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Autore: Carme93    02/08/2021    2 recensioni
Luca e Mara si conoscono da anni, perché fanno parte dello stesso gruppo di amici.
Una serie di eventi li porta ad avvicinarsi e a scoprirsi per la prima volta. La presenza costante degli amici, però, rende loro difficile avere un momento tutto per sé; perciò Mara organizza una piccola gita.
[Questa storia partecipa alla challenge "Slot machine!" indetta da Juriaka e si è classificata seconda al contest "Invincibilmente fragili e imperfetti" indetto da Soul Mancini sul forum di EFP].
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di un anno scolastico'
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[Questa storia partecipa alla challenge “Slot machine!” indetta da Juriaka sul forum di EFP con il prompt 31: 1 non è mai stato in montagna. 4 ce lo porta. Bonus: mamma cinghiale difende i suoi piccoli].
[Questa storia partecipa al contest “Invincibilmente fragili e imperfetti” indetto da Soul Mancini sul forum di EFP con il pacchetto sixteen: - Citazione: L’amore. Le cose più folli si fanno in nome dell’amore. Quando si ama ti senti sull’orlo di un abisso, il passato si dimentica, il presente si dissolve, il futuro non esiste. L’amore è così: pazzo, imprevedibile, avventato. Ti assorbe, ti consuma, ti divora; si annida piano piano nel tuo cuore e ti incoraggia a ridere, a gridare, a sognare, ma soprattutto ti fa sentire totalmente viva. - Prompt/tema: primi amori].
 




 
 
Nel segreto del bosco
 
 






Si passò una mano sul volto e lanciò un’occhiata distratta alla sorella, intenta a chiacchierare animatamente con una compagna di classe. Era ancora strano viaggiare insieme a lei ogni mattina, ma soprattutto gli veniva quasi dal ridere al pensiero della sua agitazione per l’inizio del liceo risalente solo a qualche mese prima. Alzò il volume del suo mp3 e la musica sovrastò i rumori circostanti – il rombo delle macchine, i clacson, il vociare degli altri passeggeri -, tentando di isolarsi. In realtà erano stati mesi difficili, in cui aveva compiuto troppe scelte sbagliate, la più responsabile come sempre era stata proprio Marianna, che di certo non aveva mai avuto veramente bisogno del suo aiuto.
Fortunatamente, ormai la scuola stava per finire, ma neanche questo gli suscitava l’entusiasmo degli anni precedenti. E non era solo perché, se non si fosse impegnato, li avrebbero lasciato almeno tre materie – alla bocciatura non voleva nemmeno pensare ˗, ma specialmente perché non riusciva veramente a dimenticare quello che era accaduto: il brutto litigio con Aurelio, il suo migliore amico da sempre, che, per quanto superato, gli aveva lasciato una brutta sensazione addosso, quasi come se si fosse rotto qualcosa tra loro; l’ultima avventura con Mara Feniri, la sua compagna di classe, che si era messa in qualcosa di più grande di lei. Ancora i loro genitori non riuscivano a capacitarsi di quanto fossero stati stupidi. Personalmente non comprendeva che cosa l’avesse spinto ad aiutarla, nonostante anche le sue sedicenti migliori amiche, Marica Ghizzi e Alisia Silvestri, l’avessero abbandonata; ma lo colpiva di non essersi fidato di Aurelio e di non aver chiesto il suo aiuto. Anche l’amico era rimasto male, ma non gli aveva recriminato nulla: era stato lui il primo a tradire la loro amicizia e tutto non poteva tornare esattamente come prima solo con un abbraccio e delle imbarazzate scuse.
Sospirò e appoggiò la testa contro il finestrino, ma senza vedere veramente le macchine in fila accanto alla corsia dell’autobus. Si chiese se fosse il caso di ripassare le equazioni dell’ellisse o la fotosintesi, ma chiuse gli occhi desiderando di tornare indietro a quando si sentiva spensierato e non arrivava a scuola con una profonda angoscia per le idee che avrebbero avuto Isaac e Aurelio – anche se quest’ultimo gli aveva promesso che non avrebbe più fatto cavolate – e di dover scegliere tra deludere ancora i suoi genitori o perdere di nuovo i suoi amici.
