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Autore: lone_wolf_08    27/07/2021    0 recensioni
Il Reame Boscoso era la sua casa. Thranduil e Legolas la sua famiglia.
Eppure la sua vita lì non sarebbe potuta durare per sempre. Il coraggio di una donna sarà messo a dura prova da un destino inevitabile e da un passato doloroso.
Morwen lo guardò negli occhi: “Chi sono io?”
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 12: IL BOSCO D’ORO



“ Siamo esseri di un’abbagliante fragilità e piccolezza, perduti in una galassia sconfortante.” G.C.




Percorsero i pendii occidentali incontrando le acque turbinose dell’Argentaroggia che si tuffavano impavide in una conca sul cui fondo vi era una zona pianeggiante dove il gruppo si fermò a riposare e curare le ferite di Sam e Frodo. Gimli riscaldò l’acqua per gli impacchi e Aragorn dispensò le foglie di Athelas. Boromir teneva lo sguardo fisso sulle acque rumorose del torrente lì vicino e pensava. La morte di Gandalf l’aveva turbato più di quanto volesse ammettere e non tanto per la perdita in sé, quanto per ciò che essa significava. Se perfino uno stregone del suo calibro era soccumbuto al potere dell’oscurità che ne sarebbe stato di loro? Lui, Gandalf, pieno di luce com’era. Il capitano di Gondor non osava pensare cosa sarebbe successo a un semplice uomo come lui, o al suo popolo, deboli menti umane, fragili al cospetto di tanto male.

Dopo la sosta, una volta rifocillati e curati, ripresero il cammino. Frodo e Sam procedettero più spediti alleviati dalle cure, permettendo loro di fare ancora parecchia strada. Anche dopo il tramonto, con il pallido bagliore della luna, Aragorn li condusse per altre tre ore lungo la via. Arrivò la notte, e la compagnia era ancora in marcia. Le teste di ognuno di loro si alzarono almeno una volta per ammirare il cielo stellato, quelle di alcuni si alzarono più volte. Il buio silenzioso era interrotto dal rumore dei grilli, dallo scorrere delle acque del fiume poco distante, del vento e degli stivali che calpestavano il terreno, con un ritmo sempre più lento e strascicato, per via della stanchezza crescente.

Boromir, troppo distratto dall’incantevole luce degli astri, si accorse d’un tratto di aver perso di vista Frodo, quindi si girò e lo vide qualche passo indietro, un’aria preoccupata adombrava il suo viso. Gimli lo affiancò e li vide scambiare due parole, poi ripresero la marcia, eppure lo hobbit non sembrava ancora tranquillo. Pensò fosse semplicemente il peso che dovesse portare a renderlo così; il capitano non poteva biasimarlo. Da quando aveva visto l’anello, aveva sentito installarsi e crescere un pensiero costante nella sua testa, esso lo logorava giorno dopo giorno, inducendolo ad altri pensieri, altrettanto corrotti e sbagliati.

Poco prima della sua partenza da Osgiliath aveva parlato con suo padre, il quale lo aveva esortato a partecipare al consiglio di Elrond cercando di convincerlo su quanto fosse stato utile e saggio al loro regno avere a disposizione l’anello del potere. Gondor stava affrontando un periodo difficile, lui lo sapeva bene come suo capitano e vice sovrintendente, eppure non era d’accordo col padre: non avrebbe mai abbandonato la sua gente basandosi solo su voci che dicevano che l’arma del nemico era stata trovata. Poi aveva guardato il genitore negli occhi e vi aveva letto una strana luce, quasi folle. Non l’aveva mai visto così risoluto e infervorato, pensò perciò che potesse davvero avere ragione e cercò di convincersi che era la cosa giusta da fare.

Una folata di vento freddo lo scosse riportandolo alla realtà. Pipino e Merry camminavano a fianco a lui e si chiese se anche loro stessero patendo il freddo pungente della notte. Ricevette la risposta due secondi dopo quando vide Pipino sfregarsi le braccia in modo da creare calore con l’attrito del movimento. Fece per prendere il fagotto dove teneva la sua coperta ma non trovandolo si rese conto di averlo perso a Moria, nella battaglia o nella fuga. Diede un colpetto amichevole sulle spalle del mezz’uomo “Resisti ancora un po', appena ci fermiamo accendiamo un fuoco”. Pipino volse su di lui uno sguardo di ringraziamento e negli occhi si specchiò il cielo stellato.

