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Autore: Chiara PuroLuce    22/07/2021    10 recensioni
Ernesto scopre un segreto sulla sua vita che gli sconvolgerà completamente l'esistenza... e non solo a lui!
(Writober 2020 - pumpNIGHT 2020 - #fanwriter2020)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Oh, mio, Dio. Papà, ma come… dove hai trovato questa meraviglia!»
 
In effetti era stato un colpo di fortuna. Un suo cliente doveva liberarsene, e lui si era offerto di ritirarlo. Il prezzo era stato più che ragionevole e lui non ci aveva pensato due volte a comprarlo. Anche Antonio e il signor Fausto gli avevano fatto i complimenti per quell’affare. Certo, non era messo benissimo, necessitava di molto lavoro e cure – addirittura aveva la vernice che cadeva a pezzi ed era arrugginito in alcuni punti – ma Bruno aveva sempre avuto un debole per i furgoncini Volkswagen e così…
 
«Ho pensato che potesse piacerti e visto che hai dichiarato di volere seguire le mie orme… devi dimostrarmi di cosa sei capace. Un conto sono i motorini da aggiustare o revisionare, ma è ora di alzare la posta e fare sul serio. Vuoi o no lavorare con me? Bene, incomincia da questo. Ce la farai e come si dice… forza, coraggio e cuore di pecora.»
 
«Che c’entra la pecora adesso. Ok, sorvolo che è meglio. Dovrò farlo da solo? Ma sarà un lavoro enorme e non so proprio da dove iniziare. È messo proprio male» sentenziò suo figlio girando attorno al furgoncino con aria che voleva sembrare professionale «però è una sfida che intendo accettare. Dopo cosa ne farai?»
 
«Ahahah, possibile che tu non abbia ancora capito?» E allo sguardo interrogativo di Bruno continuò. «Hai un mese di tempo e se vorrai chiedermi aiuto, io sarò pronto a offrirtelo, ma una volta rimesso a nuovo e riverniciato… sarà tuo. Basta scooter, ok? La patente B l’hai presa prima di partire. È ora di passare a un mezzo diverso e più sicuro. Solo non mi scegliere una tinta imbarazzante, ok? È l’unica cosa che ti chieee…» e niente, travolto da un nuovo abbraccio del figlio non riuscì a finire la frase.
 
«Mio, mio, mio. Non ci posso credere. Allora credo proprio che lo farò di un bel rosa shocking, o giallo canarino, oppure… no, credo proprio che opterò per ricoprirlo di fiori» disse lui ridendo come un matto.
 
Dal rimanere sconvolto a tirargli un lieve pugno in testa, il passaggio fu breve. Se l’era cercata dopotutto.
 
«Ok, ok, la smetto, genitore degenere. È un regalo magnifico e inaspettato, grazie. Anche se c’è ancora tempo al mio compleanno.»
 
«Lo so, c’ero anch’io quel giorno» gli disse alzando gli occhi al cielo. «Se non ricordo male ti avevo promesso che a Erasmus finito, al tuo rientro avresti trovato una sorpresa come riconoscimento del tuo impegno all’estero. Ecco, ho solo anticipato un pochino i tempi. Quando tornerai in Italia in pianta stabile, inizierai a lavorarci. Ma, per il momento, ti conviene pensare al colore e agli interni come vuoi farli, così mi porterai le tue proposte e vedremo insieme se saranno fattibili. Io inizierò a procurarti qualche pezzo del motore originale e farò cromare i cerchioni, così li troverai già pronti all’uso.»
 
«Sei un mito, davvero.»
 
«Aspetta a dirlo quando inizierai a imprecare tra un lavoro e l’altro. Ti assicuro che mi odierai. Lo so, perché il mio primo lavoro serio e solitario – dopo qualche mese che ero qui – l’ho fatto restaurando una vecchia auto e precisamente una Giardinetta e non fu semplice. Antonio e il signor Fausto si sono fatti delle grasse risate alle mie spalle e io non facevo altro che fulminarli con gli occhi e mormorare parolacce al loro indirizzo. In più, quei simpaticoni, mi diedero quell’auto spinti dalla mia altezza, così avrei fatto doppiamente fatica a lavorare al motore.»
 
