimora che non poteva, non doveva, essere violata.
Era un'umana, un cucciolo d'uomo, che correva a perdifiato verso la casa di un Signore dei Demoni che, da secoli, odiava la specie umana.
Quale migliore occasione? Quale miglior rivendicazione di potere?
Un'incursione nella tana del Principe dei demoni, quale spavalderia degna di essere chiamata tale.

Rin correva, correva a perdifiato verso l'unico posto che l'avrebbe protetta, nella mente solo il riflesso argentato del Signor Sesshomaru. Alla sua enorme postura, alle sue braccia che sicuramente l'avrebbero salvata ancora una volta; a Jaken che l'avrebbe sicuramente rimproverata di aver lasciato la dimora senza permesso. Correva Rin, non attenta ai rovi, alle erbacce che le graffiavano gambe e braccia. Braccata da demoni che la chiamavano, la incitavano a correre più forte, promettendole che l'avrebbero presa.
Perché niente era più inebriante della caccia.
Si fiondò nel porticato, aprendo l'enorme porta di legno e chiudendosela alle spalle.
Se chiudeva la porta nessun poteva entrare, doveva solo chiudere.
Ma non c'era chiavistello, perché Nessuno aveva mai deturpato quel luogo.
Nessuno era mai arrivato a tanto.
La mente di un bambino può rivelarsi così semplice e ingenua:
le porte sono mura invalicabili, ostacoli insuperabile per la maggior parte degli esseri viventi. Poteva essere percossa ma non avrebbe ceduto, poiché era una porta chiusa.
E lei era in casa, una casa che era sempre stata sicura.
Si rifugiò nel salotto, nascondendosi e rannicchiandosi come poté sotto al tavolino.
Pensava solo al Signor Sesshomaru, solo a Lui. Sarebbe arrivato, sapeva che sarebbe arrivato.
Finché un tonfo assordante e miagolii malevoli la raggiunsero.
Poi fu solo buio.





La macchina ebbe uno scossone, la strada non era una passeggiata, soprattutto con un veicolo di città. Il borbottio di Jaken si perse nel silenzio teso che impregnava l'aria 
di quel cubo di metallo. Inuyasha, di fianco a suo padre, era ingobbito e imbronciato per quel contrattempo. Toga aveva insistito che tutti lasciassero insieme la cerimonia, perché la politica è formalità così come lo è l'arte della diplomazia. E perciò si erano ritrovati tutti e tre vicini, in uno spazio fin troppo piccolo per contenere le loro personalità. Sesshomaru non guardava in faccia nessuno, aveva gli occhi affilati rivolti verso il finestrino, cercando di respirare il meno possibile. Pareva una statua.
Ancora pochi minuti e sarebbe stato libero. Appena la macchina fermò la sua corsa Jaken scese velocemente ad aprire la portiera al suo Signore, il quale, fulmineo, scesa dal veicolo.
Quando si ritrovò a terra rilassò le spalle, respirando voracemente; percepì qualcosa di strano nell'aria, il puzzo del bastardo dietro di lui gli aveva offuscato la mente e non riuscì a collegare immediatamente una serie di dettagli inconsueti. Nessuna luce, nessun rumore nelle tenebre notturne; sembrava come se la natura avesse trattenuto il respiro, irrequieta.
Sotto la superficie si agitava qualcosa, ma cosa esattamente? 
Un secondo più tardi si rese conto che al posto del prezioso legno che divideva il suo uscio dal mondo, vi era una voragine. Un buco nero pronto a risucchiarlo nella peggiore delle illusioni. Un brivido gelato gli corse lungo la schiena.

