Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: edoardo811    01/08/2021    7 recensioni
Naito è un mezzosangue che ha trascorso la propria vita in fuga, senza un posto dove stare, una casa che lo accogliesse, una famiglia che lo accettasse. Questo perché non è un mezzosangue come gli altri, non è un semidio: è il figlio di un demone e di una mortale.
Rimasto da solo, consumato dal rimorso e pentito per gli errori commessi, comincerà un viaggio tra le montagne del Giappone alla ricerca dell'Elisir di lunga vita: qualcosa che mai nessuno prima è riuscito a trovare. Insieme a una vecchia conoscenza cercherà di riabilitare il suo nome e quello di tutti i mezzosangue come lui. Soli, abbandonati e spaventati. Come un tempo anche lui era.
«Chi sono i tuoi genitori?»
«Mia madre si chiamava Akane Itomi.»
«E tuo padre?»
«Non lo so… non mi ha mai parlato di lui.»

[Mitologia giapponese]
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il Sole, il Mare e la Luna

 

 

Il suono delle foglie calpestate dai suoi stivali riempì l’aria, mentre percorreva il sentiero all’ombra dei ciliegi brulli. L’aria fredda e pungente soffiava sul suo volto, ma non gli diede importanza. Non pativa il freddo. O il caldo.

Spostò lo sguardo verso il bordo del sentiero, ammirando la maestosa città che si stagliava ai piedi della montagna. Pensò a tutti quei mortali che abitavano laggiù, in quelle strade affollate, chiassose, in quei palazzi colorati dalle forme stravaganti.  

A volte li invidiava. Sarebbe piaciuto anche a lui vivere nella beata ignoranza come loro, lontani da quel mondo, preoccupati solo dei loro problemi comuni e delle loro vite quotidiane.

Alzò lo sguardo verso il cielo, accorgendosi delle striature arancioni che illuminavano con pigrizia la valle. Si stava facendo sera. Strinse con forza il grosso sacco che teneva sotto il braccio e affrettò il passo.  

Non riusciva a credere che Minoru volesse farsi tutta quella tratta da solo. Quel vecchio con le gambe atrofizzate e gli occhi impregnati dalle cataratte non sarebbe riuscito neanche a fare due passi con quell’affare pesantissimo sulle spalle. Ancora una volta, si domandò come facesse a vivere in quell’angolo nascosto della montagna. Si domandò come riuscisse a fare moltissime cose, in realtà.

Passò sopra un ponte di legno rosso sottile, accanto ad un anfratto della montagna da cui sgorgava pigramente una cascata. Si fiondava in quel baratro senza fondo tra le pareti rocciose, sollevando una lieve bruma. Non mancava molto ormai alla destinazione.

Continuò a salire, incrociando alcuni mortali con le teste incastrate dietro a quelle loro scatolette di plastica, intenti ad osservare il cielo. Non fecero caso a lui. Passò accanto a loro senza che lo degnassero di uno sguardo.

Si infilò in un sentiero dismesso, coperto di erbacce alte, segno che poche persone passavano di lì. La stradina era a forma di conca, sprofondava in un pendio offuscato dalla vegetazione prima di risalire e sbucare in una radura circondata da alti alberi e fitti cespugli. Non era molto grande, ma abbastanza per ospitare una casa rustica e un deposito per la legna da ardere.

Il caminetto sbuffava del fumo grigio, indicandogli che Minoru lo stava aspettando. Raggiunse la porta e la aprì senza neanche bussare, conscio del fatto che il vecchio Ishii lo avrebbe riconosciuto immediatamente.

«Sei tu Naosuke?» fu infatti la voce roca e bonaria che sopraggiunse non appena mise piede nell’anticamera.

«Sì, ho portato la sua spesa.»

«Yare-yare! Porta tutto in cucina allora, grazie!»

Naosuke si sfilò gli stivali di ferro e chiuse la porta, la sua pelle che veniva accarezzata dal torpore della casa, cozzando con quegli spifferi freddi di fine settembre a cui si era abituato.

Salì il gradino che portava al corridoio e svoltò subito a sinistra, entrando in cucina. Trovò il vecchio Ishii inginocchiato al tavolino, intento a fumare dalla sua fidata kiseru1 e a lisciarsi la lunga barba bianca. «Lascia tutto sul ripiano, figliolo.»

Il ragazzo obbedì e posò il sacco di iuta sul ripiano della cucina, coricandolo di lato. Alcune patate dolci rotolarono fuori.