Qualcuno lo scosse, così aprì gli occhi e fissò sua sorella. Tolse le cuffie e le domandò: «Che vuoi?».
«Dobbiamo scendere, Luca. Che fai dormi?».
«Magari».
Marianna roteò gli occhi e sbuffò. «Sta finendo la scuola, dai».
Luca non rispose e la precedette giù dal veicolo. Alla fermata Aurelio lo aspettava come sempre. Come se nulla fosse accaduto.
«Ciao, ragazzi».
«Ciao» rispose sorridendo meccanicamente. Era il suo migliore amico, il loro affetto non sarebbe mai cambiato. Marianna, invece, gli lanciò un’occhiataccia: non l’aveva ancora perdonato.
Aurelio, che l’aveva sempre vista come una sorellina, provò a essere simpatico per rientrare nelle sue grazie, ma lei era molto testarda. Raggiunsero i compagni nella piazzetta davanti alla scuola: Isaac fumava appoggiato al muro della scuola media; Cristoforo, il suo gemello, scarabocchiava la sua cartella del disegno; Paolo tentava di attirare l’attenzione su di sé facendo il pagliaccio; Marica e Alisia borbottavano tra loro guardando qualcosa sul cellulare; infine, Mara si mordicchiava nervosamente le unghie e sorrise quando lo vide. Erano mesi che si comportava in quel modo: gli sorrideva e poi, arrossendo, distoglieva lo sguardo. Quella notte di gennaio, che avevano trascorso insieme parlando per la prima volta senza la presenza dell’intero gruppo, aveva cambiato qualcosa tra loro: non erano più solo i migliori amici delle due persone più carismatiche della classe, ma erano Luca e Mara. Come se si fossero incontrati per la prima volta e non si conoscessero da due anni.
«Io raggiungo i miei compagni» disse Marianna. «Mi raccomando non fare casini».
Aurelio ridacchiò. Luca la fulminò con lo sguardo: era lui il più grande! Appena la sorellina si allontanò, Mara corse da lui. «Ti va se facciamo una cosa insieme?». Sembrava agitata ed era rossa in volto.
Il ragazzo percepì le risatine in sottofondo di Marica e Alisia. Mara non sapeva scegliersi le amiche, su questo non c’erano dubbi. Tra lui e Aurelio sarebbe tornato tutto normale, erano come fratelli, ma le tre ragazze avevano stretto un’amicizia sbagliata e Mara ne avrebbe sempre pagato le conseguenze.
«Che cosa?» chiese debolmente Luca. Non riusciva a spiegarsi perché quella ragazzina pettegola, succube delle amiche, un po’ sciocca, non gli fosse più indifferente.
«Ti fidi di me?».
«Sì». Avrebbe dovuto rispondere di no, ma ormai c’era qualcosa che li legava e non voleva deluderla; dopotutto lei si era confidata con lui, come probabilmente non aveva mai fatto con le sue amiche.
«Allora vieni, Marica e gli altri ci copriranno».
«Cosa?». Di Marica Ghizzi non si fidava, la conosceva fin troppo. Non riuscì, però, a opporsi quando lei lo prese per mano e lo trascinò in mezzo agli studenti, che occupavano i due lati della strada trafficata. La sua mano era piccola e molto morbida.
Camminarono in silenzio finché non raggiunsero una fermata dell’autobus. Mara sorrideva radiosa. Luca sentì improvvisamente molto più caldo di quanto in realtà ne facesse, per quanto ormai l’estate fosse vicina.
«Che facciamo?» chiese di nuovo con la bocca asciutta.
«È una sorpresa».
Non avrebbe voluto contraddirla, ma la voce perentoria del padre risuonò nella sua testa. «Non possiamo giocarci la scuola».
«Per un giorno che vuoi che faccia? Non hai tante assenze, no?».
«No, ma…».
«E allora qual è il problema?».
Qual era il problema? Era stato sospeso una volta e non era andato in gita, in più aveva diverse insufficienze. Nessun problema.
