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Autore: Jeremymarsh    27/07/2021    8 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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N/A: Ciao a tutti! 

È la prima volta che scrivo una storia per questo fandom, ma mi sono ritrovata nelle ultime settimane a finire finalmente il quarto volume della saga e ho bisogno di soddisfare un po’ il vuoto che mi ha lasciato dentro a causa del finale per molti versi deludente 
😫. Quindi quale migliore idea se non scrivere una storia io stessa?
È una post-canon e dovrei attenermi a tutto ciò che è tale. Se non volete spoiler sul quarto libro perché non lo avete ancora letto, tornate quando lo avrete fatto. 
L'intero concept si basa sull’idea che, di nuovo insieme, Ofelia e Thorn debbano affrontare le perdite e i cambiamenti che la guerra con l’Altro e la permanenza di Thorn nel Rovescio hanno causato. Quindi prima di arrivare al romanticismo di cui la Dabos ci ha tanto lasciato a digiuno vorrei portare i personaggi attraverso un graduale percorso di guarigione. 

Spero possa piacervi e buona lettura! 
💞






 

Guanti


 

 

Seduta sul bordo del letto, Ofelia si osservava le lunghe e affusolate dita mentre apriva e chiudeva lentamente il pugno.

Il movimento aveva su di lei un effetto leggermente catartico.

Forse perché il cigolio di quelle nuove dita d’acciaio a cui ancora doveva abituarsi completamente le ricordava l’approcciarsi dell’alta e allampanata figura del marito, segnalata dal rumore della gamba prima ancora che dalla sua gigantesca ombra; un’ombra che inghiottiva sempre il corpo minuto di lei; forse perché muoverle in continuazione le ricordava lo scatto dell’orologio da taschino di Thorn che faceva tac.

Queste nuove dita erano lunghe quanto quelle da lettrice non lo erano mai state e anche per quello faticava ad abituarsi. Per lei i cui movimenti non erano mai stati semplici e aggraziati, per lei il cui aggirarsi maldestro aveva sempre provocato una caduta improvvisa – ma in qualche modo sempre predetta – e il pestarsi i piedi, vestiti e sciarpa era la normalità, abituarsi a qualche centimetro di dita in più era una tortura.

Poteva raggiungere oggetti che prima le era impossibile afferrare, come la saliera due posti più avanti a lei sul tavolo oppure riusciva a spegnere la lampada sul comodino senza doversi allungare troppo. Se lo si vedeva da quel punto di vista, in effetti, la cosa era una conquista – o almeno lo sarebbe stato per chiunque tranne che per Ofelia. Lei proprio non riusciva a calcolare i movimenti sulla base di quei centimetri in più, abituata com’era alle distanze mantenute per una vita intera e questo le creava solo più casini e incidenti.

Da un altro punto di vista, però, le cadute e gli incidenti erano una normalità – cose a cui Ofelia era abituata mentre affogava in un mare di novità – e l’Attraversaspecchi li accoglieva come tali; ne era grata.

La sua vita era stata così tanto stravolta che si ritrovava a trovare piacere nel ritorno della sua instabilità nei piedi e della sua goffaggine. Se il suo corpo avesse mantenuto la coordinazione che aveva ottenuto in seguito alla comparsa del suo Eco nel osservatorio delle Deviazioni probabilmente Ofelia avrebbe perso da un po’ quel briciolo di sanità che ancora le rimaneva.

Aprì e chiuse ancora una volta il pugno. Un altro cigolio. In effetti quella mattina si era dimenticata di oliare i suoi nuovi guanti all’avanguardia.

Con gli occhi tracciò il cinturino che si chiudeva attorno all’esile polso e che permetteva a quelle nuove falangi di diventare una nuova parte di lei. Ofelia lo slacciava ogni sera prima di andare a dormire e poi lo riallacciava con cura la mattina, dopo le necessarie pratiche quotidiane.

Era un lavoro assurdamente sfiancante e difficile.

Se toglieva entrambi i guanti non aveva abbastanza dita per effettuare la manodopera quindi era costretta a infilarne sempre uno per oliare l’altro. Poi sfilava e infilava per completare l’opera. Era un processo lungo che le procurava sempre tanti sospiri, anche troppi, oltre che brividi. Il freddo dell’acciaio a contatto con il suo palmo privo di ramificazioni le faceva sempre tremare l’intero corpo.

A volte, quando si scocciava di quell’infilare, sfilare, poi ancora infilare, procedeva senza. O era meglio dire che la sua fedele sciarpa cercava di aiutarla procurandole più guai che altro? Entrambe lo avevano scoperto a proprio discapito.

