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Autore: All_I_Need    21/07/2021    5 recensioni
Vi ricordate di quel mercoledì che John ha dimenticato perché Sherlock gli ha messo qualcosa nel té? John non lo ricorda. Però torna a sconvolgere la sua vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

Sweet Home Baker Street

Capitolo 8

John poté sentire Sherlock irrigidirsi per un lungo, terribile momento prima di abbandonarsi all’improvviso tra le sue braccia, esalando un sussulto di sorpresa mentre le sue mani si agitavano.

"John."

"Zitto," mormorò John tra i capelli dell’amico e lo strinse un po’ di più.

Dio, avrebbe potuto perderlo. Sherlock sarebbe potuto morire in missione e John non avrebbe mai saputo che aveva sempre avuto intenzione di tornare, non avrebbe mai saputo che Sherlock non avrebbe voluto andare via, che Sherlock lo aveva protetto. Non avrebbe mai saputo di averlo quasi riavuto indietro per miracolo.

Nonostante la rabbia che aveva provato per il tradimento subito, non era mai riuscito a fingere di non essere contento di sapere che Sherlock fosse vivo. Entusiasta, in realtà. Sopraffatto dalla gioia e in ogni caso incapace di gestire tale felicità insieme alla rabbia che provava per l'intera faccenda. E per tutto quel tempo, questo era ciò che Sherlock aveva sopportato. A John doveva essere permesso di abbracciarlo per questo, cavolo. Così lo fece.

Dopo un attimo di esitazione, le braccia di Sherlock si alzarono per ricambiare l'abbraccio, con le mani che si avventuravano con cautela sulla schiena di John come se non fossero sicure di essere le benvenute. John capì di non poterlo biasimare. Non dopo tutto quello che era successo tra loro.

Passò un momento, e un altro, e poi Sherlock si lasciò sfuggire un sospiro tremante e la sua presa si strinse intorno a John fino ad essere quasi dolorosa.

"John..."

"Sei vivo, – mormorò John – Sei vivo, sei vivo, sei vivo."

"Sì, – balbettò Sherlock contro il suo collo – Sì sì sì."

John non capì per quanto tempo si tennero stretti l'uno all'altro, quattro mesi in ritardo rispetto a quando avrebbero dovuto farlo.

Ma in quel momento non importava. Non importava perché alla fine si erano guardati negli occhi, comprendendosi di nuovo, finalmente. Dopo due anni e quattro interminabili mesi di separazione, loro erano infine ancora insieme. Null’altro aveva importanza.

Alla fine, John lasciò la presa e si alzò in piedi, allontanandosi con cautela dal letto. Le mani di Sherlock caddero inerti di colpo sul materasso, come se avessero perso tutta l'energia.

"Io, uh, probabilmente dovrei andare," disse John, sentendosi all’improvviso a disagio. Aveva la strana sensazione che non avrebbe dovuto abbracciare Sherlock, anche se era sposato con lui. O forse proprio per questo. Non avrebbe dovuto dare una sensazione così bella: "Non torno a casa da ieri. Mary sarà preoccupata."

Pensò di aver visto un lampo di delusione sul viso di Sherlock, ma era sparito troppo in fretta. Sherlock tirò su col naso: "Certo. Non possiamo permetterlo."

John si morse il labbro: "Riposati, va bene? Verrò a trovarti di nuovo domani e speriamo che ti lascino tornare a casa presto."

Sherlock annuì, guardando in cagnesco le coperte: "Bene. Non lasciare che la porta ti colpisca mentre esci."

La secchezza del tono fece alzare gli occhi al cielo a John: "Non c'è bisogno di usare quel tono con me. Ci vediamo domani."

Afferrò le sue cose e andò alla porta. Poco prima di uscire, pensò di aver sentito Sherlock dire: "Perché disturbarsi?".

*****

A Sherlock fu permesso di tornare a casa il giorno dopo il successivo, una volta che i dottori si furono convinti che la febbre non sarebbe tornata. Da parte sua, Sherlock era certo che lo avessero trattenuto più a lungo del necessario perché Mycroft era una terribile piattola ansiosa e aveva instillato in loro la paura di ciò che avrebbe potuto far loro.

