Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: Joy    01/08/2021    1 recensioni
Vorrebbe essere capace di farlo, ora che ha Moblit tra le braccia e i polmoni in fiamme, adesso che l'aria di quel pozzo è calda come quella di una fornace, ma nera come la pece.
“S..stai bene, C..Caposquadra?”
È sangue quello che sente tra le dita che ha infilato tra i suoi capelli?
“Shhh” sussurra. “Sto b..bene. Staremo bene.”

[Fix-it / Scritta per la Just A Quick Prick Challenge gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia]
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Moblit Berner
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Hurt/Comfort

Angst

Fix-it

What-if

Alive!Moblit

 

Scritta per la Just A Quick Prick Challenge, gruppo facebook Hurt/Comfort Italia

 

 

 

 

Prologo

 

Prompt: Hanji, permesso

 

“Voglio diventare come te” aveva esordito Hanji il giorno del suo nono compleanno, in piedi accanto al tavolo della cucina, mentre suo zio controllava la ferita da falce sulla mano di Rolf Hoffmann, loro vicino da meno di un anno.

Suo zio aveva sorriso, senza distogliere lo sguardo dalla mano offesa.

“Dovrai comprendere il dolore e quello che fa alle persone” le aveva risposto, per niente interessato alle occhiate di biasimo del suo paziente, quando con un lieve cenno della mano l'aveva invitata ad avvicinarsi e a visionare la ferita sanguinante. “E dopo, dovrai curarle con distacco”.

Si era alzato per disporre del suo kit per le suture e aveva versato un bicchiere di vino per Rolf, prima di accordarle tacitamente il permesso di rimanere a guardare.

“È importante, Hanji” aveva ribadito, lo sguardo intenso sotto gli occhiali a mezzaluna.

 

***

 

Vorrebbe essere capace di farlo, ora che ha Moblit tra le braccia e i polmoni in fiamme, adesso che l'aria di quel pozzo è calda come quella di una fornace, ma nera come la pece.

“S..stai bene, C..Caposquadra?”

È sangue quello che sente tra le dita che ha infilato tra i suoi capelli?

“Shhh” sussurra. “Sto b..bene. Staremo bene.”

Non riesce a trovare il tessuto della divisa sulla sua schiena, però sente il sentore acre della stoffa bruciata e cielo...

 

***

 

Quello che suo zio non ha mai avuto il coraggio di dirle, è che avrebbe provato paura. Come tutti. Non ne sarebbe stata esonerata per grazia della scienza.

E non avrebbe avuto nessuno da invocare per chiedere aiuto: sarebbe stata lei quella a cui tutti si sarebbero affidati, confidando in miracoli che le sarebbero sembrati irraggiungibili quanto più intensamente li avesse desiderati.

 

***

 

“P..puoi f..farcela, sai?” borbotta Moblit, la guancia appoggiata alla sua spalla.

Adesso, che in quel pozzo quasi non respira, e se qualcosa la travolge certo non è il distacco...

“Ok” esala. “Ok” ripete con più convinzione, non appena l'occhio destro comincia a distinguere delle ombre.

Muove con attenzione le mani sul corpo contro di lei: “Dimmi cosa senti, Moblit.”

 

 

 

Between us

 

 

“Vieni qui, Nifa, e osserva bene questo punto. Vedi tracce di tessuto?”

“No, Caposquadra.”

“Molto bene. Puoi andare, applicherò da sola le garze.”

“Ma... Caposquadra, non dorme da due giorni e il suo occhi-”

“È tutto a posto, Nifa. Riposerò appena finito il bendaggio.”

 

Sono quelle voci soffuse a riportarlo indietro.

Quando ha chiuso gli occhi, aggiungendo all'oscurità soffocante del pozzo, il buio di una pietosa incoscienza, quella voce è stata l'ultima cosa che ha sentito.

E per quanto l'abbia sperato, non si aspettava di udirla anche al suo risveglio.

Non si aspettava neanche di risvegliarsi, per la verità.

Pensava di andarsene con i pugni chiusi sulla divisa di Hanji e le labbra sul suo collo; con il sapore del sangue a ricordargli che non sono previsti istanti zuccherosi nemmeno alla fine, per quelli come loro.

