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Autore: Mary P_Stark    30/06/2021    2 recensioni
Il piccolo paese di Nederland, Colorado, viene stravolto dalla notizia di un rapimento incomprensibile ed Emily Poitier, fotografa e scrittrice presso una piccola casa editrice della zona, è suo malgrado costretta a rivivere ciò che, vent'anni addietro, accadde a lei.
Sarà grazie all'aiuto dei suoi amici e di Anthony, sua vecchia fiamma, se riuscirà a non impazzire a causa dei ricordi, aiutando così a scoprire chi si cela dietro al rapimento e a recuperare, una volta per tutte, la serenità tanto cercata.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1.

 

 

 

Giugno 1993 – Monti Adirondack

 

Le facevano male i piedi, ma doveva correre. Non aveva altra scelta.

I cattivi potevano essere dietro di lei. Era davvero necessario che lei corresse. Più forte che poteva.

Sentiva il cuore batterle all'impazzata. Nelle orecchie, nel petto, nei piedini stanchi come sulle dita ferite dai cespugli che, frenetica, scostava man mano che avanzava e che le graffiavano anche il viso, ma non importava.

Doveva correre.

Un latrato. Due. Infine tre. Sempre più forti, sempre più vicini.

Lacrime calde e salate cominciarono a scorrerle copiose sul viso quando una serie infinita e bellissima di sommessi uggiolii la raggiunse, insieme a lingue bagnate e tartufi umidi.

Crollò perciò a terra stremata, piena di graffi brucianti e contusioni un po’ ovunque ma fu felice di tutto ciò, perché sapeva di essere libera, di essere viva.

Quando una lama di luce le ferì gli occhi, quindi, non se ne spiacque.

Era salva.

Non doveva più correre.

***

Maggio 2015 – Nederland (Colorado)

 

Il risveglio, come sempre, fu pessimo.

Ma di che si stupiva, ormai?

Erano decenni che non dormiva un sonno decente, decenni che si risvegliava ansimante nel suo letto, le coltri bagnate come il viso, il respiro azzerato e le mani strette a pugno.

Gli psicologi erano stati carini con lei, persino premurosi e, per anni, l’avevano avuta in cura perché superasse quella brutta esperienza. Col procedere del tempo, avevano seguito procedure diverse in base alla sua età, strategie sempre nuove per uccidere i cattivi nella sua mente.

Divenuta adulta, i cattivi si erano nascosti, si erano fatti più furbi ed era rimasta, sopra a qualsiasi altra cosa, la paura. Strafarsi di lorazepan, comunque, non le era sembrato il modo migliore per sopravvivere agli incubi e agli attacchi di panico improvvisi.

Anche se, per un po', aveva tentato anche quella carta.

Quando, però, si era resa conto di quanto interferisse con i suoi studi e la sua già esigua vita sociale, aveva preso la scatola dei farmaci e l'aveva gettata nel cestino della sua camera da letto.

Insieme alle sue ultime sicurezze.

Gli incubi erano tornati con forza, ferendola, mordendola, facendola letteralmente scappare dal Campus della Columbia University per rifugiarsi nelle più sicure – pur se non amate – stanze di casa sua, a New York.

Non le era mai piaciuto abitare lì, troppo vicina al padre, troppo vicina ai ricordi. L'alternativa, in ogni caso, le era parsa così tremenda da farle preferire quel piccolo prezzo da pagare, rispetto al grande incubo giornaliero che aveva vissuto al Campus, dopo la rinuncia ai farmaci e l’abbandono di Sherry.

Sherry Kerringhton, la sua unica, vera amica, era stata la sua salvezza per due semestri ma, resasi conto di non avere niente a che fare con quegli studi, si era trasferita in altro loco. Naturalmente, complice il suo carattere protettivo, era rimasta sempre in contatto con lei, ma la distanza aveva congiurato contro il suo sistema difensivo, distruggendola.

Aveva quindi mandato giù l’ennesimo boccone amaro, terminato gli studi in giornalismo con il massimo dei voti e spedito fior di curricula per entrare nelle migliori testate del Paese, ma era stata una casa editrice quasi sconosciuta ad attirarla.

E una fotografia.

La prima volta che l’aveva vista, si era trovata nello studio del suo ultimo psicologo. In una bella rivista patinata dedicata ai viaggi on-the-road, Emily si era persa in contemplazione di un lago, di alture impervie, di un luogo a lei estraneo e disperso nel nulla.

Lontano da tutto.

Nel giro di un mese o poco più, aveva accettato l'impiego in una piccola casa editrice di Boulder, Colorado – impegnata nella stampa di guide turistiche, libri fotografici e quant'altro – e aveva cercato casa a Nederland.

Non certo i Paesi Bassi europei, bensì un piccolo abitato di millecinquecento anime in Colorado, sulle sponde del lago Barker, un bacino artificiale creato in pieno territorio indiano.

Grazie ai buoni ufficio di zio Harry, il fratello della madre, aveva trovato una società di costruzioni di Denver specializzata nelle ristrutturazioni e, dopo aver accettato il loro preventivo, aveva fatto iniziare i lavori di ripristino di un vecchio casolare.