Anthea, a un certo punto, aveva fatto una rapida apparizione e gli aveva portato un cambio di vestiti. Sherlock li indossò in modo piuttosto lento, sentendosi più esausto di quanto ricordasse di essere mai stato da lungo tempo. Infilò il pigiama nella borsa e si guardò intorno in cerca di altri suoi effetti personali, ma non trovò nulla. Il suo telefono, che gli aveva portato sempre Anthea, era già al sicuro nella tasca della giacca. Non vedeva l’orologio da nessuna parte, nemmeno nel cassetto del comodino dell'ospedale, il che significava che doveva averlo lasciato sul comodino a casa.

Abbassò lo sguardo sull’anulare vuoto, sentendosi preso un po' alla sprovvista nel vederlo nudo. L'anello doveva essere sul comodino insieme all’orologio. L'avrebbe indossato appena arrivato a casa e poi si sarebbe sentito di nuovo a posto.

Era mezzogiorno quando riuscì a trascinarsi fuori sulle proprie gambe. John aveva un turno alla clinica e così era solo quando salì sull’auto che Mycroft gli aveva mandato. Si accasciò sul sedile mentre il conducente chiudeva la portiera dietro di lui, allacciò la cintura di sicurezza e sonnecchiò per tutto il viaggio di ritorno a Baker Street, dove l'autista dovette scuotergli una spalla per svegliarlo.

"Grazie Rob," mormorò Sherlock, mentre l'uomo gli portava la borsa su per le scale.

"Non c’è di che, signore. Mi è stato detto di informarla che la signorina Anthea ha rifornito il frigorifero e che non deve accettare alcun lavoro per un paio di giorni."

Sherlock riuscì a rispondere con un vago mormorio. Il lavoro era l'ultima cosa che aveva in mente: "Può dire a mio fratello che dovrebbe prendere in considerazione una carriera come bambinaia a tempo pieno, – mormorò – Ho sentito dire che potrebbe perfino tenere il suo ombrello."

Rob riuscì in modo credibile nel tentativo di mascherare una risata con un colpo di tosse: "Lo riferirò di sicuro, signore. Arrivederci signore."

"Arrivederci," ricambiò Sherlock con uno sbadiglio da slogare la mascella e incespicò verso la camera da letto. Notò in modo vago che qualcuno aveva cambiato le lenzuola durante la sua assenza. Quando la sua testa si posò sul cuscino, stava già dormendo.

*****

Sherlock si svegliò diverse ore dopo, disorientato, ma leggermente più energico di quanto non fosse stato. Si mise a sedere e allungò un braccio verso il proprio orologio, che aveva un suo punto designato sul comodino. La mano toccò il legno nudo.

Il detective si accigliò e voltò la testa per guardare. Niente. Dove avrebbe dovuto esserci il suo orologio, non c’era nulla. Se lo era levato per fare un esperimento in cucina o per una doccia e lo aveva lasciato in bagno? Non riuscì a ricordare. L’assenza lo lasciò con un vago senso di disagio.

Andare in bagno gli sembrò comunque una buona idea, così si alzò, si recò al gabinetto e poi condusse una ricerca approfondita sul lavandino e nella zona doccia. Nessun orologio.

Ora, un po' preoccupato, si diresse in cucina. Sul tavolo non c’era nulla e le superfici di lavoro apparivano pulite in modo sospetto. Era chiaro che la versione di Anthea di "rifornire il frigorifero" doveva essere tradotta in "qualcuno è venuto a pulire l'intera cucina." Lanciò un'occhiata sotto il lavandino e scoprì che si era persino sbarazzata del promettente fungo che stava coltivando lì. Peccato.

Tuttavia, l’orologio non c’era. Controllò il soggiorno solo per essere sicuro e alla fine dovette arrendersi al fatto che il suo orologio da polso fosse sparito. Non era un grosso problema, davvero. L'orologio era funzionale e non troppo grande, con un design ottimo per il Lavoro.

Il vero problema, ovviamente, era che se aveva avuto addosso l'orologio quando l'avevano portato in ospedale, aveva indossato anche il suo anello.