E invece il mondo dei vivi è tornato sotto le sue dita con la forma di un cuscino di piume, ricoperto da una federa grezza che odora di disinfettante.

“Sei già sveglio?”

Questa volta, la voce di Hanji si rivolge a lui direttamente, a conferma che davvero è vivo.

“Con il sedativo che ti ho iniettato, ero sicura avresti dormito per tre giorni filati” scherza.

Proviene dalle sue spalle e Moblit non riesce a pensare altro che vuole vederla.

Darebbe, pur di farlo, qualsiasi cosa la vita gli abbia concesso -se il nome di quanto ha di più caro non fosse proprio il suo-, ma è sdraiato sulla pancia, ha un cuscino sotto il petto e neanche la forza di alzare un braccio.

Il mondo, però, non brucia più intorno a lui: sente freddo in realtà, ed ha una sensazione umida che gli avvolge la schiena, come quella volta che a dieci anni hanno passato la notte all'aperto e lui si è sdraiato sul terreno bagnato per permettere ad Hanji di dormire all'asciutto sul suo petto.

Due giorni dopo aveva la polmonite e sua nonna aveva abbandonato Sarah Muller, appena reduce dal terzo parto, per tornare a casa e rimproveralo con le mani sui fianchi.

Il ritratto dei suoi genitori, era misteriosamente comparso sul suo comodino, quella volta, e Hanji l'aveva usato per appoggiare le pezzuole umide che alternava sulla sua fronte. Se non fosse stato per il Dottor Zoe, sua nonna l'avrebbe cacciata di casa.

Neanche allora riusciva a vederla, con la vista annebbiata dalla febbre.

Prova a dirglielo, che la vuole davanti a sé, ma il mugugno che gli esce dalle labbra somiglia più al gracidare delle rane che a parole di senso compiuto.

Punta il gomito sul cuscino e tenta di sollevare il petto.

“Rimani fermo” lo blocca prontamente Hanji. “Vorrei riuscire ad applicarti le garze sulla schiena prima che l'effetto del sedativo svanisca del tutto.”

Ha un tono insolitamente calmo, parole rallentate che escono a fatica dalle sue labbra: Moblit non l'ha mai sentita così stanca.

“Ha..Hanj-” biascica.

“Shhh...”

Sente una mano tra i capelli.

“Lasciami finire, Moblit. Farò presto.”

Anche le sue dita si muovono in modo diverso dal solito. Le osserva da una vita ed è la prima volta che le sente indugiare a margine del suo orecchio, ravviando qualche ciocca arruffata: Hanji non ha mai dato la precedenza alle carezze di fronte ad una medicazione.

“V..vieni qui. V..voglio vederti, Hanji” gracchia.

Non la chiama Caposquadra come fa di solito: è l'amica quella che ha bisogno di vedere. Quella che gli rivolgeva sorrisi entusiasti ad ogni scoperta e gli lasciava scivolare nelle tasche biscotti al miele che non erano altrettanto dolci.

“Dammi un attimo. Solo un attimo” ribatte, e quella testardaggine, se non altro, gli è familiare.

Sospira rassegnato.

Hanji armeggia qualcosa alle sue spalle, sente il fruscio della stoffa, ma non avverte dolore, solo un intorpidimento irreale.

Avrebbe tante domande da porle: com'è riuscita a portarli fuori da quel pozzo, ad esempio. O cosa è successo alla sua schiena e quanto tempo è passato.

Vorrebbe anche conoscere l'esito della missione, ma per quella domanda dovrebbe rivolgersi alla Caposquadra Hanji Zoe e non vuole barattare quell'intimità informale per la conoscenza.

Il materasso dietro di lui s'inclina leggermente, la mano di Hanji gli scivola sopra la spalla e s'infila tra il suo petto e il cuscino, vi fa passare un unico giro di bende.

“Ho apposto su tutta l'area delle garze ricoperte d'unguento, ma non voglio stringerle o si attaccheranno ugualmente ai tessuti” lo informa. “Tu cerca di non muoverti.”

