“Questa storia partecipa a
“Componiamo una Canzone – Challenge settimanale, indetta dal gruppo
facebook Il Giardino di Efp."
PROLOGO
-Alle porte del sogno-
Dimenticare
Rumore di vetro sul tavolo. Il fondo del bicchiere contro il bancone
del bar. Che anche chiamarlo bar in realtà era
un eufemismo. Più che altro si trattava di un locale di bassa categoria,
l’ideale per chi alloggiava nel motel vicino. Per chi era di passaggio;
poco importava si trattasse di un viaggiatore piuttosto che di un fuggitivo, lì
a nessuno importava di nessuno.
E all’uomo ricurvo sull’ennesimo bicchiere di whisky in
quel momento interessava fare solo una cosa: dimenticare. La vita non aveva
più senso. Era inutile, vuota, crudele… quindi tanto valeva
affogare la sua mente in quel liquido ambrato dall’aspetto invitante ma
che gli faceva bruciare la gola. Lo faceva sentire vivo e vuoto allo stesso
tempo.
-Un altro!-
Disse al barista con voce roca e impastata allo stesso modo, gli occhi
lucidi a segnare quanto in realtà fosse già al
di sopra della soglia di sicurezza. Un buon barista si sarebbe rifiutato
di servire, avrebbe gentilmente chiamato un taxi e invitato il cliente a
tornare a casa prima di scordare persino dove abitasse. Ma
l’uomo dietro al bancone era un tipo grosso, dall’espressione
arcigna e disinteressata, un grembiule lercio legato in vita con il quale
asciugava i bicchieri appena lavati. No, a lui non poteva interessare di meno
di quell’ometto sulle cui spalle sembrava pesare un macigno enorme. Per
quello che lo riguardava, poteva fare un passo fuori dalla porta del suo locale
e venire investito da un autobus che non avrebbe fatto alcuna differenza.
L’importante era che prima avesse pagato. Quindi
gli servì dell’altro whisky.
Ai bordi del cielo toccarti e volare
-Tess,
cosa ci facciamo qui?-
Due donne se ne stavano in
piedi ad alcuni metri di distanza dal bancone, quanto bastava per non essere
d’intralcio a chi si muoveva tra i tavoli e la toilette. Non che la cosa
fosse poi di così rilevante importanza visto che
nessuno dei presenti poteva vederle. Una era alta e formosa, dalla carnagione
scura e i capelli neri striati di grigio e bianco. Quella che aveva appena
parlato invece era piccola e magra con lunghi capelli color mogano. Se la prima
aveva un’aria sicura e decisa, la seconda invece sembrava persa in quel
posto malfamato.
-Lo vedi quell’uomo
dall’aria piuttosto seccata? Quello piccola è Maurice Thompson, il
nostro incarico.-
Rispose l’amica con voce
triste e rassegnata.
-Che cosa gli è
capitato?-
-Fino all’altro ieri
aveva una vita, per così dire, normale. Una casa, una famiglia, un
lavoro, la salute… tutto nella norma. Ma poi ha
dovuto guardare in faccia la realtà per quello che era veramente e non
attraverso una maschera. Due giorni fa sua moglie è morta a causa di una
malattia che da lungo tempo l’affliggeva.-
-Quindi in realtà sapeva
che stava per morire?-
-Sì, ma vedi Monica,
certe persone piuttosto che affrontare le cose preferiscono seppellire la testa
sotto la sabbia e non vedere. Solo che poi, quando questo succede, tutto crolla
e affrontare il tutto diventa molto più difficile.-
-Perciò adesso ha
intenzione di affogare tutti i suoi problemi nell’alcool?-
Tess fece un breve sorrisetto
ironico e dispregiativo.
-Magari fosse così
semplice. Purtroppo temo che il bere sia la parte meno problematica. Da quando
si è lasciato andare Maurice non ha perso solo
la voglia di vivere e la fede, si è isolato e ha tirato fuori il lato
più oscuro e violento di sé- si voltò verso Monica
–E non solo con gli sconosciuti.-
Quelle ultime parole aveva turbato profondamente il giovane angelo.
-Si chiude!-
Annunciò il barista.
Con un verso pesante ma soddisfatto dalla bella bevuta, Maurice si mise
il cappotto, si sistemò il borsalino in testa
e uscì nella fredda notte invernale. Il whisky in circolo lo aveva reso
di un non indifferente buon umore, si sentiva leggero, libero da ogni pensiero
e preoccupazione; poteva quasi volare. I dei due
angeli a debita distanza lo osservavano preoccupati. Loro sapevano che quello
che l’uomo chiamava ‘volo’ in realtà non era che un salto… un salto in caduta libera.
Dimenticare
Erano le nove e mezza di sera quando il
giovane Harry si coricò sotto le coperte. C’era buio ed era da
solo in casa, ma lui
non aveva paura. Non più. Erano altre le cose che lo
spaventavano, ma questa volta sarebbero state tenute fuori dalla sedia posizionata sotto la maniglia della porta; per quella sera
era al sicuro. Dopo essersi rigirato un paio di volte, le mani sotto il mento,
chiuse gli occhi e lasciò che Morfeo lo accogliesse tra le proprie
braccia. Un profondo senso di pace lo pervase.