Alla fine permise che il pensiero giungesse all’inevitabile conclusione: la sua fede nuziale era scomparsa.

Sherlock si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, fissandosi l’anulare vuoto.

“Bene, John. Immagino che non dovrai strapparmelo di dosso, dopotutto,” mormorò e sentì che la disperazione lo inghiottiva completamente.

*****

John arrivò a Baker Street quella sera dopo il suo turno: "Sherlock? Mycroft mi ha mandato un messaggio per dirmi che ti hanno dimesso. Come…"

Entrò e trovò Sherlock rannicchiato nella sua poltrona, le braccia avvolte intorno alle gambe e un'espressione di abissale infelicità sul viso: "Sherlock?"

La sua testa si alzò di scatto: "Oh. John. Scusa, non ti ho sentito entrare."

Perfino la sua voce sembrava svogliata.

John aggrottò la fronte: "Va tutto bene? Sembri un po'..." Agitò la mano impotente, cercando di indicare tutto Sherlock.

"Sono spariti, – mormorò Sherlock – Qualcuno deve avermeli tolti all'ospedale. E non me li ha restituiti o li ha persi o qualcuno li ha presi e così sono spariti."

"Di che cosa parli?" chiese John, confuso.

"Del mio orologio, – ribatté Sherlock – E del mio anello. Li hanno presi, John, e non me li hanno restituiti."

I suoi occhi erano spalancati e la sua espressione era completamente devastata.

John deglutì. Non si era reso conto che Sherlock fosse così attaccato a quegli oggetti. Beh, almeno poteva aiutarlo per quanto riguardava la loro ubicazione.

"Oh, è tutto qui? – si frugò nella tasca della giacca e tirò fuori la borsa con chiusura a zip – Ecco qui."

La porse a Sherlock, che fissò la borsa per un paio di secondi come se John avesse appena eseguito un trucco magico incomprensibile prima di strappargliela di mano e capovolgere il contenuto nella propria mano. Indossò con cura l'orologio e poi fece scivolare di nuovo l'anello al dito, fissandolo con un'espressione imperscrutabile: "Come hai fatto?"

"La borsa era sul comodino dell'ospedale, – spiegò John, sedendosi sulla sua poltrona – Ho pensato che non fosse molto sicuro: chiunque poteva entrare e prenderla ed è un orologio costoso anche se a prima vista non sembra. Quindi ho deciso di tenerlo al sicuro finché tu non fossi tornato a casa."

Sherlock lo guardò e poi abbassò lo sguardo sulla mano sinistra, facendosi roteare pigramente l'anello intorno al dito. "Grazie."

John scrollò le spalle: "È un bell'anello. Sarebbe stato un peccato che fosse andato perso. Dove l'hai preso?"

"Hm? Oh, da un gioielliere, – rispose Sherlock in modo distratto – Avevo bisogno di qualcosa che non si danneggiasse a causa del Lavoro. Il titanio sembrava l'opzione migliore."

John annuì a se stesso: "Un gioielliere" pensò. Probabilmente Garrard (dubitava che Sherlock si sarebbe preso la briga di mettere piede in un qualsiasi altro negozio a meno che non fosse per un caso) il che significava che quell'anello probabilmente valeva più della metà di tutto il contenuto dell’appartamento messo insieme. Ciò rendeva ancora più sconcertante perché Sherlock si fosse preso la briga di comprarlo in primo luogo.

Aprì la bocca per chiederglielo, ma Sherlock uscì dal suo stato d'animo contemplativo e disse: "Hai mangiato?"

John scosse la testa: "Uh, no. No, sono venuto qui direttamente dal lavoro. Hai davvero fame?"

"Questo è di solito il motivo per cui le persone fanno questa domanda, – affermò Sherlock, scrollando le spalle – Non ho voglia di uscire. Credo di non averne l'energia, davvero. Ma stavo pensando che potremmo ordinare?"

Sembrava allettante, in realtà. Una serata confortevole mangiando cibo da asporto davanti alla televisione con Sherlock? Quelle erano le notti preferite di John, prima.

"Certo, – ribatté – Di che cosa hai voglia?"