«Grazie per essere andato tu a prenderlo, Naosuke» gli disse il vecchio Ishii.

«Era il minimo che potessi fare per ripagarla della sua ospitalità» rispose Naosuke, con un sorriso. Si abbassò il cappuccio, scoprendo i capelli neri e spettinati.

«Sciocchezze, figliolo. La tua sola compagnia è più che sufficiente per ripagarmi. Ormai non c’è più nessuno a cui importi di queste mie ossa vecchie e stanche…»

Il sorriso di Naosuke si fece mesto. Sapeva qualcosa sull’essere soli e dimenticati.

Minoru si alzò dal tavolino, lisciandosi lo yukata2 blu oceano. «Preparo la cena, tu vai pure a riposarti. Ti chiamo quando è pronto.»

Naosuke lasciò che il vecchio si mettesse sul ripiano e si allontanò, sgranchendo le gambe e le braccia dopo la lunga camminata. Percorse il corridoio e raggiunse l’ultima stanza a destra. Si chiuse la porta scorrevole alle spalle non appena fu dentro e cominciò a spogliarsi. Spalancò l’armadio e il suo sguardo catturò subito i vestiti con cui era arrivato in quel luogo, un paio di settimane prima. I pantaloni neri, le placche di metallo e la cintura. Da un lungo fodero spuntava un’impugnatura scarlatta, con una sfera di vetro simile ad un occhio che parve scrutarlo con aria critica.

La ignorò e prese il samue2 scuro che Minoru gli aveva prestato, poi chiuse l’armadio. Indossò quei vestiti decisamente più comodi con uno sbuffo soddisfatto. A cena, il vecchio Ishii posò di fronte a lui una ciotola di sukiyaki fumante, dall’odore incantevole.

«Attento, scotta» lo avvertì, ma Naosuke ormai aveva già iniziato. Non usò nemmeno le bacchette, afferrò la ciotola rovente e se la portò alle labbra, cominciando a trangugiare quella pietanza.

«Ma come fai a non bruciarti mai?» gli domandò allora il vecchio Ishii, seduto di fronte a lui, guardandolo con aria corrucciata. O almeno, sembrava che fosse corrucciato, era difficile interpretarlo con tutte quelle rughe.

Naosuke abbassò la ciotola e rispose con un’alzata di spalle. «Sono molto resistente.»

«Me ne sono accorto figliolo.»

Cenarono in silenzio, con solamente il rumore delle bacchette di Minoru che tintinnavano e i mugugni appagati di Naosuke a riempire la stanza. Per fortuna il vecchio Ishii poteva solamente sentirlo e non vederlo, altrimenti lo avrebbe cacciato di casa impartendogli di apprendere le buone maniere a tavola.

Non poteva farci niente, quel cibo era delizioso. Ancora una volta, non riusciva a credere a come quel vecchietto gracile e miope fosse così capace in cucina. Era di certo una persona interessante, Minoru Ishii. Un anziano che si era ritirato nelle montagne, quasi in autoisolamento, che compensava la scarsa vista con un incredibile udito, incredibili riflessi e un senso dell’umorismo incredibilmente datato.

La teiera sopra la stufa cominciò a fischiare con vigore. Dopo aver portato via le ciotole ormai vuote, Minoru gli posò di fronte una tazzina con dentro un liquido arancione intenso, dall’odore molto forte. Naosuke la avvicinò al naso. «Che cos’è?»

L’uomo si riaccomodò al suo posto. «Infuso di alghe. L’ho preparato con quelle che ho avanzato. Avanti, provalo, è delizioso.»

Cominciò a sorseggiarlo con gusto. Incuriosito, Naosuke assaggiò quella bevanda bollente e per poco non la rigettò sul tavolo, non per il calore, ma per via di quel suo saporaccio amaro e orripilante.

«Allora, come ti sembra?»

«Molto… molto buono…»

«Ne sono lieto! Vorrà dire che lo preparerò più spesso!»

Naosuke rispose che era un’ottima idea, appurandosi di buttare via un po’ di alghe la prossima volta che sarebbe andato a ritirare la spesa per lui.

«Dunque, caro Naosuke, che storia vorresti sentire questa sera?» gli domandò il vecchio Ishii, mentre posava la tazzina e cominciava ad armeggiare con la sua pipa.