«Bè, allora devo dirti grazie per avermi risparmiato. La mia prima auto e sarò io a sistemarla, che emozione. Non vedo l’ora di iniziare.»
 
«Ehi, ehi, calma. Ho detto che sarà tua sì, ma a una condizione» gli disse guadagnandosi uno sguardo sconvolto «dovrà passare una revisione tripla. Mia, di Antonio e… del signor Fausto. Per lui sarà l’ultimo lavoro prima di ritirarsi, quindi vedi di mettercela tutta e di lasciargli un bel ricordo. Ha sempre avuto un debole per te e quando ti portavo in officina da piccolo, mi diceva sempre che promettevi bene data la tua curiosità su tutto ciò che era meccanico ed eri bravo con i piccoli lavoretti manuali che ti assegnava, ricordi?»
 
«Sì, benissimo, mi divertivo come un matto e…. che cosa hai detto? Tre revisioni positive? Oh, povero me. Ma ce la farò e poi ci sarai tu con me, a darmi una mano quindi nulla potrà andare storto.»
 
Bene, lui lo sperava. Ancora il signor Fausto non sapeva che lui e Antonio erano propensi a ritirare l’officina. Quando aveva detto all’amico del regalo per Bruno e della sua idea di farlo revisionare anche al loro capo…
 
 
«Mi sembra un’ottima idea. In questo modo concluderà la sua carriera in grande stile, sentendosi ancora utile. Allora siamo d’accordo? Accettiamo la sua proposta?»
 
«Sì, sono pronto. Pieno di paura per questa nuova avventura – che mai avrei pensato di intraprendere alla mia età – ma pronto e devo dire grazie a Gemma che mi ha fatto riflettere con poche e semplici domande.»
 

«Bene, era ora che arrivasse qualcuno a metterti un po’ di sale in zucca, amico. Devi farmela conoscere. Diventeremo soci e così sia» gli aveva detto prima di stappare due birre e brindare alla loro decisione.
 
 
Sorrise tra sé. La sua vita stava per subire un nuovo scossone. Certo che ne erano capitate di cose in poco tempo. Ora, per essere totalmente felice, restava solo di parlare con lo zio Dario e mettere la parola fine a quella brutta storia della setta. Ma per quello doveva aspettare ancora un paio di giorni, quando lui ed Elisa, sarebbero scesi a Milano per incontrarlo.
 
«Bene figliolo, se hai finito di girare attorno al pulmino, possiamo… ehi, ma dove sei finito?»
 
«Qua sotto, pà» urlò la sua voce e girando davanti vide le sue gambe lunghe emergere da sotto il parafango «stavo controllando una cosetta veloce e ora… uff, ho finito» gli disse poi, emergendo con un gran sorriso. «Stavi dicendo?»
 
«Tutto tuo padre, chissà che tipo è. Ah, ma sono io. Em, dicevo che possiamo andare a casa, ora» gli disse guadagnandosi un “Oh, povero me, guarda tu chi mi doveva capitare come padre” prima di seguirlo.
 
 

                                                                 &&&

 
 
Due giorni dopo, Martedì.

 
Era da dieci minuti che erano giunti a destinazione e ancora non si decidevano a scendere dalla macchina. Due cinquantenni terrorizzati da un vecchietto in RSA. Un vecchietto che – di lì a poco – avrebbe contribuito a dare loro delle risposte, o almeno così speravano.
 
«Forza e coraggio, fratello. È una cosa che va fatta. Dobbiamo solo scendere da qua ed entrare, che ci vuole?»
 
«Il coraggio?» Le rispose lui guardandola. «Ok, si va e che Dio ce la mandi buona. Anche se – chiedere aiuto a Lui per una cosa del genere – mi sembra un po’ blasfemo.»
 
«Ah, no. A me pare corretto invece. Chi potrebbe illuminare la mente e i ricordi di questo tuo zio Dario se non Lui? Dai, non indugiamo oltre. Come dicevo prima... forza, coraggio…»
 
«… e cuore di pecora» e quando sua sorella lo guardò con aria stranita, specificò «non chiedermi cosa significa, non lo so, ma era una cosa che lo zio diceva sempre e che mi è venuta in mente solo ora. Già che ci sono glielo chiedo.»
 