Stabilirono di prendere la cena da Angelo e mezz'ora dopo John guardò con gioia Sherlock che mangiava il cibo con gusto.

"Non capisco come gli ospedali riescano a rimuovere tutto il sapore reale dal cibo e sostituirlo con quello di un antisettico, – disse Sherlock tra un morso e l'altro – Questo scoraggerebbe chiunque dal mangiare, davvero."

John rise: "Lo dici a me. Però tu non hai mai provato le razioni dell'esercito in zona di guerra, altrimenti sapresti quanto sia veramente delizioso il cibo dell’ospedale."

Sherlock sbuffò: "Ti sfido a guardarmi negli occhi e a dirmi che quelle razioni non ti sono mancate per tutto il tempo in cui ti stavi riprendendo dalla ferita da arma da fuoco."

Aveva ragione, John dovette ammetterlo. Potendo scegliere, avrebbe preferito le razioni piuttosto che essere bloccato in ospedale tutto il giorno. Aprì la bocca per dirlo, ma vide dallo sguardo di Sherlock che lui aveva capito e seppe di non dover dire una parola.

Finirono il loro pasto in un silenzio confortevole, che si ravvivava solo per fare qualche occasionale commento su questo e quello e lasciando la TV accesa come sottofondo, prima con le notizie e le previsioni meteorologiche e poi (dopo avere fatto un po’ di zapping fra i canali) con un vero documentario sul crimine che aveva fatto alzare loro gli occhi al cielo diverse volte e aveva provocato una filippica di Sherlock di 10 minuti sulla corretta conservazione della scena del crimine da parte dei primi soccorritori.

Era stata una serata piacevole, tutto sommato, e John era dispiaciuto che dovesse finire. Però alla fine accadde perché doveva tornare a casa.

Dopo aver gettato i contenitori da asporto e aver ammucchiato i piatti nel lavandino per un veloce risciacquo, salutò e si diresse verso la porta. A metà strada verso la soglia si fermò, incapace di trattenere la domanda più a lungo.

"Sherlock?"

"Sì?"

"Perché ci siamo sposati?"

Sherlock si bloccò, la mano con il telecomando ancora tesa. Abbassò con cautela il braccio e si appoggiò indietro, lanciando a John una lunga occhiata, come se cercasse qualcosa sul suo viso.

Alla fine, sembrò aver trovato qualunque cosa cercasse. Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo.

"Perché lo hai voluto."

John lo fissò e non vide nient'altro che cruda onestà sul suo viso. Annuì una volta: "Buona notte, Sherlock."

"Buona notte."

John si voltò e se ne andò e non si permise di pensare alla risposta di Sherlock finché non fu al sicuro a casa sua e di Mary.

 

 

 

NdT

Sono in ritardo, ma è ancora mercoledì. Chi pensa che in vacanza ci sia più tempo per fare le cose, ci ricreda. Io ero in ritardo e lo sono tutt’ora.

Per chi non lo sapesse, come me, Garrard & Co progetta e produce gioielli di lusso e in argento. La gioielleria è stata fondata nel 1735 e la sede centrale si trova in Albermarle Street a Mayfair – Londra. Giusto per inquadrare bene quello che pensa John e nel caso in cui qualcuno volesse farsi fare un anello in titanio. La cosa importante è che non addebitiate la spesa a me!

John inizia finalmente a porre le giuste domande alle giuste persone, però non è ancora pronto per le risposte. Per spezzare una piccola lancia in suo favore, John è un uomo di parola e ora è molto combattuto fra le promesse matrimoniali fatte a Sherlock (che però non ricorda minimamente) e la promessa di matrimonio fatta a Mary (che invece ricorda benissimo e che pesa come un macigno). Per John non è facile decidere con chi stare.

Sherlock, invece, lo sa benissimo.

Grazie a chi stia leggendo e segnando la storia.

Grazie a Himeko82, garfield73, arcobaleno 2014 e T’Jill per le recensioni.

Anche per questo capitolo tutti gli errori sono miei. Arrivo talmente in ritardo con la traduzione, che per aggiornare puntuale, non riesco a spedire il capitolo alla mia fantastica Beta.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

   
 
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