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Autore: Calimon    07/07/2021    4 recensioni
“Sherlock l’aereo deve partire!” dal tono di voce di Mycroft permeava tutta la sua impazienza
“Dammi solo un dannatissimo minuto!” Sherlock scandì ogni parola.
Per lui era già tutto incredibilmente difficile senza che continuassero ad interromperlo; ammettere a sé stesso di provare certi sentimenti era stato uno sforzo immane ma riuscire a dichiarali a qualcuno si stava rivelando in assoluto la cosa più masochista che avesse mai fatto in vita sua, e lui ne aveva fatte parecchie.

Quando Sherlock dichiara i suoi sentimenti a John non ha idea che da lì a poco la missione sotto copertura per cui deve partire sarà annullata. Le conseguenze alle sue parole potrebbero essere molteplici ma quando si trova di nuovo difronte a John è come se nulla fosse mai successo. Stava solo sognando? Era un’allucinazione indotta dalle droghe? Gli eventi travolgeranno i due coinquilini di Baker Street e le notti di Sherlock saranno costellate da incubi e domande a cui solo John può rispondere.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice:  Eccomi qui con l’epilogo! Pubblico con un giorno di ritardo perché questa settimana ho avuto così da fare che ieri non mi ero proprio resa conto che fosse Martedì…bene ma non benissimo! Grazie a chiunque abbia letto e commentato la mia storia, davvero grazie di cuore. Spero che l’ultimo capitolo vi piaccia! Xo 

Ps: Sappiate che ho già un’altra Johnlock pronta ahah

 

 

“Tender is the night

Lying by your side

Tender is the touch

Of someone that you love too much

Tender is the day

The demons go away

Lord I need to find

Someone who can heal my mind

Come on, come on, come on

Get through it

Come on, come on, come on

Love's the greatest thing”

{Tender - Blur}

 

 

I giorni successivi alle reciproche dichiarazioni d’amore John e Sherlock li avevano vissuti in un limbo: sapevano che quello che li legava era più della semplice amicizia ma allo stesso tempo il loro rapporto era rimasto invariato perché nessuno dei due aveva fatto qualcosa per passare da amici a qualcosa di più.

Sherlock non sapeva se John avesse bisogno di più tempo per elaborare il lutto di Mary ed iniziare una nuova relazione; a dirla tutta non sapeva nemmeno cosa fare per sbloccare la situazione.

Benché si ritenesse un esperto in tantissime cose le relazioni sentimentali non erano esattamente il suo forte, così si era ritrovato a tarda notte a fare ricerche online di dubbia utilità del tipo “come passare da amici ad amanti” per poi sostituire la parola “amanti” con “fidanzati”, oppure “quanto tempo far passare tra una relazione e un’altra” ma le risposte che aveva trovato non lo avevano soddisfatto dato che le fonti erano praticamente tutte provenienti dalla posta del cuore di qualche rivista da teenagers.

Più i giorni passavano e più la sua impazienza cresceva, e ancora una volta lui si era reso conto che in campo sentimentale essere dei geni della deduzione poteva dare qualche vantaggio ma non era assolutamente la chiave di volta.

Non aver modo di cercare risposte certe ed essere lasciato alla mercé delle emozioni lo confondeva e infastidiva più di quanto volesse ammettere.

Sherlock non era nuovo all’estraniarsi dalle conversazioni con le altre persone, ma se prima lo faceva perché riteneva che i suoi pensieri e le sue idee erano più importanti, in quei giorni si era ritrovato più volte a non ascoltare perché era troppo distratto a guardare le labbra di John, desiderando di baciarle più di ogni altra cosa al mondo; lo voleva con ogni fibra del suo essere ma il momento non sembrava mai  quello giusto.

Poi una mattina di inizio Dicembre era successo.

“Andiamo Sherlock, fatti fare una foto!” 

John si era messo in testa che sul blog servisse una sua foto più professionale ed erano giorni che gli chiedeva di mettersi in posa.

“Non capisco perché serva un’altra foto, quella che c’è ora non va bene?” 

“Ne abbiamo già parlato. Ora per favore mettiti davanti al camino e stai fermo!” John sembrava esasperato e Sherlock non riuscì a trattenere un mezzo sorriso;  sapeva esattamente che tasti toccare per stuzzicarlo e gli piaceva farlo, da sempre.

“Sei sicuro che serva il cappotto?” Chiese appoggiando un braccio al camino cercando di assumere una posa naturale, per quanto normale potesse sembrare una persona che sta davanti ad una fonte di calore indossando una giacca di lana.

“Ma certo! E’ praticamente la tua divisa…e a proposito di divisa” John gli si avvicinò con il famigerato cappello

“No, John, no! Mi rifiuto di mettermi quel dannatissimo cappello!” Sherlock si ritrasse allontanandosi dal punto designato per la foto

“E invece te lo metti eccomi! Alle persone piace!” John lo seguiva per la stanza senza mollare il colpo. 