“Fratello mio, ho bisogno di parlarti”. Sul volto di Faramir gravava chiaramente un peso, non fu difficile a Boromir capire che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, e quel qualcuno non poteva essere che lui, dal momento che Denethor trascurava le sue opinioni, non considerandole valide. Quello fu il momento in cui venne per la prima volta a conoscenza della profezia:

«Cerca la Spada che fu rotta, A Imladris la troverai; I consigli della gente dotta Più forti di Morgul avrai. Lì un segno verrà mostrato, Indice che il Giudizio è vicino, Il Flagello d'Isildur s'è svegliato, E il Mezzuomo è in cammino.»

Faramir gli raccontò come, più volte in sogno, la detta profezia l’aveva svegliato. Inizialmente Boromir faticava a darci abbastanza peso per via della sua natura pragmatica e scettica, ma una volta che il sogno profetico venne a fare visita anche a lui, si rese conto della stranezza della cosa. Subito lo riferì al fratello minore, che si sentì decisamente più sollevato nell’apprendere che non era un sogno dettato dalla pazzia ma un avvertimento serio e da non sottovalutare. A Boromir non piaceva, perché significava venire a patti col fatto che esisteva un potere a loro superiore in grado di influenzare le loro vite e di mutare i pensieri installandosi nelle menti. Non voleva che quel sogno lo condizionasse al punto da influenzare le sue azioni, lui non sarebbe partito: il suo esercito contava troppo su di lui perché potesse farlo. Eppure, qualcuno sarebbe dovuto andare. D’un tratto i discorsi di suo padre acquisirono un senso, e il consiglio di Elrond era diventato un’opzione non rifiutabile. La terra di mezzo, quindi anche Gondor, contava su questo per garantirsi la salvezza. Nonostante questo, Boromir arrivò alla conclusione che non sarebbe andato via perché in qualche modo sentiva che non era quella la strada che doveva prendere. Pensò a Cirion, il più giovane del suo battaglione, morto tra le sue braccia durante la riconquista della Cittadella Delle Stelle. Non aveva potuto fare niente, non era riuscito a salvarlo. Quel pensiero lo teneva ancorato lì, il suo destino era legato a quello dei cavalieri sotto al suo comando, non aveva intenzione di abbandonare quella responsabilità, specie dopo le morti che aveva dovuto affrontare. Ogni giorno i volti dei suoi soldati gli ricordavano cosa significasse il sacrificio e la fedeltà, lo facevano riflettere sul significato del giuramento alla propria patria, gli ricordavano che Gondor e le sue vite erano sulle sue spalle e degli uomini che decidevano di dare la vita per esse. Non avrebbe abbandonato tutto questo, anche se fosse stato per una “causa più grande”, come gli aveva detto Faramir.

Faramir, suo fratello minore, era sempre stato il più saggio della famiglia nonostante la giovane età. Spesso Boromir si trovava a pensare che il titolo di vice sovrintendente dovesse spettare al fratello. A lui sarebbe davvero bastato il comando dell’esercito, dove si sentiva a suo agio. Non avrebbe chiesto di più. Ovviamente, però, suo padre non l’avrebbe permesso: adorava troppo il primogenito per poterlo togliere dal dorato piedistallo su cui l’aveva posto, soprattutto per un’azione a favore del figlio minore. Denethor sembrava provare per Faramir una profonda avversione. Alle volte lo guardava con così evidente disprezzo che Boromir, non reggendo la cosa, si poneva tra i due rompendo il contatto visivo e allentando la tensione. Questo provocava sempre un’enorme tristezza nel maggiore che amava entrambi. Faramir, dal canto suo, non dava più peso al comportamento del padre, dando l’impressione che non lo ferisse. Eppure, nonostante questa forza che voleva dimostrare, era abbastanza evidente come il ragazzo cercasse in tutti i modi di compiacere il padre e renderlo fiero.