La notizia aveva ovviamente scioccato la sua famiglia, in particolar modo sua madre, ma nessuno aveva tentato di fermarla.

Jamie – suo fratello minore – le aveva invece augurato tutta la fortuna del mondo, regalandole una cucciola di berner sennenhund dal pelo nero, bianco e marrone.

Emily l’aveva amata al primo sguardo.

Sherry, che nel frattempo si era data al non facile lavoro di cacciatrice di taglie, si era presa l’incarico di rendere la sua nuova casa il più sicuro ed efficiente possibile e, assieme a lei, era partita per Nederland per sovrintendere i lavori.

Nei quasi sei mesi che erano serviti per sistemare ogni cosa, Emily aveva fatto la spola dall’albergo in cui aveva preso in affitto una stanza al cantiere della sua nuova casa e, ogni notte, aveva tentato di cacciare i demoni dalla sua mente.

Non era stato per niente facile abituarsi a quei silenzi, alle occhiate curiose della gente, alle mille domande sul suo trasferimento e sulla sua vita precedente, ma aveva desiderato con tutto il cuore riuscire in quell’impresa.

Alla fine, comunque, era venuta a patti anche con quel suo essere ‘la tipa nuova’, costruendosi una sua posizione sociale all'interno di una cittadina poco abituata ai cambiamenti.

Lo sceriffo l'aveva riconosciuta quasi subito e si era offerto di aiutarla ad ambientarsi, paterno come nessuno era mai stato nella sua giovane vita e protettivo non meno di Jamie, il suo dolce e amato fratello.

Michael, o Mike, come preferiva essere chiamato – e non certo sceriffo Meyerson – l'aveva aiutata a familiarizzare col luogo, a presentarle le persone giuste... ad avere un po' meno paura della propria ombra.

Si era persino recato al poligono di tiro con lei, ogni tanto, giusto per tenersi un po' in allenamento e, al tempo stesso, per rendersi conto della sua bravura con la pistola che deteneva regolarmente.

Quel cambiamento così radicale, però, aveva soltanto raggirato gli incubi, mutandoli in qualcosa di più viscido e meno diretto. Quando il periodo del rapimento si avvicinava, infatti, il suo umore peggiorava ogni volta, e non era dato sapere come si sarebbe risolto.

Senza soluzione di continuità, la colpiva al fianco e sempre in modo diverso, da una diversa angolazione, così da non concederle mai una difesa adeguata.

Sarebbe mai guarita da quelle paure?

Era migliorata, ma non abbastanza.

Con gli occhi pesti e il respiro nuovamente sotto controllo, scacciò quei pensieri, guardò torva la sveglia – segnava le cinque e ventisei – e, biascicando un'imprecazione, tolse la suoneria per poi alzarsi.

Non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, a quel punto.

In un angolo della sua stanza, spaparanzata sul suo enorme cuscino-cuccia a forma di Totoro1, Cleopatra levò il musone enorme e uggiolò al suo indirizzo.

“Buongiorno, Cleo.”

Subito, il bovaro bernese si levò dal suo cuscino e trotterellò allegro e fedele accanto alla sua padrona, che lo carezzò sulla testa e la possente schiena pelosa prima di infilarsi in bagno.

Come se questo avesse dato il via alla giornata, Cleo scese al pian terreno, uscì dalla sua botola – motorizzata, e azionabile solo con la zampa di Cleopatra – per raggiungere il giardino e, dopo aver fatto i propri bisogni, tornò in casa.

Lì, si accoccolò accanto alle ciotole del cibo e aspettò fiduciosa l'arrivo di Emily, che sarebbe giunta nei minuti successivi, come sempre.

Tutto era scandito dalla puntualità, dalla regolarità, dall'abitudine, e questo dava sufficienti sicurezze a Emily per permetterle di non impazzire, di non scorgere mostri a ogni suo passo.

Dopo cinque minuti netti, passati soprattutto a lavarsi la faccia per svegliarsi, la padrona di casa raggiunse infine la cucina, estrasse il sacchetto delle crocchette per riempire la ciotola a Cleo, dopodiché si occupò dell'acqua.

La routine quotidiana era la sua salvezza dai pensieri molesti, lo sapeva bene.

A volte, però, avrebbe voluto rimanere a letto a poltrire fino alle dieci del mattino, oppure ubriacarsi senza avere il terrore del 'dopo'.

Forse ci sarebbe arrivata, un giorno.

Dopotutto, aveva solo trent’anni e una vita davanti.

Non doveva darsi per vinta solo perché, fino a quel momento, non aveva mai preso una sbronza in vita sua, o fatto qualcosa al di fuori della propria routine quotidiana.

La terrorizzava non avere il controllo sulla propria vita e, peggio ancora, sul proprio corpo.

Ubriacarsi le avrebbe negato quel conforto primario, e sapeva bene di non poterselo ancora permettere.