In quel momento arrivò l’autobus. «Vieni?» lo supplicò con lo sguardo Mara.
«Va bene» cedette Luca, sperando di non pentirsene. «Ora mi dici dove andiamo?» le chiese dopo essersi seduto.
«In montagna!».
«Cosa?».
«Mi hai detto che non ci sei mai andato».
Non ricordava di averlo detto né l’occasione, perché lei sì? «Perché proprio oggi?». Non voleva essere pedante, anzi gli aveva fatto piacere questo interesse nei suoi confronti, ma aveva troppi guai perché la montagna potesse rallegrarlo.
«Beh, non mi dire che i tuoi ti avrebbero mandato se gli avessi chiesto, anche se avessimo scelto di andarci di domenica».
Luca sospirò: «Sono in punizione, lo sai».
«Lo so, è colpa mia». Mara gli si avvicinò con un’espressione triste. «Ce l’hai con me?».
«No, avevi bisogno di aiuto. Magari avrei fatto la stessa cosa al tuo posto».
«Ma tu non ne hai bisogno. Tua madre è fantastica, è tipo l’angelo del focolare del ‘900, la mia è una drogata…».
Luca instintivamente la strinse a sé, lei non si divincolò ma si accoccolò su di lui. Il ragazzo aspirò il profumo dei suoi capelli: a scuola non sarebbero mai stati da soli, i loro amici erano sempre in mezzo ai piedi.
«Oh, guarda ci sono dei piccioncini».
I due si staccarono e sollevarono lo sguardo su un gruppetto di ragazzi che doveva essere appena salito. Erano un po’ più grandi di loro, ma dovevano esserci pochi anni di differenza. Li ignorarono.
«Senti, è meglio che scrivi a Marianna e l’avverti. Così ti copre».
«Perché?».
«Non torneremo a casa per pranzo».
Luca si passò una mano tra i capelli: l’avrebbero ucciso.
«Puoi dire che vai a pranzo da Aurelio» continuò Mara.
«Ma i miei non vogliono».
«Allora da qualcun altro. Magari per studiare, no? Cristoforo?».
Luca sbuffò: «Vogliono che stia lontano da Isaac».
«Beh, da qualcuno devi andare».
Il ragazzo annuì e prese in rassegna i suoi compagni, alla fine disse: «Nosmizzi».
Mara scoppiò a ridere: «Scherzi? Non è credibile. Ti ricordo che Nosmizzi ha fatto a pugni con Aurelio».
«E quindi? Mica i miei lo sanno».
«Ma non è credibile. Lui ci odia».
Se Nosmizzi li odiava aveva i suoi buoni motivi, ma Luca dubitava che fosse qualcosa in più di rancore. Comunque i suoi genitori non ci avrebbero creduto: effettivamente vi era troppa acredine tra Giuseppe Nosmizzi e il loro gruppo, non era mai stato un mistero.
«Samir?».
«Meglio».
Luca prese il cellulare e scrisse: Mari, vedi che non torno a casa per pranzo oggi. Vado a casa di Samir per studiare per l’interrogazione di matematica.
«Fatto».
«Ha letto?».
«Figurati, non lo leggerà fino alla fine della prima ora».
Da quel momento in poi non parlarono molto, perché la strada divenne tutta curve e Luca iniziò a sentirsi poco bene. Il gruppetto di ragazzi continuava a sghignazzare e a insultarli, per cui non fu molto piacevole. Appena l’autobus arrivò a destinazione, Luca scese con le gambe malferme, tanto che quasi perse l’equilibrio, quando uno dei più grandi gli diede una gomitata passando.
«Stai bene?» gli chiese Mara preoccupata.
Il ragazzo non replicò, ma si allontanò di qualche passo prima di vomitare in un’aiuola. Mara gli accarezzò la schiena, non sapendo bene come fosse meglio comportarsi. Per un attimo sembrò a entrambi di essere tornati indietro di mesi, a quella fredda notte di gennaio in cui era stata lei a star male per aver bevuto troppo. Era iniziato tutto da lì, anche se nessuno dei due n’era stato pienamente consapevole.  
