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Autore: MollyTheMole    10/07/2021    1 recensioni
Circa vent'anni prima degli eventi delle Guerre dei Cloni, la Forza ha messo un padawan Jedi e una giovane duchessa sulla stessa strada. Nel tentativo di proteggere la giovane Satine Kryze dai cacciatori di taglie e da un pericoloso usurpatore, Qui Gon Jinn ed Obi Wan Kenobi saranno costretti ad immergersi nella cultura Mando, e scopriranno che i loro popoli non sono poi così incompatibili.
In particolare, il giovanissimo aspirante Jedi dovrà fare i conti con i propri sentimenti. Che dire, inoltre, quando si troverà a fronteggiare forze che non è in grado di comprendere?
ATTENZIONE: spoiler dalla serie The Clone Wars.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn, Satine Kryze
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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ALIIT: ASCESA

PROLOGO

Giorno, mese ed anno imprecisati, in un futuro lontano.

 

La navicella fumava ancora. 

I tre rimasero disperatamente a fissare l’ammasso di ferraglia schiantato al suolo, il muso del loro mezzo di trasporto ancora incastrato nel terreno e la coda in diagonale contro il fango. Dal cielo pioveva acqua a catinelle, inzuppando i loro vestiti e contribuendo a spedire il loro morale, o quello che restava di esso, sotto i tacchi delle scarpe fangose. 

Ni’Ven, gli occhi come pozzi dorati, fu la prima a riprendersi. Stringeva ancora tra le dita un archivio olografico, una delle poche cose che era riuscita a portare via dalla navicella prima che si schiantasse al suolo in un mare di terriccio, fango, erba e scintille. Dom Baren, invece, pareva essere l’unico a non curarsi dell’acqua. La sua specie, del resto, c’era abituata. Z6-K4, al contrario, non aveva fatto altro che lamentarsi da quando quel pezzo di ferraglia spaziale aveva urtato il motore di sinistra, mandando liquido refrigerante da tutte le parti e costringendo i due ad un atterraggio di emergenza. 

- Spostiamoci.- disse la nooriana, scuotendo il capo, i ricci scuri che spedivano goccioline da tutte le parti.- Cerchiamo riparo.-

Dom Baren era naturalmente attratto dall’acqua. Il giovane Mon Calamari, dal colorito azzurrognolo, insolito per la sua specie, si era diretto immediatamente a destra, per trovarsi di fronte alle rive di un lago immenso. Ni’Ven, invece, avrebbe di gran lunga preferito una bella caverna al caldo. Zeta, non lo sapeva. Le bastava solo di mettere all’asciutto i suoi circuiti.

- In fondo al lago non ci vengo.- borbottò, la voce monotona di chi non sente ragioni.- Mi dispiace. Se volete rovinare la scheda madre di qualcuno, fatelo al droide medico. Se serve, vi lascio qui.-
- Taci, vecchia brontolona.- ribatté la ragazza, mentre osservava il suo compare allontanarsi dall’acqua con aria delusa.
- Eh, niente, ci avevo sperato. E’ acqua dolce.- 
- Un lago?-
- Sembrerebbe, ma è immenso. Non ho mai visto niente del genere. Si confonde con l’orizzonte, e le sue acque sono talmente ferme e dense che rispecchiano il cielo alla perfezione.- 

Era vero. Ni’Ven se n’era  accorta immediatamente, mentre provava ad evitare il lago durante la manovra di atterraggio. La navicella si era specchiata in un modo così perfetto da farle credere, almeno per un momento, che ci fossero due distinti veicoli in difficoltà. 

Un tuono ed un lampo squarciarono l’aria, e la saetta del fulmine scese dal cielo e si incastonò con precisione esattamente al centro del lago, distante, ma pericolosamente vicino ai due.

Z6 protestò.

- Per una volta sono d’accordo con la vecchia ferraglia.- concluse il Mon Calamari, scuotendo il capo.

Ni’Ven, però, era stata attratta da un filo di fumo. No, non quello che proveniva dalla sua navicella. Un sottile filo trasportato dal vento della tempesta, che diffondeva un buon odore di caminetto nell’aria. 

