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Autore: Koome_94    14/07/2021    1 recensioni
[The Falcon And The Winter Soldier
WinterBaron - Bucky x Zemo]
A sei mesi dagli eventi di The Falcon and the Winter Soldier, Zemo si trova ancora prigioniero in Wakanda, in attesa che alla Raft si liberi il posto che gli spetta di diritto. Shuri, tuttavia, non è interamente convinta che la reclusione possa essere davvero una pena valida per un uomo come Helmut Zemo.
Quando una serie di furti di vibranio scuote il Wakanda e anche nel resto del mondo misteriosi individui incominciano a prendere di mira navi cargo e persino le Stark Industries, Sam e Bucky tornano in azione, preoccupati che dietro ai misteriosi avvenimenti si celi di più e per Shuri è decisamente giunto il momento di ricomporre il vecchio trio.
Zemo non può fare altro che accettare, ma è davvero pronto a rivedere James dopo il loro addio a Sokovia? E Bucky è davvero pronto a tornare ad affrontare il dolore negli occhi dell'uomo che aveva giurato di odiare?
Una caccia al tesoro attraverso l'Europa li metterà di fronte a domande difficili e risposte sconvenienti.
Nel frattempo il passato di entrambi è in agguato.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, James ’Bucky’ Barnes, Sam Wilson/Falcon, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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So wake me from this terrible nightmare
This wicked little game I never wanted to play
An answers gotta be somewhere out there
Equations need solutions and we'll solved it today

Get out of my head
Get out of my mind
Whatever you put me through
I'll come out alive

Nightmare - Arshad
 






 
A Zemo l’idea di bruciare la macchina non era andata a genio.
Si era accorto fin da quando erano arrivati a Roma che c’era qualcosa che lo disturbava, e il modo in cui aveva glissato su tutte le domande di Teresa aveva reso il suo sentore una certezza. Zemo non aveva alcuna intenzione di informare la donna sulle loro attività e per un irrazionale quanto stupido istante si era concesso l’illusione che lo stesse facendo per proteggerla, per evitare che la conoscenza potesse essere un pericolo per lei.
Un’idea decisamente stupida, considerando che quell’uomo era pronto a calpestare qualsiasi individuo pur di perseguire i suoi scopi.
Eppure gli aveva dato fastidio dover bruciare la macchina e lui si era ritrovato ancor più stupidamente a inventarsi una scusa qualsiasi per evitare che Teresa leggesse troppo nelle loro azioni.
Lo stava proteggendo? No, che assurdità. Stava proteggendo se stesso, stava limitando gli ipotetici danni di una situazione che era già abbastanza incasinata per i fatti suoi senza il bisogno di complicare ulteriormente le cose.
E quindi si erano fatti accompagnare poco fuori città, nella campagna, e avevano pazientemente assistito al rogo dell’auto che era appartenuta a Francesco.
Bucky aveva pensato alle parole delle ragazze del diner per tutto il tempo, domandandosi a mano a mano che il fumo acre saliva nell’azzurro del cielo di Roma per quale motivo non li avessero ancora rintracciati.
O la Polizia italiana faceva pietà, oppure le Generale e Sergente Maggiore avevano dato loro una mano senza dare nell’occhio.
Probabilmente si trattava di entrambe le cose.
Rimaneva il fatto che nel tardo pomeriggio, dopo che erano passati nuovamente da casa a risistemarsi e la donna aveva prestato loro degli abiti con cui riempire le valige, Teresa li aveva accompagnati all’aeroporto, dove il suo jet li attendeva paziente assieme al pilota che aveva messo a loro disposizione.
Era più vecchio di quello di Zemo, ma sembrava ugualmente ben tenuto.
- L’unica cosa buona che mi ha dato quell’imbecille del mio ex-marito. A parte i miei figli, s’intende. - era stato il commento della donna quando il velivolo era apparso nel loro campo visivo.
- Signor Barnes, si tenga il più lontano possibile dai Medievisti, sono gente di cui non è bene fidarsi. - gli aveva sussurrato poi con un occhiolino, convinta che potesse bastare a motivare il divorzio.
- Non si preoccupi Teresa, non frequento gente a cui piacciono le pale d’altare. - si era ritrovato a rispondere con un’occhiata veloce a Zemo, senza rendersi davvero conto del significato delle sue parole.
Quello aveva scosso la testa ma non era riuscito a trattenere un sorriso sbieco, mentre Teresa si era messa a ridere.
- E’ stato davvero un piacere, Signor Barnes. Torni a Roma quando vuole e si senta libero di bussare alla mia porta per qualsiasi necessità. - aveva continuato affettuosamente prendendolo a braccetto un’ultima volta e stampandogli un bacio sulla guancia.
- Teresa, hai settant’anni. - era stato il commento di Zemo, ma la donna non si era mostrata minimamente offesa.
- Cafone! - aveva esclamato, ma aveva lasciato il braccio di Bucky per dare un bacio sulla guancia anche a lui.
Lo aveva abbracciato stretto ed era più che certo che ne avesse approfittato per sussurrargli qualcosa all’orecchio, ma dalla reazione spaesata di Zemo aveva capito che probabilmente si trattava solo di qualche consiglio materno e non di qualcosa di cui preoccuparsi.
Li aveva salutati con la mano finché il portellone non si era chiuso, poi era salita in macchina e se n’era andata, mentre l’aereo decollava e guadagnava quota nella rotta verso Praga.
Zemo aveva preso posto su uno dei sedili del jet e Bucky era andato a sistemarsi dalla parte opposta, il corridoio a separarli. Per un istante, come in un flash, l’ultima volta che avevano preso un jet assieme gli era passata davanti agli occhi, aveva ricordato la furia cieca a ribollirgli nelle vene quando l’uomo aveva menzionato la sua lista delle ammende, aveva percepito la paura nei suoi occhi sgranati e il lievissimo sospiro che aveva lasciato andare dalle sue labbra appena socchiuse.
Erano passati solamente sei mesi, eppure gli sembrava una vita intera, e forse lo era davvero. Non lo avrebbe mai ammesso, di certo non a Zemo, ma esisteva un Bucky prima del loro addio a Sokovia e un Bucky dopo, come se quell’incontro avesse fatto tabula rasa di tutte le sue convinzioni, le avesse ribaltate, rovesciate, restituite a lui identiche e tuttavia svuotate di ogni significato.
Nei mesi successivi quell’arrivederci, James gli era rimbombato nella coscienza come il boato di una granata, aveva tormentato i suoi sogni come la raffica della mitraglia, filo spinato contro ogni tentativo di fuga della sua coscienza.
Sapeva di aver fatto la scelta giusta, ne era certo, eppure… Eppure…
Il suo nome pronunciato sotto al monumento dall’uomo che aveva giurato di odiare aveva aperto fra di loro una voragine incolmabile, aveva costruito un ponte indistruttibile, una catena dalle maglie inviolabili che lo aveva legato a lui per sempre, che aveva ingabbiato il suo libero arbitrio e gli aveva offerto più domande che risposte.
Solo sei mesi, ma con la tormenta nell’anima a Bucky erano sembrati secoli.