Altri cinque minuti dopo, vennero indirizzati dalla signora in guardiola, al reparto dove avrebbero trovato Dario Villa. Quinto piano, reparto coccinella, stanza 24.
Reparto coccinella? Ma chi diamine era che decretava quei nomi assurdi. A suo parere erano denigratori. Una persona arrivava a una veneranda età, necessita di aiuto e rispetto e si ritrovava alloggiata in un luogo che chiamava i reparti con i nomi degli insetti. Inconcepibile e inaccettabile.
Finalmente giunsero a destinazione. Un’OSS del reparto disse loro che potevano trovare Dario nell’aula di svago in fondo al reparto e fu davvero lì che lo videro, intento a leggere il giornale. Non si aspettava di scoprire che era sulla sedia a rotelle – l’investigatore aveva omesso quel particolare – ma data la sua patologia, era sensato. Il Parkinson non perdonava.
 
«Zio Dario?» Esordì lui sedendosi davanti a lui.
 
«Un attimo solo che finisco l’articolo, manca poco o se perdo il filo poi devo rileggerlo tutto» rispose lui, facendo esattamente quello che aveva detto.
 
Appena conclusa la lettura, Dario alzò lentamente lo sguardo dalla pagina e lo fissò per un minuto buono e poi – come se un fulmine l’avesse colpito – i suoi occhi si inumidirono mentre le sue labbra pronunciarono il suo nome. Ernesto si alzò e lo raggiunse, chiudendolo in un abbraccio e mormorandogli la sua gioia per averlo rivisto.
 
«Il mio piccolo nipotino è cresciuto» gli disse tra i singhiozzi.
 
«Giusto un pochino, zio» rispose lui lasciandolo libero «e ti ho portato una persona che vorrebbe tanto conoscerti» concluse indicando Elisa e facendole cenno di avvicinarsi.
 
«Oh, ma che bella donna, piacere» le disse stringendole la mano. «È tua moglie?» Gli chiese guardandolo.
 
«No, zio, io sono divorziato. Ho un figlio diciannovenne però. Lei è… è la mia gemella, Elisa.»
 
E lì, lo sguardo curioso di Dario si allarmò, mentre li fissava a turno.
 
«Scusa, sono diventato un po’ sordo nell’ultimo anno e temo di non avere sentito bene. Hai detto… gemella?»
 
«Sì, l’ho detto. Senti, possiamo parlare da soli per qualche minuto? C’è un posto dove non possiamo essere disturbati?» S’informò.
 
«Andiamo in camera mia, per fortuna mi hanno dato una singola abbastanza ampia. Ci sono anche due sedie e una poltrona di quelle comode comode che quando ti siedi ti ribalti.»
 
E così fecero. Informarono l’OSS di prima che avevano bisogno di tranquillità e poi la rassicurarono che non l’avrebbero fatto agitare.
 
«Ah, però, zio, è una reggia questa stanza» gli disse facendolo ridere una volta arrivati.
 
«Dopo un po’ che ci stai, diventa una prigione, anche se ampia. È tutto quello che ti rimane della tua libertà, il che è un bel controsenso, vero? Ma sono trattato bene e vedo mia figlia Roberta tutti i giorni, abita a solo un isolato da qua e viene a piedi. Sono stato io a chiedere di essere messo in questo posto, lei non ce la faceva più a seguirmi e la malattia peggiorava. Ma sedetevi pure.»
 
E così fecero. Gli parlarono un po’ delle loro famiglie e professioni, gli mostrarono le foto e Dario si commosse.
 
«Fammi capire bene. Tu sei un disastro ai fornelli e aiuti Elisa con il suo corso di cucina?» E quando lui annuì, Dario si rivolse a lei. «Non ha ancora incendiato niente, vero? No, perché mi ricordo che una volta, da piccolo, Ernesto quasi fece saltare per aria la cucina tentando di…»
 
«Ok, ok, zio, ha capito, non c’è bisogno di specificare e poi che ne sapevo io che non dovevo lasciare la padella con l’olio sul fornello acceso? Ho anche tentato di spegnere le fiamme con lo straccio» e poi disse a Elisa che lo fissava con aria sconvolta «avevo otto anni, per la miseria.»
 