Posa la mano per qualche istante sul suo fianco, prima che il materasso si sollevi di nuovo e all'orecchio gli giunga il suono degli strumenti che vengono riposti.

Il rumore metallico di quelle che sembrano forbici cadute sul pavimento, è così insolito da confermargli ciò che sospetta da quando si è svegliato.

“Hanji” ritenta. “Vieni qui. D..davanti a me.”

Gli risponde un sospiro spezzato e lo sciabordio dell'acqua nel catino.

“Ti prego...” insiste, e la sua voce adesso esce rauca e graffiante come se avesse ingoiato sabbia.

E forse è per il suono arido e dolorante che gli esce dalla gola, che i passi di Hanji finalmente si avvicinano: circumnavigano il letto e nel tempo in cui chiude le palpebre e le riapre, Hanji è seduta di fronte a lui con un bicchiere tra le mani.

Nella cornice della finestra, sul suo volto si disegnano zone d'ombra.

Moblit ha incamerato molte immagini del suo viso nel corso degli anni, per poi fermarle su carta nelle notti solitarie, illuminate solo da uno spicchio di luna e una lampada a petrolio.

Ora riesce a vederle tutte, sovrammesse l'una all'altra, a formare strato su strato l'immagine impietosa che oggi la ritrae senza che l'affetto della sua matita possa smussare l'asprezza di ciò che ha affrontato.

“È permanente?” le chiede, tentando di sollevare la mano verso le bende che le coprono l'occhio sinistro.

“Sì” risponde lei semplicemente. “Bevi questo” continua aiutandolo a sollevare il mento e avvicinandogli il bicchiere alle labbra.

“Mi dispiace” la ignora. “Avrei dovuto proteggerti”

“Bevi” replica lei con tono fermo.

C'è qualcosa nei suoi modi spicci che sembra voler volontariamente coprire il fremito delle sue labbra, Moblit non se la sente d'insistere: l'accontenta e lascia che l'acqua fresca gli rianimi la gola irritata.

Assapora il retrogusto dolciastro e solleva gli occhi a incrociare il suo sguardo imperturbabile.

“Cosa ci hai messo?” le chiede.

“Non preoccupartene, pensa a rilassarti.”

“Passiflora?” non riesce a trattenersi dall'insistere. “Non voglio dormire, Hanji, mi sono appena svegliato.”

La mano che gli teneva il mento risale la guancia e si ferma sulla sua tempia: le dita affondate tra i suoi capelli massaggiano piano punti che -se ne accorge solo ora- dolgono come se avesse delle frecce ficcate nella testa.

“Temo che possa salirti la febbre, sarebbe un problema.” gli confida Hanji controvoglia. “Hai bisogno di riposare.”

Chiude gli occhi sotto la sua mano: “Da quello che ho visto, anche tu.”

Il bussare sonoro contro il pannello della porta ingoia l'obiezione che -Moblit ne è sicuro- sarebbe uscita dalle sue labbra comunque.

“Caposquadra Hanji” esordisce Nifa, senza neanche entrare nella stanza. “Il Comandante Erwin è peggiorato, abbiamo bisogno di lei.”

Lei si alza dalla sedia senza una parola.

“Dormi” gli dice rivolgendogli uno sguardo risoluto. “Tornerò a controllarti appena posso.”

La mano che si è allontanata dalla sua fronte, già gli manca, ma sa che non può trattenerla; nemmeno appellandosi a quell'infanzia che li ha visti crescere insieme, come piante selvatiche sullo stesso terreno.

 

***

 

Non capisce esattamente cosa sia successo, ma sente che le fiamme hanno ripreso a lambirgli la schiena.

O forse è il gelo?

Ha brividi che gli fioriscono sulle braccia e che bruciano come fuoco.

“H..Hanji...” chiama, perché quello che sente sulla pelle non ha logica nella sua testa, e solo lei può dargli una risposta coerente.

Apre gli occhi e la lampada accesa sul tavolo gli dice che ha dormito per tutto il giorno.

“Hanji?” tenta di nuovo, e non è sicuro che qualcuno lo abbia sentito: ha la bocca arida e impastata e la voce esce raschiando sabbia contro le sue corde vocali.