Zemo dormiva, adesso, il capo appena reclinato contro il poggiatesta e le labbra socchiuse. Aveva preso sonno poco dopo il decollo e Bucky non aveva osato svegliarlo, ben felice di potersi dedicare qualche manciata di minuti senza la sua costante supervisione. Zemo dormiva e nel silenzio del suo respiro regolare sembrava quasi un bambino, con le ciglia lunghe a sfiorargli le guance e il ciuffo castano che gli accarezzava la fronte, sembrava quasi in pace.
Aveva notato il modo in cui quella mattina si era incantato a fissare il coltello e per un assurdo e ridicolo momento aveva provato paura. Paura di aver intuito, di aver capito. Era stato un attimo, un fruscio di pensieri e non era stato capace di trattenere la voce fra i denti. Lo aveva chiamato senza sapere nemmeno perché, senza pianificare cos’altro aggiungere e infatti non aveva aggiunto niente. Zemo si era riscosso e tanto era bastato.
Adesso, il petto ad alzarsi piano e ritmicamente, Zemo sembrava sereno, in pace, e Bucky si sorprese a sperare che almeno nel sonno l’invitante richiamo della lama del coltello, una melodia che lui stesso conosceva intimamente, non riuscisse a raggiungerlo.
- Ti chiedo scusa, devo essermi addormentato. -
La voce dell’uomo risuonò all’improvviso nel silenzio del velivolo e Bucky spostò istintivamente lo sguardo su qualcos’altro affinché Zemo non notasse che lo stava guardando. Se anche se ne fosse accorto, tuttavia, non lo menzionò e proruppe in un profondo sbadiglio che cercò di camuffare con una mano davanti alla bocca prima di passarsi le dita fra i capelli per sistemarli e ottenendo solo di scompigliarli di più.
- Nessun problema. - rispose solamente, la bocca fastidiosamente asciutta per averla tenuta spalancata come un imbecille.
- Che ore sono? - domandò Zemo retorico controllando sul cellulare.
- Hai dormito solo una ventina di minuti, ne abbiamo ancora almeno per un’ora. - fece lui con un cenno della testa al piccolo monitor sul quale erano riportati rotta, velocità di crociera e tempo all’arrivo.
- Bene, possiamo approfittarne per fare il punto della situazione. - fu la sua proposta.
Bucky inspirò a fondo e annuì, portando i gomiti sulle ginocchia e inclinando un poco il busto verso di lui.
- Non è che abbiamo tante informazioni a disposizione, in realtà. - obiettò, infilando una mano in tasca e tornando a rigirarsi fra le dita la spilla misteriosa.
Zemo annuì, vagamente scoraggiato.
- Punto primo: gli Wraiths stanno raccogliendo materiali di vario genere fra cui vibranio. Date le varie proprietà e applicazioni dei materiali rubati finora è difficile dire che cosa intendano farne, ma il furto del libro di Pico della Mirandola forse può dirci qualcosa di più. Di conseguenza forse all’interno del testo c’è qualcosa di cui hanno bisogno per utilizzare questi materiali. - provò a fare mente locale.
- Pensi a una formula? Un… incantesimo? - azzardò Bucky.
Zemo portò l’indice alle labbra e il pollice a sorreggergli il mento, un gesto distintivo che Bucky lo aveva notato compiere quando aveva bisogno di particolare concentrazione.
- Può darsi. E non è un caso che la spilla raffiguri il simbolo dell’Alchimia. Forse gli Wraiths stanno cercando di recuperare antiche conoscenze, forse davvero sono interessati a questo nuovo ordine mondiale e il contenuto del libro potrebbe aiutarli a raggiungerlo. Ieri al telefono Francesco mi aveva detto che era stato contattato dagli Uffizi quando avevano scoperto il furto. Ovviamente Eike sapeva che la seconda parte del volume ce l’aveva lui. Temo si aspettasse una visita indesiderata. - raccontò.
- Quindi ipoteticamente gli Wraiths stanno accumulando conoscenze e materiali per creare o ottenere qualcosa che li aiuti a raggiungere questo misterioso obbiettivo. Occupandosi di Alchimia hanno preso spunto dall’antica setta di cui ha parlato Teresa e si riuniscono a Praga, motivo per cui le ragazze hanno rilevato flussi di energia in città nonostante non sia stato comunicato nessun furto o strana azione. - riepilogò, Zemo che annuiva ad ogni passaggio elencato.
- Sì, ha senso. E il loro trucchetto di apparire e poi scomparire nel nulla potrebbe avere a che fare con le loro conoscenze alchemiche. Pico della Mirandola studiava la possibilità di viaggiare nel tempo. Forse gli Wraiths sono riusciti a concretizzare qualcuna delle sue teorie. - aggiunse.
Bucky guardò un istante fuori dal finestrino, dove l’azzurro del cielo era di tanto in tanto punteggiato da qualche ciuffo di nuvole. Non era poco quello che erano riusciti a scoprire in quegli ultimi due giorni, eppure continuavano a non avere nulla di concreto fra le mani. Le loro erano solo ipotesi, solo teorie che mancavano completamente di prove concrete.
- Dobbiamo scoprire dove si riuniscono. -
Zemo non rispose, lo sguardo sempre concentrato nel vuoto a inseguire chissà quale pensiero contorto.
Annuì con qualche secondo di ritardo e gli rivolse un sorriso frettoloso, prova che gli stava dedicando solo parte della sua attenzione.
- Temo proprio che dovremo rimboccarci le maniche. -
Fu di parola e si mise subito al lavoro, tanto che quando un’oretta dopo atterrarono a Praga ed ebbero salutato e ringraziato il pilota di Teresa, Zemo aveva già un indirizzo da dare al tassista che aveva caricato i loro trolley.
- Karoliny Světlé, per favore. - disse con assoluta nonchalance dopo che anche Bucky ebbe preso posto sul sedile accanto a lui.
Il tassista diede un cenno di assenso con la testa e mise in moto, muovendosi verso il centro città.
- Dove stiamo andando? - si informò, incuriosito dalla sicurezza del collega.
Questa volta il sorriso di Zemo fu sincero, avrebbe detto quasi orgoglioso.
- Dal momento che non abbiamo idea di quanto tempo ci prenderanno le nostre ricerche mi sono permesso di prenotarci una stanza in albergo. Spero che la Suite Rossa sia di tuo gradimento. - spiegò con un’espressione talmente compiaciuta che Bucky non si sarebbe stupito se si fosse trasformata in un occhiolino.
- La suite? Sul serio? - replicò con un’alzata di sopracciglia cercando di non pensare al suo debito che gonfiava a dismisura. Avrebbe realmente avuto bisogno di un prestito dalla banca per riuscire a pareggiare i conti con quel borioso aristocratico infame che gli avevano affibbiato.
Zemo roteò gli occhi, accondiscendente come al solito.
- Buon dio, James, non vorrai mica prenotare in un buco di airbnb. Devi prenderti più cura di te stesso. - si limitò a rispondere prima di voltare il capo verso il finestrino.
Non bastò affinché gli sfuggisse il ghigno di trionfo che gli aveva colorato il volto.