«Ed è così che ti sei ustionato il braccio» gli ricordò lo zio, prendendoglielo e girandolo per mostrarlo alla sua gemella. Una bella cicatrice biancastra gli correva lungo tutto l’avambraccio. «Come immaginavo, c’è ancora. Era un vero discolo» le disse poi facendola ridere e poi divenne serio. «Ok, sono pronto. Chiedimi tutto quello che vuoi e non risparmiarti, ti meriti tutta la verità. Anzi, la meritate entrambi.»
 
E, il tono della conversazione mutò.
 
«Zio, per favore, parlaci de Il Cerchio Dorato
 
Ernesto pensò seriamente che lui stesse per mandarli via quando si incupì per poi girare il volto dall’altra parte. Guardò Elisa che, muta, si era avvicinata a Dario e gli aveva preso una mano tra le sue, sedendosi accanto a lui. Ernesto li raggiunse, imitando la gemella. Se fosse stato quel gesto a risvegliarlo dal suo stato non lo sapeva, ma funzionò perché il novantacinquenne Dario li fissò a turno e poi sospirò, prima di parlare.
 
«Sapete, sono contento che vi siate ritrovati, ci ho sempre sperato. Quella era una delle innumerevoli assurde regole che quella setta aveva e che mi hanno spinto ad andarmene. Questa scelta mi è costata anni di esilio, ma la mia vita era in pericolo. Ho dovuto rinunciare a tutto, anche al mio bel negozio di orefice. Ho perso l’amicizia dei vostri genitori – o almeno credevo che lo fosse – perché così come non hanno esitato ad abbandonare te, Elisa, hanno fatto anche con me. Ero diventato indesiderato.»
 
«Come hai fatto a farti abbindolare così?»
 
«Ero giovane, stupido e con grandi ideali di giustizia. Volevo fare qualcosa per cambiare il mondo che, per me, stava diventando troppo consumistico. Ho incontrato quello che poi scoprii essere il capo della setta a una fiera. Non so come, riuscì ad attirare la mia attenzione e così, in poco tempo, ne diventai un membro attivo. Con il mio lavoro avevo occasione di avere contatti anche con gente ricca, influente e mi misi d’impegno per reclutare quanta più gente possibile.»
 
«E due dei membri che riuscisti a portare con te, furono i nostri genitori.»
 
«Sì, e me ne sono pentito ogni giorno della mia nuova vita. Quello che non potevo immaginare è che loro diventassero importanti all’interno della setta e che risalissero la china fino ad arrivare a essere nominati vice. Ero talmente cieco che non gli impedii di compiere la loro più grande pazzia di sempre e questo, negli anni, mi ha distrutto. Erano così felici di aspettare due gemelli, ma quando ricevettero la notizia che eravate eterozigoti… cambiarono e non vollero sentire ragioni. Tu, Elisa, dovevi sparire. E così – grazie a uno degli adepti che era un ostetrico, di un secondo che era un medico legale e di un terzo, proprietario delle pompe funebri – decretarono la tua morte in sala operatoria e ti resero adottabile.»
 
Dio, quella notizia era molto peggio di quella che avevano sperato. I coniugi Roversi avevano pianificato tutto, non era stato un gesto post parto, ma era voluto e deciso a tavolino addirittura mesi prima della loro nascita. Ernesto si girò verso la gemella che, muta, fissava zio Dario e gli teneva la mano stringendola forte tra le sue.
 
«Ma qualcuno avrà assistito alla mia nascita, oltre all’ostetrico incriminato. Di sicuro ci sarà stato un team in sala parto. Com’è possibile che io sia sparita così e nessuno si sia opposto?» Gli chiese Elisa con fece ferma, ma dolce.
 
«Già, ma erano tutti complici e poi l’ospedale dove siete nati era stato scelto apposta. Diciamo che era ambiguo, sotto certi aspetti.»
 