Lasciarsi andare alle prime sbandate, durante il periodo collegiale, e scoprire in qualche modo l’argomento ‘sesso’, era stato traumatico, per lei. Non era mai riuscita a portare a termine nessun tipo di rapporto e, le poche volte che aveva tentato un approccio più serio, era poi scappata a gambe levate, facendo infuriare il suo ragazzo di turno.

Quando, poi, aveva davvero desiderato aprirsi, dare tutta se stessa a qualcuno, era sbarellata di brutto, apparendo in tutto e per tutto una pazza e, al malcapitato, non era rimasto altro che darsi per vinto.

Non doveva essere stato bello svegliarsi, nel bel mezzo della notte, con una ragazza nel letto che urlava e strepitava come se la stessero sgozzando.

Figurarsi prendersi una sbronza colossale, eliminare la realtà per l’irrealtà, le certezze per le insicurezze del risveglio.

No, meglio evitarlo, almeno per il momento.

Si scaldò quindi del caffè, molto più nelle sue corde, accompagnandolo con pancakes fumanti e sciroppo d'acero.

Mentre il sole sorgeva anche in quell'angolo di paradiso, illuminando le acque cristalline del lago Barker – che lei poteva scorgere dalle finestre di casa – decise cosa avrebbe fatto quel giorno.

Si sarebbe dedicata alla fotografia, così da iniziare il suo nuovo libro illustrato sulle montagne del Colorado.

Per quella prima settimana di lavori, avrebbe dedicato tempo e lavoro alla zona nei pressi di Nederland, dopodiché avrebbe allargato il tiro.

Sperando, nel contempo, di imbattersi in qualche fotogramma da urlo.

Quando la pendola in cucina segnò le sette, Emily batté una mano sulla coscia per richiamare a sé Cleopatra e, assieme, uscirono di casa per avviarsi verso la rimessa.

Lì, caricarono il necessario per le escursioni sul comodo pick-up che Emily aveva acquistato direttamente a Nederland e, con un sorriso sulle labbra, partì alla volta di una nuova giornata assieme al suo fido cane.

***

Le rilevazioni stratimetriche non erano il suo dio, onestamente, ma ci si pagavano le bollette e, in attesa di poter appendere 'la pala al chiodo', come diceva sempre lui, andava bene anche così.

La Silver & Gold Consolidated – appaltando i lavori all’impresa edile in cui lavorava come geologo – lo aveva mandato a Nederland per scoprire l’eventuale fruibilità delle vecchie miniere del Colorado.

Poiché pagavano fior di bigliettoni, per farlo, il suo avido capo lo aveva inviato lì subito, con la garanzia che ditta appaltatrice gli avrebbe fatto trovare un degno appartamento in cui soggiornare durante i lavori.

Avviare uno studio privato e farsi un nome non era facile, ma lui e suo fratello Rick ce la stavano mettendo tutta per mettersi in proprio e lasciare il buco di ufficio in cui venivano sfruttati come schiavi.

Tra le sue analisi del terreno e la capacità di costruire case di Rick, avrebbero messo in piedi una società di costruzioni coi fiocchi, a tempo debito, ma ci volevano pazienza, fatica e soldi.

La ditta che l'aveva spedito lì aveva staccato il primo assegno praticamente a occhi chiusi e, per i mesi che gli sarebbero serviti per completare il lavoro, il suo capo avrebbe guadagnato a sufficienza da rendere felice anche lui.

Quando avessero risparmiato abbastanza, lui e Rick avrebbero detto addio a titolari e capo uffici rompipalle e si sarebbero messi in proprio. Più nessuno avrebbe camminato sopra le loro teste come se fossero stati il pavimento di una discoteca, dettando ordini insulsi o richieste impossibili da portare avanti.

Ma ora si doveva lavorare per gli altri, e alle condizioni indicate da altri.

Non aveva neppure idea di che casa gli avessero affittato per quel lavoro – o avevano optato per un appartamento sgangherato? – ma, dopotutto, il paese di Nederland non poteva essere così grosso.

Avrebbe trovato il buco in cui dormire con il suo nome sopra, e lì avrebbe soggiornato senza alcuna difficoltà.

Il cartello all'ingresso del paese parlava di millecinquecentootto anime allegre e felici – almeno a giudicare dagli smile appiccicati sopra – quindi non avrebbe impiegato molto a trovare il posto giusto, indicato sulla e-mail inviatagli la sera precedente.

Non potevano esserci certo miriadi di viuzzole impossibili da trovare, in quell’angolo di Colorado popolato da foreste, no?

Prima di tutto, però, doveva rimpinguare le sue riserve personali, perciò... pancia mia fatti capanna!

Parker Jones rallentò perciò il pick-up fino a fermarsi dinanzi a un diner dall’aria invitante, dotato di un'ampia serie di vetrate su cui pendevano enormi tendoni rosso fuoco e la scritta, a caratteri eleganti, 'Italians do it better'.

L’uomo sorrise spontaneamente nel rammentare il vecchio commento di Madonna che, decenni addietro, aveva fatto in merito alle presunte abilità sessuali degli italiani e, nello spegnere il motore, si guardò intorno pieno di curiosità.