Quando il taxi si fermò di fronte all’hotel, tuttavia, Bucky dovette ricredersi: il sorriso che aveva scorto prima non era nulla in confronto alla pura soddisfazione che filtrava da ogni poro di Zemo.
L’edificio doveva essere stato un antico palazzo di qualche abbiente famiglia, perché la corte interna assomigliava più al cortile di un castello che a un’area all’aperto di un hotel, e la suite… beh, la suite era esattamente ciò che avrebbe potuto aspettarsi da un uomo come Zemo.
Il piccolo appartamento aveva due camere da letto ciascuna dotata di bagno privato e una graziosa area comune con tavolino, televisore e divano. In tutta la sua vita Bucky non aveva mai avuto modo di concedersi un simile lusso.
- Questa porta rimarrà chiusa. - disse glaciale quando si accorse che le due stanze da letto erano comunicanti.
- Non ti preoccupare, non ho alcuna intenzione di tagliarti la gola mentre dormi per poi ricevere lo stesso trattamento dalle Dora. - rise piano Zemo, sistemando momentaneamente la sua valigia in un angolo e sedendosi sul soffice letto che aveva designato come suo.
- Allora, la suite incontra i tuoi gusti? - gli domandò poi, sdraiato a braccia spalancate. Per un istante gli ricordò i bambini che facevano gli angeli nella neve in Commerce Street prima della Guerra, ma fu svelto a riscuotersi.
Bucky sospirò a fondo, senza riuscire a comprendere per quale assurdo motivo stesse continuando a dargli corda.
- Non è male. - si limitò a constatare, ben lungi dal volergli dare ragione.
Lasciò in ogni caso che il suo sguardo percorresse le lenzuola candide, risalisse lungo la testiera del letto e considerasse la tonalità di rosso scuro con cui erano state dipinte le pareti. Lussuoso, sì, ma accogliente. Doveva ammettere che Zemo aveva avuto buon gusto.
Decisero di rimanere a cena in hotel e non avventurarsi ancora in città, nessuno dei due aveva mai visitato Praga e in ogni caso avevano già superato l’orario di chiusura di tutti i luoghi d’interesse.
Dedicarono la serata a stilare un piano di battaglia per il giorno dopo, cerchiando luoghi sulla cartina della città che avevano recuperato alla reception e numerandoli in una scala dal più interessante a quello che sembrava più collaterale per le loro indagini.
- Non basterà mai un giorno per vedere tutto. - osservò, pensieroso.
Zemo gli accordò la ragione, portando alle labbra la penna con cui aveva preso appunti fino a quel momento.
- Considerando che non sappiamo nemmeno con esattezza che cosa stiamo cercando… -
Si guardarono qualche istante negli occhi e proruppero entrambi in un sospiro sconsolato.
Nemmeno Sam stava scoprendo nulla di particolarmente interessante negli Stati Uniti: Bucky lo aveva aggiornato via messaggio sulle ultime scoperte ma l’uomo non aveva potuto fare altro che annotarsi mentalmente la storia della setta alchemica e sperare che potesse tornargli utile per capire in quale modo gli Wraiths fossero venuti a sapere del trasporto segreto di vibranio: gli uomini alle Stark Industries sembravano tutti puliti.
Quando andarono a dormire Bucky si lasciò cadere fra le lenzuola fresche, la testa affondata nel cuscino morbido come una nuvola, e rimase a fissare il soffitto per qualche minuto.
Nella stanza accanto sentì Zemo trafficare con la valigia, forse intento a sistemare i vestiti nell’armadio, e quando la televisione fu accesa su un qualche documentario storico si rassegnò al fatto che probabilmente anche lui non sarebbe riuscito ad addormentarsi così in fretta.
Portò l’avambraccio destro sulla fronte in un gesto stanco e chiuse gli occhi.
Non potevano fare più di così, avevano dei limiti imposti dalla natura della loro indagine, avevano già scoperto tantissimo per quella giornata, ma qualcosa gli diceva che non avevano fatto abbastanza, che avrebbero potuto provare a spingersi ancora un po’ più in là, a indagare più a fondo.
Per un istante perse il ritmo della respirazione e gli mancò l’aria quando si rese conto che mentre loro riposavano fra le coperte lievi dell’hotel gli Wraiths stavano organizzando la loro prossima mossa verso un traguardo che ignoravano completamente.
Erano in una corsa contro il tempo, ma non stavano muovendo nemmeno un passo.
Cosa sarebbe successo se il tempo gli fosse sfuggito dalle mani?
Cosa sarebbe successo se il tempo fosse scaduto?
Prese sonno così, teso e agitato, e i suoi sogni ebbero tutti lo stesso colore: nero come l’angoscia.
 







 
Giugno aveva accolto la Repubblica Ceca ammantandola di un calore al quale Bucky non era preparato.
Alle nove del mattino il sole già premeva sulla testa e la felpa con cui era uscito era rapidamente finita legata in vita, mentre lo zaino leggero che si era caricato sulle spalle gli faceva sudare la schiena.
Zemo sembrava essersela cavata decisamente meglio con la sua polo a maniche corte, ma anche lui non era immune all’umidità che saliva dal fiume, il volto accaldato e la mano che spesso saliva a scostarsi i capelli dalla fronte.
Erano usciti dopo una colazione abbondante che lo aveva messo di buonumore e, armati di guida turistica acquistata ad un negozietto incontrato lungo la strada avevano deciso di incominciare dalla parte più vecchia della città, attorno all’antico castello asburgico.
Avevano percorso il lungofiume in silenzio, guardandosi attorno curiosi e circondati dal chiacchiericcio leggero dei turisti, e per un istante a Bucky era sembrato di essere leggero, per un istante si era sentito felice, libero.
Solo un uomo come tanti che si godeva una mattinata di turismo in una città straniera, solo una persona qualsiasi che lasciava che l’arte di quel luogo sconosciuto gli attraversasse l’anima.
- Ecco, il ponte dovrebbe essere la nostra prima tappa. La guida dice che c’è un’antica leggenda riguardo la sua costruzione. -
Zemo aveva arrestato la marcia e aveva atteso che lo raggiungesse, facendoglisi un poco più vicino per mostrargli un trafiletto sulla guida, che poi lesse comunque ad alta voce.
Sembrava a suo agio nei panni del cicerone, e pensò che forse addirittura si stava divertendo. Di certo era un uomo a cui piaceva dimostrare la sua sapienza, e anche se il libro faceva da intermediario era comunque lui a condurre il gioco di quella passeggiata mattutina. Bucky si sorprese a seguirlo volentieri, ad ascoltare ciò che raccontava con piacere, incantato dalla sua voce che sapeva portarlo indietro a tempi remoti, a epoche passate dove fede e superstizione si intrecciavano alla vita quotidiana dell’Europa. Nella voce di velluto di Zemo le gesta di antichi re e volenterosi popolani si susseguivano e si mescolavano e a Bucky quasi sembrava di vederli, gli abitanti di Praga che mescolavano le uova alla malta con cui costruire il Ponte Carlo.
