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Autore: Charly_92    27/07/2021    0 recensioni
[modificata in una longfic!]
Sparrabeth in due atti. Elizabeth e Jack, ognuno a modo suo, ripensano l'uno all'altra, in quegli interminabili 10 anni in mare che tengono lontano Will.
"I looked at you and you looked at me/I thought of the past, you thought of what could be"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The power of the heart
 
 
 
I looked at you and you looked at me
I thought of the past, you thought of what could be
 
 
I
 
Tieni gli occhi puntati sull’orizzonte
Elizabeth non ha fatto altro da allora. Ogni singolo giorno, senza mancarne nemmeno uno.
Giorni di attesa, di speranza mista a malinconia, di struggimento, di pensieri che non ne vogliono sapere di fermarsi, di lancette che non c’è modo di far girare più in fretta. Si affaccia alla finestra e osserva l’orizzonte, non importa ci sia sole, vento, pioggia o tempesta. Respira l’aria salmastra a pieni polmoni, sente la brezza sul viso e il caldo che le batte in testa. 
Chiude gli occhi. Vede una nave imponente, Will con la bandana che la porta su quella spiaggia, che al tramonto le dà l’ultimo bacio d’addio, perché l’Olandese Volante deve avere un Capitano, le porge il forziere con dentro il suo cuore e sussurra: è sempre appartenuto a te.
Viene spesso interrotta dalle risate di un bambino che corre sulla spiaggia, una spada di legno in mano, intento a combattere nemici immaginari: capelli color grano, occhi nocciola, quasi dieci anni d’età e un padre che non ha mai visto: Henry Turner. Lui è troppo piccolo per saperlo, ma Elizabeth ne è sicura: Henry l’ha salvata da tutta quella solitudine, da quell’attesa straziante, dalle lacrime silenziose versate sul cuscino quando la nostalgia si fa troppo forte, da domande che respinge a forza, perché le risposte portano ferite brucianti.
 
“Mamma, quando arriva papà? Quando?”
“Presto piccolo mio, tengo il conto dei giorni, ricordi?”
“Non vedo l’ora di conoscerlo! Ma perché non può restare con noi?”
“è il suo dovere.”
 
Elizabeth riesce a rispondere a quelle domande ormai quasi automaticamente, senza calore, senza emozione, come riesce da sola a lavare i piatti, a apparecchiare senza sbagliare numero, a dormire in un letto matrimoniale occupato solo a metà, a riporre i vestiti del marito intonsi nell’armadio.
Si rianima la sera, quando mette a letto Henry, che non si addormenta senza aver prima avere ascoltato le tanto amate storie di pirati.
Lei sorride, ricorda l’infanzia a Port Royal, senza amici, a rubare libri dalla biblioteca della madre defunta alla sua nascita, romanzi pieni d’avventura, di navi, di mari e posti che cerca minuziosamente sulla cartina geografia, la lampada ad olio accesa e lei sotto le coperte, come ogni rifugio inespugnabile da bambina che si rispetti, a leggere di codici d’onore, di imprese indimenticabili, di tesori incommensurabili, di arrembaggi, ogni tipo di scorribanda, lì sotto alle coperte, dove nessuno può vederla.
 
Ci sono cose che Henry non sa. Conosce le storie a memoria, ma non i veri protagonisti. 
Elizabeth teme che il piccolo corra disperatamente in cerca del padre, di un modo per liberarlo, è caparbio e coraggioso, sa che lo farebbe. Non importa il fato, il destino. E lei rimarrebbe di nuovo sola. Così in quelle storie lei si chiama Emily, il marito Henry, proprio come lui, ma Jack Sparrow, lui no. Lui è rimasto intatto e, manco a dirlo, è il personaggio più amato dal figlio.
La madre le narra dell’ammutinamento a Beckett, del saccheggiamento di Nassau, di una nave con le vele nere, di una bussola che non funziona, solo per chi non sa come usarla, di tartarughe marine legate insieme, poi il tesoro maledetto dell’Isla de Muerta, Davey Jones e il Kraken, la Baia dei Relitti e la leggendaria battaglia nel Maelstrom. Henry sa quelle storie a memoria, eppure non si stanca mai di ascoltarle. Finisce sempre con una ninna nanna, ovviamente in stile piratesco.
Elizabeth la canta con voce dolce, esattamente come una sirena farebbe:
 
Il mio nome è Maria
e il mio è un destino amaro
io volevo farmi amare
ed ho perso il mio denaro.
C'è un audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non so niente di quell'uomo
ma ho bisogno del suo amore...
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
Voi fanciulle innamorate
venite tutte qua
l'allegro audace marinaio
un giorno arriverà.
Solo lui può consolare
questo cuore spezzato a metà
il mio audace marinaio
prima o poi arriverà.
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
 
Elizabeth dà un bacio in fronte al piccolo e si appresta a spegnere la lampada a olio.
“Mamma… La bussola di Sparrow punta verso ciò che più si desidera al mondo, vero?”
“Sì tesoro.”
“Allora… Perché l’ago con Emily puntò verso di lui quella volta sulla Perla Nera?”
“No amore, devi esserti confuso, dormi ora.”
“Ma…”
“Dormi, mamma è molto stanca.”
 