Aprì e chiuse il pugno.

I guanti erano stati un ottimo regalo.

Glieli aveva fatti trovare Octavio al primo ritorno dal suo viaggio attraverso gli specchi. Ci aveva lavorato parecchio, le aveva detto, ma alla fine era soddisfatto del risultato; Ofelia doveva solo ricordarsi di effettuare una manutenzione continua in modo tale che non si inceppassero o arrugginissero. Le dita erano tra gli arti che più effettuavano movimenti – Ofelia lo sapeva particolarmente bene – e, in quanto tali, delle protesi sarebbero state più soggette all’usura; bisognava averne cura.

Quando glieli aveva presentati, l’Animista aveva abbracciato l’ex apprendista virtuoso di slancio, causando all’amico un eccesso di tosse e un aumento della temperatura corporea. Octavio le aveva goffamente dato una pacca sulla spalla senza sapere dove mettere le mani o come rispondere a una tale dimostrazione d’affetto e poi le aveva risposto che non gli era costato nulla. Ofelia aveva continuato a insistere, affermando che gli era costato eccome: gli era costato del tempo e il minimo era dimostrargli quanto apprezzasse il suo regalo; il ragazzo aveva risposto distogliendo lo sguardo e grattandosi la nuca.

Tuttavia, per quanto la giovane apprezzasse quel presente che le era stato finora tanto utile, non era meno difficile abituarsi. Era ormai un anno e mezzo che li indossava e, sebbene la routine era diventata automatica, era ben lontana da diventare parte di lei.

Ciò che le faceva stringere sempre il cuore in una morsa spietata era l’impossibilità di indossare dei guanti da lettrice sopra quelli di metallo. Le dita ora erano più lunghe e leggermente più gonfie, dunque i vecchi non andavano bene, ma avrebbero rappresentato un problema anche per qualsiasi altro paio quindi Ofelia non li indossava proprio. Per quanti anni aveva sempre e solo indossato guanti da lettura, poteva quasi azzardarsi a dire che si era vista più volte queste falangi d’acciaio che quelle che aveva perso.

Avere sempre la propria visione invasa dal grigio lucido talvolta la metteva particolarmente di malumore, un sentimento che si diffondeva, neanche a dirlo, a macchia d’olio per tutta la casa. I tappeti cercavano – e il più delle volte ci riuscivano – di farla inciampare, le ante e le porte sbattevano offese, le posate si rifiutavano di essere maneggiate da strumenti tanto estranei e le sedie cercavano di scapparle da sotto il sedere. Quella che più era soggetta al suo malumore in quei casi era la sciarpa che, quando non cercava di strozzarla, la trattava da traditrice e colpevole.

Spesso al malumore seguiva la nostalgia e allora Ofelia tirava fuori dal cassetto del comodino i fedeli compagni di una vita, che ancora si muovevano come se contenessero le dita della lettrice più brava di Anima, e li infilava dimenticando il corpo estraneo.

Quei giorni faceva più fatica a muoversi per casa e effettuare anche le sue più semplici operazioni – non che dei guanti in realtà vuoti, per quanto animati, potessero mantenere un bicchiere pieno di succo –, ma la sua amica sciarpa, estremamente felice della sua scelta, l’aiutava in tutto rendendole almeno il compito meno ingrato.

Erano però giorni rari: Ofelia sapeva che quanto prima accettava le protesi come parte integrante di sé, tanto prima avrebbe superato la perdita che aveva frantumato il suo intero essere. Per questo motivo cercava di indossarli la maggior parte delle volte e utilizzava i vecchi solo nei casi più disperati.

Aprì e chiuse il pugno un’altra volta.

Un lungo sospiro le sfuggì dalla bocca e nel silenzio della camera da letto ebbe l’effetto di una bomba prima che il cigolio delle dita ricominciasse.

Ofelia non era più una lettrice da 687 giorni, 3 ore, 27 minuti e 45 secondi.

Un sorrisetto quasi ironico le apparve sul viso.

Dalla scomparsa di Thorn aveva in qualche modo cercato di rifugiarsi nei numeri come faceva lui, ma in realtà aveva scoperto che le metteva solo nostalgia addosso e le provocava più dolore; aveva abbandonato presto il proposito.

In realtà l’unica cosa che aveva continuato a contare erano i giorni che passavano dalla nascita del suo nuovo io incompleto.