-Sesshomaru.- la voce di Inuyasha si fece largo nella sua inquietudine.
Lo guardò dall'alto in basso. Il bastardo, più basso di una quindicina di centimetri, era sceso dalla macchina annusando l'aria. Le orride orecchie da cane, guizzanti sulla testa, piegate nello captare aure sgradite.
Sentire il nome di Sesshomaru pronunciato dal suo secondogenito insospettì Toga che, in un attimo, prese posto al suo fianco.
-Padrone...- incominciò Jaken.
-C'è stato qualcuno qui.- continuò Inuyasha.
-Tieni le tue sciocche considerazioni per ...- Non finì la frase che un pensiero ancora più raccapricciante delle orecchie del fratellastro si fece strada in lui. Rin.
Si era dimenticato di lei. La sua immagine non l'aveva sfiorato per tutto il giorno.
Ora, invece, la voragine buia davanti a lui gli mostrò il viso limpido di lei, sdraiata con le mani verso il soffitto e un sorriso stupido sull'angolo della bocca.
Camminò verso l'uscio e passo dopo passo sentì l'animo infiammarsi di collera perché davvero qualcuno aveva osato entrare, profanando la sua casa.
Con passo marziale percorse il sentiero lasciato da terra e sangue; dietro di lui Inuyasha, guardingo, adocchiava suo padre che, nel frattempo, perlustrava con attenzione le vicinanze della dimora. Quando un gracchiante stridulo arrivò alle loro orecchie canine varcarono anch'essi le soglie aperte di quel luogo.
Nel salotto spoglio il buio della notte aveva lasciato il posto a flebili luci che il piccolo Kappa aveva accesso. C'era odore di sangue era fresco, stagnante; segno che poco tempo era passato dall'accaduto, ma abbastanza da far trasudare le pareti di un disgustoso sentore ferroso. I pochi arredi che adornavano la stanza erano rovesciati, fuori posto.
Solo un piccolo essere si rivelò, ai loro occhi, dannatamente composto. Una bambina.
Il capo sotto ad un tavolino, i capelli folti e neri ad incorniciare il viso riverso sul parquet scuro, le braccia abbandonate lungo il corpicino con le vesti stropicciate e umide.
La vita le era scivolata tra le dita dei pungi chiusi, come in un disperato tentativo di aggrapparsi ad essa.
Jaken si affrettò verso Rin sporgendo le zampe squamante per agguantarle gambe e trascinarla via da quel mezzo nascondiglio, dove forse si era rintanata per sfuggire alle sevizie dei demoni. Puntò le zampe e con forza tirò a fatica, la rigidità della membra della bambina rendevano difficile ogni movimento.
-Padron Sesshomaru.- chiamò annaspando Jaken.
Quando si volse verso di Lui scorse la mascella rudemente serrata, gli occhi sbarrati che ripercorrevano il copro della bambina, la lunga chioma elettrica sulla spalle.
Toga e Inuyasha poco distanti, erano in attesa di una tempesta che, sapevano, presto avrebbe raso al suolo ogni cosa. Fino a pochi istanti prima avevano percepito lo sfrigolio dell'aura demoniaca scalpitare, ribollire feroce sotto il controllo apparente del Demone. Poi, più niente.
La vista di quella scena aveva spento ogni cosa, l'aveva sedata e confusa.
Come il mare che si ritira su se stesso per infrangersi con più violenza lungo le coste, così Sesshomaru sentì il suo corpo trattenersi, per poi liberare un ruggito feroce.
E mentre Jaken sobbalzò spaventato, inaspettatamente l'unica cosa che uscì dalla sua bocca digrignata fu l'ordine più impossibile mai dato.

-Devi salvarla.- comandò. I presenti trattennero il fiato. Due di loro aggrottarono le sopracciglia incapaci di comprendere il significato di quelle due parole.
La terza figura, l'indirizzato di quell'ordine, si fece avanti.
L'espressione corrucciata incrociava folte sopracciglia solitamente distese
-Sesshomaru, non penso che...-
-Fallo!- Abbaiò furioso.

Sesshomaru sbarrò ancora di più gli occhi, quelle parole gli avevano tolto il poco fiato che gli rimaneva in corpo. Si stava forse rifiutando?
Vedeva rosso, e poi nero, e poi vedeva lei riversa sul pavimento in una pozza di sangue.
La sua mente correva così veloce che non riusciva a raccogliere i pensieri. Le tempie gli pulsavano per lo sforza di concentrarsi, era fermo ma stava precipitando.
Sputò risentito – E' colpa tua. E' colpa di quella dannata femmina.-
-Non sai quello che dici.-
-Taci. Non ti perdonerò mai per questo. Nulla, nulla vale come la vita di questa bambina.-
Toga ammutolì a quelle parole, cosa si agitava nell'animo di suo figlio?
Era così costernato che non si accorse del movimento che, secco, gli strappò irruente la spada legata al fianco.
Tenseiga vibrò mentre Sesshomaru la brandiva con forza; era sempre stato in grado di usare un'arma. Prima ancora delle spade, erano le sue mani, le sue unghie acuminate e velenose a sconfiggere i suoi avversari. La sua sola prestanza fisica era un'arma letale per coloro che osavano interporsi sul suo cammino.
Ma in quel momento, con la zanna di suo padre stretta nel palmo della mano, non seppe cosa fare. Per la prima volta si sentì incapace, per la prima volta la sua mano lo tradiva.
In quel momento realizzò che Tenseiga non era solo una lama, e lui non poteva niente, perché forse era l'essere più inadeguato a brandirla.
Fu forse quel turbamento a smuovere la spada centenaria, nonostante tutto piegata agli animi dei suoi padroni. Tenseiga splendette di una luce iridescente aprendo un varco sconosciuto: orridi demoni dell'oltretomba si rivelarono ghiotti e ammassati sul corpo della piccola.
Nessuno oltre Sesshomaru poteva vederli, perché il sentore della morte si percepiva, ma a nessuno era concesso di comprenderla, di respingerla. Solo lui fu in grado di tagliare di netto il corpo degli inferi che si dissolsero come nebbia bagnata dal sole.
Buttò la spada per terra, bruciato da quel potere che aveva sempre disgustato, e si inginocchiò a lato di Rin tra la diffidenza di Inuyasha e la continua incredulità di Toga.
Lo stesso Jaken non aveva mai assistito ad una scena del genere.
Il Demone sollevò con attenzione la testa di Rin, spostandole con gentilezza i folti capelli bruni dal viso e fermando la sua mano bianca sulla guancia fredda di lei, in attesa.
Finché il suono flebile di un giovane cuore incominciò a pulsare nelle sue orecchie, rimbombando per tutta la stanza.
Rin aprì con lentezza gli occhioni ancora appannati dalla morte.
Accorgendosi di essere tra le braccia del Demone, confusa, portò la sua mano sul volto di lui, tra le pieghe di una fronte che mai aveva visto aggrottata.
Lo stordimento durò poco perché le immagini delle percosse subite la fecero rabbrividire dal terrore. Spaventata rotolò via, ritraendosi con una velocità impressionante.
Si guardò intorno spaesata, gattonando fino a rannicchiarsi in un angolo della camera; la testa fra le gambe sporche e ferite. Le guance pallide ripresero subito colore quando calde lacrime cominciarono a bagnarle il volto, gocciolando sul pavimento scuro.
Singhiozzava di dolore.
In sottofondo piccoli uccellini incominciarono a chiamarsi cinguettanti, ricorrendosi nel cielo chiaro del primissimo mattino; l'inizio del nuovo giorno, con quei suoni gioiosi stonarono come una nota sbagliata in quella bolla di lacrime e singhiozzi.
Sesshomaru rimase freddato da quella reazione. Cosa si aspettava?