Qualcuno doveva aver acceso un fuoco.

Z6, ovviamente, non gradì l’idea.

- Ci uccideranno tutti. Siamo in un pianeta sconosciuto, e non sappiamo chi ci vive. Non voglio farmi cancellare la scheda madre. Non voglio farmi cancellare la scheda madre. Non voglio farmi cancellare la scheda madre.-
- Io giuro che uno di questi giorni gliela disintegro, la scheda madre.- farfugliò il ragazzo, guardando per terra mentre la giovane nooriana conduceva il gruppo lontano dalla sponda del lago, fin dentro i boschi, e poi a nord. 

Era un luogo strano. C’erano piante, alberi, vegetazione di sottobosco che la ragazza non aveva mai visto. Il suolo era coperto quasi interamente da strani fiori bianchi, inflorescenze bluastre e una mucillagine bioluminescente che si illuminava sotto i loro piedi. 

Dom Baren per poco non si mise ad urlare quando uno dei fiori suonò.

- Che cos’è questa musica?-
- E’ stato il fiore!-
- Come?-
- Il fiore bianco, quello lì. Suona. Sembra quasi che canti.-

Se Ni’Ven non avesse toccato la campanula con le mani, non l’avesse vista schiudersi sotto ai suoi occhi e non l’avesse sentita intonare una nota flautata perfettamente, non ci avrebbe mai creduto, ed avrebbe attribuito il fatto ad una delle allucinazioni del povero Dom.

Doveva di sicuro aver battuto la testa da qualche parte.

Era uno posto strano davvero, invece, un luogo dove il muschio si illuminava, dove i fiori cantavano e dove il lago, nonostante il vento feroce, i fulmini e le saette, non faceva una piega e specchiava il cielo come se fosse fatto di metallo. 

In tutto questo, qualcuno aveva acceso il fuoco. 

Camminarono nel bosco, trascinandosi dietro una Z6 inviperita, fino a che non ne sopraggiunsero al limitare, davanti a quello che sembrava un immenso altopiano.

- Dove accidenti siamo finiti?-
- Più che altro, mi piacerebbe sapere che cos’è quello.-

Non c’era molto, a parte quella strana struttura scura che si stagliava contro l’orizzonte plumbeo. L’altopiano pareva estendersi per chilometri, ma declinava dolcemente verso il basso nella sua parte posteriore, dove i boschi riprendevano ancora una volta il possesso dell’ambiente circostante. Ni’Ven, da buona scienziata abituata a notare i dettagli di natura antropomorfa, scorse immediatamente la strana recinzione della pianura verdeggiante, ormai trascurata, ma che doveva essere stata coltivata per lungo tempo. Anche il molo - dove una barca simile ad una canoa semiaffondata era ancora legata - pareva aver visto tempi migliori. In lontananza dovevano esserci delle casupole, forse stalle abbandonate. 

Ciò che però le aveva fatto venire i brividi era stata la casa, o meglio, il grosso maniero turrito che svettava poco distante dalle rive del lago. Alla luce dei lampi, i suoi muri parevano neri, ma la nooriana la sapeva più lunga. Quello era un manufatto antico, e di tanto, anche, e doveva essere rimasto in quelle condizioni da secoli, attraversando chissà quali eventi e subendone tutte le conseguenze.

Non era oscuro, era scolpito dal tempo.

E, soprattutto, da uno dei comignoli spuntava un sottile filo di fumo.

- Entriamo.-
- Sei pazza? Ci vive di sicuro un assassino, o un uomo pericoloso. Non mi faccio cancellare…-
- Dom?-
- Ci sto.-

Entrambi i viandanti avevano notato che, man mano che si avvicinavano ai confini del bosco, il loro cammino si faceva sempre più agevole, come se stessero percorrendo un’antica via. Poi, il sentiero si era fatto evidente. La strada si estendeva lungo tutta la battigia del lago dalla parte del molo, proseguiva su per le colline ad est e ad ovest e si sarebbe persa nel nulla, se non fosse stato per due diramazioni: una, appunto, prendeva per il bosco e l’altra conduceva ai resti di una siepe e ad un viale privato, chiuso da un grosso cancello di ferro lavorato.