Ogni nuovo giorno era una stilettata al cuore, ma lei continuava imperterrita a segnalare giorni, ore, minuti e secondi nella sua mente. Non lo aveva fatto con quelli passati dalla scomparsa del marito, però; quello le era impossibile.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista – e un’Attraversaspecchi, quelle rare volte in cui riusciva a specchiarsi e ad affrontare se stessa.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista e aveva degli Artigli che non facevano assolutamente caso se la sua persona avesse o no delle dita reali.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista che aveva sposato un abitante del Polo e si era ritrovata in dono degli Artigli che faceva ancora fatica ad utilizzare – e che in realtà non aveva poi molto motivo di usare. Il marito, contagiato dall’animismo che aveva a sua volta ereditato da lei, aveva perso il controllo dei suoi e non era mai stato in grado di insegnarle in che modo utilizzarli.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista, una discendente di Artemide.

Era questo ciò che aveva imparato in quei 687 giorni, 3 ore, 27 minuti e 45 secondi. Non era anche quello un affrontare se stessa? Fare a patti con il suo essere? Certo, lo era, si disse, ma il costante sentirsi inferiore e, soprattutto, mutilata – interiormente più che fisicamente – le impediva di accettare davvero se stessa.

Ci voleva coraggio, le aveva detto il prozio quando l’allora lettrice stava per affrontare il suo primo viaggio al di fuori di Anima; ci voleva coraggio ad affrontare se stessi ed accettarsi e Ofelia non ne aveva più molto. Non sapeva nemmeno più lei cosa voleva, ma sicuramente non voleva rimanere quell’essere a metà, sentirsi un essere a metà.

Certi giorni le mancavano la caparbia e la determinazione che l’avevano sempre contraddista e le avevano fatto superare mille pericoli e sopravvivere alla morte da quel giorno del fidanzamento. La stessa testardaggine non le era mancata nemmeno da ritorno dal Rovescio e dopo essere uscita dall’ospedale.

Voleva ritrovare Thorn e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo. Lo aveva ritrovato una volta e lo avrebbe fatto ancora perché era quello il suo destino. Avrebbero trascorso il resto della vita insieme perché era ciò che lui le aveva promesso e ribadito.

Eppure certi giorni era così difficile ritrovare quello spirito forte.

Ofelia aprì e chiuse il pugno per l’ennesima volta quella mattina.

Non aveva ancora alzato lo sguardo da che le sue elucubrazioni erano cominciate; era come incantata dal quel aprirsi e chiudersi e dallo scricchiolio quasi confortante – solo perché le ricordava quello dell’orologio da taschino di Thorn e basta.

Insieme.

Il destino aveva giocato molti scherzi a quella coppia mal assortita che era stata costretta a sposarsi, eppure entrambi avevano imparato ad amarsi e ad amare quel loro essere non convenzionali, ma questa volta ne aveva giocato uno ancora più crudele e amaro che rischiava di spezzarli per una buona volta.

Ofelia aveva fatto avanti e indietro tra gli specchi per un anno intero e durante le pause era rimasta a New Babel, per lo più per sfuggire ai familiari – nuovi o vecchi – che affollavano le altre due arche che l’avevano vista crescere a loro modo. Occupava in quei giorni la casa che era appartenuta a Lazarus e aveva visto le ultime incertezze e difese di Ofelia e Thorn cadere; era la casa dove per la prima volta si erano donati gli uni agli altri e come tale avrebbe sempre rappresentato un luogo d’estrema importanza per l’Attraversaspecchi – per quanto fosse difficile non collegarla anche a persone ed eventi particolarmente scomodi.

Ma se doveva essere sincera con se stessa, non era per quello che la utilizzava come base, semmai quella famosa prima stanza la evitava come la peste; era semplicemente più facile così. E un luogo ormai abbandonato e solitario dove lei poteva lasciarsi andare alla disperazione senza che qualcuno che la braccasse e cercasse di farle vedere la ragione. Nessuna la capiva e quindi preferiva stare sola. Era un luogo di convenienza.

Quando era di ritorno nell’arca che era stata di Helena e Polluce si incontrava spesso con Octavio, che si era rivelato un amico fedele e, soprattutto, attento ai suoi bisogni come moglie di Thorn. Tra parenti e amici era stato tra i pochi a comprenderla veramente, a non ostacolarla e soprattutto aiutarla in quella missione impossibile. Lui le aveva sempre fornito i mezzi migliori, le aveva offerto consiglio durante le sue ricerche e ogni volta che Ofelia tornava alla base e andava a trovarlo, lui era lì ad accoglierla come se la ragazza fosse semplicemente tornata da una visita ai parenti e non un viaggio tra specchi alla ricerca del marito disperso dall’altro lato, né vivo né morto. Parenti che Ofelia in quel primo anno aveva visto a stento una volta – e le era bastata. Non sapeva se erano peggio le occhiate impietosite o quelle accondiscendenti, ma ne sapeva abbastanza da non voler ripetere l’esperienza fino al momento in cui non avrebbe ritrovato Thorn.