La sua mente rivangò ricordi d’infanzia passando a proiettare l’immagine di un piccolo Faramir che con gli occhioni azzurri e il viso contrito lo guardava chiedendogli cosa avesse fatto per far arrabbiare suo padre. Allorché Boromir lo abbracciava rassicurandolo che era solo perché era stanco e non controllava le parole. Fu dalla morte di sua madre che il capitano vide suo padre cambiare, non era mai stato troppo affettuoso, ma da quel momento si chiuse se possibile ancora di più in sé stesso, escludendo Faramir da qualsivoglia dimostrazione d’affetto. Ma allora perché con me è diverso? Si trovava spesso a pensare il maggiore. Faramir all’epoca aveva cinque anni, Boromir dieci, e dal momento che erano lasciati a loro stessi, instaurarono un legame fortissimo. Boromir non faceva nulla se prima non era sicuro che Faramir fosse al sicuro, d’altra parte, Faramir, più posato e pacifico, si trovava spesso coinvolto nelle bravate del fratello e per amor suo si prendeva spesso la colpa sulle sue piccole spalle. Boromir ogni volta interveniva per specificare che era stata un’idea sua ma la diatriba finiva sempre con un castigo per entrambi. Faramir odiava infatti lasciare il fratello solo, si fosse parlato di avventure così come di punizioni.

“Lothlórien! Siamo giunti ai margini del Bosco d’Oro!” esclamò Legolas distogliendo il gondoriano dai suoi pensieri.

Boromir alzò lo sguardo dai suoi piedi e ciò che gli si parò dinnanzi gli fece una certa impressione, non seppe se buona o cattiva, ma lo scosse molto nel profondo. Quel luogo aveva chiaramente qualcosa di mistico ma il capitano non riuscì a capirne la natura. Gli alberi si ergevano imponenti nella notte invernale, i loro tronchi erano di un grigio pallido alla luce delle fredde stelle. Le foglie fremevano nella brezza notturna.

“Chi ci dice che gli elfi saranno pronti a darci il benvenuto?”. Gimli espresse i suoi timori e subito Legolas gli rispose, “Si nascondono ma so per certo che Lórien non è deserto e che ancora oggi la sua forza segreta respinge il male da questa terra”.

Boromir si chiese in cosa consistesse quella forza segreta.

Dopo un breve istante in cui nessuno, nemmeno tra gli hobbit, fiatò, la voce di Aragorn si innalzò allo scopo di guidare ancora una volta il gruppo lungo il percorso. “Faremo ancora un po' di strada finché gli alberi saranno fitti intorno a noi, dopodiché riposeremo fuori dal sentiero”.

“Ritenete davvero saggio addentrarci in quel bosco? Ho sentito storie a Gondor, voci dicono che pochi di coloro che vi mettono piede ne escano, e che di questi pochi nessuno sia uscito illeso”.

La scetticità espressa da Boromir fece alzare gli occhi a Morwen che rispose con esasperazione evidente. “Si può passare qualche miglia senza che ci sia un certo capitano ad controbattere ogni decisione presa da chi di dovere?”.

Aragorn invece si limitò a correggerlo, “Non userei quel termine, direi più che non ne siano usciti immutati”.

Boromir ignorò il commento di Morwen concentrandosi su quello del compagno, “Non che sia meglio di ciò che ho detto io”.

“Com’è possibile che nella città dei saggi ora si parli male di Lothlórien?” chiese il moro, chiaramente ancora stupido dalla dichiarazione precedente del compagno.

Boromir continuò a ribattere ignorando la domanda retorica. “Tutte le strade che abbiamo preso finora, sempre contro la mia volontà, non hanno portato che a esiti infausti, partendo dal Caradhras per finire con Moria”.

“Vuoi profetizzarci la prossima disfatta?” lo stuzzicò Morwen.

Boromir fece appello a tutta la sua pazienza per non sfociare in un linguaggio colorito.

Aragorn, che comprendeva i timori dell’uomo, gli rispose con calma, “Mi dispiace Boromir, ma non abbiamo altra scelta se non questa, a meno che tu non voglia tornare al cancello di Moria, scalare le montagne o nuotare lungo il Grande Fiume”.

Il biondo sospirò rassegnato, “D’accordo, guidaci allora”.

Legolas, cerco di alleviare le sue angosce per quanto possibile. “Ti posso assicurare che non ti sarà arrecato alcun danno da parte degli elfi, solo il male ha da temere qui”.

“E chi lo porta seco” completò l’erede di Isildur.

Boromir non si sentì rassicurato dall’ultima affermazione. Incrociò per errore gli occhi di Morwen, quindi distolsero entrambi lo sguardo come se fossero stati scottati ma il capitano giurò di avervi letto paura.