Che ci fosse un’italiana – o un italiano – dietro a quello slogan neppure troppo indiretto? O intendevano dire, meno maliziosamente, che la cucina di quel posto era migliore delle altre perché fatta da italiani?

Nel parcheggio dinanzi alla tavola calda, comunque, Parker notò altri mezzi e, attraverso le vetrate, poté scorgere l'andirivieni di almeno un paio di cameriere, oltre a parecchi avventori ridenti e gaudenti.

Sia come sia, sembra che la gente ci venga volentieri, pensò tra sé l’uomo, scendendo dal pick-up verde militare, che usava ormai da anni per quel genere di lavori fuori sede e, soprattutto, fuori strada.

Parker non avrebbe mai utilizzato la sua Ford Charger nera del ‘69 per quel genere di lavori. Il solo pensiero di sovraccaricare i sedili in pelle con i suoi strumenti, lo faceva rabbrividire.

Il buon profumo di pomodoro fresco e basilico, che aleggiava nei pressi della porta, strappò Parker dai pensieri sulla propria auto - che gli era quasi costata un rene - ed entrò con un gran sorriso.

La cameriera più vicina all’entrata, lesta e gentile, gli sorrise subito in risposta ed esordì con un allegro tono di contralto.

“Buongiorno, signore. Le serve un tavolo?”

“Anche uno sgabello al banco” dichiarò lui, guardandosi intorno pieno di curiosità.

Stampe di luoghi di villeggiatura italiani, un bello stucco veneziano nei toni del giallo e dell'avorio alle pareti e tanti, tanti morbidi divanetti su cui accomodarsi per pranzare.

Era un locale dalle tinte calde – dai rossi divanetti ai tavolini color ciliegia – e, a quanto pareva, dove la gente era invogliata a chiacchierare e ad alzare il tono della voce per farsi sentire.

Non c'era musica di sottofondo; nessuno l'avrebbe sentita, o apprezzata. Era il vociare caciarone della gente a fare da colonna sonora a quel luogo, all’apparenza così alla mano e familiare.

Quando Parker si accomodò al bancone, in marmo bianco e dalla superficie lievemente grezza e porosa, salutò con un cenno e un sorriso una donna che stava servendo della birra a un altro avventore.

Più vicina ai sessanta che ai cinquanta, la mora signora in carne replicò al saluto prima di avvicinarsi e dire: “Faccia nuova, direi. Io sono Gilda Mattei, la padrona della baracca. Cosa ti posso offrire, straniero?”

Parker sorrise spontaneamente di fronte a quel viso così gioviale e, data una scorsa veloce al menù plastificato che se ne stava appoggiato su un leggio proprio sul bancone, mormorò: “Direi di cominciare con una birra fresca e un piatto di maccheroni al formaggio.”

“E maccheroni siano” assentì Gilda, scribacchiando su un notes veloce come il vento prima di passare il biglietto a una delle cameriere, che sparì oltre la porta della cucina in un gran svolazzare di capelli biondi e gonnellina a balze rossa e bianca.

Messasi poi a spillare la birra richiesta, la matrona si rivolse a Parker e domandò: “Cosa ci fa un cittadino di Denver qui tra le montagne di Nederland?”

Indicandosi con ironia, Parker esalò confuso: “Si sente così tanto?”

“Per chi sa ascoltare, sì” annuì la donna, ridacchiando. “Ebbene?”

“Rilevamenti stratimetrici e carotaggi nella zona adiacente alle vecchie miniere, oltre a un controllo delle miniere stesse. Voglio controllare se c'è ancora roba buona.”

“Oh... un geologo, quindi. Privato, o in concessione?” si informò la donna, sollevando curiosa le sopracciglia nel passargli la pinta appena spillata.

Ridacchiando di quell'interesse così poco mascherato, Parker sorseggiò la birra – decisamente fresca e dissetante – e ammise: “Lavoro a cottimo per una ditta del Middle East. Ma prometto che non causerò problemi, sarò bravo con i vicini e non disturberò le figlie di nessuno.”

Gilda scoppiò a ridere di gusto, a quel commento e, nel battere una mano sul braccio dell'uomo, esalò divertita: “Credimi, ragazzo, le signorine di quassù sono toste, e non si fanno abbindolare da un belloccio di città. Neanche da uno carino e simpatico come te.”

Parker rise a sua volta, seppur più sommessamente ma, quando sentì il tintinnio della porta d'entrata – cosa che lo portò a voltarsi in preda alla curiosità –, dovette bloccarsi dalla sorpresa.

Un bel bovaro bernese fece il suo ingresso con passo ciondolante e sicuro, seguito dappresso da una donna alta e slanciata, dalla corta chioma bionda e un sorriso un po' timido ma sincero.

Ma non fu quello a colpirlo così tanto, o a sorprenderlo.

Fu la sua totale estraneità a quell'ambiente, a mandarlo letteralmente in confusione.

Certo, era vestita più o meno come gli altri, con scarponcini usurati, pantaloni da escursione e una camicia a quadri nei toni dell'azzurro, da cui spuntava una semplice T-shirt bianca e un fazzoletto rosso e blu legato al collo.