Zeta brontolò che sarebbe stato poco cortese entrare senza bussare, ma i due la ignorarono e si avviarono verso l’inferriata.

Corsero nella tempesta, sperando di evitare l’acqua del lago e i fulmini, e raggiunsero, in breve, il viale privato. Generalmente, pareva tenuto piuttosto bene, segno che, forse, qualcuno ci viveva ancora. La siepe, invece, era ridotta ad un cumulo di sterpi contorte. Ni’Ven ne fu immediatamente affascinata.

- Quanti anno hanno questi alberi secondo te, Dom?-
- Tanti. Secoli. Non saprei.-

Fu il cancello, però, ad attirare la loro attenzione. 

Era un pezzo d’arte, poco ma sicuro. Incuteva rispetto. Era grosso, massiccio, e di un materiale ferroso che non avevano mai visto prima. Incastonati in alcuni punti delle decorazioni floreali e naturalistiche, c’erano degli elementi di vetro colorato, così bello, liscio e trasparente da catturare la luce dei lampi.

Sul davanti, era scolpita nel ferro una grossa pianta a cinque braccia, ciascuna delle quali rappresentava una di quelle campanule che avevano tanto spaventato Dom.

- Che c’è scritto, secondo te?-
- Non lo so. E’ una lingua che non conosco. Assomiglia allo Standard, ma è antica. Oserei dire primitiva. Dovrò controllare meglio, una volta che questa maledetta tempesta si sarà placata.-

Scavalcarono i resti di una pianta facente parte della siepe, senza toccare il cancello, e percorsero il viale fino all’ingresso.

Il maniero aveva due torri, una per lato. Sul retro, sembrava averne altre due più piccole. Costruito in mattoni di nuda roccia, lasciati a vista, versava acqua contro il suolo dai tetti a spiovente. Il portone era enorme, di legno lavorato, dove ancora una volta erano state incise parole sconosciute, ma chiunque vivesse lì, per praticità, aveva fatto intagliare una porticina, quasi invisibile, a misura d’uomo, per entrare ed uscire senza muovere quel catafalco. 

Non c’erano campanelli, anche se sembrava essercene stato uno, a giudicare dai segni sul muro.

Qualcuno doveva averlo divelto.

Ni’Ven e Dom si guardarono. Zeta disse una parolaccia sottovoce, e il Mon Calamari bussò.

La prima volta, non accadde niente. 

La seconda volta, il portone si aprì.

Dall’altra parte, però, non c’era nessuno, se non il buio.

- Mette i brividi. Non voglio entrare. Ci tengo alla mia scheda madre.-
- Questa volta, sono d’accordo con Zeta.-

Ni’Ven, però, era troppo intenta a guardarsi attorno a bocca aperta per ascoltare davvero.

Le pareti erano coperte di arazzi, scritti in quella lingua così familiare, ma allo stesso tempo ignota. Erano manufatti lavorati a mano e di alta qualità, che dovevano avere forse qualche millennio. Alcuni oggetti parevano averne addirittura di più. L’armatura in fondo al corridoio, per esempio, doveva essere appartenuta ad un qualche guerriero la cui memoria si era persa nel tempo.

Dentro casa, faceva caldo.

- Ehi, di casa?- disse, provando ad intercettare una eventuale presenza.

Nessuno rispose. 

Ni’Ven, allora, marciò nel corridoio, tallonata dai suoi fedeli compari. Zeta era, in ogni caso, un droide da combattimento, e loro due erano armati.

Certo, a giudicare da quante armature e da quante armi c’erano in quella casa, sperava davvero di non dover mai venire alle mani con il proprietario, nel caso in cui, oltre a collezionarle, avesse anche saputo usarle. 

I lampi illuminarono il rosso, l’oro, il blu, l’argento degli arazzi, e questa volta la nooriana potè scorgere distintamente un nome, scritto in quei caratteri antichi ma in parte comprensibile, che le suonò tremendamente familiare.

