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Autore: Olimpia_    31/07/2021    0 recensioni
Dal testo: "Non ricordo che mese fosse, ma faceva freddo. Da lì a poco sarebbe iniziata la stagione invernale. Io e Maria avevamo compiuto 15 anni quell’estate, dopo che la brezza marina aveva portato a crederci già mature. (...)
Ad oggi, riguardando a quei giorni, mi sembra ovvio che in realtà fossimo solo delle bambine in confronto a quei ragazzi, che non fossero solo un paio di anni di differenza a separarci, e che loro ne fossero ben consapevoli."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Non ricordo che mese fosse, ma faceva freddo. Da lì a poco sarebbe iniziata la stagione invernale. Io e Maria avevamo compiuto 15 anni quell’estate, dopo che la brezza marina aveva portato a crederci già mature. Alla luce di falò sulla spiaggia, né l’alcool né i ragazzi più grandi erano una novità per noi. 

 

Ad oggi, riguardando a quei giorni, mi sembra ovvio che in realtà fossimo solo delle bambine in confronto a quei ragazzi, che non fossero solo un paio di anni di differenza a separarci, e che loro ne fossero ben consapevoli. Chi leggerà, probabilmente penserà che la colpa di quello che sto per raccontare è nostra e della nostra stupidità, ma io chiederei di provare a mettersi panni di quelle ragazzine che non avevano nulla di sbagliato se non l’ingenuità. 

 

Io non avevo mai mentito a mia madre, quella fu la prima volta. Mi sentii pure terribilmente in colpa, ma non mi avrebbe mai dato il permesso (giustamente). Le dissi che ero da un’amica e Maria fece la stessa cosa con sua madre. In realtà, eravamo sull’autobus che ci avrebbe portate fuori città, per incontrarci con X e Y (mi ci vuole molta forza per non rendere questi nomi pubblici). Erano due ragazzi più grandi di “solo” due anni, che ormai frequentavamo da un’annetto con cui avremmo passato la notte. X e Y ci aspettavano sui loro motorini che ci avrebbero condotte a casa di X, poiché si trovava in un luogo dove nessun pullman arrivava. 

Io e Maria ci trovammo inconsapevolmente davanti a una scelta che probabilmente influenzò il seguito. Io salii sul motorino di Y e ancora oggi mi chiedo se il destino di Maria sarebbe toccato a me se avessi fatto altrimenti. 

 

Non ricordo quanto durò il tragitto, più di dieci minuti, meno di venti. Non molto dopo che arrivammo, ci sedemmo tutti e quattro su delle scale e i ragazzi tirarono fuori due bottiglie di vodka. Per me e Maria non era strano, ci avevano chiesto loro cosa volessimo da bere per quella sera, dunque bevemmo come è normale tra i giovani. A me in realtà il sapore dell’alcool non è mai piaciuto, mi basta sentirne l’odore per avere la nausea, tant’è che sono astemia da anni. Ma proprio perché era una cosa normale da fare in compagnia, io non volevo essere da meno, anche se non bevvi comunque molto. Non notai quanto bevve Maria, ma ricordo che nessuna delle due potesse dirsi ubriaca. La cosa che non notai allora, ma che solo il tempo mi ha portata a farci caso, è che X e Y toccarono l’alcool a mala pena. 

 

La casa di X era molto elegante, su due piani, perfettamente in ordine. I suoi erano via solo per qualche giorno, ma l’arredo era così ben posizionato che sembrava non ci vivesse nessuno. Nei miei ricordi l’atmosfera era immobile, esitavo nel muovermi per paura di rovinare qualcosa, come in una casa delle bambole. 

Salimmo al piano di sopra dove si trovavano le camere e, dopo esserci messe in pigiama, io e Maria ci sedemmo insieme a loro sul letto matrimoniale di X. Non ho ricordi dei discorsi che facemmo, la memoria vola subito a una scena ben precisa: rimasti a coppie come sui motorini, io e Y ci trovammo a terra accanto al termosifone, lui cercava di baciarmi provando ad addolcirmi con morsetti sulle guance. Io scuotevo la testa e insistevo dicendo che non mi sembrava il caso e lui con un cenno della testa mi fece notare una cosa che io avevo totalmente ignorato. Mi girai verso il letto e vidi Maria e X completamente avvolti dalle coperte e il rumore delle loro labbra che schioccavano. Mi ricordo che rimasi stupita da quella scena, ero convinta che a Maria piacesse Y e fu proprio questa convinzione a portarmi a confermare a Y che non c’era nulla da fare, perché io non avevo l’intenzione di baciarlo. 