Solo il prozio era stato in parte comprensivo e aveva cercato di aiutarla, ma subirsi una nidiata di Animisti che le stavano addosso cercando di curarla era abbastanza a convincerla a non tornare a casa per passare più tempo con il padrino.

Alla fine le offerte di aiuto erano finite solo quando, dopo un anno di insuccessi e quanto più provata mentalmente parlando, Ofelia aveva deciso di allungare il suo periodo di riposo a New Babel a data da destinarsi.

In realtà, per non rivelare alla mamma sempre asfissiante che aveva deciso di vivere da sola in una casa ormai abbastanza desolata senza la manutenzione degli automi di Lazarus, aveva fatto sapere lei che si era stabilita al Polo insieme alla zia Roseline e Berenilde.

Per sua grande sorpresa era stata proprio la zia a suggerirle l’idea. Nonostante non accettasse, come la sorella, le decisioni della nipote, la conosceva meglio di quanto avesse mai fatto Sophie e aveva imparato bene cosa provasse Ofelia per l’ex-intendente; non le avrebbe mai riservato frasi di circostanza né l’avrebbe costretta a dimenticarlo. Il piano si era rivelato un grosso aiuto e bastava solo ricordarsi di inviare qualche lettera alla zia al Polo che si sarebbe assicurata a sua volta di mandarle alla madre – un piano un po’ articolato, ma funzionante.

Ciononostante, Sophie non aveva smesso di parlare a sproposito e Ofelia si era ritrovata a stringere in una morsa letale la lettera che aveva ricevuto nella quale la donna grassoccia si complimentava con lei per aver “elaborato il lutto”. Da quel giorno aveva chiesto alla zia Roseline di leggere in anticipo la sua corrispondenza prima di fargliela avere e bruciare le missive che conteneva certe cose che erano poco delicate.

La sua permanenza prolungata a New Babel, comunque, non significava che Ofelia avesse abbandonato la sua missione.

L’Attraversaspecchi era ferma più che mai nella sua decisione e, come si era già detta una volta, avrebbe volentieri attraversato tutti gli specchi di questo nuovo – o doveva dire vecchio? – mondo, anche i più piccoli, anche quelli ridotti in frammenti e neanche riaggiustabili dal potere del prozio se ce ne fosse stato bisogno. Aveva tuttavia compreso che, dopo un anno di insuccessi, il suo animo ne era uscito ugualmente distrutto e prima di poter riattraversare un altro specchio bisognava ritrovare ancora se stessa.

Le era sembrato come se, dal momento in cui si era fidanzata con Thorn anni prima, non avesse fatto altro che guardarsi allo specchio e affrontare ciò che era diventata, come cambiava e si rivoluzionava.

Ofelia in quei momenti sapeva di essere un’Attraversaspecchi ma soprattutto la moglie di Thorn.

Quel mattino freddo d’inverno era certa di non essere più la prima né se valesse più tanto come moglie di Thorn. Perché alla fine, dopo un altro anno di viaggi, Ofelia lo aveva ritrovato e lo aveva riportato a casa, incurante dei rischi e delle conseguenze, di ogni Contropartita. Ce l’aveva fatta.

Ma gli scherzi del destino non erano finiti: ritrovatosi, l’Animista aveva scoperto che l’ostacolo più grande non sarebbe stato riportarlo nel Dritto, ma fare a patti con ciò che erano diventati, imparare a conviverci. Lo spettro di ciò che avevano perso, ciò che avevano vissuto e ciò che ora erano, pendeva su di loro come una spada di Damocle.

Prima ancora di riprendere la loro vita insieme come si erano giurati, entrambi dovevano affrontare se stessi e Ofelia si rendeva conto che, per quanto lei si sentisse a stento metà di quel che era una volta, Thorn era messo ancora peggio. Qualsiasi cosa avesse vissuto dall’altro lato l’aveva provato più di quanto a lei piacesse ammettere.

Per questo non sapeva più se definirsi davvero moglie di Thorn. Senza riuscire a trovare un senso a ciò che era, come poteva anche solo offrire conforto a lui che nemmeno faceva sforzi per accettarsi? Come poteva definirsi sua moglie se non poteva aiutarlo ad affrontare le sue paure e fargli capire che non era solo?