Non gli sarebbe dispiaciuto, un giorno, condurre una vita come quella. Abbandonare il campo di battaglia, lasciarsi alle spalle l’adrenalina e finalmente poter essere una persona come tante, con una vita tranquilla da dedicare ai viaggi e alle culture diverse.
Chissà se ci sarebbe mai riuscito, a raggiungere quel genere di pace.
- Ok, qui parla di una specie di maledizione… il Diavolo voleva ingannare il costruttore… Niente di collegato a quello che stiamo cercando, per il momento. - Zemo concluse la lettura arricciando un poco il naso in una buffa espressione di disappunto.
- E cos’è esattamente che stiamo cercando? - fu la domanda provocatoria di Bucky. Si erano lanciati a capofitto verso il ponte, ma non avevano nemmeno idea di che cosa fosse nel concreto l’obbiettivo della loro ricerca.
Zemo scosse la testa e si strinse nelle spalle.
- Qualunque cosa di collegato all’Alchimia. Un nome, una storia, una data. Qualunque cosa. E’ l’unico indizio che abbiamo al momento. -
Non attese risposta, gli fece un cenno con la testa e si incamminò verso l’imboccatura del ponte, già gremito di turisti.
Bucky lo seguì senza fiatare, lo sguardo catturato dai colori attorno a lui. La giornata era splendida e c’era qualcosa nell’aria che lo faceva sentire vivo, una sorta di strana elettricità che aveva percepito fin dalla sera prima, come se la città realmente avesse un’anima, una voce con la quale cercava di comunicare.
Mosse il primo passo sul ponte e gli sembrò di entrare in un’altra epoca, in un altro mondo.
Si guardò attorno ammirato, incrociando le occhiate austere delle statue che punteggiavano i due parapetti e lasciandosi incantare dallo scorrere placido del fiume sotto di loro.
Incantevole, non avrebbe saputo come altro descriverlo: tutto di quel luogo sembrava essere sfuggito ad una fiaba, un racconto di tempi perduti. C’era un qualcosa di magico in quelle pietre consunte dai secoli, nelle foglie trasportate dalla quieta e indifferente corrente della Moldava.
- Che cosa stai facendo? - gli domandò all’improvviso Zemo, retorico.
Bucky alzò lo sguardo su di lui ma non gli rispose, limitandosi a mettere meglio a fuoco l’immagine sul display del cellulare e a scattare la fotografia. Una perfetta cartolina della prospettiva del ponte, con il castello in lontananza.
- Non ti facevo un tipo artistico. - commentò il compagno di viaggio con un sorriso obliquo.
Bucky si strinse nelle spalle.
- Ho studiato Arte prima di arruolarmi, disegnavo a carboncino, per lo più. Ed ero appassionato di fotografia. Avevo iniziato ad interessarmi al lavoro di Capa, mi sarebbe piaciuto tentare quella carriera. - spiegò, lo sguardo distante, perso nei ricordi.
- Non lo sapevo. - disse semplicemente Zemo. Non si accorse del lieve fremito nelle sue iridi castane, e se anche se ne fosse accorto non sarebbe mai stato in grado di interpretarlo.
- Conosci McCurry? - chiese poi, strappandogli un sogghigno.
- Un genio. Steve mi ha fatto vedere i suoi scatti su internet. - rispose con un sorriso agrodolce.
Le sopracciglia di Zemo si arcuarono appena verso il basso, lo sguardo indurito.
- Immagino fosse una delle vostre passioni condivise. -
Bucky annuì, inclinando appena la testa di lato. Qualcosa era cambiato nella voce di Zemo, ma non avrebbe saputo dire cosa.
- Sì. Anche se Steve era più per la pittura. - raccontò, ma gli sembrò che quelle parole fossero fuori posto, che sprecarle in una conversazione con Zemo fosse sbagliato, come una bestemmia.
L’uomo distolse lo sguardo e infilò una mano nelle tasche dei pantaloni, mentre la destra saliva a sistemarsi i capelli e si soffermava in un gesto distratto sul lobo dell’orecchio, un qualcosa che gli aveva già visto fare più volte.
- E che ne pensi di Mucha? C’è un museo dedicato, era originario di qui. - ma la frase non gli uscì con la solita convinzione, il tono di voce si era fatto più basso rispetto a prima.
Bucky annuì, contento che il discorso non fosse rimasto su Steve.
- Ho visto un’esibizione temporanea a New York, quando andavo a scuola. Se ci avanzasse del tempo… - non osò dirlo ad alta voce, non voleva che sembrasse che desiderasse visitare il museo.
Non che ci fosse nulla di male, ma una parte di sé lo faceva sentire in colpa all’idea di concedersi una giornata di turismo quando il suo compito era quello di contrastare gli Wraiths.
Specie se la proposta, seppur solo abbozzata, veniva da Helmut Zemo.
- Sì, chiaro, solo se avanzasse tempo… - fu tuttavia la replica altrettanto imbarazzata dell’uomo. Forse anche lui, nonostante tutto, voleva dimostrare una parvenza di serietà.
Non dissero altro, Bucky infilò nuovamente il telefono in tasca e continuarono a camminare lungo il ponte, in silenzio.
I colori della città li accolsero con allegria e Bucky fu svelto a scrollarsi di dosso quella sensazione sgradevole che l’ultima conversazione gli aveva lasciato. A mano a mano che avanzavano verso il castello, risalendo con calma la collina assieme al flusso di turisti, Zemo continuava a leggere stralci di guida, per aiutarsi ad avere una vaga idea di ciò che stavano vedendo.
Di certo la città aveva una tradizione antica, una storia lunga e complicata nella quale si erano avvicendati casati e dominazioni straniere.
- L’indipendenza di queste terre è stata raggiunta solo nel 1918 alla fine della Guerra: proprio come noi Sokoviani i Cechi sono stati sotto il controllo dell’Austria per secoli. Una situazione politica estremamente complicata, ma ha permesso uno sviluppo non indifferente di una cultura multietnica. - commentò quando furono in vista del castello.
- La guida dice che i primi lavori risalgono al IX Secolo, quando la Boemia era ancora sotto il controllo delle popolazioni slave. Gli Asburgo arrivarono solo dopo. - aggiunse.
Bucky si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e scattò un’altra fotografia al complesso di edifici di fronte a loro.
- Pensi che il discorso dell’Alchimia possa essere così antico? -
Zemo fece spallucce e chiuse il libro mantenendo il segno con un dito.
- Purtroppo non è uno degli argomenti su cui sono più informato. Sulla spilla c’è lo stemma asburgico, quindi probabilmente in città l’interesse per questa scienza è arrivato da Vienna. Guarda, qui dice che Rodolfo II aveva fatto costruire un piccolo quartiere espressamente per ospitare gli alchimisti e le loro famiglie. -
Bucky si sporse appena per controllare la scritta rossa a metà della pagina, accanto a una fotografia di una fila di casette colorate.
- E’ qui nel complesso del castello, potremmo incominciare da questo. - suggerì.
Attraversarono la spianata del castello con passo deciso, seguendo le indicazioni per il Vicolo d’Oro, e ancora una volta a Bucky sembrò di essere finito in una fiaba.
- The Wonderful Wizard of Oz… - commentò fra sé e sé strappando una risata leggera a Zemo.