***

Percorsero più di un miglio nella foresta prima di giungere ad un corso d’acqua le cui acque scure turbinose e scroscianti si univano all’Argentaroggia attraversando il sentiero su cui posavano i piedi. Nimrodel si chiamava; Legolas raccontò come gli Elfi Silvani, la sua gente, molto tempo fa ivi vi compose molte canzoni.

Lo attraversarono con facilità poiché le acque arrivavano loro alle ginocchia e non erano troppo forti, quindi giunsero sulla sponda opposta, dove si accamparono per riposare e rifocillarsi. La voce del Nimrodel in sottofondo conciliava pensieri profondi in tutti, tanto che il silenzio tra i membri era volto tutto all’attenzione verso quel posto magico e misterioso. Legolas lo ruppe per raccontare ai compagni storie di Lothlórien che però Boromir non riuscì a godersi appieno dati i continui pensieri e timori che affollavano la sua testa in quel momento. L’elfo d’un tratto cominciò ad intonare un dolce canto, la voce fioca si mischiava con il fruscio delle foglie e lo scorrere dell’acqua. Gli occhi del capitano si posarono sui membri della compagnia, li passò in rassegna uno alla volta pensando a quanto sarebbe mancato prima che un altro di loro li lasciasse.

Da quando Gandalf era caduto, la paura che ciò potesse accadere era cresciuta, si era radicata e come un virus e lo stava infettando portandolo ad approdare a questi pensieri tragici. Non bastava il peso che portava da Gondor, ora si era aggiunto anche questo fardello. Non dormiva più per i continui incubi, che il più delle volte avevano i piccoletti come protagonisti. L’uomo temeva per la loro incolumità e malediceva il dipartito stregone per aver permesso loro di unirsi a quella spedizione suicida. Gli occhi grigi si soffermarono su Morwen, intenta a pulire le sue armi, le sopracciglia aggrottate, sinonimo di concentrazione. Boromir non riusciva proprio a capire quella donna, sapeva essere una vera spina nel fianco, ma quella breve conversazione che avevano avuto sul Caradhras gli aveva mostrato un lato che chiaramente teneva celato. Quella notte le era parsa davvero una ragazza turbata e in lotta con i suoi demoni, proprio come lui. Aveva sentito una connessione dettata dall’angoscia che evidentemente entrambi portavano nel cuore per i propri motivi. Poi l’aveva salvata, ricordò di aver provato una profonda paura nell’averla persa di vista quell’istante necessario per capire che le era successo qualcosa. Si era tuffato nella neve candida e mortale, sperando di trovarla prima che fosse troppo tardi. Fortunatamente era finito tutto per il meglio, eppure il gondoriano non negò a sé stesso di aver temuto la triste dipartita della ragazza, chiaramente però non lo avrebbe mai confessato, tantomeno all’interessata.

La luce delle stelle le illuminava il viso creando riflessi blu nella chioma nera. Boromir seguì le onde dei capelli intrecciati e tortuosi come i suoi pensieri attuali. Si trovò a pensare che fossero belli, poi si diede uno schiaffo internamente. Si alzò in piedi raccogliendo gli sguardi dei compagni, non si fermò a spiegare dove stesse andando, perché non lo sapeva nemmeno lui. Sapeva solo che voleva dimenticare per un attimo di fare parte di quella compagnia, fare sì che la missione che gli era stata affidata da suo padre sbiadisse, anche per poco, dalla sua testa.

Si inginocchiò in riva al fiume rinfrescandosi il viso, cercando di lavare via i pensieri negativi. Pensò a Faramir, gli mancavano lui e i suoi saggi consigli, ne avrebbe avuto bisogno ora più che mai.

“Ricordati di oggi fratello”.

Le ultime parole che gli rivolse prima di avviare il suo destriero fuori da Osgiliath ancora gli risuonavano nelle orecchie. Ricordava come fosse accaduto solo ieri che suo padre l’aveva incitato a partire e lui aveva rifiutato. Faramir si era offerto di partire e compiere lui stesso la missione ma Denethor l’aveva guardato con disprezzo sminuendolo con poche taglienti parole. Boromir aveva subito chiamato il padre in disparte per rimproverarlo “Lui vi ama!”, ormai era stufo di cadere nei soliti litigi. Fin da quando ne fu capace, infatti, aveva cominciato accese discussioni col padre, perché non sopportava l’atteggiamento che egli riservava al fratello. Difendeva Faramir, l’aveva sempre fatto e, dalla morte di Finduilas di Dol Amroth, loro madre, questo agire si era fortificato. Lo difendeva da chiunque e se questo voleva dire litigare aspramente con suo padre, ebbene l’avrebbe fatto senza alcuna esitazione. In più, il carattere impulsivo e spregiudicato che si trovava creava le condizioni per cui questo accadesse molto spesso. Alle volte, infatti, l’eccessiva paranoia del maggiore sfociava in conflitti le cui cause erano quasi mai un motivo ben fondato, il più delle volte frasi o sguardi mal interpretati.