Sherlock si spostava da una parte all’altra, con falcate lunghe e veloci mentre John gli andava dietro cercando di mettergli il cappello; quella situazione, che con altre persone avrebbe troncato sul nascere, con John lo divertiva. 

John era stato come la goccia che leviga la roccia, poco a poco aveva plasmato il suo cuore di pietra, rendendolo meno duro e spigoloso e trasformandolo per sempre.

“Non mi interessa se alla gente piace, a me no!” Aveva ribattuto mentre con la schiena andava a battere contro il muro.

Era finito nell’angolo del salottino con John a pochi passi da lui, che si avvicinava con il cappello in mano e la luce negli occhi di chi sa di aver vinto; avrebbe potuto sottrarsi, gli sarebbe bastato spostarsi di lato, ma non volle farlo.

Sherlock percepì il proprio respiro che accelerava e sentì improvvisamente i palmi della mani leggermente sudati: c’era qualcosa di eccitante nel trovarsi spalle al muro con John a pochi passi da lui.

John gli si parò davanti e con un gesto rapido, quasi avesse paura che Sherlock gli scappasse di nuovo, gli infilò il cappello.

Si ritrovarono faccia a faccia, con le punte dei nasi che si sfioravano e le labbra a pochi centimetri di distanza; Sherlock sentiva il respiro caldo di John sulla pelle del viso e il profumo del suo dopobarba gli inebriava i sensi.

L’aria della stanza sembrava essere diventata elettrica come prima di una tempesta di fulmini.

Il cuore di Sherlock batteva all’impazzata eccitato e agitato allo stesso tempo; si rese conto che non baciava nessuno da tanto tempo, e baciare John Watson non era certo una questione da poco.

Era suo amico, il suo unico e più caro amico, ma era anche l’uomo che amava con tutto sé stesso, John era l’unica persona sulla faccia della Terra che era riuscito a cambiarlo, a renderlo migliore, nonché colui che da qualche tempo riempiva fantasie che non aveva mai immaginato con nessun altro.

Gli occhi azzurri di uno erano persi in quelli azzurri dell’altro, come il mare che incontra il cielo.

“A me piaci con il cappello” sussurrò John prima di afferrare il bavero del cappotto e tirare Sherlock a sé.

John indugiò qualche secondo con le labbra a pochi millimetri dalle sue e a Sherlock quegli istanti sembrarono interminabili: il cuore gli rullava sempre più forte nel petto e la mano che posò sulla guancia di John sembrò ardere al contatto con la sua pelle.

Dopo quelle che gli parvero ore, le loro labbra si sfiorarono per poi fondersi in un bacio che entrambi avevano desiderato ancora prima di riuscire ad ammetterlo a loro stessi.

La stanza era sembrata improvvisamene troppo grande.

Sherlock avvicinò il proprio corpo a quello di John annullando totalmente la distanza tra loro mentre le loro mani si cercavano, si toccavano e ogni volta che le loro labbra si separavano poi si bramavano con più passione e urgenza.

Il detective registrò ogni dettaglio: le labbra morbide e calde di John che erano esattamente come se le era sempre immaginate, la barba di qualche giorno che gli solleticava la pelle, il profumo dei suoi capelli, la sua pelle liscia…tutto lo mandava fuori di testa.

John cosa mi stai facendo?

 

Sherlock non si sentiva in sé ma nel miglior modo possibile. 

In vita sua aveva provato una buona fetta delle droghe sul mercato ma niente era paragonabile all’estasi che provava facendo l’amore con John: era felicità allo stato puro, era desiderio, eccitazione, era amore, era tutto.

“Sai John, non avevo idea che ti piacessero anche gli uomini” gli aveva confessato una notte nel buio della stanza 

“Allora ogni tanto qualcosa sfugge anche a Sherlock Holmes!” 

“Beh non sei mai stato molto…chiaro.” 

“Pensavo avessi capito che ero..” fece una breve pausa “Ecco si, che ero geloso di Irene Adler” disse John accigliandosi

Sherlock si voltò su un fianco nella direzione dell’altro “Eri geloso?” 

Stava gongolando, il suo ego era più che appagato da questa confessione, e poi lui era stato geloso di tutte le donne con cui John era stato.

Voleva un gran bene a Mary ma ogni tanto si ritrovava a pensare che avrebbe voluto essere al posto suo, ad essere lui quello che ogni sera tornava a casa con John.

“Smettila di sorridere Sherlock!” Lo aveva rimproverato

“Non puoi sapere che sto sorridendo, è buio!” 

“Ti conosco abbastanza bene per sapere che lo stai facendo” seguì un fruscio di lenzuola “Adesso ti do io un motivo valido per sorridere, mio caro egocentrico detective” 

Facevano l’amore ogni notte, a volte anche più volte a notte, quando finalmente Rosie crollava addormentata; le loro mani, le loro bocche, i loro corpi si cercavano senza sosta, era come se volessero recuperare tutto il tempo in cui avevano nascosto il loro amore e la loro attrazione l’uno per l’altro.