Davanti a loro una piccola stradina lastricata ospitava in schiera le piccole casette della foto, ciascuna dipinta di un colore diverso, con porticine addobbate con ghirlande, graziose finestrelle e numeri civici dipinti a mano sulle facciate.
In fondo al vicolo una guida raccontava in Cinese a un gruppetto di turisti la storia del vicolo, e Bucky si avvicinò a un cartello su cui erano riportate probabilmente le stesse informazioni.
- Il vicolo fu fatto costruire su ordine di Rodolfo II che vi installò le sue ventiquattro guardie e le relative famiglie. Narra la leggenda che anche diversi alchimisti chiamati espressamente dal sovrano furono fatti alloggiare qui e che le case altro non fossero che i loro laboratori, nei quali tentavano di tramutare il ferro in oro e di sintetizzare l’elisir di lunga vita. - lesse ad alta voce, voltandosi verso Zemo con un’alzata di sopracciglia eloquente.
Le informazioni interessanti, tuttavia, si limitavano a quello.
Che Kafka avesse vissuto al numero 22 o che una quindicina d’anni prima fossero stati intrapresi dei lavori di restauro non apportava molto alla loro causa, e anche la mostra permanente sulla vita nel pittoresco vicolo attraverso i secoli, seppur interessante, non gettò nessuna luce particolare su ipotetiche sette alchemiche e sui loro supposti luoghi di ritrovo.
Riuscirono a prenotare una visita guidata personalizzata del castello che li tenne impegnati per il resto della giornata, ma in ogni caso non furono in grado di reperire nessuna informazione particolarmente cruciale.
L’Alchimia veniva spesso nominata, sembrava essere stata un aspetto centrale della vita di Rodolfo II, quasi un’ossessione che aveva animato il sovrano, eppure quando si erano azzardati a chiede informazioni sul simbolo della spilla o sull’antica setta la guida, un giovane laureando in Storia d’Europa, non era stato in grado di dare nessuna risposta soddisfacente. Aveva certamente riconosciuto lo stemma asburgico e il ponte che loro stessi avevano attraversato quella mattina, ma era sembrato piuttosto ignorante riguardo al simbolo alchemico. Probabilmente il riferimento alla città di Praga era più oscuro di quanto non avessero pensato all’inizio, o forse in generale si trattava di una storia che gli abitanti della città avevano finito per dimenticare.
- Forse si tratta di qualcosa di non abbastanza turistico affinché se ne parli in così, con leggerezza. - aveva osservato Bucky quella sera, mentre facevano il punto della situazione davanti a un bicchiere di whiskey a un tavolo del locale proprio accanto all’hotel.
Zemo aveva fatto roteare il liquido nel bicchiere con aria distratta.
- Beh, è passato più di un secolo dall’attentato a Sarajevo, e già all’epoca la setta doveva essere qualcosa di piuttosto esclusivo, non mi stupisce che un laureando sottopagato non ne sappia nulla. - ma la sua risposta, più che sconsolata, gli era parsa stizzita.
- E’ già passato un giorno e non abbiamo ancora scoperto niente. - aveva sibilato poi, prima di dare un sorso veloce al suo bicchiere.
- Siamo appena arrivati, era improbabile che trovassimo una risposta già oggi. - aveva cercato di sollevarlo Bucky in un gioco delle parti stranamente ribaltato.
A dire il vero condivideva i suoi timori, ma voleva credere che presto avrebbero trovato quello che cercavano. Non poteva permettersi di cedere alla paura di aver sbagliato pista, di aver concesso del tempo agli Wraiths per compiere chissà quali altri crimini.
Zemo aveva sospirato a fondo e si era passato le dita fra i capelli, ormai irrimediabilmente scompigliati sulla sua fronte in quel continuo gesto nervoso.
Lo aveva guardato senza dire nulla, gli occhi castani concentrati sulla superficie ambrata dell’alcolico, le dita che accarezzavano il vetro e lo facevano ruotare di poco per poi picchiettare sulla superficie di legno del tavolo, le labbra appena socchiuse, rese appena lucide dall’alcool presto catturato dalla sua lingua.
Era la prima volta che lo vedeva davvero alle strette, il filo sfuggito dalle sue mani, perso in un labirinto di cui non aveva la mappa e nel quale, cieco, non sapeva come muoversi. Forse un tempo vederlo così spaesato, così privo di controllo lo avrebbe fatto sentire appagato, una legge del contrappasso che gli avrebbe reso giustizia, eppure si rendeva conto che non traeva alcuna soddisfazione da quella vulnerabilità segreta che stava scoprendo ad ogni sorso di whiskey, ad ogni svolta senza uscita nella loro ricerca.
- Non combineremo mai nulla se continuiamo così. Stiamo andando alla cieca, non può funzionare se non troviamo la strada giusta. - si era lamentato, la prima reale lamentela da quando lo conosceva.
- Ipotizziamo che l’interpretazione di Teresa sia giusta e che la spilla si rifaccia a questa antica setta e gli Wraiths siano effettivamente legati a tutto questo concetto. Forse è il caso di controllare se le attività di questa setta sono mai state registrate prima di Sarajevo. O dopo. - aveva azzardato, e Zemo gli aveva rivolto uno sguardo al quale non aveva immediatamente fatto seguire delle parole.
Lo aveva fissato per qualche istante, inclinando appena la testa di lato come sua abitudine, poi le sue labbra sottili si erano incurvate in un abbozzo di sorriso.
- Sì, degli archivi o qualcosa del genere. Potremmo chiedere all’Università, o in qualche biblioteca importante. Magari hanno dei testi a riguardo. Non ci credo che nessuno ha mai scritto di loro! - si era parzialmente illuminato e Bucky aveva sorriso istintivamente, trascinato dal suo entusiasmo.
- Potremmo… Potrebbe aver senso dividerci, in questo caso. - la sua proposta era stata accolta da un’occhiata sbigottita.
- Come, prego? -
Si era stretto nelle spalle ed era stato il suo turno di terminare il suo whiskey con un ultimo sorso e guardare altrove.
- Non sono di grande utilità in archivi e uffici di professori. Forse è più sensato che mentre tu porti avanti questo genere di ricerca io continui a controllare i luoghi che abbiamo segnato sulla cartina. - aveva spiegato.
Zemo non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno un secondo.
- Mi lasceresti senza supervisione? - e la domanda portava con sé uno stupore quasi infantile che era stato capace di strappargli una risata bassa.
Aveva recuperato il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e aveva lasciato sul bacone una mancia abbondante.
- Stasera offro io. - era stata la sua unica risposta di fronte ai due bicchieri vuoti.
Zemo non aveva replicato e lo aveva seguito fuori dal locale, dove la luna brillava alta sulla Moldava e il vento fresco della sera aveva accarezzato le loro guance accaldate dall’alcool.
Avevano sperato entrambi che la notte potesse portare loro consiglio, ma la mattina dopo erano ancora punto a capo.
Avevano fatto colazione in silenzio, poi Zemo aveva annunciato che si sarebbe recato alla Facoltà di Studi Umanistici nella speranza di poter ottenere un colloquio con qualche professore che potesse aiutarlo.