Era il suo viso a renderla diversa, distinguibile tra la massa come una creatura fuori dal tempo e dalle dimensioni. Come una rosa in un campo di margherite, o una pietra preziosa nel mezzo dell’arenile di un fiume.

Aveva un volto cesellato, quasi etereo, circondato da ciocche corte e bionde, scompigliate con eleganza, e che facevano da sfondo a profondi occhi da colomba, un misto tra il ghiaccio e l'azzurro del cielo.

La pelle, eburnea e priva di imperfezioni, era leggermente arrossata dal sole di quel giorno di primavera inoltrata, oltre che dall'aria frizzante di montagna.

La giovane salutò Gilda con un bacetto veloce sulla guancia prima di accomodarsi con naturalezza al bancone, quasi fosse un’abitudinaria, in quel posto, e su quello sgabello in particolare.

Il suo bovaro, docile e silenzioso, si accoccolò ai suoi piedi e chiuse gli occhi, tranquillo e a modo come pochi altri cani Parker aveva visto in vita sua. Persino quelli di suo padre, per quanto ben addestrati, tendevano a essere più dispettosi.

La ragazza ordinò senza guardare il menù, confermando l'ipotesi di Parker sulla sua abitudine a visitare quel diner e, quando Gilda le portò un succo di frutta all'arancia, la titolare disse: “Non sei più l'ultima arrivata, cara. Puoi fare la ruota come un pavone, adesso.”

Sobbalzando leggermente a quella notizia, la donna volse lo sguardo in direzione della persona indicata da Gilda e Parker, vistosi preso di mira, levò una mano per salutarla.

“Salve” esordì lui, studiandone le reazioni.

Il sorriso tornò a essere un po' timido pur se aperto e genuino e gli occhi, per un attimo, si distolsero dal suo volto per poi tornarvi, quasi obbligati a una prova di coraggio.

Una timida patologica? Forse.

Comunque, era davvero carina.

“Salve a te. Mi hai reso un gran servizio, sai? Mi posso togliere di dosso la targa dell'ultima arrivata” ironizzò lei, mettendo in mostra graziose fossette sulle gote e confermando così le sue supposizioni.

Quel timbro vocale, quel modo cortese di parlare e l’accento elegante, erano prove inequivocabili; non era del Colorado, ma dell’East Coast. Washington, forse, o New York.

“Rimarrò per qualche mese e basta. Vale lo stesso?” si informò allora lui.

“Sì, è valido” annuirono all'unisono sia Gilda che la donna bionda. Quest’ultima, a quel punto, mimò il gesto di togliersi di dosso qualcosa – probabilmente, il famoso e sopraccitato cartello di ultima arrivata – e, soddisfatta, finse di gettarlo via.

Questo fece ridere Parker che, spontaneamente, allungò una mano verso di lei.

“Parker Jones, lieto di conoscerti.”

“Emily Poitier. Piacere mio” replicò lei, stringendo con forza quella mano.

Carattere deciso ma un po' timido, pensò ancora lui, chiedendosi contemporaneamente perché la stesse analizzando a quel modo.

Una vocina cattiva e puntigliosa gli fece notare che Emily era una bella donna, probabilmente molto più intelligente e matura di lui, ma Parker la mise a tacere immediatamente.

Non aveva bisogno di impelagarsi con una rappresentante del gentil sesso, specialmente dopo la quasi totale disfatta subita da Janice.

Il passaggio delle unghie sulla sua schiena – e sul conto in banca – gli doleva ancora.

Suo fratello minore Quentin aveva avuto ragione da vendere, quando gli aveva dato del pazzo, non appena aveva saputo del loro matrimonio a Las Vegas. Rick, il piccolo di casa, invece, si era limitato a una scrollata di spalle e un sospiro.

Il solito, taciturno Rick. Avrebbe dovuto insospettirsi, di fronte ai suoi silenzi, invece si era lasciato guidare dalla sensualità esplosiva di Janice, e ora ne pagava – in tutti i sensi – lo scotto.

Non ci si sposa a Las Vegas con la fidanzatina del liceo. Può portare solo guai.

Il bovaro scelse quel momento per aprire gli occhi e, vedendo la padrona protesa verso una persona sconosciuta, levò il musone bicolore e scrutò il nuovo arrivato con attenzione.

Avvedendosene, Parker sorrise teso e domandò: “Devo preoccuparmi?”

“Cleopatra, lui è Parker. E' un amico. Amico” disse quieta la donna, carezzando gentilmente il cane.

“Oh, una lei.”

Sorridendo, l’uomo allungò cauto una mano perché la cagnolona gliela annusasse.

Quando si ritenne abbastanza al sicuro per una grattatina dietro le orecchie, si mosse con calma e le disse sommessamente: “Sei proprio un bel bovaro, sai, Cleopatra? Dovrei farti conoscere Roscoe… diventereste amici, mi sa.”

“Conosci la razza?” gli domandò Emily, curiosa.

Mentre i loro piatti venivano serviti, fumanti e profumati, Parker assentì.