Bauer.

Dove aveva già sentito quel nome?

I due ragazzi stavano seriamente ponderando l’idea di andarsene, percorsi da brividi che non avevano nulla a che fare con l’acqua piovana e il vento freddo, quando la loro attenzione fu catturata da una luce alla loro sinistra. 

Una candela accesa brillava su una tavola imbandita, un pasto per due che doveva ancora essere servito in una enorme sala da banchetto, che un tempo doveva aver ospitato decine di persone attorno allo stesso tavolo.

Adesso sì che ne avevano la conferma.

In casa c’era qualcuno, ed erano almeno in due.

- Veniamo in pace!- disse Dom, alzando le mani palmate. - Ci siamo schiantati. Abbiamo bisogno di riparo per la notte. Toglieremo il disturbo all’alba!-

Ancora una volta, però, nessuno rispose. 

La sala sembrava sospesa nel tempo. Ni’Ven potè scorgere le tende, leggermente tarlate, ma ancora intatte, di un bel materiale candido, che lasciava trasparire la luce dell’esterno. Osservò il divano, il fuoco ardente nel camino, ampio e spazioso per scaldare tutta la stanza. Scrutò il tappeto damascato, e il tavolo di legno che reggeva un set di bicchieri e una bottiglia di liquido ambrato vicino al camino, dove c’era una poltrona vellutata pronta per essere usata.

Un movimento, però, la distrasse.

Nell’angolo a sinistra c’era una porta, appena dischiusa.

Era certa di aver visto una luce azzurrognola provenire da lì.

Con una mano sul blaster, gli occhi vivi e la pelle color ebano che rifletteva le lingue del fuoco, fece cenno al suo compare di guardarle le spalle.

Di soppiatto, spinse la porta e la aprì. 

Dentro c’era pieno di gente.

Non erano vivi, no. Erano tutti appesi alle pareti, immobili, incrostati su tele secolari, i loro sguardi persi nell’eternità della memoria dopo la morte. 

Con la torcia elettrica in mano, la ragazza potè osservarli più da vicino. Alcuni risalivano ad epoche così antiche da non permetterle di datarli. Altri avevano uno stile più recente, ma comunque unico, che Ni’Ven non aveva mai visto. Erano tutti molto belli, in ogni caso.

Ce n’era uno che raffigurava un uomo basso e tarchiato, con una grossa ascia, quasi più grande di lui. Era rivestito di metallo dalla testa ai piedi, ma ciò che la affascinò di più fu la creatura dagli occhi di brace che lo sovrastava, alle spalle.

Sembrava un serpente, ma non lo era. Sembrava avere un muso simile a dei grossi animali zannuti che aveva visto una volta sui ghiacci di Orto Plutonia, ma no, non ci avevano niente a che fare. Eppure, nonostante fossero selvatici, erano regali, maestosi, e per la prima volta, davvero, Ni’Ven si chiese se non fosse capitata nella casa di qualche re.

C’erano alcune donne ritratte. Una faceva ridere solo a vederla, ma aveva negli occhi qualcosa di feroce, fiero, altero. Se non fosse stato per le piume, che parevano ricoprirla dalla testa ai piedi, e per la grossa bestia che aveva posato il muso sulla sua spalla, avrebbe creduto che si trattasse di un’attrice, e non di una condottiera. 

Alcuni di questi animali erano stati visibilmente ridimensionati per entrare nel quadro. Un uomo, ad esempio, ne teneva uno in grembo, come un cucciolo, ma Ni’Ven era certa che le sue dimensioni reali fossero ben altre.

Incappò, poi, in uno strano quadro. 

- Dom, vieni qui.-
- Che cos’è?-
- Non lo so, sembra un quadro doppio, ma è strano. Vedi, sulla mano ci sono delle crepe, come se fosse stato piegato.-

Era bella, lei. Bellissima. Era forse il quadro più realistico e vicino ai gusti contemporanei che i due ragazzi avessero visto fino ad allora. Ritraeva una donna bionda, dagli occhi color cielo ed il volto sereno, che guardava davanti a sé con aria quasi mistica. Aveva un abito blu ricamato e una tiara in testa, con dei fiori nei capelli. 