Luca si scusò e si sedette sul bordo di una fontana, tentando di riprendersi. L’aria era molto più fresca rispetto alla città, perciò Mara si premurò di appoggiargli il giubbotto sulle spalle.
«Non c’è molta gente» costatò il ragazzo, appena sentì di poter parlare senza dare nuovamente di stomaco.
«Siamo in mezzo alla settimana» replicò Mara. «Ed è mattina».
Si voltarono verso una vetta e scorsero la funivia, come quelle che Luca aveva visto solo nei film. «Sei mai salita?».
«Certo, quando sono venuta a sciare».
«È come?».
«Sciare? Non male».
«Insomma con tutta quella neve deve essere fantastico» insisté eccitato.
«Non c’è sempre molta neve, ti ricordo».
Spesso da loro gli inverni erano particolarmente miti, per cui i gestori in montagna si lamentavano spesso.
«Facciamo colazione?» le propose Luca ormai ripresosi. Non aveva voglia di star lì seduto. Il suo cellulare squillò. «Pronto?» rispose sorpreso.
«Dove diavolo sei?». Marianna sembrava arrabbiata.
«Tu dovresti essere in classe» tentò.
«Almeno io sono a scuola».
«Come lo sai?».
«Sono andata nella tua classe, perché volevo che mi spiegassi il messaggio! Lo sai che mamma e papà non vogliono che esci il pomeriggio. Sei in punizione, per la miseria! Non mi puoi mollare la responsabilità di avvertirli!».
Accidenti! «Come sei andata in classe?! E l’hai detto a qualcuno?».
«No, mi hai costretto a dire al tuo professore che non stai bene».
«Ma sei cretina?! Così avrà capito che non è vero. Insomma perché saresti dovuta venire a cercarmi in classe?».
«Tranquillo, Aurelio ti ha salvato: è intervenuto dicendomi che si era dimenticato il mio libro a casa, che l’aveva messo per sbaglio in borsa e cose così e mi ha chiesto se stavi meglio…».
«Ottimo. Ora devi solo coprirmi a casa. Poi me la vedo io».
«Sei un cretino» sbottò Marianna. «Devo andare, ciao».
«Andiamo» sospirò, rivolto a Mara, mentre riponeva il cellulare.
Fecero colazione e Luca si sorprese di quanto fosse simpatica e avesse interessi che andavano ben oltre i vestiti e i ragazzi.
 Successivamente lei lo condusse verso una zona con un laghetto.
«Ma è enorme» commentò avvicinandosi alla grata.
«Già peccato che non facciano entrare tutti. I turisti hanno fatto molti danni. Una volta si poteva salire sul ponte» gli spiegò prendendolo per mano.
Passeggiarono per un po’, finché Mara non gli chiese di scattarle una foto. Luca l’accontentò, poi pretese un selfie. Guancia contro guancia: non erano mai stati così vicini. Trattenne il respiro e abbassò il cellulare, desiderando solo annullare la distanza rimasta.
«Oh, ecco di nuovo i nostri piccioncini».
«Hai ancora il tuo stomaco, ragazzino?».
Ragazzino? Avevano sì e no qualche anno più di loro.
«State alla larga» sbottò stringendo i pugni. Questa volta non sarebbe rimasto in silenzio come prima.
«Oh, i ragazzini mordono» scherzò uno.
«Andiamocene» disse Mara. Preoccupata che Luca cadesse in quelle reiterate provocazioni, ma il ragazzo lanciò loro un’occhiataccia e la seguì.
Tornati vicini alla fontana, la ragazza chiamò un taxi, che li portò a un piccolo parco avventure.
«Stai scherzando?» borbottò Luca, fissando critico i percorsi tra gli alberi.
«No, sei pronto?».
Ancora una volta lo trascinò per pagare e lui non riuscì a tirarsi indietro, ma si sentì sciocco con il caschetto e le imbracature tra le mani.
«Soffri di vertigini?» gli chiese Mara, vedendolo titubante.
«No». Ed era vero, ma non si era mai arrampicato tanto.