Lo sguardo del ragazzo scivolò lungo le pareti spoglie della cucina, soffermandosi sulla bandiera del Giappone, appesa accanto a un quadro con un uccellino sopra un ramoscello, in riva ad un fiume. Si concentrò sul simbolo del Sol Levante. «Che ne dice della storia sulla regina degli dei?»

«Vuoi forse dire la grande Amaterasu?»

Naosuke si irrigidì. Sapeva che finché non sarebbe stato lui a pronunciare quei nomi non avrebbe corso alcun rischio. Agli dei non importava dei mortali che li chiamavano. Tuttavia, si sentiva comunque a disagio in presenza di qualcuno che li nominava senza alcun riguardo.

«Sì, lei» rispose, dando un’altra possibilità all’infuso e facendo una smorfia ancora più disgustata di prima.

«Figliolo, così mi riempi il cuore di gioia! La storia di Amaterasu e i suoi fratelli è una delle mie preferite! Dunque: in principio, gli antichi dei assegnarono la creazione della vita sulla terra a due individui, Izanagi e Izanami. Essi ebbero otto figli, che divennero le principali isole del Giappone. Dopo di loro, Izanami diede alla luce molti altri figli ed isole minori, ma perì quando mise al mondo il suo ultimo figlio, il dio del fuoco Kagu-Tsuchi.»

Naosuke abbassò la tazzina, irrigidendosi. Il vecchio Ishii non ci fece caso e continuò con il suo racconto: «Dopo la sua morte, Izanami cadde nello Yomi e vi rimase intrappolata quando si cibò di alcuni frutti che trovò laggiù, trasformandosi così in un demone. Devastato per la sua morte, Izanagi andò a cercarla nello Yomi, ma fuggi da lei terrorizzato quando si accorse del suo aspetto demoniaco. Quando ritornò in superficie purificò il proprio corpo, e così facendo nacquero altri tre figli: Amaterasu, la più grande, nacque quando lavò il suo occhio sinistro. Essendo la più grande, a lei diede il dominio del sole. Susanoo, il più piccolo, nacque quando lavò il suo naso. Per via del suo carattere burrascoso, gli assegnò il dominio dei mari e delle tempeste. Il figlio mezzano, Tsukuyomi, invece nacque quando lavò l’occhio destro. Lui ottenne il dominio della luna.»

Naosuke serrò le labbra. Sì, conosceva Susanoo. Gli avevano parlato spesso di lui. E conosceva anche Tsukuyomi.

«Izanagi decise dunque di ritirarsi, lasciando il posto di sovrano proprio a sua figlia Amaterasu. Questo fu causa di numerosi conflitti tra lei e Susanoo, geloso di tutte le attenzioni che la sorella sembrava sempre ricevere da chiunque. Tentò dunque di sfidarla per ottenere il suo posto, ma dopo essere stato sconfitto da una mossa molto astuta di lei si infuriò e distrusse i suoi campi, le sue coltivazioni e terrorizzò le sue tessitrici al punto tale da causare la morte di una di loro. Devastata per l’accaduto, Amaterasu fuggì nella caverna di Amano-Iwato e con la sua scomparsa il sole svanì dal mondo, facendolo piombare in un buio eterno.»

«Questa storia la conosco» disse Naosuke, posando le mani sulle ginocchia. «Per convincerla ad uscire, gli altri dei appesero uno specchio sopra un albero fuori dalla caverna e organizzarono una festa. Attirata dal rumore, lei si affacciò fuori e quando vide il suo riflesso nello specchio si rese conto di quanto fosse importante la sua luce per il mondo.»

«Esatto, figliolo. Dopo l’accaduto, Susanoo venne punito con l’esilio dal Takama-ga-hara, il grande altopiano del paradiso che fa da casa degli dei. Si ritrovò quindi a vagare nel nostro mondo e arrivò nella regione di Izumo, dove conobbe il terribile Yamata no Orochi, un drago con otto teste e otto code in procinto di divorarsi l’ultima figlia di una coppia di contadini, una bellissima vergine. Susanoo si innamorò di lei e per salvarla uccise il dragone, tagliandogli tutte le teste e tutte le code. Mentre tagliava la quarta coda, la sua spada si ruppe. Nascosta proprio dentro la coda, trovò la leggendaria Kusanagi-no-Tsurugi, anche conosciuta come Ama no Murakumo, la Spada del Paradiso. Susanoo consegnò così la spada ad Amaterasu, in segno di pace, e si sposò con la vergine. Da quel giorno, i due fratelli vivono in armonia.»