Bucky lo aveva salutato fuori dalla porta dell’hotel e si era tenuto la guida con la cartina piegata all’interno, pronto a continuare il giro della città e fu con uno stupido sollievo che alla sera si sentì dire da Zemo di non aver ancora trovato nulla. Di certo la città era splendida e poter girare senza l’angoscia di essere un ricercato internazionale gli aveva concesso qualche reale momento di quiete, ma niente di nuovo al di là delle solite storie acchiappa turisti era emerso dal suo peregrinare, e anche Zemo, sebbene avesse fatto la conoscenza di un paio di cordiali professori, aveva ottenuto solamente un pass di libero accesso per la biblioteca universitaria. Gli aveva poi spiegato che c’era un’altra biblioteca con testi molto più antichi poco distante dal loro albergo, ma per potervi accedere e consultare i volumi avrebbe avuto bisogno di un permesso speciale e per quello doveva attendere il lasciapassare dell’Università.
I giorni successivi li passarono all’incirca allo stesso modo: Zemo si era comprato una borsa di tela con qualche quaderno su cui prendere appunti, e la sera si presentava in hotel con due o tre libri che continuava a consultare ricopiando frasi o spezzoni di date finché non si faceva l’ora di cena, e Bucky aveva incominciato a spazientirsi e aveva lasciato da parte i giri turistici, più interessato a studiare la conformità dei vari quartieri.
Era poco probabile che gli Wraiths si riunissero in luoghi turistici o affollati, e le sue ipotesi avevano finito per vertere su due opzioni: o il loro covo era in uno dei quartieri popolari, dove incontrarsi non avrebbe destato troppi sospetti e dove tutti imparavano presto a pensare agli affari propri, oppure, se davvero il collegamento con la setta fosse stato reale, era plausibile che avessero designato come luogo dei loro incontri un qualche edificio simbolico ma lontano dalla ressa, in modo da potersi riunire in santa pace e senza il rischio di venire scoperti.
Un altro aspetto che non gli lasciava pace, tuttavia, era il discorso che Teresa aveva fatto sul novus ordo seclorum. Che cosa aveva significato davvero per la setta alchemica? E quale poteva essere l’interesse degli Wraiths per quel nuovo ordine delle cose? Era un pensiero che non riusciva a togliersi dalla testa, un’angoscia sottile che gli rendeva difficile prendere sonno e che muoveva i suoi passi nervosamente attraverso la città.
Aveva la sensazione ingiustificata ma opprimente che si stessero concentrando sulla cosa sbagliata, che l’Alchimia non fosse il fine ma solamente uno dei mezzi che gli Wraiths stavano impiegando per raggiungere il loro misterioso obbiettivo.
Steve saprebbe cosa fare, continuava a ripetergli una fastidiosa voce nella sua testa, più beffarda ad ogni movimento del sole attraverso la volta celeste.
Anche il quinto giorno stava ormai volgendo al termine senza risultati. Zemo sarebbe riemerso dalla biblioteca universitaria solo alla chiusura e a Bucky rimaneva più di un’ora da trascorrere senza nulla di concreto da fare.
Prese a camminare pigramente sul lungofiume di fronte all’hotel, le mani nelle tasche dei jeans e l’espressione concentrata, poi prese il cellulare e digitò nervosamente un messaggio.
“Novità in vista?”
La risposta arrivò da Sergente Maggiore in una manciata di secondi.
“Niente di nuovo. Non abbiamo registrato altre tracce negli ultimi giorni.”
Bucky aveva sbuffato, sollevato e contemporaneamente sul chi va là, poi il telefono aveva vibrato di nuovo, questa volta un messaggio da Generale.
“Voi avete scoperto qualcosa?”
Scosse la testa come se le ragazze avessero potuto vederlo e rispose velocemente.
“Nulla totale. Zemo sta aspettando permessi speciali per una biblioteca.”
Forse avrebbe aggiunto qualcosa, ma una voce insistente gli fece alzare lo sguardo dallo schermo.
- Bucky Barnes! Sei davvero tu? Fighissimo! Scusami, ti dispiace se ci facciamo un selfie? - la domanda era arrivata da un ragazzotto sui vent’anni, il fisico smilzo e una chitarra scadente a tracolla. Accanto a lui c’erano altri due coetanei, uno seduto su una specie di tamburo e l’altro con una bottiglia di birra in mano.
Dovette aver sgranato gli occhi in un’espressione eloquente, perché il ragazzo alzò istintivamente le mani.
- Ma se non ti va è ok, figurati! - si scusò e Bucky si sentì un infame.
Gli rivolse un sorriso gentile e si avvicinò, posando per la foto alla quale finirono per unirsi anche gli altri due.
- Ah! La mia ragazza non ci crederà mai! Grazie, scusa se… - commentò esaltato il ragazzo con la chitarra, strappandogli una risata sincera.
- Scusami tu, è solo che non sono abituato a questo genere di… cose. - replicò, intenerito dal sincero entusiasmo dello sconosciuto. Parlava un Inglese fluido, nonostante il forte accento slavo.
- Ci sono anche gli altri Avengers? Che cosa succede? - fece uno degli altri due.
Bucky scosse la testa, e il fatto di essere stato appena considerato un membro regolare degli Avengers gli fece uno strano effetto.
- No, sono… sono venuto in vacanza. - mentì.
- Fico! Senti, possiamo offrirti una birra? -
E prima che potesse rendersene conto era finito seduto a un tavolino sul lungo fiume con tre studenti universitari che la sera si incontravano a suonare per arrotondare il prezzo dell’affitto. Jan, il chitarrista, era a un paio di esami dalla laurea in Letteratura Ceca, mentre Luka e Jaro erano entrambi iscritti a Legge.
Si dimostrarono tre ragazzi divertenti e allegri, e nessuno menzionò più il suo passato con gli Avengers, anzi, si concentrarono in una piccola gara a chi suggeriva l’attrazione più interessante che la città avesse da offrire e per un momento Bucky dimenticò il reale motivo per cui si trovava a Praga e quasi credette alla sua stessa bugia.
- Hai già visto il cimitero ebraico? E’ abbastanza inquietante, ti consiglio la visita notturna. Ogni tanto organizzano dei giri apposta. - suggerì Luka, presto interrotto da Jan.
- Ah, sì, e poi devi assolutamente fare la visita di Praga Notturna sulle tracce del Golem! -
- E’ un must portarci le ragazze dell’Erasmus. - aggiunse Jaro con un’occhiata eloquente.
Bucky non vi fece troppo caso, attirato da un altro aspetto del discorso.
- Il Golem? - chiese infatti.
I tre ragazzi portarono tutti lo sguardo su di lui.
- Amico, scherzi? Non sai la storia del Golem? E che ci sei venuto a fare a Praga? - risero, ma fu Jan a decidersi di spiegare.
- Narra la leggenda che verso la fine del XVI secolo, sotto il regno di Rodolfo II, la comunità ebraica di Praga vivesse un periodo di dure persecuzioni. Proprio in quel contesto il Rabbino Loew, profondo conoscitore di Cabala e Alchimia, decise di difendere il suo popolo tramite un incantesimo. - esordì, e il cuore di Bucky perse un battito, la concentrazione tutta attirata su quelle parole.