Sempre peggio. I loro genitori ne uscivano malissimo. Allo schifo non sembrava esserci mai fine.
 
«Non… non ho parole. Non riesco a conciliare quello che mi dici con quello che ho vissuto. Non sembrano neanche le stesse persone» si prese un momento per calmarsi e poi riprese «non hai più saputo niente della setta, zio Dario?»
 
«No, niente, per fortuna. Anche se…» e poi sbiancò.
 
«Zio, stai bene? Devo chiamare qualcuno?»
 
«No, Ernesto, no. Anni dopo che mi trasferii a Belluno, mi stavo recando al lavoro – sai, dovevo mantenere un profilo basso e così mi convertii in magazziniere in un grande produttore di frutta e verdura – quando notai due personaggi che avevo già visto come adepti e così mi sono nascosto in un’edicola e li ho tenuti d’occhio. Stavano parlando con un tizio in giacca e cravatta. Ho avuto paura, lo ammetto. Per una settimana questi incontri si protrassero e allora mi convinsi che non poteva essere stato un caso. Andai alla polizia – che era già stata informata della mia storia dai loro colleghi lombardi – e li feci arrestare, dopo mesi di pedinamenti e, seppi poi, grazie all’opera di due agenti infiltrati. La nuova cellula che avevano creato fu smantellata. Non parlarono mai e così non seppi mai se stessero cercando me o se era un caso che erano arrivati proprio nella mia nuova città per proseguire il tutto. E non parlarono, perchè si tolsero la vita.»
 
Che la setta fosse pericolosa, l’investigatore gliel’aveva detto, ma non pensava che arrivasse a tanto. Zio Dario era stato fortunato. I suoi genitori sopravvissero perché non parlarono mai di tutta quella storia. A questo punto si chiedeva quanti altri avevano perso la vita per proteggere Il Cerchio Magico.
 
«Sono sicuro che da qualche parte, ci sarà sempre un piccolo distaccamento della setta» Dario interruppe le sue riflessioni.
 
Cosa? Stava scherzando, vero? Era una cosa terribile anche solo da pensare. Chissà quanti altri casi come loro c’erano in giro per l’Italia se zio Dario aveva ragione.
 
«Io sono potuto rientrare perché vecchio, malato e povero. Per proteggermi meglio, i poliziotti fecero in modo di simulare la mia morte e mi cambiarono identità. Non li ringrazierò mai abbastanza finché avrò vita e anche dopo, andrò a cercarli. Sono registrato qua a mio nome perché chi poteva conoscermi, è mancato a sua volta e le nuove generazioni non hanno interesse verso un ultra novantenne. È stato emozionante potere usare di nuovo la mia vera identità. E vedere voi due uniti, oggi, lo è ancora di più. Sono felice.»
 
«Anche noi, non sai quanto. Finalmente la nostra vita è completa e ti perdoniamo, vero Ernesto?» Sentenziò Elisa e lui annuì.
 
«Zio, il nostro investigatore che ti è venuto a trovare tempo fa, ha detto che aspetta il nostro via libera per continuare le indagini. Noi siamo disposti a darglielo. Tu cosa ne pensi?»
 
E fu a quel punto che zio Dario sbiancò e prese a scuotere la testa con decisione.
 
«Pensaci. Potrebbero saltare fuori altri casi come i nostri. E finalmente si farebbe chiarezza prima di annientarla per sempre, se davvero è ancora attiva.»
 
«Ernesto, non scherzare con il fuoco che ti bruci, è pericoloso. E dite anche a quel tipo di starne ben lontano. La setta conta membri influenti, oltre che imprenditori di spicco. Se riesce sempre a farla franca e spostarsi tra le regioni, un motivo c’è. Purtroppo, tra i membri vi sono anche giudici, avvocati, militari, politici… no. Dimenticatevi che esiste e vivete il vostro presente. Vi mettete tutti a rischio e per cosa? Per ottenere delle risposte oltre alle mie? Per vedere cadere i capi come mosche? Per riunire famiglie spezzate dalla loro follia? Non ne vale la pena. So che è dura, ma dimenticatevi di loro, non parlatene mai più dopo oggi. Chiuso, fine, stop.»
 