“È ancora con il Comandante” gli risponde Nifa, entrando con passo silenzioso nel suo campo visivo. “Come ti senti?”

“Nifa...” gracchia, “c'è... c'è del ghiaccio sulla mia schiena?”

Quella gli lancia uno sguardo perplesso.

“N..no” risponde poi. “Non abbiamo mai avuto a disposizione del ghiacc-”

“Nifa” la interrompe, “sento tanto freddo...”

“Moblit, ti giuro ch-”

“Va bene, Va bene” la voce di Hanji segue il cigolare dei cardini della porta e mette fine a quel patetico blaterare che Moblit davvero non voleva farsi uscire dalle labbra.

Hanji, che lo conosce abbastanza da scorgere anche la lieve nota di panico nata all'altezza del suo petto, varca la soglia con passo lento e posa sul tavolino la caraffa e il bicchiere che ha portato con sé.

“Puoi andare, Nifa” le dice tranquilla. “Ci penso io.”

“Ma... Caposquadra, non può contin-”

“Vai a riposare” rimarca. “Avrò bisogno di te, domani.”

Non è convinta. Moblit lo sente dai suoi passi incerti, ma sa anche che non disubbidirà mai ad un ordine di Hanji: ha troppa stima di lei.

La conferma di ciò gli arriva dal suono metallico della maniglia e dalle spalle di Hanji che improvvisamente si abbassano sotto il peso della stanchezza.

Trascina una sedia di fronte a lui e si siede esalando un sospiro lieve. Non cede del tutto però: si sporge e gli posa una mano sulla fronte.

“H..Hanji” ritenta, adesso che sa di poter avere delle risposte, “n..non capisco...”

“Shhh...” lo frena.

E le dita che prendono a scorrere ritmicamente tra i suoi capelli lo privano delle parole con più efficacia del suo cenno.

“Lo so che senti freddo” spiega semplicemente. “La tua temperatura corporea si è innalzata per far fronte alla dispersione di calore.”

Il palmo della sua mano si sposta sulla guancia e scivola sul collo: “Hai un po' di febbre.”

Afferra dal tavolino il bicchiere che ha portato con sé e ne mescola un paio di volte il contenuto, prima di posare il cucchiaino sul piano.

“Bevi questo” gli dice, sollevandogli il mento come aveva fatto qualche ora prima.

Moblit esita. Si perde seguendo il ritmo di un respiro che risulta ai suoi occhi troppo lento, troppo controllato; le spalle di Hanji si muovono appena sotto il suo esame, ma la sua espressione non cambia: è sempre stata brava a dissimulare la propria sofferenza.

La mano che regge il bicchiere vibra, il liquido si agita emanando un intenso sentore dolciastro, le sue labbra sono tese e tirate, e la pelle pallida ad eccezione di qualche chiazza arrossata, eco delle ustioni che lui porta sulla schiena.

E che lui sia dannato, se lascerà tutto il peso di quello che sta passando sulle sue sole spalle.

Punta i gomiti sul cuscino, spinge le gambe al di fuori del bordo del letto e si siede.

La schiena manifesta il suo disappunto inviandogli fitte lancinanti: quel che resta della sua pelle tira tanto da fargli quasi sentire lo strappo.

Reprime il gemito, ma non riesce a trattenere la smorfia.

La mano di Hanji resta sul suo collo.

“È presto per alzarsi, Moblit” lo rimprovera, ma la sua espressione è neutra, permissiva.

E sebbene si trovino nell'infermeria del Quartier generale di Trost, la loro complicità -per gentile concessione di quella stanchezza estrema- è quella che hanno sempre condiviso nel bosco che separava le loro abitazioni.

“Sai meglio di me che non farà alcuna differenza” risponde, tentando di stabilizzare la vertigine che lo coglie, posando entrambe le mani sul materasso e deglutendo a vuoto.

“A parte le fitte di poco fa, non ho quasi sentito dolore” seguita. “Non è un buon segno.”

La fronte di Hanji si aggrotta.

“Non dire fesserie, Moblit!” ribatte stavolta decisa. “Hai poca sensibilità perché ti ho iniettato un sedativo che avrebbe steso tre uomini e i loro cavalli” scherza. “È ovvio che te la caverai.”