- Da solo non aveva potere contro le forze imperiali e per questo decise di avvalersi di un Golem. Si tratta di un mostro di argilla, plasmato a immagine e somiglianza dell’uomo e che può essere animato tramite una magia. Il rabbino, che era esperto, ne creò svariati. I Golem sono fedeli al loro creatore, dotati di una forza sovrumana e ubbidienti come il più rispettoso dei soldati. -
Bucky rimase muto, gli occhi sgranati mentre lo studente continuava con il racconto.
- I Golem però diventavano sempre più grandi, fino ad essere dei giganti, e il rabbino non riusciva più a governarli, perciò dovette ucciderli. Pare che alcuni di questi Golem esistano ancora, nascosti in un luogo segreto proprio dove il rabbino li ha lasciati in attesa di tornare a difendere il popolo ebraico. - concluse Jan.
- Resta il fatto che secondo la leggenda i Golem si possono attivare solo utilizzando delle parole specifiche e il Rabbino Loew non ne ha lasciato traccia da nessuna parte, quindi insomma, un tesoro sprecato! - aggiunse Luka con una risata leggera, ma Bucky non si unì, rimase ad occhi sgranati a fissare la superficie del fiume ora illuminata dai raggi sbiechi del sole al tramonto.
Improvvisamente sentì un’ondata di freddo gelido risalirgli lungo la schiena e i brividi furono così violenti da dargli le vertigini.
- Hey, tutto bene? - chiese Jaro, sporgendosi verso di lui.
Bucky annuì e si riscosse velocemente.
- Sì, solo avevo un appuntamento con un amico, sono in ritardo. Grazie della birra ragazzi, ci si vede! - li salutò frettolosamente.
- Siamo sempre qui a suonare, tutti i giorni dispari! E’ stato un piacere! - lo salutarono allegramente.
In lontananza una serie di rintocchi di campana segnò le sei e mezza, Zemo doveva quasi essere arrivato in hotel.
Con un ultimo cenno della mano salutò i ragazzi e prese a camminare a passo sostenuto verso l’albergo e quando entrò nell’atrio nemmeno salutò la ragazza alla reception. Muto come una tomba, prese l’ascensore ed entrò in casa, marciò dritto verso il bagno e si spogliò, buttandosi sotto la doccia senza aspettare nemmeno un momento.
Si accorse solo quando il getto d’acqua gli rinfrescò la testa e lo tranquillizzò che si era quasi messo a tremare.
Una reazione forse esagerata, ma non aveva potuto evitare di sentire come aghi nella pelle ognuna delle parole dei ragazzi, non aveva potuto evitare di vedere la sua storia a mano a mano che gli raccontavano del Golem.
Che assurdità era mai quella? Cosa diamine significava?
Un soldato ubbidiente, parole specifiche con cui metterlo in funzione…
Желание… ржавый… семнадцать…

 
No. Quelle parole non avevano più alcun potere su di lui.
Era libero.
Non era più il Soldato d’Inverno.
Era libero.
- James! James, sei in casa? -
La voce di Zemo lo raggiunse quando aveva appena finito di vestirsi. Apparve in salotto solo per trovare il compagno di viaggio con il più grande e genuino sorriso che gli avesse mai visto sul volto.
- Che succede? - gli chiese, incuriosito da quell’atteggiamento così insolito.
- Ce l’ho fatta, James! Mi hanno dato l’autorizzazione per il Klementinum! - esclamò, lasciando sul tavolo la sua borsa di tela che colpì il legno con un tonfo sordo e sfilandosi le scarpe.
- Il Klementinum? - inquisì, non del tutto sicuro di ricordare quel nome.
- La biblioteca antica! Forse ho trovato una pista, ma ho bisogno di controllare dei testi del Seicento e… tutto bene? - si interruppe di colpo, accigliato.
Bucky annuì, cercando di sembrare normale.
- Sì, tutto ok. E’ una buona notizia! - commentò, sperando che Zemo si facesse andare bene quella risposta.
- Tu hai scoperto nulla oggi? - gli chiese invece, andando a sedersi sul divano e reclinando la testa sullo schienale, gli occhi chiusi a godersi la tranquillità della loro suite.
Bucky non rispose immediatamente.
Lo guardò, rilassato fra i cuscini del divano e con un sorriso soddisfatto, quasi euforico sulle labbra.
Lo guardò e per un istante sentì la sua voce anni prima, a Berlino. Vide i suoi occhi castani nascosti dalle lenti, la sua figura composta alzarsi in piedi e muoversi verso di lui mentre lo supplicava di lasciarlo in pace, mentre il panico invadeva i suoi polmoni nel rendersi conto che non sarebbe riuscito a contrastare le parole.
Рассвет… печь… девять…



Lo sentiva girargli attorno come una iena che attende il suo turno alla carogna, lo vedeva guardarlo negli occhi, violarlo senza cura mentre le parole si facevano strada in lui, subdole, inarrestabili, fuoco nelle vene, acido nella testa.

 
Добросердечный… возвращение на родину… один…



E non poteva resistere, non poteva fare nulla mentre Zemo lo usava, ancora una volta, pedina in mano al nemico, statua d’argilla senz’anima alla mercé dell’altrui volere.

 
Грузовой вагон.

 
- No, non ho scoperto niente. - rispose.
La voce gli uscì in un soffio.
Zemo gli credette.
 






 
I faretti illuminavano le opere nel modo migliore, senza creare riflessi fastidiosi né lasciare in ombra le figure.
Il resto della galleria, invece, accoglieva i visitatori nella penombra, un abbraccio silenzioso che li guidava attraverso l’esposizione in un silenzio rispettoso e tranquillo.
Bucky si guardava attorno affascinato, le immagini che gli raccontavano storie segrete, le linee di contorno che creavano personaggi sconosciuti.
I loro passi rimbombavano appena lungo il corridoio e gli venne istintivamente in mente quella volta con la scuola, così tanti anni prima. Stessi i colori delicati, stesse le lettere accattivanti delle locandine. E la compagnia.
- Ti piace? E’ un bell’allestimento, rende giustizia all’autore. -
Bucky annuì convinto, un sorriso morbido a curvargli le labbra.
- Sì, molto. E’ stato un bel pensiero portarmi qui. Come ai vecchi tempi. - disse, una dolcezza nella voce che in altre situazioni si sarebbe premurato di nascondere.
Non ora, non con lui.
C’era qualcos’altro che avrebbe voluto dire, una confessione taciuta che faticava a tenere per sé.
Trasse un profondo respiro, gli occhi puntati sulle opere esposte di fronte a lui.
Era il momento. Doveva dirlo. Doveva spiegargli come stavano le cose.
Erano passati anni, ormai. Era pronto.
Erano passati anni.
- Steve, io… - ma la voce gli morì in gola quando si accorse che la stampa che stava guardando rappresentava il Golem.
Si voltò di scatto, ma alle spalle di Steve non vi erano più le opere di Alfons Mucha. La parete alle spalle dell’uomo era interamente ricoperta di sue fotografie, volti mascherati, capelli scuri e scompigliati dal vento, occhi cerchiati di nero e schizzi di sangue sul bianco della sua pelle.