Campanule, per la precisione.

Accanto a lei, per terra, accoccolato con la testa sul suo grembo, uno di quei lucertoloni, così pallido e bianco da sembrare opalescente, ma con le iridi del colore della galassia, delle nebulose e degli astri. 

Una delle mani della donna era posata in grembo, sul capo della creatura, mentre l’altra era sul bracciolo della poltrona, leggermente spostata verso l’esterno, ed era attraversata da una crepa netta, che percorreva il quadro in lunghezza.

Accanto a lei, le dita intrecciate alle sue, c’era un altro ritratto, visibilmente unito al primo posteriormente, ma l’epoca in cui erano stati dipinti doveva essere stata più o meno la stessa. Rappresentava un uomo, avvolto in un manto marrone ed in una tunica color crema, dai capelli rossi striati di grigio e gli occhi color bruma, anch’egli con lo sguardo perso nell’eternità. 

I loro corpi, però, erano leggermente tesi l’uno verso l’altro, e le loro teste, soprattutto, sembravano inclinate, come se stessero per voltarsi e guardarsi negli occhi.

- Che bello. Chissà chi erano.-
- Sembrano molto innamorati.-
- Oh, lo erano, infatti.-

Ni’Ven urlò e lasciò andare la torcia elettrica, che rotolò al suolo ed illuminò con il suo cono di luce la sagoma di un uomo, vestito di tutto punto, ma decisamente all’antica, dall’aria bonaria ed assorta, il cui sorriso lasciava presagire solo buone intenzioni.

Ci misero un po’, i due ragazzi, a rendersene conto, però.

Z6, invece, non lo capì proprio e continuò a blaterare a proposito di quanto tenesse alla sua scheda madre.

- Chiedo venia, amici miei. Non volevo spaventarvi. Benvenuti nella mia umile dimora. Stavo giusto per cenare. Volete favorire?-
- Chi siete voi?- chiese il Mon Calamari, sospettoso.

L’uomo sorrise ancora.

Aveva gli occhi blu, incredibilmente simili a quelli della donna del ritratto, ma i capelli erano rossi, come dovevano essere stati quelli dell’uomo accanto a lei. 

Forse era un lontano parente.

- Io?- fece l’uomo, puntandosi il dito al petto e soffocando una risata.- Io sono il Custode.-
- Custode di che cosa?-
- Di questo luogo, ovviamente!- concluse, allargando le braccia e girando attorno.- Ma vi prego, non fate complimenti. Vi chiedo scusa per essermi palesato in ritardo, ma ho dovuto provvedere alla mia consorte. Era stanca, sapete. Vi ho sentito dire che vi siete schiantati con la navicella. Che cosa disdicevole. Avrete fame e sete, e forse avrete anche bisogno di cure mediche. Vedrò di fornirvi tutte e tre le cose. Inoltre, sono certo che il vostro droide gradirà di asciugarsi i circuiti davanti al fuoco. Prego, venite. Vi faccio strada.-

Tese cordialmente la torcia alla ragazza, che la afferrò titubante, e fece per guidarli verso la sala da pranzo, quando Dom lo interruppe.

- Chiedo scusa, ma esattamente che cos’è questo posto? Voglio dire, dove siamo?-
- Questo, mio giovane amico, è Kalevala, e voi vi trovate a Kryze Manor, l’atavica dimora dei signori di Mandalore.-

 

Ni’Ven avrebbe dovuto capirlo immediatamente.

Bauer. Ecco dove aveva già sentito quel nome!

E tutto quel beskar? Come aveva fatto a non vederlo?

Seduta al lungo tavolo, provando a mangiare quella sostanza leggermente piccante che il custode le aveva messo nel piatto e vestita con abiti caldi e puliti, cercava di carpire con lo sguardo tutti i segreti di quel posto così antico. 