“I miei genitori e uno dei miei fratelli minori si occupano della fattoria di famiglia, oltre che del bestiame. E, per tenere d'occhio le vacche al pascolo, usano tre bovari come la tua. Athena, Artemide e Afrodite. Roscoe, invece, è un bastardino che gli ho portato io, per riportare un po’ di equilibrio in casa. C’erano troppe donne, a sentire mio padre, e così l’ho accontentato.”

“Appassionati di A e di divinità greche?” sorrise divertita Emily, accentuando le fossette sulle gote.

Sì, era davvero carina.

“Esatto” assentì lui. “Nostra madre, in particolare. Il suo sogno più grande sarebbe quello di visitare Atene ma, come immaginerai, una fattoria porta via un sacco di tempo.”

“Credo di sì. Quanto a Roscoe, che incrocio è?” annuì Emily, addentando con passione la carbonara dai profumi inebrianti che aveva ordinato. “Mmmh. Gilda, devo dare un bacio a Scott. Stavolta, è semplicemente divina.”

“Quel ragazzo mi sbaglierà i prossimi venti piatti, se gli dai un bacio. Sai che ti muore dietro” brontolò gentilmente la donna, pur sorridendo.

“Mamma! Ti ho sentito!” sbraitò una voce maschile e assai giovane, da dietro la porta da saloon che separava la cucina dal locale.

Tutti risero di quel richiamo stizzito e imbarazzato, Parker compreso che, all’improvviso, sentì un peso sospetto contro una gamba e, curioso, abbassò lo sguardo per capire cosa fosse stato.

A sorpresa, Cleopatra si era addossata completamente alla sua gamba e ora, col musone poggiato sul suo ginocchio, lo stava osservando in rapita ammirazione.

Sorpreso, Parker attirò l’attenzione di Emily ed esalò: “Che le prende?”

Emily, a quel punto, sorrise divertita e sì, sorpresa, prima di dire: “Pare che tu le piaccia. Deve essere stata la risata. Cleo ama sentir ridere le persone e, se il suono le piace, fa così.”

Del tutto conquistato dalla cagnolona, Parker allora si piegò fino a darle un bacio sul naso, mormorando: “Anche tu mi piaci tanto, Cleo.”

Emily osservò l’intera scena con espressione sbalordita e Gilda, nello scrutare il tutto da dietro il banco, ammiccò al suo indirizzo come a dire ‘però!’.

“Si vede che sei abituato ad avere dei cani, e ad apprezzarli. E’ raro che Cleo si esponga così tanto” chiosò a quel punto Emily, chiedendosi se dovesse fidarsi al pari del proprio cane di quel curioso nuovo arrivato.

“Mi piacciono molto, e si vede che i cani lo capiscono. Con Roscoe successe così. Quel bastardino è una via di mezzo tra un corgi e un bassotto, ma ha la grinta e l’autostima di un alano, e io lo adoro” commentò Parker, tornando alla sua pasta ma con il dolce peso di Cleo ancora appresso alla sua gamba.

Rivolto poi a Gilda, celiò: “Non può dare torto al ragazzo, comunque, Gilda. Come si può non essere affascinati da una così attraente ragazza?”

 “Oh, non ti ci mettere pure tu, straniero...” brontolò amabile Gilda, utilizzando quella parola, 'straniero', come se fosse stata 'caro'. “... lo so anch'io che Emily è adorabile, ma non vogliamo che la signorina qui presente si monti la testa.”

Ciò detto, diede un affettuoso buffetto con fare molto materno sulla guancia della donna, ed Emily ridacchiò imbarazzata.

A quanto pare, non c’è il pericolo che si dia delle arie, constatò Parker.

Forse, era una specie di gioco tra di loro.

Che fossero parenti?

L'entrata in scena dello sceriffo non smorzò le chiacchiere e neppure i sorrisi, a riprova di quanto fosse ben voluto dalla comunità.

Gilda gli offrì subito una birra analcolica e l'uomo, nell'accettarla, diede un grattino a Cleopatra prima di scrutare con fare indagatore il nuovo venuto.

“Non ci conosciamo, se non erro, giovanotto” esordì lo sceriffo, lanciando poi una strizzatina d’occhio a Emily a mo’ di saluto.

“Parker Jones, sceriffo. Sono qui per conto della Silver & Gold Consolidated per dei rilevamenti piezometrici nei dintorni, oltre che all'interno delle miniere della zona. Dovrebbero aver già inviato la documentazione, con i relativi permessi per gli scavi.”

“Mmmh, allora deve essere quel plico enorme che è arrivato tramite e-mail stamattina. Quando ho visto il numero delle pagine, ho preferito uscire per una passeggiata” ironizzò lo sceriffo, facendolo ridere. “Sono Michael Meyerson. Per qualsiasi problema, mi chiami pure.”

“Non mancherò” assentì Parker, ritrovandosi a rilassarsi sotto quel caldo sguardo color cioccolato. Sembravano tutti molto simpatici e alla mano, da quelle parti.