Forse zio Dario aveva ragione, decise lui e anche Elisa doveva essere d’accordo, visto lo sguardo che gli lanciò non vista dallo zio che aveva chinato il capo sconfortato.
 
«Ne hai ancora paura!» Sentenziò lui.
 
«E ne avrò per sempre, anche se è limitato il tempo che mi resta a meno che di non diventare un ultra centenario da record» cercò di scherzarci su. «Dovete dire al vostro uomo di distruggere eventuali altre notizie che ha raccolto mentre cercava te, Elisa. E dovete pretendere che lo faccia davanti a voi. Dissuadetelo dal continuare per il bene di tutti, anche il suo. Esaudite il desiderio di un vecchietto sulla sedia a rotelle.»
 
Ernesto vide che parlare della setta l’aveva provato molto e che lo zio si stava per addormentare, rischiando di cadere. Doveva averlo notato anche Elisa perché la vide uscire e tornare poco dopo con due OSS che lo misero a letto.
Prima di andarsene, Ernesto si sporse verso le spondine del letto e lo abbracciò brevemente. Lo zio lo trattenne per un braccio e cercò la sua mano, il respiro sempre più lento e gli occhi aperti a fatica. Poi porse quella libera a Elisa che si affrettò a prenderla dall’altra parte del letto e parlò.
 
«Sono felice che il bene abbia trionfato su tanto male assurdo e di avervi visto insieme. Col senno di poi, so che avrei dovuto parlare, ma non lo feci perché credevo veramente in tutte quelle sciocchezze. Mi dispiace immensamente. Siate quello che quei due sciocchi non vi hanno permesso di essere: una famiglia. Ora scusatemi, ma sono molto stanco. Vi rivedrò ancora? Sarebbe bellissimo. Oggi abbiamo parlato solo di questa brutta storia, ma ora voglio recuperare il tempo perso. Un ultimo consiglio vi lascio: abbiate forza, coraggio e cuore di pecora.»
 
Fecero appena in tempo ad annuire, che zio Dario si era già addormentato. Uscirono dalla struttura, più agitati di come ci erano entrati e raggiunsero l’auto.
 
 

                                                             &&&

 
 
Elisa era senza parole e con lei Ernesto. Come all’arrivo, trascorsero qualche minuto fermi nel parcheggio prima di partire.
Molti loro dubbi avevano ottenuto risposte, ma altri no e temeva che Dario avesse ragione. Affrontare un’organizzazione del genere era pericoloso, non solo per loro, ma per tutti quelli che ne sarebbero rimasti coinvolti di riflesso e lei non voleva accadesse.
Però… però…
 
«Che tipo! Arzillo e sveglio per la sua età, aveva ragione il Redaelli.»
 
«Sì, lo zio è sempre stato un personaggio, sono sollevato di sapere che tutto questo schifo non ha cambiato questo suo aspetto.»
 
«Ti sei dimenticato di chiedergli il significato di quello strano modo di dire.»
 
«Credo di averlo capito da me. Vuole dire che nella vita bisogna proseguire nonostante tutto, anche se si ha paura, per ottenere quello che si desidera.»
 
Sì, poteva starci come spiegazione ed era proprio quello che zio Dario aveva fatto per tutta la sua di vita. Un consiglio da non sottovalutare e seguire.
 
«Ernesto, senti» gli disse facendolo girare verso di sé «io sono contenta anche così, non mi servono altre risposte. Abbiamo fatto bene a venire qua e chiedere un suo consiglio in merito. Stavamo per commettere un errore madornale.»
 
«Lo so, ma… non riesco a lasciare andare così tutta questa storia.»
 
«Devi e io con te. Siamo insieme ora, hanno perso» gli disse con foga e poi aggiunse «però c’è una cosa che possiamo fare.»
 
E quando il gemello la guardò con aria sgomenta e chiese del tempo per riflettere in solitaria sulla sua idea tanto assurda quanto intrigante – prima di fare fronte unito e informare tutti – seppe di avere già vinto.
   
 
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