Naosuke conosceva anche quel racconto, anche se udì soltanto una parola su tre dopo che Yamata no Orochi venne menzionato. Emozioni contrastanti nacquero dentro di lui. Afferrò di nuovo la tazzina e provò a scacciare quei pensieri concentrandosi sul sapore terribile dell’infuso. «E che mi dice del terzo fratello? Di lui non si sa niente?»

«Tsukuyomi, dici? In realtà, esiste anche una leggenda su di lui. Vedi, a differenza di Susanoo, Tsukuyomi era molto legato ad Amaterasu. Erano sempre insieme, per questo motivo, all’epoca, era possibile vedere sia il sole che la luna in cielo nello stesso tempo. Un giorno, la dea del cibo Ukemochi invitò Amaterasu a un ricco banchetto, ma lei, non potendovi partecipare, chiese a Tsukuyomi di prendere il suo posto. Così lui scese sulla terra ed incontrò la dea, che cominciò ad offrirgli un pranzo delizioso. Tuttavia, mentre il pranzo procedeva, Tsukuyomi scoprì Ukemochi tirare fuori dal naso e da altri orifizi indecenti quello stesso cibo che gli stava offrendo. Sì, anche dall’ano.»

L’infuso scese dalla bocca di Naosuke come un fiumiciattolo, rituffandosi nella tazzina. 

«Infuriato e disgustato per quello che era successo, Tsukuyomi uccise la dea senza esitazione e ritornò nel palazzo celeste. Non appena Amaterasu scoprì l’accaduto, si infuriò con il fratello e lo cacciò dal palazzo. Da quel giorno, sole e luna non si sono mai più visti assieme e la loro scissione portò alla nascita del giorno e della notte.»

Naosuke appoggiò la tazza di infuso sul tavolo, non molto desideroso di berne ancora. Si domandò per quale motivo Amaterasu si fosse comportata così con Tsukuyomi. Avrebbe voluto vedere lei al suo posto. Ora si che comprendeva perché Tsukuyomi fosse tanto infuriato con lei.

«Non… non la conoscevo questa storia» mugugnò, quando si rese conto che era finita.

Il vecchio Ishii si strinse nelle spalle. Posò anche lui la tazzina sul tavolo, per prendere un’altra boccata con la pipa. «Si tratta comunque di una leggenda molto vecchia, e come per molte altre leggende non esiste una versione ufficiale. Alcuni sostengono che sia stato Susanoo ad uccidere Ukemochi, per esempio. In ogni caso, non è una storia reale, non c’è bisogno di essere precisi. Sono solo leggende.»

Un sorriso amaro scappò dalle labbra di Naosuke. Tutto quello che aveva visto e vissuto gli era sempre sembrato abbastanza “reale”. Lui stesso faceva parte di una leggenda creata per spaventare i bambini, o meglio, la sua specie lo faceva, eppure era lì, proprio in quella stanza, a parlare proprio con quell’uomo.

Piuttosto “reale” come cosa.

Distese il sorriso mentre Minoru si riportava la tazzina di infuso alle labbra e pensò ancora una volta a quanto, nel profondo, invidiasse i mortali per la loro ingenuità. Poi, si rese conto che l’uomo stava per bere dalla sua tazza, quella dove aveva appena risputato l’infuso. Spalancò l’occhio. «Non beva!»

 

***

 

Quella notte, come molte altre, Naosuke non riuscì a dormire. Ogni volta che la giornata si esauriva e si ritrovava a trascorrere il tempo solo in compagnia di sé stesso, fiamme altissime, grida terrorizzate e scene raccapriccianti occupavano la sua mente, impedendogli di tenere chiuse le palpebre.

Non dormiva molto, in realtà, non ne aveva bisogno, ma a volte era gradevole assopirsi. Soprattutto se poteva farlo in un letto vero e non sotto a degli alberi nei boschi come un animale selvatico.

Per fortuna il vecchio Ishii non vedeva ad un palmo dal naso, quindi non avrebbe mai potuto sospettare di chi stesse ospitando realmente. Era convinto che fosse un ragazzo normalissimo, che aveva deciso di fare una sosta durante il suo viaggio tra le montagne, e a lui andava bene così.

Anche i mortali che aveva incrociato quando era andato a ritirare la spesa per lui non l’avevano mai degnato di un secondo sguardo. Nessuno di loro poteva vedere quello che le loro menti non sarebbero riuscite a comprendere. In occidente, quella barriera che c’era tra lui e i mortali si chiamava Foschia. Da quelle parti non sapeva come si chiamava, ma il principio era lo stesso.