Aveva dovuto spiegare a Dom la leggenda delle Abiik’ade, le Figlie dell’Aria, le mitiche guerriere volanti poste a protezione di Mandalore e, soprattutto, di Kalevala. Aveva amato quella storia fin da quando l’aveva udita, narrata a lezione all’accademia di Noori, quando ancora frequentava i suoi studi, ed adesso non poteva credere di trovarsi su quel pianeta remoto e così affascinante, pieno di storie da raccontare.

Il custode doveva aver intuito la passione di Ni’Ven per quanto stava vedendo. Le aveva fatto molte domande, e non a tutte la ragazza si era sentita in obbligo di rispondere con sincerità. Tuttavia, l’uomo aveva il volto attento e gli occhi luminosi, per cui non si stupì minimamente quando vide un lampo di malizia attraversare le sue iridi blu alla prima menzogna. 

- Ditemi, signorina.- le chiese con gentilezza.- Com’è accaduto che una Nooriana si sia imbattuta in un Mon Calamari?-
- E’ tanto strano?-
- Di per sé, no, ma se consideriamo che siete una coppia ben assortita, direi che c’è una storia da raccontare. Sono Mando, io amo le storie. Le conservo, e le racconto. E’ il mio compito, qui. Custodire la Storia, con la esse maiuscola. Ogni singolo oggetto, qui, ha una storia. Anche voi. Una Nooriana praticamente disarmata e un Mon Calamari dalla pelle alquanto insolita si schiantano su Kalevala e non hanno cura di salvare nient’altro se non un archivio olografico.-

Zeta brontolò che tanto li avrebbe uccisi tutti e che le avrebbe cancellato la scheda madre. 

- Oh, anche il droide paranoico dovete averlo raccattato da qualche parte. Sento che c’è una storia anche lì.-

Dom Baren era più propenso a parlare, e Ni’Ven tendeva a fidarsi di lui per queste cose. Era più sensibile, più socialmente intelligente di lei. Sembrava sempre, istintivamente, sapere quando e di chi fidarsi. 

A volte non gli era andata proprio benissimo, andava detto.

Questo custode, però, sembrava innocuo. Indossava quella che sembrava una palandrana di discreta fattura. Non pareva povero, e doveva essere pagato profumatamente per fare la guardia ad un posto così. Aveva lo sguardo intelligente e non ostentava petulanza o sapienza. Sedeva ed ascoltava, gli occhi vivaci che seguivano le parole dei suoi interlocutori con la fissità con cui si segue una scena vivida del balletto acquatico Mon Calamari. 

- Ni’Ven è un’archeologa di Noori, è molto brava. Eravamo diretti ai confini della galassia alla ricerca di un tempio perduto, ma ci è andata male, e un pezzo di spazzatura spaziale ci ha fatti schiantare qua. Per quanto riguarda me, sono letteralmente stato pescato su Mon Cala in mezzo ad una rissa tra Quarren, e siccome mi intendo di scienza medica e biologia, sono stato portato all’accademia di Noori e lì sono rimasto. Zeta, invece, è il droide di protocollo del rettore dell’accademia. Ha voluto prestarcelo a tutti i costi, dopo che Ni’Ven ha mandato a quel paese il re di Ithor rischiando di farlo venire meno ai suoi principi pacifisti.-

Il custode abbozzò un sorriso.

- Ithor. Un luogo molto particolare. Non ho mai avuto l’onore di andarci, ma ne ho studiate le tradizioni. Il pacifismo, purtroppo, non ha attecchito in questa galassia. Solo in questo momento pare regnare la pace, ma le vie della Forza sono infinite. Chissà che non cambi tutto da un momento all’altro.-
- Ve l’ho detto, ci ammazzerà tutti. Vede nemici da tutte le parti.-
- State calma, Zeta cara. Ho del buon lubrificante per le vostre ginocchia scricchiolanti, e vi posso garantire che non l’ho corretto con l’acqua. Vi farà bene.-

Per una volta il droide scosse la testa, ma rimase in silenzio.

Ni’Ven era attratta da quella conversazione. Il custode sembrava sapere così tanto. Conosceva Ithor, con le sue tombe e i suoi templi, un luogo di pace così affascinante.