Tuttavia, quel mattino sapeva con certezza di non essere più un’Attraversaspecchi perché da quell’ultimo viaggio in cui era tornata vittoriosa non era riuscita più ad attraversarne un altro e lei aveva capito ciò che il suo riflesso aveva tentato di dirle – e ancora le diceva ogni mattina.

Durante quegli anni, sebbene fosse lacerata internamente dalla mancanza del marito e dalla perdita delle dita da lettrice, specchiandosi era sempre stata sicura di essere la moglie di Thorn; ora, per l’appunto, dubitava anche di quello.

Non era più una lettrice, non era più un’Attraversaspecchi, non era più la moglie di Thorn. Cos’era, dunque? Gli specchi sembravano rifiutarla in quanto non essere; la discendenza da Artemide non valeva nemmeno più tanto se aveva paura di rimettere piede su Anima.

Il destino gli aveva giocato lo scherzo più crudele perché il ritorno non era stato come lo aveva immaginato e, dentro di sé, sapeva che non si fossero ritrovati presto, si sarebbero spezzati completamente.

Lo avrebbe evitato a tutti i costi e per farlo doveva ritrovarsi e tornare a essere qualcuno. Fra le tante cose, voleva ritornare a essere la moglie di Thorn.

Aprì e chiuse il pugno un’ultima volta prima di volgere lo sguardo alle sue spalle.

La figura allampanata di Thorn dormiva accovacciata in quel letto che non sarebbe mai stato abbastanza grande per lui, uno che condivideva con lui solo quando egli non era ancora consapevole di ciò che gli accadeva attorno, evento tra l’altro più unico che raro, perché erano decisamente poche le volte in cui Ofelia si era svegliata prima di lui in quei pochi giorni da che lui era tornato nel mondo dei vivi.

In quelle mattine si era seduta sul bordo del letto e lo aveva osservato. Anche quando dormiva Thorn conservava quel cipiglio severo che gli causava una piccola ruga d’espressione in fronte, più in basso rispetto alla cicatrice, e tutta la rigidità del suo essere.

Eppure a lei, quell’uomo tanto alto e imponente sembrava la persona più fragile del mondo.

Sospirò più piano e si trattenne dallo stringere di nuovo quelle dita di ferro e riempire la stanza del loro cigolio. Thorn era silenzioso anche quando dormiva; il respiro che gli usciva a piccole nuvolette dalle labbra tirate in una linea sottile era muto.

Si alzò finalmente cercando di fare meno rumore possibile e sperando che la sua goffaggine non la facesse cadere e inciampare svegliando l’altro occupante della stanza come le era successo già un’altra volta – non che questo suscitasse in lui una qualche reazione a parte un’occhiata di ghiaccio sporco; a lei avrebbe anzi fatto piacere.

Quanto più silenziosamente le permettesse il suo corpo per nulla armonioso e con la complicità della sciarpa che, avendo compreso il volere della sua padroncina, si era arrotolata attorno al suo collo e alla parte bassa del viso per coprirle anche la bocca, Ofelia uscì dalla stanza.

Si chiuse la porta alle spalle e, finalmente, tirata giù la sciarpa con più veemenza del solito – e più di quanto questa apprezzasse – lasciò andare quell’ultimo sospiro che aveva trattenuto.

Quella stanza non era quella dove l’Animista aveva dormito in quei due anni né quella dove si era concessa per la prima volta al marito, no. Era solo di Thorn e completamente sterile – come lei. Non portava tracce del loro passaggio e forse non lo avrebbe fatto mai.

Ofelia lo sperava, ma solo perché sperava che in realtà lui tornasse presto a farsi toccare e a condividere il letto con lei, prima che quello dove stava attualmente riposando prendesse la sua forma; che presto avrebbe lasciato quello spazio troppo angusto e i ricordi che lo tormentavano.

Alzò il viso e con un dito gelato si spostò un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. Un’altra giornata stava per cominciare e lei anelava a fare un passo in più verso la comprensione di se stessa per il suo bene e quello di Thorn. 


 

 


 

N/A: Ho voluto cominciare dal punto di vista di Ofelia, siccome è quello principale e quasi sempre adoperato nella storia originale. Nel prossimo, invece, entreremo nella testa di Thorn e verrà spiegato qualcosina in più sul perché si comportano in quel modo.

Spero che la storia vi abbia preso abbastanza da spingervi a seguirmi e magari lasciarmi una vostra opinione.

Grazie e a presto!  ❤

   
 
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