Ricordò quella volta a cena: avevano 15 e 10 anni e Denethor li aveva appena rimproverati per essersi allontanati dalla scorta, quel pomeriggio, durante una battuta di caccia. Dopo qualche minuto di silenzio il sovrintendente aveva ripreso a parlare. “Incredibile come sia sempre insipido... è inaccettabile”. Boromir si era alzato sbattendo i pungi sul tavolo, facendo saltare Faramir dallo spavento. “Ne ho abbastanza padre: chiedete scusa a Faramir!”. Denethor lo aveva guardato assottigliando gli occhi. “Siediti Boromir, stavo parlando del pollo...”.

Boromir continuò a pensare al fratello lungo quella notte stellata, a lui sarebbe piaciuto molto Lothlórien ma era meglio che non ci fosse stato. Il capitano era contento che quel destino fosse toccato a lui e non a Faramir, almeno lo avrebbe saputo al sicuro, dietro le salde e millenarie mura di Minas Tirith. Sebbene fosse stato con suo padre, almeno lì non avrebbe corso immediati pericoli. La guerra stava giungendo, era inevitabile, come l’espansione dell’oscurità, ma Boromir contava di riuscire a portare la salvezza nella sua gente prima che il male potesse intaccare la sua città, il suo popolo, la sua famiglia.

A mano a mano che il tempo passava però, lungo le strade impervie e le minacce crescenti del viaggio, si faceva sempre più impaziente la necessità di ricorrere a soluzioni drastiche e pericolose, perciò la convinzione che l’anello del potere dovesse andare a Gondor si era fatta tanto spazio nel cuore del gondoriano, da acquisire una certa indipendenza e sicurezza. Se glielo avessero chiesto a Moria, Boromir avrebbe detto di non essere ancora d’accordo con il padre, ma ora le sue parole cominciavano ad acquisire un senso, eppure ancora del tutto non era caduto nella trappola della paura. Ancora resisteva perché mille domande gli affollavano la testa, come aveva fatto ad esempio suo padre a sapere dell’anello? Quella luce di folle sapienza nei suoi occhi aveva turbato l’uomo più che mai.

La voce di Morwen lo scosse.

“Boromir, vuoi rimanere a contemplare l’acqua o vuoi seguirci?”.

L’uomo si girò a guardarla con uno sguardo che chiedeva spiegazioni.

“Aragorn non ha reputato saggio sostare sul sentiero, quindi ci allontaniamo cercando rifugio tra le chiome degli alberi”.

Boromir si alzò senza dire una parola e seguì la donna raggiungendo i compagni.

Legolas e Morwen, in assoluto i più agili e preparati a questo genere di cose, si arrampicarono per accertarsi della sicurezza degli alberi. Boromir ammirò le loro abilità ma non lo espresse a voce alta, avrebbe dato solo motivo di vanto alla ragazza. I due scesero quasi subito, gli occhi erano allarmati e le orecchie tese.

“Abbiamo compagnia” sussurrò Legolas al gruppo.

Dagli stessi alberi scesero due elfi bardati, gli archi puntati verso gli intrusi. Poi dalle fronde, senza fare il minimo rumore, si fecero chiare nella notte le figure di altre guardie elfiche.

“Respiravate così forte che potevamo con una freccia trafiggervi al buio”. La voce fiera era di colui che sembrava essere al comando della comitiva. “Io sono Haldir, avevamo udito della vostra venuta dai messaggeri di Elrond, quindi non vi abbiamo colpito per quello, altrimenti non avremmo esitato”.

“Posso capire, viviamo in tempi bui” gli aveva dato ragione Aragorn.

Haldir si girò verso l’uomo squadrandolo con attenzione “La tua nobile presenza mi suggerisce che tu sia Aragorn figlio di Arathorn”.

“È così”.