Sherlock si svegliava sempre euforico ed eccitato; a volte pensava seriamente che se il suo cervello non fosse sempre stato abituato a pensare a più cose contemporaneamente il suo lavoro ne avrebbe inevitabilmente risentito, perché non passava un solo istante della giornata senza che lui pensasse a John.

Da quando Sherlock passava le notti accanto a lui i suoi incubi si erano fatti molto meno frequenti; dormire accanto all’uomo che amava aveva reso più semplice non preoccuparsi costantemente per la sua vita, ma a volte quelle immagini tornavano a fargli visita.

“Tranquillo Sherlock, sono qui” gli sussurrava dolcemente John accarezzandogli i capelli quando gli capitava di svegliarsi di soprassalto.

A quel punto di solito Sherlock gettava uno sguardo al baby monitor per sincerarsi che anche Rosie dormisse tranquilla e poi si riaddormentava sereno.

 

I giorni insieme divennero settimane, poi mesi e anni.

Il tempo era scandito dai progressi della piccola Rosamund che cresceva a vista d’occhio.

Sherlock aveva fatto fatica a capire come rapportarsi a quell’esserino che esprimeva qualsiasi bisogno con il pianto e che un momento prima sembrava volere una cosa ma il minuto dopo già non le andava più bene; aveva addirittura comprato dei libri di puericultura nella speranza di poter apprendere qualcosa su quel minuscolo essere umano ma suo malgrado non erano serviti a molto.

Aveva seguito il consiglio di John di abbandonare qualsiasi tipo di ragionamento troppo logico o razionale, si era lasciato guidare da lui e con naturalezza, senza quasi che se ne rendesse conto, era diventato papà.

Quando Rosie aveva iniziato a dire le prime parole indicando John e Sherlock e gridava tutta contenta “papà!”, e con il tempo  erano diventati “papà John” e “papà Sherlock”.

Chissà se qualcuno avrebbe mai potuto immaginare che il detective più famoso d’Inghilterra la sera guardava tutorial su YouTube per imparare a fare le trecce ad una bambina, o che il Dottor Watson sotto il camice della clinica aveva molto spesso i vestiti pieni dei glitter rosa e oro di cui Rosie andava matta.

 

“Sherlock dobbiamo parlare” gli aveva detto una sera John, con tono molto serio, mentre erano insieme sul divano, dopo due round di favole per convincere Rosie a dormire.

“Giuro che non ho più raccontato niente a Rosie del nostro lavoro!” Alzò le mani lui mettendosi sulla difensiva.

Rosie andava matta per le storie che gli raccontava papà Sherlock sui casi che lui e John risolvevano, ma le maestre dell’asilo non erano altrettanto contente; più di una volta la bambina aveva terrorizzato alcuni compagni parlando di cadaveri nelle fognature.

“No, non è per quello. Riguarda noi due, anzi, riguarda più che altro te.” Fece una pausa mentre si alzava per prendere dei fogli dalla sua valigetta.

“In questi giorni pensavo a cosa succederebbe a Rosie se io…beh se io dovessi morire.”

Sherlock fortunatamente era seduto perché si sentì mancare la terra sotto i piedi. 

Quei fogli potevano essere dei referti medici? John aveva qualche malattia che lo avrebbe portato via per sempre da lui e dalla bambina? 

Sentì il respiro mozzato e lo stomaco stretto in una morsa. 

Il pensiero di perdere John non lo tormentava più da anni ormai ma erano bastate quelle parole per gettarlo nel panico.

Doveva apparire parecchio turbato perché John si affrettò ad aggiungere “Non sto dicendo che capiterà a breve, ma che potrebbe capitare!” 

“Mi hai fatto prendere un colpo!” Sbottò Sherlock mentre riprendeva fiato 

“Scusami” disse andando a dargli un bacio sulla fronte per poi mettergli davanti i fogli.

Sherlock diede un’occhiata veloce e per la seconda volta si sentì mancare, ma questa volta per un motivo totalmente diverso.

“Vorrei che tu adottassi formalmente Rosie” la voce gli tremava leggermente “E per poterlo fare c’è un’altra cosa che devo chiederti…”

Solo in quel momento Sherlock fece davvero caso al fatto che il caminetto quella sera era acceso e le luci erano state leggermente abbassate.

John si inginocchiò di fronte a lui, gli prese la mano sinistra tra le sue e pronunciò le sei parole che Sherlock mai si sarebbe aspettato di sentire rivolte a lui nella vita: “William Sherlock Scott Holmes, vuoi sposarmi?”

 

Sherlock non avrebbe mai potuto immaginare che un sociopatico iperattivo e un dottore reduce di guerra potessero avere qualcosa in comune, eppure erano lì, l’uno davanti all’altro a scambiarsi due anelli simbolo di amore eterno.

Non c’erano più stati incubi né incertezze, solo loro due, John e Sherlock: amici, amanti, mariti, padri e risolutori di crimini del 221B di Baker Street.

   
 
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