Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Spoocky    02/08/2021    3 recensioni
Post 2x12. Erwin è stato ferito gravemente da un gigante in una battaglia per salvare Eren. Levi ed Hange si prendono cura di lui nei giorni immediatamente successivi.
La storia è dedicata a Snehvide e partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart & Fanfiction
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Eccoci al secondo capitolo, dove il povero Erwin dovrà soffrire ancora.
Il testo citato appartiene alla canzone che dà il titolo alla storia ed è degli aventi diritto, non certo mio.

Buona lettura ^^


La situazione non era affatto facile.
Anche nell’incoscienza, il volto pallido di Erwin era contratto per il dolore ed il respiro gli si era fatto affannoso.
Hange gli scostò il ciuffo, ormai fradicio di sudore, dalla fronte e non si sorprese di trovarla bollente: nelle ultime ore la temperatura del comandante era aumentata in modo preoccupante, senza dare cenno di abbassarsi: “Tieni duro, Erwin.” Gli sussurrò mentre, con un gesto ormai automatico, strizzava la pezza nel catino prima di passargliela di nuovo sul viso arroventato “Non lasciarci così.”

Il comandante però rimase impassibile, del tutto ignaro delle sue parole.
Aveva perso molto sangue, e aveva la febbre alta: se non fosse riuscita a fargli bere almeno qualche sorso d’acqua, le sue possibilità di sopravvivenza si sarebbero molto ridotte. Ma come poteva dargli da bere mentre era incosciente?
Davanti all’apparente inutilità dei suoi sforzi, il caposquadra poté solo prendersi la testa tra le mani mentre fissava il pavimento, l’orecchio teso per captare ogni possibile variazione nel respiro del superiore.
 


 
No one bites back as hard on their anger,
 none of my pain and woe
Can show through


But my dreams, they aren't as empty
As my conscience seems to be



Gli sembrava di essere rinchiuso in una fornace.
Tutto il suo corpo bruciava di un fuoco invisibile: la gola arida gli bruciava, ad ogni respiro gli sembrava di ingoiare sabbia, aveva la bocca del tutto asciutta e deglutiva a vuoto.
Persino gli occhi, sotto il velo sottile delle palpebre, gli pulsavano spaventosamente. Come se al posto delle pupille avesse dei tizzoni ardenti.
Il braccio destro, in particolare, era un grumo di dolore atroce. Ogni pulsazione del suo cuore sembrava rimbombare al suo interno, esacerbando la sua sofferenza con ogni battito.
Doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato in quel braccio, ma non ricordava cosa.
Ricordava di aver spronato i suoi uomini: “Avanzate! Avanzate!”
Nel momento esatto in cui la sua mente formulò quella parola, un improvviso senso di smarrimento e terrore s’impadronì di lui. Temeva di essere sul punto di morire.
Gli venne in mente suo padre, in quell’aula di scuola. Ancora non sapeva niente. Era ancora troppo presto.
Troppo presto.
Non poteva andarsene senza conoscere la verità.
Tentò di alzare il braccio, come quel giorno, per domandare a suo padre cosa ci fosse da sapere. Ma il braccio non rispose. Sentì solo una stilettata di dolore che gli trafisse il torace e tutta la schiena.
Da qualche parte risuonò un grido terribile e, subito dopo, si ritrovò piegato in due, il petto sconquassato da feroci colpi di tosse.
 


All’improvviso, Erwin iniziò ad agitarsi sotto le coperte.
Tremava come una foglia e gli occhi gli schizzavano sotto le palpebre come biglie impazzite, mentre rivoltava le spalle sul materasso e la testa sul cuscino, facendo cadere la pezzuola che aveva sulla fronte mentre il ciuffo sudato gli si appiccicava al viso.
“Erwin.” Lo chiamò, cercando di tenere un tono di voce basso per tranquillizzarlo. “Erwin sta tranquillo: va tutto bene.”
Prese uno straccio pulito e lo intinse nel bacile, per poi premerlo dolcemente sulla fronte del superiore, che emise un singhiozzo, per poi crollare di nuovo ansante sul cuscino.
“Ecco.” Sussurrò Hange, tamponandogli con cura il sudore dalla fronte “Ecco. Così, così.”

In un primo momento, il comandante parve calmarsi grazie alle sue cure, ma poco dopo cominciò ad agitarsi di nuovo sul cuscino: “Avanzate.” Sussurrò, con voce roca “Avanzate.”
Intuendo che la febbre alta lo aveva portato al delirio, Hange gli passò una mano tra i capelli sudati, cercando di calmarlo: “Tranquillo, Erwin. Va tutto bene: sei al sicuro, adesso.”
Il comandante, però, continuò ad ansimare agitato, il moncone del braccio tremante per gli spasmi, finché una fitta più profonda delle altre non lo fece sussultare.
Sotto gli occhi impotenti del caposquadra, Erwin emise un grido straziante e si rannicchiò in posizione fetale, sobbalzando per una serie di violenti colpi di tosse.

