13 YO Boy
Guardavo i miei sandali caduti al contrario, coi tacchi a spillo puntati, un
po’ pericolosi, verso l’alto.
A pancia in giù sul letto, mi spostai più
avanti per non schiacciare il seno sotto di me e lo feci cadere oltre il
bordo.
Il lenzuolo era blu e la mia pelle bianca. Mi distrassi a guardarmi
finché lei iniziò a punzecchiarmi il fianco coll’alluce.
Mi girai e raccolsi
il seno sul petto col braccio.
Mi spinse la punta del piede nella pancia. La
lasciai fare. Tanto non poteva farmi male, attraverso tutta la mia ciccia.
Mi
sentivo bagnata e appiccicosa, ma ero così serenamente stordita che stavo
pensando di infilarmi sotto le lenzuola senza lavarmi.
Non mi avrebbe
lasciato stare, già lo sapevo.
Era una piccola vendetta, fare la smorfiosa, perché la
infastidiva che alla fine fossi riuscita ad avere ragione di lei (che significa
avere il controllo dei nostri giocattoli. Giocattoli che si infilano e
giocattoli che vibrano
).
E anche la mia era una specie di ripicca. Entrambe
sappiamo come mi piaccia lasciare la situazione nelle sue mani.
Guardavo il
soffitto e lo scialle che avevo legato attorno al lampadario per smorzare la
luce (anche se l’idea originale era renderlo più carino e quello era stato un
effetto secondario), colle braccia penzoloni dal letto.
Pensai fugacemente a
quando mi ero lasciata legare colle fasce di velcro alla sdraio, le mani dietro
il cuscino, le ascelle esposte al suo solletico, le gambe piegate, i piedi
immobilizzati sui braccioli. Io che di solito sono silenziosa, miagolavo come
una gattina spaventata, contorcendomi verso qualsiasi cosa lei mi stesse
facendo.
Mi distrasse smettendo di infastidirmi col piede. Il materasso
dondolò e il suo volto entrò nel mio campo visivo.
Le sorrisi socchiudendo
gli occhi e mi sentii come una bambina che aveva fatto un dispetto.
Mi
accarezzò il seno, la pancia, la coscia.
Già non ero più abbastanza umida per
una mano. La sua testa sparì di nuovo e prima sentii il suo fiato, poi la sua
lingua.
Aprii di più le gambe e la lasciai fare.
Voltai la testa e fissai il profilo magrissimo delle sue cosce, del suo sedere,
del suo busto, mentre mi si appannava lo sguardo e tutto si confondeva nel
biancore (un bianco diverso dal mio, compatto come gesso, come latte, senza
sfumature o rossori o lentiggini) della sua pelle.
Mi piacciono le ragazze minute e femminili, flessuose. Bionde, possibilmente,
e abbronzate.
Lei è alta e spigolosa, sinuosa quanto una scopa, con due
tettine piccole da ragazzina (che forse è l’unica cosa che l’accumuna alle altre
ragazze che ho avuto. Ne ho abbastanza io, di seno, per almeno tre persone), i
capelli dritti e pungenti e bruni come i peli di un pennello. Bianca e dura come
il marmo, i lineamenti levigati e indecisi per una barocca indifferenza tra
maschile e femminile.
Bella in maniera graffiante, quasi
spiacevole. Come un ragazzino di tredici anni.
Li ho comprati con lei, questi sandali.
Lei non ama fare compere, tuttavia
la diverte vedermi illuminare davanti alle scarpe più assassine che riesco a
trovare.
La cosa più femminile che sono riuscita a farle comprare sono queste
orribili, assurde e graziose infradito con le perline che ora indossa.
Ho gli
stessi abiti di ieri sera e sono truccata pochissimo (fortunatamente mi porto
sempre la cipria e un rossetto in borsa) e male, perché lei non ha né un
cosmetico né, di conseguenza, uno struccante, e temo mi sia rimasto del mascara
sciolto sugli occhi, perché non mi sono fidata a lavarli col sapone.
Insomma,
si vede che ho passato la notte fuori casa senza preavviso.
Mi sento sensuale
e più allegra di quanto dovrei essere con Miss Negatività a fianco. Ogni tanto
le borbotto di sorridere. Ma lei è testarda, imbronciata e imbacuccata nel suo
tendone nero (la chiama “maglietta”) come… beh, come un tredicenne in fase di
ribellione.
Non ho voglia di
tornare a casa dei miei (dove stiamo andando), ma ho bisogno di
struccarmi come si deve (latte detergente, struccante occhi, sapone per viso,
spugna di cellulosa, crema idratante) e di cambiarmi, perché le miei mutandine
sono in uno stato indecente (e proprio non avevo voglia di strizzarmi in una
seconda striminzita delle sue).
Arriviamo e c’è mia madre ad accoglierci con un sorriso e due caffè.
È
così contenta che io abbia un’amica anche qui in città, una ragazza più grande,
seria (lugubre), che lavora, con un appartamento e una macchina (lo sottolinea
con quel tono da “quando la fai tu la patente?”).
Mio padre
è più scettico. Forse ancora non è convinto che lei sia una donna, forse gli dà
solo fastidio che sia così poco femminile, o così poco curata. Penso che lui
senta
che c’è
qualcosa (anche se ogni volta che parlo di omosessualità credono che stia
scherzando). Dev’essere una specie di sesto senso da padre per scoprire chi si
scopa la figlia.
Vado a sistemarmi, mentre lei si intrattiene coi miei
(-Rimarrete per il pranzo?-).
No, per carità. Andremo a mangiare
all’ipermercato e poi faremo la spesa. Per due, perché questa settimana starò da
lei. Per studiare, naturalmente.
Indosserò una maglietta scollata. O stretta.
O scollata e stretta.
Mi truccherò con un colore acceso, viola, rosso, vedrò
in base ai vestiti.
Lei verrà da me per vedere se tutto è a posto e si
beccherà una spolverata di fard sul naso (e se riesco a tenerla ferma
abbastanza, anche un po’ di lucidalabbra).
E le piacerà vedere il mio
seno
le piacerà il pizzo in rilievo attraverso la maglietta.
Mi toccherà e mi sfiorerà il collo colla
bocca.
Perché le piace che io sia la sua donna, quella che cammina per ore sui
tacchi, sempre col trucco impeccabile e i vestiti che mostrano e nascondono e
ammiccano.
Come
a me piace che lei sia la mia adolescente disadattata, che fa la dura e la
scontrosa e piange sul mio grembo perché quando ha provato un vestito che
davvero le piaceva si è vista brutta, si è vista più insulsa di un
attaccapanni
.
Oddio. Effettivamente già siamo strane da sole. Figuriamoci in
due. Come Stanlio e Ollio.
E… anche noi, come comici, diamo un’impressione
del tutto falsa a chi ci guarda. Ma non recitiamo, è solo che agli altri non
interessa sapere come siamo fatte. O meglio, nessuno si interessa degli altri in
generale.
Fard sotto gli zigomi, sulla mascella. Mi abbraccia e mi sussurra:
-Quanto sei lunga…-.
Rido e le spennello il naso col fard. Così ora è rosa e
brillante e io ho la scusa per truccarla.
Eccola qui, la mia ragazza, seduta
sul mio letto, che mi lascia giocare con indulgenza.
Fingendo di essere
adulta mentre io fingo di essere bambina.
La bacio ora che non ho il
rossetto.
La mia strana ragazza
che sembra un tredicenne.