«Dai!» lo sollecitò lei, ma fu costretta ad aiutarlo a indossare l’imbracatura e l’istruttore ripeté più volte le istruzioni.
Luca salì sulla piattaforma iniziale del percorso medio e sospirò: com’era possibile che si fosse lasciato convincere? E soprattutto Mara si trascinava in palestra di solito, nonostante le occhiatacce della loro insegnante, quindi tutta quella vitalità da dove l’aveva tirata fuori? Uno dei primi passaggi fu un ponte sospeso, formato da piccoli tronchetti di legno. Peccato che, tra un piolo e l’altro, vi fosse il vuoto. Gli venne in mente Indiana Jones, ma non fu d’aiuto: nei suoi film, di solito, i ponti si spezzavano, i cattivi cadevano in burrone profondo con alla fine un fiume pieno di coccodrilli, e il protagonista si salvava per un pelo. Solo che quello non era un film.
«Vado prima io» gli disse Mara, che era salita insieme a lui, nonostante l’istruttore l’avesse sconsigliato. Luca le cedette volentieri il posto e la osservò, sempre più sorpreso per l’agilità e la concentrazione che mostrava.
Luca scosse la testa e si intimò di non guardarla più o sarebbero dovuti accorrere per recuperarlo appeso come un salame. Il suo amor proprio non avrebbe retto.
Quando si lanciò contro la rete, ultimo passaggio del percorso, urlò con quanto fiato aveva in gola e si abbarbicò stretto, prima di rendersi conto di non essere più nemmeno a un metro da terra. Alcuni bambini, che giocavano poco più in là, lo fissarono e risero. Mara nascose un risolino dietro una mano.
Si avvicinò, persino, uno degli istruttori. «Tutto bene?».
«Sì, solo stress» replicò Mara trattenendo a stento una risata. A quel punto affrontarono un percorso più alto.
«Basta» sospirò Luca, quando fu nuovamente con i piedi ben piantati sul terreno asciutto. Le gambe gli tremavano leggermente per la tensione.
«Ma abbiamo pagato per un’ora» ribatté Mara con una punta di delusione.
«Perché non è passata?».
«Ancora no».
«E chissenefrega» borbottò Luca. «Nemmeno le lezioni con la Rumeno sono così faticose».
Mara ridacchiò nervosamente. Restituirono le protezioni e si avviarono verso l’area pic-nic. «Vuoi mangiare?».
«Sì, dai» rispose Luca, accorgendosi di avere molto appetito.
«Ho preparato dei panini» disse Mara, mordicchiandosi il labbro, probabilmente temendo che lui non avrebbe gradito.
«Grazie».
«Ci sediamo nei tavoli da pic-nic?».
«S-no» replicò Luca: aveva appena notato il gruppetto di ragazzi, che li perseguitava da quella mattina. Li indicò a Mara. «Andiamo da un’altra parte» disse spostandosi in modo da non farsi vedere.
«Ma dai…» tentò lei.
«No, non voglio rovinarmi la giornata litigando con loro».
«Qui c’è un percorso prestabilito dal parco» disse Mara, guidandolo. I due camminarono per un po’, poi Luca superò la recinsione di legno. «Che fai?».
«Mangiamo nel bosco».
Mara ebbe bisogno del suo aiuto e gli cadde quasi addosso. Luca la strinse a sé, la fissò negli occhi e ne approfittò per scoccarle un rapido bacio sulle labbra. Per alcuni secondi furono troppo imbarazzati per parlare. Poi lei gli strinse la mano e ripresero a camminare.
«Dovremmo tornare d’inverno» disse Mara. «Sai, con la neve».
«Sì, sarebbe bello. A parte la nevicata di… quando è stata? Due o tre anni fa?».
«Tre mi pare» disse Mara.
«Insomma non mi ero mai svegliato con il mondo tutto bianco».
La ragazza gli sorrise.
«Peccato che prima di pranzo si fosse già sciolta».
«È stata una Vigilia di Capodanno interessante».
«Deve essere bello vedere la montagna innevata e camminare sulla neve».