“Beh, allora io vado a casa” mi ricordo mi disse, ed effettivamente se ne andò, lasciandomi da sola. 

Piuttosto che reggere la candela, me ne andai in bagno. Mi rinfrescai la faccia che bruciava ancora dai morsi di Y, già scocciata da quella serata e desiderosa che finisse il prima possibile. Non potevo immaginare quello che mi avrebbe confidato Maria pochi minuti dopo, entrando frettolosamente in bagno. Mi ricordo che si mordeva le unghie nervosamente, mentre mi guardava angosciata. Mi disse che X voleva scopare ma che lei non se la sentiva, mi chiese se ci fosse qualcosa di male ad avere un po’ di peli e poi “Anna, mi sento come da vomitare”. Con finta calma provai a rincuorarla, ma sedute sul pavimento di quel bagno c’erano sedute due bambine che oltre a innocenti baci non sapevano nulla di ragazzi e di sesso. Due bambine che non sapevano cos’è il consenso e quanto sia importante. 

Tranquillizzai Maria e le dissi di metterci a dormire nella stanza dei genitori, solo noi due. Pensavo che dire no fosse sufficiente per poter finalmente chiudere gli occhi e lasciarci quella serata alle spalle. 

Purtroppo, neanche X sapeva cosa fosse il consenso e si mise in mezzo a noi nel letto. A quel punto l’aggredii, gli saltai sopra per bloccargli le mani e cominciai a urlargli di lasciar stare Maria. X era alto e magro, ma mi ribaltò con facilità e mi disse che lui non stava facendo niente, che voleva solo dormire e che per questo potevamo tornare tutti e tre in camera sua. Non credo proprio che il discorso fosse molto convincente, ma facemmo comunque come voleva lui. Poco dopo che ci eravamo messi sotto le coperte, però, li sentii scambiarsi baci e, peggio ancora, sentii la mano di lui su di me. Gli diedi uno schiaffetto, schifata ma divertita perché pensavo si fosse sbagliato. A ripensarci, dubito che ci fosse modo di confondere un sedere per uno dalla parte opposta del letto, se sei in mezzo. 

Stavo praticamente già dormendo quando Maria pronunciò queste parole: “Va bene”. Il rumore della carta del preservativo che si apriva mi fece scattare per tornare di corsa in camera dei genitori. Prima di addormentarmi definitivamente non mi chiesi se Maria avesse cambiato idea, o se quelle sue parole fossero state pronunciate solo perché stremata dall’insistenza di lui. 

Avevo 15 anni e non sapevo che il consenso estrapolato non è consenso; forse neanche Maria lo sapeva, ma la cosa certa è che avrei voluto saperlo. 

 

Quando aprii gli occhi, la camera piena di centrini piazzati in ogni angolo mi bruciava gli occhi con il suo biancore. Ci misi qualche secondo prima di ricordarmi dove fossi e di ricollegare gli eventi della sera precedente. 

Non facemmo neanche colazione, X ci portò a turno sul motorino alla fermata più vicina. Io e Maria non ci scambiammo una parola per tutta la strada di ritorno e neanche nelle settimane a seguire. Anche quando ci riavvicinammo tempo dopo, nessuna delle due accennò a quello che era successo. Ancora oggi, che abbiamo 21 anni e ci siamo nuovamente perse di vista, non le ho ancora chiesto scusa per non aver fatto di più, per non averle dato il mio supporto e per non aver compreso la violenza subita finché non l’ho provata sulla mia pelle.

 

Ho sempre tenuto chiuso questo ricordo in un cassetto remoto della mia mente, forse perché a riaprirlo sento una stretta allo stomaco, provocata dal senso di colpa. 

Ad oggi sento il bisogno di parlarne, perché so che Maria non è l’unica.

   
 
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