Elizabeth esce dalla porta di casa, si siede sulla sabbia, la lascia scorrere tra le mani.
Davanti a lei solo un mare calmo e il cielo pieno di stelle. E quella stilettata al cuore che la prende ogni volta che meno se l’aspetta. Che la sorprende, proprio come sapeva fare lui.
Stringe forte in mano il suo pezzo da otto che porta sempre con sé, Regina dei Pirati l’aveva nominata, contro il parere di tutti. Guardandola negli occhi, quei maledetti tizzoni ardenti ornati dal kajal, il sorriso sardonico di chi la sa sempre più lunga, la risata piena, le labbra che indugiano sull’ennesima bottiglia di rhum, quelle labbra che lei ha assaggiato. Un sapore di sale, di liquore dolciastro, di libertà. Quella che non le smetteva mai di ricordarle. Quella che più le manca.
Piratessa
 
L’orizzonte non si vede, nessuna nave, nessun verde baleno, Elizabeth nel buio può permettersi che due lacrime calde le righino il volto, mordendosi il labbro perché non ne scendano altre, perché sa che non sono per chi dovrebbe piangere. Sanno di dubbio, di eterna solitudine, di promesse troppo grandi, di castigo, di un fato ingiusto. Soprattutto, e questo la distrugge più di ogni altra cosa, sanno di quel viso cotto dal sole che non vede da quasi dieci anni. Non è mai venuto a trovarmi. Nemmeno una volta. Si ritrova a pensare. Si torce le mani, ringraziando di non poter avere accesso quella maledetta bussola, perché ha paura di dove punterebbe. Verso l’orizzonte probabilmente. Ma non per il motivo giusto.
D’impeto, si alza in piedi, si spoglia completamente dei pochi indumenti che indossa e corre verso quel mare insopportabilmente calmo e piatto. Si tuffa, continua a immergersi e tornare in superficie, scostando i lunghi capelli dagli occhi, sentendo il sale sulla pelle, sperando che quell’acqua porti via quei pensieri tumultuosi, quelle domande che procurano ferite.
Esce solo quando si sente la pelle d’oca addosso e vede le piaghe sulle dita. 
Raccoglie i vestiti, si dirige in casa, si asciuga cercando di togliere il sale come può, indossa la veste da notte e, come ogni volta, si stende su quel letto vuoto a metà, abbraccia forte il cuscino e si addormenta.
Nemmeno i sogni sono clementi con lei: è sulla Perla, di nuovo piratessa, di nuovo libera, perché è questo che si sente e non una casalinga che aspetta a casa il marito e lui lo sa, l’ha sempre saputo, ha anche cercato di farglielo capire. Più volte. 
Lo vede, al timone, a scrutare il mare, gli corre incontro, il cuore che batte come un tamburo, dimenticandosi dei sogni giovanili della sposina che finisce col miglior amico d’infanzia, lui si volta, quel sorriso sornione riconoscibile tra mille. Bentornata Dice soltanto.
La bacia, come l’avesse fatto per una vita intera, come un amante esperto e di lunga data.
Lei sente le guance tingersi di porpora, gli cinge il collo con entrambe le braccia, lo bacia fino a che le manca il respiro, come non ha potuto fare l’ultima volta. L’unica volta.
Lui poi la osserva, ha un’espressione strana, gli occhi ridotti a fessura: 
“Il suo cuore è ancora con te, vero?” Raggelandole il sangue nelle vene.
Elizabeth si sveglia. Si volta e quel che vede è solo un lenzuolo bianco. Lo stridio dei gabbiani fuori e il sole che filtra tra le tende. Henry arriva assonato, la spada inseparabile e l’orsetto di pezza ormai logoro, ma cui è affezionatissimo. Si accoccola vicino a lei. 
“Ho fatto un brutto sogno” mormora con voce tremante. “Papà non tornava”.
Ed Elizabeth non ha cuore di dirle “Anch’io.” Perché Will non c’entra niente.
Lo stringe forte a sé, gli accarezza i capelli, mordendosi forte il labbro, perché di giorno c’è l’orizzonte e le lacrime non possono uscire. Soprattutto per due tizzoni ardenti.
  
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