«Abbastanza».
«Ci mettiamo qui?» chiese Luca indicando un piccolo spiazzo quasi privo d’erba sotto un albero.
Mara aveva preparato dei semplici panini con il prosciutto e il salame, temendo di fare qualcosa che a lui non piacesse. Luca la ringraziò e mangiarono uno accanto all’altro.
«È bello qui. Così tranquillo».
«Adoro la montagna» disse Mara.
«Perché non ti piace il mare?» le domandò Luca dopo essersi saziato.
«Non mi piace stare in costume».
La fissò sorpreso. «Perché?».
«Non mi piace il mio corpo» confessò Mara contrariata dall’argomento, poco intenzionata a parlare con lui di quello, tra l’altro in quel momento.
«Che assurdità» borbottò Luca raddrizzandosi.
«Lo sarà per te» sbottò lei facendo per alzarsi, ma lui la bloccò e la costrinse a guardarlo.
«Ti ho visto quando siamo andati in piscina».
«E hai visto anche Marica e Alisia. Voi maschi avete sbavato loro dietro per tutto il tempo».
Luca sbuffò. «Non è vero. Sai quante volte abbiamo visto Alisia e Marica in spiaggia? Non avevo mai visto te». Le strinse delicatamente i fianchi e avvicinò il proprio viso a quello di lei, che ricambiò lo sguardo.
«Mi stai prendendo in giro? A tutti piacciono Marica e Alisia».
Il ragazzo roteò gli occhi. «A me no».
«Sì, vabbè» sbottò Mara divincolandosi dalla sua stretta e alzandosi. «Forse è meglio che andiamo».
Luca sbuffò e si alzò a sua volta. «Stai mettendo in dubbio le mie parole?».
«Certo, quando ci sono loro… che fai?» strillò. Luca l’aveva presa di peso. «Mollami!».
«No, allora sono un bugiardo?».
«Perché dovrei piacerti?» gridò Mara con le lacrime agli occhi. Ricordava ancora lo scherzo che lei e le sue amiche avevano tirato a Federico Mestri, un compagno di classe, per una scommessa e le era venuto il dubbio che Luca avesse accettato l’invito con lo stesso intendimento. Le sue amiche trovavano divertenti quel genere di cose. Perché si era messa in quella situazione? D’altronde erano state loro a suggerirle di organizzare qualcosa per stare da sola con lui.
«Non lo so» ammise Luca rimettendola in piedi. «Me lo chiedo da quella notte in cui mi hai parlato dei tuoi problemi, quando mi hai baciato giocando al gioco della bottiglia, quando ti ho visto in bikini… Quando sei con quelle due sei molto irritante… Anche da sola a volte, prima ti ho visto come guardavi quelli, avresti voluto pranzare con loro…».
«Ma che dici?».
Luca sospirò e intrecciò le braccia al petto. Un rumore improvviso li distrasse.
Poco distante da loro era apparso un gruppetto di cuccioli dalla pelliccia chiara e striata di nero.
«Sono dei maialini?» chiese Luca perplesso.
«I maiali sono rosa» replicò Mara.
«Non tutti».
«Comunque sono carini».
I cuccioli non li avevano notati, così i due ragazzi li accerchiarono da dietro e Luca ne prese uno in braccio. «Guarda, quanto è bello» disse sperando di fare colpo su di lei. Alle ragazze piacevano i cuccioli, no?
Mara fece una smorfia. «Lui non sembra contento».
In effetti il maialino non faceva che divincolarsi e gli altri erano scappati via emettendo grugniti isterici.
Luca fece per metterlo a terra, quando Mara gli tirò nervosamente la felpa.
«Quello cos’è?».
Lui seguì il suo sguardo e vide un cinghiale enorme che puntava su di loro. «Cazzo» sbottò. Non erano maialini, avrebbe dovuto immaginarlo. «Corri!». Per la paura non ripose nemmeno il cucciolo. Corsero per un po’ rischiando d’inciampare.
«Mettilo giù» gli urlò Mara.
«Cosa?».
«Il maiale».