Un solo, gigantesco faretto puntava verso la parete scagliandovi contro, titanica, l’ombra di Steve.
- Che cosa succede? - domandò, il panico che già gli stringeva la gola.
- Sei stato tu, Bucky. - disse solo Steve, il volto privato di ogni espressione.
- Cosa… cosa vuol dire? -
Ma Steve scosse la testa.
- Sei stato tu, Bucky. Mi hai dimenticato. -
- No, Steve, no, non è vero. - balbettò, il cuore che gli schizzava in gola, le orecchie che fischiavano.
Era una trappola, era finto, non era possibile.
- Ti sei dimenticato di me, Bucky! Te ne sei andato e ti sei dimenticato di me! - replicò Steve a voce più alta, l’azzurro rassicurante dei suoi occhi freddo come ghiaccio, gelido come la verità rinfacciata.
- Steve, no, te lo giuro, no. Io non… mi dispiace, non… non ero io… Non… - prese a balbettare, l’aria sempre più rada, la voce sempre più flebile.
- Perché dovrei restare quando sei tu che mi hai dimenticato? Con te fino alla fine, Bucky! Avevi promesso! -
Bucky mosse un passo in avanti, ma non riuscì a spostarsi, qualcosa lo bloccava per i piedi e non osò guardare.
- Non è vero, Steve! Io non ti ho dimenticato, non posso, non ci riesco, non posso! Steve, io ti…! - ma Steve lo interruppe e la sua voce risuonò meccanica e priva di emozione, risuonò come un’accusa, una condanna.
- Желание… -
Bucky sbiancò, le orecchie che fischiavano furiose, gli occhi appannati di lacrime.
- No, Steve… no, ti prego… -
- Non sei nient’altro che questo, Bucky. Ржавый… семнадцать… -
- NO! - cercò di scappare, ma i suoi piedi si erano trasformati in argilla, così come le gambe, le ginocchia, era argilla fino al busto.
- Рассвет… печь… девять… -
- No Steve no, ti prego no, no, no! Non ti ho dimenticato, te lo giuro! Ti prego perdonami, perdonami Steve, non è colpa mia, non è colpa mia, ti prego non farmi questo, non abbandonarmi anche tu Steve, ti prego… -
Steve mosse un passo indietro, sparendo dal cono di luce fin dentro l’ombra del corridoio, e le immagini di Bucky si mutarono in volti che conosceva bene, volti esangui, occhi spenti, mani protese invano in cerca di salvezza.
- Добросердечный… -
- Steve ti prego perdonami… - singhiozzò portandosi le mani alle orecchie e stringendo gli occhi.
- E’ colpa tua. Mi hai dimenticato. Mi hai lasciato andare. -
- No… - mugolò.
- Возвращение  на родину… один… -
- No… -
Sentì l’aria abbandonargli di colpo i polmoni, la paura riempirli come una spugna mentre l’ultima parola lasciava le labbra di Steve come un colpo di proiettile diretto al suo cuore.
- Грузовой… -
- NO! -
La finestra era aperta.
Non c’era nessuna galleria. La luce era spenta. Nessun faretto se non il volto latteo della luna nel ritaglio di cielo che riusciva a intravedere dal letto.
Era solo.
Nessuna fotografia, nessun Golem.
Era solo.
Era stato un incubo.
Le lenzuola erano finite in fondo al letto, un ammasso stropicciato e informe che prendeva pian piano consistenza sotto le sue mani strette attorno alla stoffa.
Solo un incubo.
Sentì la brezza della notte muovere appena le tende e accarezzargli il viso grondante di lacrime, mentre la sveglia sul comodino segnava le tre e mezza.
Non era reale. Era stato un incubo. Finto.
Non era reale.
Bucky spalancò la bocca e ne fece entrare quanta più aria possibile, salvo piegarsi in avanti in un conato di vomito nervoso che riuscì a trattenere.
Gli tremavano le mani e gli occhi continuavano a rovesciare lacrime come una diga in frantumi e gli ci vollero dieci minuti per riprendere una respirazione che potesse sembrare regolare.
Si alzò in piedi lentamente, stordito da quelle immagini e andò a lavarsi la faccia.
Si guardò allo specchio e gli occhi azzurri cerchiati di nero gli rilanciarono l’immagine del Soldato d’Inverno.
Sussultò, chiuse gli occhi, indietreggiò fino a tornare in camera.
Non era reale.
Improvvisamente il silenzio della sua stanza gli sembrò soffocante, gli parve che il vuoto gli stesse stringendo la gola come una mano dalle lunghe dita nodose, e prima di rendersene conto era già fuori, nel salotto della suite.
Si diresse a passi incerti verso il frigo bar e aprì una bottiglia d’acqua, bevendo a collo due grandi sorsi e portandola con sé dalla finestra, che spalancò.
Ancora una volta la notte si riversò all’interno, ma in quella luna di Praga non trovò conforto. Gli parve distante, lontana, disinteressata.
Gli parve che lo avesse abbandonato.
Chiuse gli occhi e si passò la mano destra sul volto, sedendosi per terra davanti alla finestra aperta.
Era solo suggestione. Lo sapeva. Era solo suggestione.
Non era colpa sua.
Lui non lo aveva dimenticato, non avrebbe potuto. Lui lo…
- Oh! -
La voce di Zemo lo fece voltare di scatto, non si era accorto che la porta della sua stanza si era aperta.
Gli rivolse un’occhiata in tralice, ma non disse nulla.
Senza spendere un’altra parola l’uomo attraversò il salotto e recuperò uno dei suoi libri dalla borsa di tela, sfogliandolo come se niente fosse e annuendo convinto quando trovò la pagina che cercava, tenendo il segno con l’indice e andando poi a sedersi sul divano.
- Temo di non aver digerito qualcosa a cena, non riesco più a riaddormentarmi e in camera mia fa decisamente troppo caldo. Ti infastidisco se rimango a leggere? - chiese.
Bucky lo osservò con attenzione, i capelli dell’uomo erano scompigliati, ma asciutti e il pigiama abbottonato fino in cima.
Guardò la luna, austera e fredda e lontana, poi tornò a concentrarsi sul suo sguardo castano, sull’accenno di sorriso che Zemo non stava osando concedersi.
- Fai come vuoi. - gli rispose, asciutto.
Lo vide sorridere piano, quasi avesse avuto timore di incrinare un silenzioso equilibrio, e poi sistemarsi meglio sul divano.
Aprì il libro alla pagina che aveva scelto e si mise a leggere, mentre l’incubo pian piano abbandonava le membra di Bucky e gli concedeva di nuovo il respiro.
Rimasero in silenzio, a ignorarsi, fino alle prime luci dell’alba.
Verso le cinque Zemo si alzò dal divano, poggiò il libro a faccia in giù sul tavolo e tornò in camera sua senza dire nulla.
Bucky guardò la porta chiudersi alle sue spalle mentre il cielo fuori dalla finestra si tingeva di bianco.
Insieme fino alla fine.
E lui se n’era andato.




 
   
 
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