Quell'allegria forzata non lo convince nemmeno per un istante, apre la bocca per protestare, ma lei lo zittisce con un gesto autoritario e solleva il braccio per avvicinargli il bicchiere alla bocca.

“Stai zitto e bevi” taglia corto. “Stai sprecando energie inutili.”

Moblit sa che quello è il momento di cedere, e gli sfugge un sorriso mentre posa le labbra sul bordo del bicchiere: perché se la Caposquadra Hanji Zoe gli ordina di sopravvivere, chi è lui per disubbidire al comando?

Beve fino a vuotare il bicchiere, ed il liquido è talmente dolce che in condizioni normali gli avrebbe dato la nausea, invece il suo corpo sembra desiderarne ancora.

Hanji, che evidentemente se lo aspettava, lo riempie di nuovo e lo osserva compiaciuta mentre lo svuota senza bisogno di altre parole.

“Così si fa” commenta poi, mentre lui riprende fiato esalando un lungo sospiro esausto.

Sente ancora freddo, ma un po' meno di prima; la stanchezza invece si fa sentire con una vertigine che questa volta non riesce a fermare.

Chiude gli occhi e sente la propria testa oscillare pesantemente.

“Vieni qui” sussurra la voce di Hanji, ed è la sua spalla quella che si ritrova sotto la guancia: odora di disinfettante e del miele che ha fatto sobbollire nell'infuso.

“Te l'avevo detto che era troppo presto per alzarsi” mormora di nuovo tra i suoi capelli.

Forse riesce a mugugnare qualcosa in risposta, non ne è sicuro.

Sa che il corpo di Hanji è caldo contro il suo e che finalmente ha smesso di tremare. Sa che quella mano la vuole tra i suoi capelli per sempre, e pensa che dovrebbe dirglielo: aspetta di farlo da trent'anni.

È anche certo che la posa rigida con la quale lo sta sostenendo, nasconda qualcosa: il solito respiro troppo controllato gliene dà conferma.

“Puoi sdraiarti accanto a me” azzarda. “Sai che non cambierà niente se dormi per qualche ora.”

Hanji si scosta da lui con decisione.

“Nel letto di un paziente?!” esclama indignata. “Non ti ho insegnato niente in tutti questi anni, allora...” aggiunge scuotendo la testa.

Moblit vorrebbe dirle di lasciar perdere, che quel distacco tanto decantato da suo zio, non deve imporselo sempre. Del resto sono solo loro due e un'altra manciata di soldati sopravvissuti a Shiganshina ad abitare il Quartier Generale del Corpo di Ricerca adesso, ma le dita di Hanji scorrono un'ultima volta tra i suoi capelli e la traccia umida che intravede sotto la benda che gli copre l'occhio sinistro risponde prontamente -e con dolorosa sincerità- proprio a quella frase che non è riuscito a farsi uscire dalle labbra.

Sente una stretta attorno al cuore che gli toglie il respiro: evidentemente il sedativo di Hanji non lo scherma da ogni dolore.

La mano gli liscia i capelli ancora una volta, poi scende lungo la nuca fino a tastare delicatamente la schiena coperta dalle bende.

“Le garze sono bagnate” dichiara di nuovo padrona di sé. “Sdraiati, così posso cambiarle e rifare la medicazione.”

 

***

 

 

Il buio della notte è denso, respira a fatica.

Tutto è in fiamme, persino l'aria che inala lo brucia.

Non ha mai avuto paura di morire: è cresciuto osservando i bimbi venire al mondo, consapevole che sarebbe arrivato per tutti loro il giorno in cui avrebbero affrontato il processo inverso.

Ma il dolore...

Quello lo spaventa.

E si sente un vigliacco, ma vuole che finisca presto.

Vuole andarsene velocemente.

Nient'altro.

 

“Moblit...”

C'è un punto luminoso poco distante da lui, un fruscio di coperte e una mano che gli interroga la fronte.

Sente anche una voce: è familiare, sebbene sussurri qualcosa che non riesce a capire.

La mano si allontana, la luce aumenta d'intensità.