«Non è un maiale» disse Luca con il fiato corto, ma aveva ragione lei: quella doveva essere mamma cinghiale. Che guaio! Ma andava velocissima. Si fermò il tempo necessario per metterlo giù, sperando che li facesse guadagnare tempo. Corsero prima di rendersi conto che la cinghialessa era rimasta indietro per occuparsi dei cuccioli.
«Ma come ti è saltato in mente?» sbuffò Mara senza fiato.
«Boh, pensavo ti piacesse. E poi non pensavo sarebbe spuntata la madre». Mara rise e Luca sorrise imbarazzato. «Volevo fare qualcosa di carino per mettere fine alle nostre discussioni».
«Beh, la prossima volta prendi dei gattini o dei cagnolini».
«Forse è meglio» sospirò, poi la guardò negli occhi e le disse quasi supplichevole: «Lasciamo perdere i nostri amici? Cioè, dai, sono cresciuto con Aurelio e le ragazze non mi hanno mai guardato… E tu ti lamenti di Marica e Alisia? Tra l’altro, Marica è abbastanza volgare… Al massimo dovresti temere Alisia…».
«Ma se Marica ha la fila di ragazzi».
«Appunto, ho detto volgare per non dire un’altra cosa».
Mara sorrise, anche se avrebbe dovuto indignarsi in fondo era la sua migliore amica, ma Luca aveva ragione e lei lo sapeva. Allora lo abbracciò e lo baciò, questa volta più a lungo. Poi si sedettero sull’erba umida e parlarono. La ragazza non riusciva a confidarsi con nessuno come con lui. Rimasero stretti l’un l’altro, finché il cellulare di Luca non squillò: era Marianna. Tempo scaduto.
«Dovrebbe esserci un autobus tra poco» disse Mara guardando l’orario sul display del cellulare. Persero un po’ di tempo, perché si erano allontanati dal parco, ma per fortuna gli alberi non erano troppo fitti. Non c’era nessun taxi nelle vicinanze, d’altronde il parco era in una zona isolata, ma per fortuna uno dei responsabili doveva sbrigare delle commissioni e si offrì di dar loro un passaggio.
Raggiunsero la fermata dell’autobus appena in tempo.
«Meno male» disse Mara, accasciata su un sedile di plastica scomodo.
«Perché?» chiese Luca sospettoso.
«Era l’ultimo della giornata».
Luca la fissò trasecolato.
«Non è colpa mia se il servizio pubblico fa schifo».
Alla fine Luca rise nervosamente: sicuramente Mara non l’avrebbe mai fatto annoiare.

 
 
 *
 
 
La mattina dopo Mara era nervosissima. Aveva troppa paura di rincontrare Luca. E se avesse cambiato idea e se si fosse pentito?
«Mara, vedi di entrare. Non ho intenzione di coprirti anche oggi».
«Sì, sì» borbottò a malapena ascoltando suo fratello Daniele. Aveva appena occhieggiato Luca: era seduto in piazzetta come ogni mattina. Sembrava tranquillo da come scherzava con Isaac e Aurelio.
Salutò il fratello e con il cuore in gola raggiunse i suoi compagni. Luca sollevò subito il capo scorgendola e le sorrise impercettibilmente, gli altri la salutarono distrattamente.
«Ciao».
Come doveva comportarsi? Decise di avvicinarsi e gli scoccò un bacio sulla guancia.  Luca arrossì leggermente, i compagni fischiarono, Marica esclamò: «Allora, è vero che ieri è andato tutto bene».
Mara la ignorò: lei e Alisia erano convinte che non volesse raccontar loro i particolari della giornata precedente, perché era andata male. In realtà voleva tenersi tutto per sé per un altro po’: era stato quasi un sogno e aveva paura di svegliarsi.
Luca, però, superato il momento d’imbarazzo, le diede un bacio anche lui sulla guancia e le sorrise apertamente.
«Oh, abbiamo un’altra coppietta in classe allora» sghignazzò Isaac.
Luca le mise un braccio intorno al collo e Mara, per la prima volta da molto tempo, si sentì protetta.
 
   
 
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