Si alzò e avanzò verso il rifugio improvvisato, ma Rin si premette contro la parete alle sue spalle picchiando la testa sul muro e iniziando a piangere, a tremare, se possibile, ancora più forte. Non riusciva a fermarsi perché emozioni e paure troppo grandi si stavano dando battaglia nel suo petto, troppo piccolo per contenerle tutte.
Questo Sesshomaru non lo capì, non era in grado di comprenderlo.
-Rin- la chiamò.
-Rin.- Ripeté. Pronunciò il suo nome per richiamarla all'ordine, un monito che lei aveva sempre rispettato.
Perché piangeva? Perché non lo ringraziava per ciò che aveva fatto? Cosa si aspettava?
L'aveva salvata, di nuovo. Dov'era la sua gratitudine, il suo sguardo rapito che sognante lo rincorreva nello spazio, e che lui avrebbe dovuto scacciare come una mosca fastidiosa?
Dove si erano nascoste le attenzioni che gli aveva riservato sperando di carpirlo?
Fu solo allora che Toga decise, finalmente, di intervenire e facendosi avanti, afferrò con forza la spalla del figlio, scuotendola.
-E' terrorizzata Sesshomaru.-. Verità banale.
E' terrorizzata. Ripeté nella sua mente Sesshomaru.
L'irritante consapevolezza di aver perso qualcosa che non sapeva di poter perdere, quello era l'unico terrore da contemplare. Un errore che gli era costato caro. Cosa si aspettava?

Per lunghi secondi nessuno osò fiatare, fino a quando lui stesso, con un soffio disse:
-Portatela 
via.-

Tentennante, Inuyasha si avvicinò -C-cosa?-
-Ho detto: Portatela via!- ripeté alterato e rivolgendosi verso l'uscita abbandonò ogni cosa. Toga squadrò il posto vuoto che Sesshomaru aveva lasciato e scambiando un'occhiata di veloce intensa con Inuyasha disse:
-Chiama Kagome.-
-Certo papà.. ma dove la portiamo?-
Toga sospirò guardando la bambina e, mentre Jaken, a debita distanza, osservava un po' lei un po' la porta dove era scomparso il suo padrone, incapace di fare niente, risoluto dichiarò: -In un posto in cui potrà ricominciare a vivere.-




***

Atterrò sull'erba e con cautela si diresse verso la figura che si stagliava sul precipizio spoglio e arido. Le montagne erano un ottimo nascondiglio per celarsi ad ospiti inattesi; poco tuttavia erano in grado di fare quando un Demone come Sesshomaru decideva di scovare le sue prede. Il cacciatore più temibile è quello in cerca di vendetta e di certo, non poteva esserci scampo da Lui.
-Li hai uccisi. Tutti.-
-Si.-
-Ascoltami...-
-Hanno segnato la loro fine nel momento stesso in cui le loro sudice zampe hanno sconfinato nel mio territorio, padre.-
Toga scosse la testa –Non sono venuto per...- riprovò.
-Sono rientrato in affari, dovresti essere contento.-








NdA
Ciao a tutti! Questa è un AU nata senza pretese mesi fa e che solo stasera ho in parte concluso (Grazie Mirea per i tuoi magnifici consigli e il costante supporto , ti adoro).
Dico 'in parte' perché, ebbene si, la storia potrebbe avere un altro capitolo ambientato anni, anni, anni dopo :)
Per ora è solo nella mia mente -malata- (dettagli ahah), ma sono fiduciosa >.<
Spero che questa prima parte vi tenga compagnia
Nimue







 

   
 
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