Il buio che si ritrae svela il mobilio di una stanza.

Libri e appunti sono abbandonati sul pavimento, strumenti medici e bende pronte all'uso sono in bell'ordine sul tavolo, e ovunque aleggia il sentore inconfondibile delle fiale in infusione.

Sente delle mani sul braccio, due dita ne tastano l'incavo e qualcosa lo punge.

Tenta di ritrarsi d'istinto e una mano si sposta tra i suoi capelli.

“Buono” lo ammonisce. “Tra un attimo starai meglio.”

Sbatte le palpebre.

Hanji.

L'infermeria.

Non il pozzo.

Respira profondamente, anche se la cassa toracica non sembra contenta del movimento.

“Eccoti qui” gli dice Hanji quando riapre gli occhi; il suo peso ha piegato il bordo del materasso accanto a lui.

“Prova a ruotare leggermente su un fianco” suggerisce, accompagnando i suoi movimenti. “Respirerai meglio.”

Ha i capelli sciolti, nota, una camicia troppo grande e una benda pulita sull'occhio.

La presa sul suo cuore si allenta, non sa se sia del tutto merito del sedativo.

“È quasi l'alba” continua lei. “Hai dormito per tutta la notte.”

E la branda sfatta accanto al suo letto indica che grazie al cielo non è stato l'unico a farlo.

“Ti ho svegliata?” riesce a chiedergli, maledicendo i suoi incubi e il suo scarso controllo.

Ma Hanji solleva le spalle con noncuranza: “Ho il sonno leggero quando veglio un paziente, lo sai.”

Certo che lo sa.

Così come sa che è andata a lavarsi nel bagno comune delle reclute, perché è più veloce che trasportare la vasca nel suo alloggio e riempirla.

O che si è medicata l'occhio da sola per non svegliare Nifa.

Che ha usato per lui almeno il doppio dei sedativi, rispetto a ciò che le avrebbe suggerito la ragione.

Perché lui ha paura del dolore.

“Smetti di pensare” lo rimprovera bonariamente, “o sarà la tua testa ad andare a fuoco.”

Anche lei sa un sacco di cose a quanto pare.

“Bevi ancora, piuttosto” aggiunge dopo un istante. “Stai perdendo molti liquidi.”

Il bicchiere che gli appoggia alle labbra questa volta ha un odore fruttato: non è troppo dolce.

Gli ricorda il tramonto sul limitare del bosco e il paiolo sul fuoco, con il sobbollire lento delle conserve di sua nonna.

Hanji c'era anche allora.

E non se n'è mai andata.

Si solleva sul gomito e beve fino a vedere il fondo del bicchiere; lo lascia vuoto nelle mani di Hanji e sprofonda di nuovo tra i cuscini.

“Te la senti di mangiare qualcosa?”

“Non ho fame.”

“Domani l'avrai” dichiara lei sicura di sé. “Ho dato al cuoco la ricetta dei biscotti al miele.”

Ride.

I suoi lineamenti sono più distesi.

Vorrebbe toccarla.

Solleva la mano per farlo, ma lei la intercetta con la sua.

“Rilassati” gli dice. “O finirai con l'ostacolare il sedativo.”

Ha ragione, come sempre.

Ma Moblit non vuole perderla, nemmeno se a dividerli è solo il sonno indotto da un farmaco.

Proprio non può.

“Sdraiati vicino a me” tenta.

E non si aspetta che Hanji l'ascolti, e invece lei si allontana quanto basta a trascinare la branda vicino al suo letto e si sdraia a sua volta di fianco.

“Va bene adesso?” gli chiede con una punta d'ironia.

A Moblit il sorriso sfugge prima che possa rendersene conto.

C'è una sedia in mezzo ai loro letti: Hanji vi appoggia sopra gli occhiali, lui le afferra la mano prima che possa ritrarla.

Ci sono sempre state un sacco di cose in mezzo a loro: un tempo c'era un bosco a separare le loro case, poi ci sono state le cariche militari; prima o poi ci sarà la morte, Moblit non s'illude, ma adesso c'è solo una sedia.

E le loro mani intrecciate sopra.

 

 

FINE.

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Joy