*
Si rese conto di essersi addormentato quando davanti a lui
cominciò a fluttuare una bolla d’acqua. Allungò un braccio
per prenderla, ma questa volò fuori dalla finestra e salì in
alto. Si voltò a guardare la porta sbarrata, come ad accertarsi che
avrebbe retto finchè non fosse tornato, poi si
fiondò all’inseguimento della bolla su per la scala antincendio.
Arrivato in cima la bolla se ne stava lì in
mezzo, sospesa ad aspettarlo. Si avvicinò piano, quasi si trattasse di
un gatto impaurito. Allungò una mano per toccarla ed
in un battito di ciglia si ritrovò in tutt’altro luogo.
Era una stanza che non aveva mai visto prima: curata in ogni singolo
dettaglio, dai colori tenui e freddi, i divani parevano caldi e soffici al
punto giusto, mentre i quadri rendevano tutto molto accogliente. Si
guardò intorno cercando di capire dove fosse, di ricordare se ci fosse
mai stato, di vedere se ci fosse qualcun altro oltre a lui.
-E’ permesso?- chiese con voce incerta –C’è
nessuno?-
Nessuno rispose. Entrò in un’altra stanza. Sul fondo di
questa la portafinestra era aperta e una leggera brezza faceva muovere le tende
bianche.
-C’è nessuno?- ripetè.
Avanzò ancora di un passo. Gli sembrò di scorgere una
sagoma oltre il vetro, in piedi sul terrazzo, girata di spalle.
Ancora più vicino. Era una donna. Indossava un abito talmente
candido da riflettere un tenue bagliore e aveva lunghi capelli castani che come
il vestito ondeggiavano. Harry sentì il sangue
concentrarsi sul suo viso, le orecchie ronzare e il cuore mancare un battito.
Era impossibile. Sapeva che lo era. Eppure…
-Mamma-
Lo disse talmente piano che si stupì quando lei si girò
verso di lui con un bellissimo sorriso in volto; era persino più bella
di come se la ricordava. Ora non aveva più alcun dubbio.
-Mamma-
Lei annuì. Con uno slancio si fiondò tra le sue braccia,
circondandole con le proprie la vita, quasi a impedirle di andarsene via.
-Sei tu. Davvero. Sei qui-
Lei si inginocchiò alla sua altezza,
accarezzandogli dolcemente il volto e i capelli come era solita fare quando era
ancora a casa con lui e il papà. Lacrime di felicità rigavano le
guance del bambino.
-Non andare più via. Ti prego. Portami con te. Non lasciarmi da
solo-
Lei gli pose un palmo sul capo e se lo strinse al petto con più
forza, al sicuro. Lì lui sarebbe potuto restare per sempre. Gli diede un
bacio. Harry non ricordava quand’era stata l’ultima volta in cui ne
aveva ricevuto uno. Così come non ricordava quel buon profumo di fiori
che l’accompagnava ovunque andasse;
perché era di questo che sapeva sua madre: di casa. E per un attimo,
come d’incanto, tutti i problemi e le paure che
di giorno in giorno lo facevano stare male, scomparvero. Dimenticati.
Oh, quanto avrebbe voluto dimenticarli per sempre. Che tutto quello
fosse reale. Poter restare lì con lei e non dover tornare indietro. Ma
come succede in tutti i sogni, prima o poi si sa,
devono finire. D’istinto Harry alzò il viso e incontro il sorriso
della mamma.
-Sei sempre bella, lo sai?-
Lei non rispose, ma gli parve di vedere i suoi occhi brillare. Avrebbe
tanto voluto poter sentire i suono della sua voce e
desiderò che accadesse; senza successo. Si sporse ancora più in
alto, quanto bastava perché le sue labbra toccassero la guancia di lei… era così morbida e fresca.
*
Sebbene gli fosse sembrato di avere gli occhi aperti, il piccolo Harry
dovette presto fare i conti con la realtà e aprire davvero le palpebre.
Il morbido e il fresco provenivano da niente poco di meno che il suo cuscino. E
a svegliarlo… dei forti colpi alla porta.
Se ne stette zitto e immobile, la sedia tremava sotto quei colpi che
piano piano si facevano sempre più lenti.
Sapeva che se non si fosse mosso tutto sarebbe finito presto.
-Maledetto ragazzino- bofonchiò una voce impastata –Per
stasera ti è andata bene-
Harry aspettò che i passi si fossero allontanati a sufficienza
prima di trarre un sospiro di sollievo. Per quella
notte, l’alcool e la sedia sotto la maniglia lo avevano salvato. Si
rigirò nel letto speranzoso di riprendere sonno, ma
ancora più fiducioso di riprendere il sogno interrotto. Poteva
permettersi ancora per un po’ di dimenticare e forse, se Dio avesse
voluto, gli avrebbe permesso di restare con sua madre.
Alle porte del sogno baciarti e restare