“Il tuo nome è conosciuto qui a Lórien, e gode della benevolenza della Dama, quindi va bene, ma non posso dire lo stesso riguardo a quel nano”. Disse guardando con diffidenza Gimli, il quale cominciava a scaldarsi per il trattamento riservatogli.

Frodo parlò in difesa dell’amico “È della nobile stirpe di Dáin, ed è amico di Elrond, inoltre è un compagno coraggioso e fedele”.

Dopo un breve consulto coi suoi sottoposti, Haldir si rivolse di nuovo alla compagnia “Molto bene, ci fidiamo delle vostre parole, Aragorn e Legolas risponderanno delle azioni di tutti. Tuttavia, dagli ululati che sentiamo ai margini del bosco, posso intuire che portiate seco il pericolo, perciò, stanotte potrete riposare sui nostri talan ma domattina dovrete proseguire”.

Il talan non era altro che una piattaforma in legno costruita sugli alberi. Si raggiungeva tramite un foro centrale attraverso il quale passava una scala di corda. Non era provvisto né di muri né di ringhiere, perciò, agli hobbit non piacque molto: erano abituati a saldi e sicuri buchi nella terra e quella struttura dava loro un profondo senso di instabilità. Pipino, infatti, non smetteva di lamentarsi “Non mi addormenterò su questo coso... e se rotolassi giù?”.

“Io sarei così stanco da non accorgermi nemmeno della caduta” ribatté Sam esausto.

Boromir si sdraiò sulla superficie di legno, un braccio a sostegno del capo e l’altro in grembo, mentre puntava lo sguardo sulle stelle che si intravedevano tra l’intrico di rami e foglie. Sapeva già che non sarebbe riuscito a dormire, ma tentò lo stesso, quindi fece calare le palpebre lasciandosi cullare dal vento tra le fronde e dal dolce mormorio delle cascate del Nimrodel.

Si accorse di aver dormito quando venne destato da un rumore. Vicino a lui una luce bluastra scintillava nella notte, Frodo aveva sguainato pungolo e ora stava allerta. Il gondoriano si alzò a sedere acuendo l’udito. Non sentì nulla e ci volle poco alla lama per offuscarsi lentamente, qualunque fosse stato il pericolo, era passato. Boromir guardò Frodo, che ricambiò, non era ancora tranquillo, il capitano glielo poteva leggere negli occhi. Lo hobbit si mise a scrutare in basso attraverso l’apertura. L’uomo avrebbe voluto chiedergli cosa gli prendesse ma intuì dovesse trattarsi di eccessiva paranoia, dal momento che il portatore dell’anello portava un fardello decisamente pesante. Boromir mise una mano sul suo braccio come per rassicurarlo che là fuori non c’era niente, ma Frodo si ritrasse mimando con le labbra “C’è qualcosa...”. Boromir allora guardò nella stessa direzione ma non scorse nulla se non il movimento dei rami, divenuto più lieve dopo che il vento si era calmato. Tornò a guardare il mezz’uomo, stavolta con compassione.

“Mi dispiace che tu debba vivere così. Frodo, questa strada ti distruggerà lentamente se non saprai come gestirla”.

Frodo lo guardò confuso “Come posso fare?”.

“So come ti senti al momento, posso immaginare, ma voglio solo dirti che la morte di Gandalf non è stata vana, né ti avrebbe permesso di perdere speranza. Porti un grave fardello Frodo, non portare anche il peso dei morti”.

Frodo accolse il consiglio in silenzio, e ne fu sorpreso perché non se lo sarebbe aspettato da Boromir.

Il gondoriano continuò a parlare. “Anch’io ho paura, temo per la mia gente, la mia terra. Quest’oscurità non fa che crescere, e io non sono che un uomo... Come posso sperare di contrastare questo male senza un adeguato potere alla mia portata?”.

Tornò a fissare il suo sguardo sul mezz’uomo, poteva quasi sentire il potere emanato dall’anello, poteva avvertire l’impulso di strapparlo dalla custodia del piccoletto e impossessarsene. Lotto con tutto sé stesso per tornare in sé e ci riuscì. Si passò una mano tra i capelli chiedendosi con angoscia se lo hobbit avesse letto la tentazione nei suoi occhi. L’ultima cosa che voleva era diventare una minaccia per il portatore e la compagnia.