Avrebbe potuto chiamarla Nebbia. Suonava bene.

Non sapeva se il vecchio Ishii non riuscisse a vederlo per via della Nebbia, o della sua pessima vista, ma non aveva importanza. La cosa più importante era che gli aveva dato un tetto, buon cibo e anche un po’ di compagnia, dopo tanto tempo trascorso da solo, ed era determinato a far sì che la verità non venisse a galla.

Sapeva di non poter rimanere lì per sempre. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto riprendere il suo viaggio, ma il pensiero di quello che lo attendeva al di là di quelle montagne ancora lo spaventava. Poteva attendere qualche giorno in più. Erano passate giusto un paio di settimane, dopotutto.

Realizzando ormai di essere con la mente da tutt’altra parte che in quella stanza, decise di alzarsi dal futon per fare qualcosa di più produttivo. Aprì l’armadio, trovando ancora una volta quell’occhio cremisi che lo scrutava critico.

Spalancò la finestra e uscì con passo leggero per non fare rumore, tenendo stretta nella mano l’elsa della sua katana. La lama scarlatta mandò fiochi bagliori pallidi sotto il riflesso della luna e delle stelle. Camminò fino a raggiungere il centro della radura, trovandosi di fronte alla casa del vecchio Ishii.

Inspirò e sollevò la katana di fronte a sé, reggendola con entrambe le mani. Poi scattò, decapitando un avversario immaginario che si era parato di fronte a lui. Si voltò e fletté la katana, difendendosi da un altro assalitore. Rimase immobile, con la lama puntata verso il basso, in diagonale, e le gambe piegate.

Si concentrò sul proprio battito cardiaco e sul suo respiro, mentre si immaginava decine e decine di guerrieri senza volto che comparivano attorno a lui, armati fino ai denti. Sorrise, poi cominciò a muoversi. Saltò in mezzo agli avversari invisibili, schivando i loro affondi, parando le loro stoccate e rispondendo ad ogni colpo con la sua katana, neutralizzandoli uno dopo l’altro.

Allenò la sua postura, i suoi riflessi, i suoi movimenti. Nonostante non toccasse quella spada da giorni, era come se non l’avesse mai lasciata in quell’armadio. Il suo sguardò vagò in ogni direzione, coprendo ogni angolo di quella radura per compensare il fatto che avesse un lato cieco.

Aveva faticato, all’inizio, a combattere così, ma non c’aveva messo molto ad abituarsi. E il fatto che avesse un handicap così grande, non aveva fatto altro che spronarlo a diventare perfino migliore.

Cambiò mano, allenandosi anche a combattere con la sinistra. Non faceva altro da due anni, ormai. Da quando…

S’interruppe di scatto. Gli avversari nella sua mente svanirono in un istante. La radura si svuotò, lasciando spazio solamente ad una figura che prima non c’era.

Una figura magra, in ginocchio mentre si teneva un braccio, che lo guardava con degli occhi verdi carichi di sconforto. Naosuke abbassò la katana, ricambiando quello sguardo mentre una sensazione che ormai conosceva bene si faceva largo dentro di lui, una sensazione che provava ogni volta che pensava a lei.

Rimorso. 

Strinse le palpebre, prendendo una grossa boccata d’aria, e le riaprì. La figura era svanita. La stretta nel suo stomaco, invece, no.

Aumentò la presa sulla katana e abbassò la testa. Erano passati due anni ormai. Eppure, per lui era come se fosse trascorso solo un giorno.  

Un solo giorno da quando aveva perso lei.

Udì un fruscio improvviso. Qualcosa forò l’aria. Si scansò e il kunai indirizzato alla sua testa proseguì dritto, schiantandosi contro la porta della casa. Naosuke l’osservò allibito, poi strinse i denti e sollevò la katana. 

«Chi va là?!» domandò, verso i cespugli da cui era provenuto il kunai.

Nessuna risposta. Altri shuriken e kunai saettarono nella notte, diretti verso di lui. Li respinse con la spada, uno ad uno, in uno scrociare di tintinnii metallici. A giudicare dalle direzioni da cui provenivano, i loro lanciatori dovevano essere diversi.

«Se non uscite allo scoperto verrò a prendervi io» rantolò, quando anche l’ultima lama cadde a terra senza arrecare alcun danno.