Detto ciò, lo sceriffo si volse verso Emily e, come un fiore baciato dal sole, un sorriso paterno fiorì sul suo volto abbronzato e di uomo di mezza età.

“Ragazza, come stai oggi? Sei sempre in giro a fare foto, ultimamente.”

“Sto cominciando un nuovo progetto, e voglio delle inquadrature favolose per il mio libro” assentì lei, gratificandolo di un sorriso ai limiti dell'adorazione.

Parenti? Amanti? No, amanti, no, rimuginò tra sé Parker, chiedendosi che tipo di rapporto vi fosse tra di loro.

Era evidente quanto lo sceriffo fosse protettivo con lei, e quanto Emily stessa gli fosse affezionata, ma non sembrava che avessero una tresca o qualcosa di simile.

E poi, a conti fatti, perché stava ficcanasando tanto?

Le chiacchiere perdurarono, a ogni modo.

Alcuni dei presenti – che avevano ascoltato con curiosità le novità di paese – si dichiararono disposti ad accompagnare Parker per i boschi, e altri si offrirono di aiutarlo in caso di lavori pesanti.

Lui ringraziò tutti, e annotò un paio di numeri di telefono e qualche indirizzo, prima di estrarre il portafogli per pagare.

Depositate due banconote da venti, rifiutò il resto e disse a Gilda: “Va bene così. I maccheroni erano ottimi, e la birra mi ha fatto davvero bene. Può dividere la mancia con le due cameriere.”

Le ragazze lo ringraziarono con ampi sorrisi e la padrona del locale, assentendo, infilò il resto in un barattolo di vetro, dichiarando: “Sei partito col piede giusto, straniero, ma se fai soffrire le mie ragazze con il tuo bel faccino da ragazzo di città, ti castro con la mannaia da macellaio.”

Parker scoppiò a ridere di gusto, di fronte a quella palese minaccia ma lo sceriffo, scuotendo il capo, esalò esasperato: “Gilda, ti prego. Non davanti a me! Sai che potrei considerarla una minaccia e far scattare una denuncia.”

“Oooh, ma per l'amor del cielo, Mike! Come se tu non mi conoscessi!” ironizzò la donna, scuotendo una mano con fare insofferente.

“Già, per l’appunto. Io. Il signor Jones è arrivato sì e no da un'ora, e l'hai già minacciato di una cosa innominabile. Cosa penserà della gente di Nederland?”

“Tutto il bene possibile” sottolineò Parker, afferrando il suo marsupio dallo sgabello dove lo aveva appoggiato. “Ci si vede in giro.”

Già pronta a uscire a sua volta, Emily lo accompagnò all'uscita assieme a Cleo e, nel lasciarsi alle spalle la cacofonia del posto e un saluto generalizzato, disse divertita: “Gilda non è pericolosa, davvero.”

“Non avevo alcun dubbio. Assomiglia troppo a mia madre, perché ne abbia veramente paura” ridacchiò Parker, lanciando un'occhiata distratta al pick-up di Emily. “Solo il giusto.”

Era usato, sporco di fango e ben lontano dalla berlina fiammante che le sarebbe invece calzata a pennello.

Perché continuava a non vedercela, in un posto così sperduto tra le montagne?

“Hai bisogno di una mano per trovare la casa che ti hanno assegnato? Ricordami la via, ti prego. L'ho scordata” gli domandò lei, appoggiandosi al proprio pick-up.

Nel corso del pranzo, avevano divagato su mille argomenti diversi, quasi come se si fossero conosciuti da tempo ma, ben presto, Parker si era reso conto di quanto, quel comportamento, fosse un vizio di tutta la gente del posto.

Non c'erano mezze misure, tutti erano cordiali e affabili, ma dovevi essere disposto a fare altrettanto, per essere accettato, altrimenti rischiavi di essere chiuso fuori da qualsiasi dialogo.

A lui stava bene. Non aveva peli sulla lingua, e parlare gli piaceva. Sua madre gli aveva sempre detto di avere una lingua supplementare da qualche parte, perché aveva sempre parlato per venti.

“Direi di aver più o meno capito... svolto a sinistra e, dopo un paio di case, giro ancora a sinistra, lungo la strada che si inerpica sul monte. Cento metri e sono arrivato” ricapitolò lui.

“Esatto” annuì la donna.

“Tu dove stai? Se posso chiedere, è ovvio.”

“Al 42 di Ponderosa Drive, che poi è quella casa lassù. Si vede anche da qui. A due piani, in legno scuro e con le persiane verdi” gli indicò lei, allungando il braccio destro.

Le maniche raccolte mettevano in evidenza un avambraccio tonico ed elegante, al cui polso erano allacciati un numero apparentemente infinito di braccialetti in pelle, corda e stoffa.

Insomma, di tutto un po' ma, in generale, si trattava di oggetti semplici, di prodotti artigianali del posto.

Quello sinistro era identico, a cui si erano uniti, forse per uno sfizio del momento, anche due braccialetti in argento e lapislazzuli, di chiara foggia anazasi. E non portava l'orologio.