- Se non vado errando, anche Mandalore ha conosciuto un momento di pace, sotto la guida della duchessa Satine Kryze.-
- Oh, sì.- disse il custode, e i suoi occhi si persero nel vuoto, come se fossero immersi in un ricordo.- Una donna notevole, di grande bellezza esteriore, che rifletteva quella interiore. Le sue capacità erano immense. Nessuno prima di lei era veramente riuscito a portare la pace su Mandalore. Conoscerete tutti le storie di guerra che accompagnano il mio popolo.-

La nooriana non era convinta di quella descrizione. Sembrava incredibilmente teatrale. Insomma, la duchessa era morta da secoli, eppure il custode ne parlava come se avesse avuto modo di incontrarla di persona. 

Doveva essere un membro del clan, o un uomo molto legato al suo pianeta, così tanto da sentire quella storia come sua, per reagire a quel modo. 

- La duchessa?- chiese il Mon Calamari, gli occhi grandi nel tentativo di comprendere meglio.- Non conosco questa storia.-
- Ma sì che la conoscete, ragazzo mio. La storia della duchessa Satine è dovunque, nella galassia. Ad esempio, quel blaster che portate alla cintura. Sapete qual è il suo nome?-
- Ha un nome?-
- Sì. E’ comunemente detto il lamento della duchessa. Un’arma micidiale dal tiro preciso. L’opposto della delicatezza e proverbiale sensibilità della nostra leader. Uno strumento del genere avrebbe ferito i sentimenti di sua altezza, e per questo gli è stato dato quel nome.-

Dom Baren guardò Ni’Ven, che annuì, confermando quella storia bizzarra.

- Non so quasi niente di lei. Su Mon Cala non se ne parla molto.-
- L’avete vista. E’ la donna bionda che stavate guardando nella sala dei ritratti.-

Certo. Come aveva fatto a non capirlo prima! Ni’Ven si sentiva quasi instupidita, da quando era entrata lì dentro. Sentiva la testa girare. C’era talmente tanta roba che avrebbe potuto lavorare in quella casa per tutta la vita e non scoprirne tutti i suoi segreti. La voce del custode, a volte, sembrava venire da un’altra dimensione. Anche nella sua figura c’era qualcosa che stonava. Aveva l’aria di un vecchio, ma il corpo e l’aspetto di un giovane, che doveva ancora superare la mezza età. 

Oppure portava molto bene i suoi anni. 

Insomma, sembrava un saggio nel corpo di un uomo, o un vecchio millenario ringiovanito. Il suo modo di parlare lo Standard suonava arcaico, il suo modo di vestire superato, il cibo che mangiava non era consumato da nessun’altra parte della galassia.

La ragazza subiva il fascino di quel posto, che però, allo stesso tempo, la metteva a disagio.

- Perdonatemi, ma non credo che sia vero. A quanto ne so io, la duchessa non si è mai sposata.-
- Anche questo è vero.-
- Nel ritratto, però, la donna pare avere un consorte.-

Questa volta gli occhi del custode brillarono.

- Ah, questa è davvero una bella storia. In verità, non è mai stato il suo consorte, ma quanto si sia più avvicinato ad esso. Il loro è stato un grande amore, sbocciato in gioventù, che è finito tragicamente, ma che ha trovato un lieto fine alla fine del loro tempo. La loro storia è strettamente legata al corso degli eventi di Mandalore, ormai molti anni or sono. E’ una delle leggende più belle del nostro sistema, quella dell’amore proibito tra la duchessa di Mandalore Satine Kryze e il maestro Jedi Obi Wan Kenobi.-
- No, aspettate un attimo!- esplose Dom Baren, la bocca spalancata e le mani palmate che mulinava nell’aria.- Quello là è Obi Wan Kenobi?-

Il custode annuì con aria grave.

Ni’Ven, invece, avrebbe tanto voluto mettersi a ridere.

