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Autore: May Jeevas    04/07/2021    0 recensioni
Raccolta sui compleanni di Steve Rogers nel MCU. Non saranno in ordina cronologico.
Dal primo capitolo, ambientato nel 2012: "Le persone intorno a lui passavano in un eterno chiacchiericcio eccitato. Gruppetti di ogni età e famiglie passeggiavano tranquillamente, godendosi la brezza di luglio.
Il primo botto lo fece sussultare come il colpo di un’arma da fuoco. Sopra i grattacieli era cominciato lo spettacolo pirotecnico. Il fuoco d’artificio risplendette nel cielo con colori vivaci prima di spegnersi."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Riadattarsi alla vita non era stato facile. Non lo era tutt’ora, a dire la completa verità.
Perfino New York, la città in cui era nato e cresciuto, aveva perso quel senso di familiarità che l’aveva sempre caratterizzata.
Brooklyn. Il suo quartiere che un tempo conosceva come le proprie tasche, era ormai diventato estraneo.
I primi mesi aveva provato a disegnare sul suo taccuino i posti che aveva riconosciuto. Il risultato era stato un macabro prima e dopo: come se le ricordava lui e come invece erano cambiate. Dicevano che erano passati settanta anni, ma per lui era come se quel tempo non fosse trascorso: si era risvegliato e sembrava passata solo una lunga notte. Una crudele e assurda beffa che gli sbatteva in pieno volto tutto quello che aveva perso.
Bucky.
Peggy Carter.
Gli Howling Commandos.
Howard Stark.
Tutti i legami che aveva avuto erano stati recisi di netto, in modo rapido e spietato. La sua stessa vita cambiata in modo perentorio, e a volte aveva l’impressione che provare ad adattarsi fosse come rincorrere il vento: impossibile e illusorio.
Trovare una propria dimensione in un mondo così estraneo da quello che aveva sempre conosciuto era estenuante. Richiedeva altro tempo, lo sapeva, ma una parte di lui sibilava nella sua mente che non era nemmeno sicuro di volerlo fare.
Poi c’era stato l’attacco alieno a New York.
Ritornare a combattere era stato fin troppo semplice. Ancora una volta, c’era il Tesseract come causa primaria di quella distruzione. Poteva quasi sentire la risata di Johann Schmidt risuonare divertita e malvagia dall’aldilà.
Faceva fatica a credere che fosse passato quasi un anno dal suo risveglio. Ancora una volta si ritrovò a pensare a un suo ipotetico ruolo, senza riuscire a darsi una risposta.
Quella giornata era proprio da dimenticare. Malumore, nostalgia e nervosismo si altalenavano senza concedere tregua. La mattina aveva messo KO venticinque sacchi da boxe nella piccola palestra che aveva preso a frequentare, dopodiché aveva camminato senza meta dalle prime ore del pomeriggio, cercando di tenere a bada i pensieri. Adesso, che era arrivato l’imbrunire, si rese conto che le gambe (o forse uno scherzo crudele della sua stessa mente) lo avevano condotto a Central Park. Incassò la testa tra le spalle, in un infantile tentativo di nascondersi, quasi come una tartaruga, mentre attraversava l’imponente Bow Bridge, irrequieto. Forse non sarebbe nemmeno dovuto uscire, forse quel giorno avrebbe potuto, anzi, dovuto stare a letto. Sotto le coperte, nascosto dal resto del mondo.
Per una volta maledisse la propria determinazione nell’affrontare a testa bassa i problemi. Gli era pure venuta una leggera nausea, che lo fece fermare a metà del ponte.
Respirò profondamente, cercando di trovare un minimo di pace. Oltre gli alberi del parco si stagliavano i grattacieli della città, resi scuri dalla luce crepuscolare.
Le persone intorno a lui passavano in un eterno chiacchiericcio eccitato. Gruppetti di ogni età e famiglie passeggiavano tranquillamente, godendosi la brezza di luglio.
Il primo botto lo fece sussultare come il colpo di un’arma da fuoco. Sopra i grattacieli era cominciato lo spettacolo pirotecnico. Il fuoco d’artificio risplendette nel cielo con colori vivaci prima di spegnersi.
Il via era stato dato: in pochi secondi il firmamento sopra di lui si riempì di esplosioni che si riflettevano sul suo viso e sulla superficie del lago. Voci infantili eccitate urlavano deliziate. Si respirava davvero un’atmosfera di festa.
Il quattro Luglio.
Un ricordo non voluto si fece largo nella mente, spietato.