Per un istante, nulla accadde. Naosuke sentì alcune gocce di sudore imperlargli la fronte, mentre i suoi sensi erano affinati al massimo. Tre figure uscirono dalla boscaglia, parandosi di fronte a lui, davanti al sentiero. Quando vide l’unica via di fuga bloccata, Naosuke assottigliò le labbra.

Un rumore di rametti calpestati provenne alle sue spalle. Arrischiò un rapido sguardo, accorgendosi di altri due individui che stavano uscendo dalla vegetazione dietro casa di Minoru, avvicinandosi. L’avevano circondato. E questa volta la sua immaginazione non c’entrava nulla.

«Finalmente ti abbiamo trovato, mezzosangue» disse uno di loro, rivelando la voce di una donna. Naosuke riportò la sua attenzione sulle tre figure di fronte a lui e quella in mezzo fece un passo avanti, mostrandosi alla luce della luna.

Un kimono nero, chiuso, mostrava le sue gambe pallide e sottili, le caviglie coperte da calze a rete. Un corpetto protettivo scendeva fino alla cintura piena di kunai ancora da utilizzare e con un tantō3 riposto nel fodero. Quello che all’inizio gli era sembrato un cappuccio, in realtà era una fulgida chioma di capelli ebano che scendevano attorno alla sua testa, formando una frangia ordinata sotto la quale due piccoli occhi lo spiavano con aria divertita. Dal naso in giù una sciarpa rossa le copriva il resto del volto.

Una kunoichi.

Lo sguardo di Naosuke cadde sul simbolo rosa ricamato sul kimono, un fiore con così tanti petali da sembrare una proiezione astratta. Lo riconobbe immediatamente: era una camelia, il simbolo del Clan Tsubaki. Il gruppo di kunoichi che gli dava la caccia.

«Era da molto che ti cercavamo» disse ancora la donna, estraendo il tantō. Le sue compagne la imitarono, sguainando wakizashi e kodachi4. Si sfilò la sciarpa, scoprendo il viso ovale e appuntito, con uno sfregio che le attraversava la guancia. «Naosuke Itomi.»

Naosuke spalancò l’occhio. Erano poche le persone a cui aveva rivelato il suo vero nome ed era certo che quella donna non fosse tra loro. Notando la sua espressione, lei sorrise gelida. «Il braccio destro di Yamata no Orochi. Meglio conosciuto come Naito.»

 

 

 

 

Pipa tradizionale giapponese

Indumenti tipici giapponesi

Arma bianca tipo pugnale

Spade tipo katana, ma con la lama più corta




Beh, amici miei, che dire. Ci siamo. In questo momento mi sento piuttosto emozionato, non penso di poter dire molto, anche per timore di dire qualcosa di stupido. Comunque sia, ero indeciso su cosa fare come prossima storia. Avevo in mente un’altra cosa, in realtà, con altri personaggi, ma poi ho capito che la scelta migliore da fare era soltanto una.

Volevo mostrare più di questo personaggio, da cui si può tirare fuori così tanto, e soprattutto volevo mostrare il Giappone, la mia visione di questo paese, almeno, vista in una chiave… “Riordiana?“ 

Non credo che questa storia si possa definire proprio un “sequel” forse è meglio dire “spin-off” tuttavia, come avrete potuto intuire, i fatti della storia si svolgono *dopo* quelli della Spada del Paradiso, e ci saranno sicuramente riferimenti e rimandi a quella storia, perciò, se non l’avete ancora letta, sarebbe meglio farlo. I primi capitoli si potranno leggere anche come quelli di una storia a sé stante, ma poi comunque la storia farà il suo corso e, nel bene e nel male, occorrerà sapere quello che è successo nella Spada del Paradiso per capire cosa sta succedendo qui. 

Quindi… sì, insomma, sono un po’ nervoso perché mi rendo conto che questa storia è un salto nel vuoto. Sono personaggi originali mai visti prima e non è nemmeno una storia che si può davvero leggere come qualcosa di a sé stante, ma confido nel fatto che, a coloro che la leggeranno, possa piacere. 

Perciò, grazie per aver letto, grazie per essere arrivati fin qui, spero di sapere la vostra, su cosa ve ne pare dell’idea di mettere leggende giapponesi, come si sono sembrati Naito e il vecchio Ishii, le kunoichi e soprattutto la leggenda dei tre fratelli (ora sapete perché alla luna non piace il sole, in Giappone).

E nulla, grazie ancora e alla prossima! (p.s. non è necessario leggere la raccolta per comprendere questa storia!)

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811