***

Infine, giunse la mattina, la luce pallida del sole fece capolino tra le foglie e la brezza frizzante solleticò i volti dei viaggiatori. Il Nimrodel non esauriva la sua energia scorrendo instancabile sotto il loro flet.

Ripresero la marcia scortati da Haldir e i suoi elfi, quindi attraversarono il Celebrant, un vigoroso corso d’acqua, grazie all’ausilio di funi, raggiungendo la sponda orientale dell’Argentaroggia e precisamente, come spiegò loro Haldir, il Naith di Lórien. Il Naith era un lembo di terra a forma di testa di lancia situato al confluire dell’Argentaroggia e dell’Anduin ed erano ben pochi coloro a cui vi era permesso l’accesso. Fu lì che venne posta loro la condizione di avanzare solo con Gimli bendato. Il nano rifiutò indignato e avrebbe tranquillamente iniziato una disputa armata se non fosse stato per la diplomazia e il buon cuore di Aragorn che trovò la soluzione al problema.

“Non ritengo giuste queste distinzioni, perciò proseguiremo tutti bendati”.

A Morwen parve non andare a genio la cosa perché guardò male il ramingo.

Nemmeno Legolas fu molto d’accordo “Ma procederemo con estrema lentezza così”.

Gimli si infastidì “Non sei certo tu ad aver subito tale affronto”.

Morwen appoggiò il fratello “Ci sarà un motivo per cui le loro leggi sono così”.

Il nano rispose a tono “Il mio popolo non ha mai collaborato col Nemico, né ha arrecato danno agli Elfi. È altrettanto probabile che vi tradisca qualsiasi altro dei miei compagni”.

“Io non camminerò bendato nella terra della mia gente!” rispose Legolas con rabbia.

“Basta così!” Aragorn si pose tra Gimli, Legolas e Morwen, fissandoli con decisione ed autorità “Faremo come ho detto, e non si discute”.

Una volta fuori dalla portata delle orecchie di Haldir, Morwen si lamentò con Legolas e Aragorn “Che follia queste precauzioni, come se non fossimo anche noi nemici dell’Oscuro Signore...”.

Boromir però non riusciva a dare loro torto, anche lui al loro posto avrebbe preso tutte le decisioni necessarie per garantire la sicurezza del suo popolo. Nemmeno con loro si sarebbe permesso di rischiare. Quindi si intromise nella conversazione portando la sua opinione. “Non posso biasimarli dal momento che vi sono insidie ad ogni angolo ormai, farei lo stesso per la mia gente”.

“Un conto è la sicurezza, un altro è ostinarsi a non vedere chi sono gli amici” lo affrontò Morwen.

“Non si può mai sapere, anche un amico può nascondere qualcosa di oscuro o rappresentare una minaccia”, il gondoriano non staccò gli occhi da quelli scuri di lei. Voleva metterla alla prova.

Morwen sembrò turbarsi un po' a quelle parole, ma subito distolse lo sguardo scuotendo la testa “Non discuterò ancora con te, mi sono stancata”.

“Perché ho ragione?”.

“Perché sei ottuso e non vuoi capire quando è ora di smetterla”.

“Continuerò finché non ti sarà chiaro che in qualità di membro della compagnia sono libero di esprimere i miei timori riguardo la missione che dobbiamo compiere insieme”.

“Credi di essere l’unico che pensa ai pericoli a cui potremmo andare incontro? L’unico ad avere delle preoccupazioni?”.

“Scusa se mi permetto di avere delle opinioni riguardo alla strada da prendere”.

“Adesso basta!”, Aragorn si era posto tra i due e con le mani sulle spalle di ognuno li aveva allontanati.

“Non mi stupisco che gli elfi non si fidino se nemmeno noi diffidiamo di noi stessi”.

Boromir sbuffò incamminandosi a seguito degli elfi di Lothlórien. Non avrebbe sprecato altro fiato se non per camminare.


Nota dell'autrice:


I’m back guys! Che ne pensate di questo capitolo incentrato su Boromir? Avremo altri modi di entrare nel suo punto di vista. Spero che ciò possa farvi comprendere meglio il suo agire, entrare in empatia con lui ed amarlo come tutti gli altri membri della compagnia.


Al prossimo con l’entrata a Lothlórien, la compagnia farà la conoscenza della Dama e del suo specchio magico. Lì vedranno qualcosa e noi vedremo come reagiranno...

Un abbraccione a tutti

Kia

   
 
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