 

Steve teneva il broncio al suo migliore amico, che nell’infermeria del campo si stava lasciando andare a una risata sguaiata.
Non ci credo! Ti hanno chiamato Captain America e il tuo compleanno è il quattro Luglio! Oddio, esisterà mai qualcosa di più patriottico?!”
Bucky Barnes non aveva certo l’aspetto di uno che fino a pochi giorni prima era prigioniero dei nazisti. Aveva passato il viaggio di ritorno verso Azzano facendo un meticoloso interrogatorio in cui Rogers aveva anche temuto per la sua stessa vita, gli aveva tirato un paio di pugni e dato dell’idiota colossale almeno cinque volte, ma ora che erano arrivati al campo e il sergente era stato portato in infermeria, aveva deciso che invece di sgridare l’amico o di avercela con lui, la sua vendetta sarebbe stata una continua presa in giro. Con buona pace di Steve, che sebbene trovasse un po’ irritante l’infantilità di alcune battute, era grato di averlo ancora accanto, relativamente sano e soprattutto così vitale. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma avrebbe incassato tutte le prese in giro con gioia; la sua punta di orgoglio, tuttavia, non voleva darla vinta a Bucky così facilmente.
Ringrazia che sei quasi morto, altrimenti non esiterei a risponderti a tono!” disse con una falsa nota piccata che non convinse nessuno.
Bucky si asciugò le lacrime, la bocca ancora distesa in un ghigno sornione. Cercò di calmarsi prima di continuare.
Quindi… niente più problemi fisici?” domandò, e a Steve non sfuggì il lampo di preoccupazione che attraversò il volto dell’amico. Era almeno la quinta volta che glielo chiedeva, e il Capitano aveva il presentimento che non sarebbe stata l’ultima. Come se il Sergente volesse avere la conferma che il siero del supersoldato non avesse solo agito sui muscoli, ma soprattutto sulle patologie che avevano afflitto Steve fin dall’infanzia.
No, Buck. A quanto pare il siero ha curato tutti i miei malanni.” fu la risposta, fingendo una certa teatralità.
Il sorriso che solcò il volto di Barnes era rilassato e sincero.
Sono contento per te, Steve. Non sai quanto!” dichiarò, tirandogli un pugno leggero sul braccio. Poi di colpo si sedette sul letto, come colpito da una folgore.
Steve! I fuochi!” esclamò, fissandolo con gli occhi sgranati.
Captain America lo fissò senza capire. Barnes alzò gli occhi al cielo.
I fuochi d’artificio per il quattro Luglio, Steve! I fuochi per il tuo compleanno! Appena la guerra sarà finita e torneremo a casa festeggeremo i tuoi ventisette anni in questo modo, e finalmente potrai vederli con i colori giusti!”
Bucky era eccitato come quando era bambino. Il suo entusiasmo era sempre stato contagioso, qualcosa a cui Steve era sempre stato succube. Era fin troppo facile cedere alle richieste dell’amico quando emanava quell’aura così gioiosa.
Come vuoi, Buck. Il primo quattro Luglio dopo la guerra andremo a Coney Island, mangeremo quei meravigliosi Hot Dogs fino a scoppiare e guarderemo i fuochi d’artificio!” sorrise Rogers, appoggiando la mano sulla spalla del convalescente.
Sembrava giusto, quasi elettrizzante pensare al dopo. Era splendido avere dei piani per quando non avrebbero più dovuto combattere. Steve non se lo concedeva spesso quel lusso, era sempre concentrato sul presente e adesso che poteva fare la sua parte in quella guerra, tutti i suoi pensieri erano focalizzati solo su come servire il proprio paese. Ma, nonostante tutto, si ritrovò a credere che era piacevole pianificare delle piccole cose da fare al termine di quel conflitto mondiale. A una vita futura segnata dalla pace.
Anche solo per un fugace e fragile momento.

 

Quel ricordo e le emozioni che portò con sé lo travolsero, dandogli la sensazione di non poter più respirare. Un assurdo déjà-vu dei suoi attacchi d’asma.
Si sentì un illuso. Un ingenuo. Un ragazzino che sbatte per la prima volta contro la realtà e che crolla come se fosse fatto di vetro.
Steve si prese il volto tra le mani, accorgendosi di avere le guance bagnate.
Avrebbe voluto essere ancora nella palestra, a sfogarsi contro i sacchi da boxe. Frustrazione, impotenza e disperazione crebbero in lui, mentre un senso di ingiustizia lo attanagliava.
Si costrinse e prendere respiri profondi, sapendo che non avrebbero portato la tranquillità cui anelava.
I fuochi d’artificio continuavano a scoppiare allegri nel cielo, le persone intorno a lui andavano avanti a festeggiare. Il ragazzo sorrise mesto, senza gioia.
Il suo primo compleanno dopo la guerra.
Il suo primo compleanno nel nuovo millennio.
Il suo primo compleanno da solo.
Una risata amara gli morì in gola mentre tornava a fissare il cielo con occhi vuoti.
“Buon novantaquattresimo compleanno, Rogers.”

 


Angolino di May:
Buon compleanno, Steve. 
Piccola flash per iniziare questa raccolta, prendendomi l'impegno di aggiornarla ogni anno.
Steve Rogers è stato il personaggio che nel 2012 mi introdusse al mondo Marvel, e il resto è stato storia, quindi mi sembrava giusto ringraziarlo per questo. Anche se un po' in ritardo sulla tabella di marcia (maledetto blocco dello scrittore!)
Ringrazio come sempre Melanto per la betatura, e critiche, suggerimenti e consigli sono sempre ben accetti!
Mata ne!
May
 

 

   
 
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