“Molto carina. Spero che la mia sia almeno presentabile. Non è detto che le ditte siano larghe di manica, in casi come questo” ironizzò Parker, piazzando le mani sui fianchi con aria rassegnata.

Emily rise sommessamente, ma la risata le morì in gola un attimo dopo quando, a sorpresa, una berlina scura si fermò a pochi passi da loro.

Dal finestrino abbassato comparve il volto piacente e rilassato di un uomo.

Doveva essere un suo coetaneo, pensò spontaneamente Parker, inquadrando un viso dalla barba volutamente incolta, capelli volutamente spettinati e sorriso volutamente simpatico.

Anzi, forse il sorriso era volutamente tranquillizzante, come se non volesse spaventare la destinataria di quel saluto cortese. Ma perché?

“Ciao, Emy. Sempre a caccia della foto perfetta?”

“Come sempre. Ciao, Tony” gli sorrise lei, seppur in maniera molto formale. Come se volesse mantenere le distanze ma, al tempo stesso, desiderasse avvicinarsi a colui che le aveva parlato.

Anche l'uomo in questione parve accorgersene, perché sospirò impercettibilmente prima di tornare all'attacco, con un sorriso sempre amichevole ma molto più formale.

“Inutile chiederti se sabato sera sarai libera per la festa al Lodge. Immagino che il libro ti tenga impegnata fino a tardi.”

“Già. Finché non lo avrò terminato, sarò sua prigioniera” cercò di ironizzare la donna, le mani che nervose giocherellavano con i bottoni della camicia a quadri.

“Ti lascio andare, allora. Non voglio farti perdere del tempo” si affrettò a dire il giovane, quasi avvertendo su di sé il nervosismo della donna.

Poi, rivolgendosi a Parker, allungò una mano e disse: “Anthony Consworth, figlio del titolare del 'Nederland Lodge and Cafè'. Molto piacere.”

“Parker Jones, piacere mio.”

“E' qui in qualità di geologo” gli spiegò Emily, come se sentisse la necessità di mettere i puntini sulle 'i'.

Di quale parola in particolare, Parker non fu del tutto certo.

“Oh, capisco. Qualcuno interessato alle miniere. Beh, buon lavoro e, se le servono vecchie mappe della zona, ne abbiamo di molto dettagliate, nell’albergo. A presto, Emy” chiosò l'uomo, salutandola con un cenno prima di ripartire.

Emily sospirò e Parker, avvedendosi del suo imbarazzo, mormorò: “Ex?”

“Eh? Beh, ecco...”

“Lascia stare, non sono affari miei” replicò lui, sorridendole cordiale.

Lei allora scoppiò in una risatina nervosa, esalando: “Oddio! Non è questo il problema. Tanto, nel giro di una settimana, lo sapresti comunque, e anche da fonti ben poco attendibili. Qui, anche i muri hanno orecchie. Nelle piccole cittadine, tutti sanno di tutto. Stavo solo cercando di fare un riassunto mentale che fosse anche comprensibile alle tue orecchie.”

“Ah” esalò lui, parecchio sgomento.

“Per farla breve, quando sono venuta a stare qui, cinque anni fa, ho vissuto per un certo periodo nell'albergo di Anthony, in attesa che terminassero la ristrutturazione della mia casa. Questo ha fatto nascere una certa amicizia, tra me e Tony, e la gente ovviamente ha ingigantito a dismisura le cose.” Non era esattamente la verità, ma poteva anche andare.

“Lui, però, mi è parso davvero interessato.”

“Oh, e lo è. Lo so” assentì lei, con un risolino vagamente imbarazzato. “Sono io che, insomma... non sono interessata ad avere uomini che mi girano intorno, per il momento. Così, caso mai dovessi sentire certe chiacchiere, saprai già dove tira il vento.”

“Opinioni di prima mano. Sono sempre le migliori” assentì Parker, comprendendo appieno il suo imbarazzo.

Un conto era nascere in una comunità e abituarsi fin da piccoli agli usi e costumi delle persone del posto, un altro era arrivarci da adulti, con abitudini e usi diversissimi.

“Ora devo scappare. Voglio controllare il lavoro di oggi al computer, prima che faccia buio. Ci si vede in giro” disse Emily, aprendo la portiera per Cleopatra prima di salire al posto di guida.

“Ciao!”

Parker la osservò inerpicarsi lungo la via sterrata, e sparire dietro una nuvoletta di terriccio e polvere.

E così, Emily Poitier aveva uno spasimante non corrisposto ma, evidentemente, molto cocciuto e molto disponibile al tempo stesso.

Meglio di Beautiful.

Con un risolino, saltò sul suo pick-up per raggiungere finalmente la sua casa, sapendo già che, durante quel breve lavoro a Nederland, si sarebbe divertito.

 

 

 




N.d.A.: comincia qui una nuova avventura, tra le lande selvagge delle Montagne Rocciose. Ben presto scopriremo mille altri personaggi, perciò preparatevi. Il viaggio ha inizio.

1 Totoro: personaggio fantasy creato dalla penna di Hayao Miyazaki.
  
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