- Non gli credere, Dom. E’ solo una leggenda. E’ questo quello che fate? Vi inventate le storie per acchiappare turisti creduloni?-
- Mi stupisce che una donna di scienza come voi non creda all’esistenza dei Jedi, mia cara. Sapete benissimo che Luke Skywalker…-
- Oh, sì, certo. Quello in cui non credo è che una Mando e un Jedi si siano mai amati davvero. E’ una bella leggenda, ma voi la state spacciando per vera!-
- Questo, perché lo è, ragazza mia. E’ vera. Se c’è bisogno, sono in grado di dimostrarvelo.-

Una parte di lei non aveva minimamente voglia di restare ad ascoltare quello che parevano delle vere e proprie panzane, ma Dom Baren sembrava molto preso dal racconto, e fuori stava infuriando il peggior temporale che avessero mai visto. Zeta, inoltre, le avrebbe rovinato la vita se solo avesse provato a schiodarla dal camino acceso.

Così, con rassegnazione, si prestò al gioco.

- Benissimo, sentiamo questa storia, ma sappiate che non crederò ad una singola parola di quello che direte.-

Il Custode sembrava preparato a quello scetticismo, e li invitò a sedere con lui accanto al fuoco, dove i loro abiti stavano ancora asciugando. Offrì loro del liquore, che accettarono volentieri, e con loro grande sorpresa fornì l’olio a Zeta, che si aggiustò le articolazioni senza brontolare e che per una volta parve fidarsi. 

- Spero che abbiate tempo e che non abbiate sonno, perché è una storia molto lunga, e soprattutto molto complessa. Ha inizio subito dopo la Grande Guerra Civile Mandaloriana, nell’interstizio tra essa e la Grande Guerra dei Clan. Tralascerò alcune informazioni per comodità. Vi basti sapere che Satine Kryze di Kalevala nacque dall’unione del duca Kyla Adonai Kryze e della guerriera Abiik’ad Vikandra Bauer, a circa metà del mandato di suo padre.- 
- Le Abiik’ade sono esistite davvero?-
- Sì, ragazzo mio. Se avremo tempo, vi mostrerò ciò che resta di esse e della loro storia. Per il momento, però, sarà meglio attenerci al filone principale della nostra storia, altrimenti, resterete qui per sempre e non ne vedrete mai la fine.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Abiik’ade: lett. Figlie dell’Aria.

Aliit: lett. famiglia, ma anche appartenenza a qualcosa, per natura o per scelta.  

NOTE DELL'AUTORE: Innanzitutto salve a tutti! E' un piacere entrare a fare parte di questa community! Intendo fornire immediatamente alcuni chiarimenti così da poter rendere fruibile a tutti il contenuto della storia.
Per chi non è pratico del mondo cinematografico di Star Wars o delle ultime serie, animate e non, consiglio di recuperare prima di leggere. Il testo contiene spoilers sulla serie The Clone Wars, piccole anticipazioni disseminate qua e là. Gran parte di quanto contenuto è di mia invenzione, dal momento che tratta di un periodo antecedente agli avvenimenti canonici e che del sistema di Mandalore non si sa ancora granchè. Ho cercato di ricostruire la cultura Mando quanto più fedelmente possibile.
Il Mando'a contenuto nel testo è originale. Potete trovare il vocabolario sul web. 
Il popolo Mando è intriso di tradizioni guerriere e violente. Naturalmente, non è mia intenzione esaltare questo aspetto, tuttavia non può mancare un po' di violenza, necessaria anche per caratterizzare al meglio il personaggio e gli ideali della duchessa pacifista. I capitoli contenenti elementi di violenza esplicita saranno indicati con una segnalazione specifica all'inizio del capitolo. 
Al di là dei personaggi originali di Star Wars, dunque, su cui non possiedo naturalmente alcun diritto, è tutta farina del mio sacco. Nel corso del testo saranno introdotti anche miti, leggende e testi poetici della cultura Mando che ho creato di sana pianta. 
Vi ringrazio per l'attenzione, e vi auguro una buona lettura! 
Se vorrete lasciare una recensione ogni tanto, ne sarò molto felice!
Vostra,

MollyTheMole. 
 
  
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