Attenta a non fargli male, Hange s’arrampicò sul letto accanto a lui e, manovrandolo con cura, lo mise in posizione seduta, puntellandolo con il proprio torace per permettergli di respirare meglio.
Il comandante era troppo debole per tenere la testa dritta da solo e la sua fronte crollò nell’incavo del collo del caposquadra, facendola sussultare per il calore che emanava.
Mentre Erwin riprendeva fiato, Hange allungò la mano e prese un bicchiere d’acqua dal comodino.
Sempre muovendosi con cautela, lo accostò alle labbra smorte del superiore, inumidendole nel tentativo d’invogliarlo a bere: “Coraggio, Erwin. Cerca di prenderne almeno un sorso, per favore.”
Impossibile stabilire se il ferito avesse ripreso i sensi o stesse reagendo in modo puramente istintivo, ma questi schiuse le labbra e lasciò che la donna gli versasse in bocca qualche sorso del liquido di cui aveva così disperatamente bisogno.
Hange riuscì a fargli mandare giù mezzo bicchiere prima che il comandante crollasse di nuovo con la testa sulla sua spalla. Non ebbe il cuore di scostarlo.
 


Dopo un sonno inquieto, Levi si presentò lavato e sbarbato nella stanza di Erwin.
Entrando, si guardò bene dall’aprire la porta più del dovuto e se la richiuse rapidamente alle spalle. Aveva già un’idea di cosa avrebbe trovato ma lo spettacolo avrebbe potuto facilmente turbare una qualsiasi recluta di passaggio.
Seduta con la schiena contro la testata del letto, e la testa rovesciata all’indietro, Hange russava sonoramente.
Erwin, invece, giaceva addormentato con la fronte nell’incavo del suo collo e una guancia arrossata dalla febbre posata sul suo seno.
Il capitano era ormai avvezzo a scene di quel genere ma chiunque non avesse familiarità con la stretta cerchia dei veterani ne sarebbe di certo rimasto sconvolto.

Con delicatezza, per non svegliarlo, Levi prese il corpo inerte di Erwin tra le braccia e lo riadagiò con cura sui cuscini.
Nel farlo, gli cadde lo sguardo sul moncone del braccio destro. Subito lo stomaco gli si strinse in una morsa, e dovette sforzarsi per trattenere un conato.
Non fu l’aspetto dell’arto mutilato, né l’odore emanato dalle bende macchiate di sangue ed essudato, a turbarlo, quanto piuttosto la consapevolezza che Erwin non avrebbe mai più potuto usare la mano destra.
“Un mutilato è un uomo a metà.” La voce di Kenny risuonava ancora forte e chiara nelle sue orecchie ma, a farlo soffrire, era la realizzazione che non avrebbe più visto la cicatrice sul palmo di Erwin.
Quell’unico segno, tra i tanti sul suo corpo, che era stato Levi a procurargli.
Una ferita quasi insignificante, in confronto alle altre, ma che aveva avuto il potere di cambiare la sua vita: l’uomo che era stato mandato ad uccidere aveva versato il proprio sangue per lui. Senza rimorsi, senza rimpianti, si era lacerato una mano sulla sua lama pur di dar prova delle sue intenzioni.
Questo Levi non aveva mai potuto dimenticarlo e gli straziava il cuore sapere che avrebbe perso quel segno così tangibile dell’impegno di Erwin.
Uno dei pochi rimandi concreti a ciò che albergava nel pozzo più profondo dell’animo del Comandante.
Un dolore così profondo non poteva essere espresso a parole, e Levi si limitò a adagiare il suo superiore sui cuscini e ad avvolgerlo nelle coperte, un gesto compiuto con una reverenza che aveva più a che vedere con l’uomo che con il grado che portava.

I suoi movimenti non bastarono a riscuotere Hange dal suo torpore, ma il lamento che sfuggì dalle labbra esangui di Erwin la fece scattare come un pupazzo a molla.
In meno di un secondo fu in piedi china sul suo paziente, pronta ad aiutare Levi a premerlo sui cuscini mentre il suo corpo massiccio era scosso da violenti spasmi improvvisi.
“Che cazzo hai combinato, quattrocchi di merda?!” l’apostrofò Levi “Che cazzo gli hai fatto per farlo stare così?!”
“Non è colpa mia.” Si giustificò la donna “Ha la febbre molto alta: è normale che gli vengano le convulsioni.”
Un altro, straziante, lamento si levò dalle labbra del comandante. Un lungo gemito che non aveva nulla di umano.
Sotto lo sguardo attonito dei due, dalle palpebre serrate di Erwin iniziarono a stillare lacrime amare: “Basta. Basta.” Supplicava, con la voce rotta dal dolore “Non ce la faccio più. Basta. Basta.”
Tremando e ansimando, con le lacrime che scorrevano libere sul suo volto pallido, s’accasciò nel guanciale, agitandosi sotto le coperte nel vano tentativo di trovare una posizione in cui la ferita non gli provocasse dolore.
Sentendosi impotente, Levi non poté far altro che strizzare la spugna al capezzale nella bacinella d’acqua tiepida e tamponargli collo, viso e fronte, cercando di dargli un po’ di sollievo.
Erwin mosse istintivamente il capo nella sua direzione, anelando ancora un poco di quella frescura.
Il capitano intinse un angolo della spugna nella bacinella e gliela premette sulle labbra, cercando di alleviare un poco l’arsura che di certo gli straziava la bocca.
Non poterono fare altro se non aspettare che il dolore prendesse il sopravvento, riducendo di nuovo il Comandante all’incoscienza.

“Non può andare avanti così, quattrocchi. Bisogna fare qualcosa.”
“Purtroppo è una situazione terribilmente complicata, Levi. Ma non è ancora il momento di disperarci: credo di aver capito come fare per aiutarlo.”
“Prega per te che funzioni, qualunque cosa sia, o scoprirai di persona come si forma la merda di gigante. E non vivrai per raccontarlo.”
 
  
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