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Autore: Soul Mancini    06/08/2021    3 recensioni
[Phinor - ambientata nell'AU della long "Ten friends, one big mess"]
Conor e Phil si apprestano a vivere un dolce e romantico weekend nella piccola casa in montagna che il loro amico Steven ha messo loro a disposizione. Sembra tutto perfetto, la baita è carina e il paesaggio è mozzafiato... ma Steven non si rivelerà un padrone di casa modello e la coppia dovrà far fronte a un piccolo imprevisto.
- Partecipa alla sfida "On Holiday" indetta da evelyn80 su EFP. [2/4]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Conor Mason, Philip Blake
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tanti piccoli disastri, un'unica grande amicizia'
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This may-be romantic
[Phil]
 
 
 
 
“Dunque, se non erro… una volta superato questo cancelletto verde, dobbiamo procedere per circa cinque minuti e dovremmo esserci.” Occhiali da sole sul naso ed espressione concentrata, Conor guidava con lentezza e cautela sulla stradina accidentata, cercando di evitare le buche più profonde. La sua modesta auto non era certo un fuoristrada e arrancava parecchio sul terreno irregolare di quelle vie di montagna.
Guardai fuori dal finestrino con una leggera preoccupazione: attorno a noi si estendeva soltanto vegetazione verde e rigogliosa, facevo fatica a immaginare che a un certo punto in mezzo a quel bosco sarebbe sbucata una baita; nulla sembrava lasciar intendere che quello fosse un luogo civilizzato.
Ma il mio ragazzo sembrava piuttosto sicuro di ciò che stava facendo, quindi decisi di non pormi troppi problemi e di affidarmi a lui.
“Cazzo!” esclamò Conor dopo qualche istante, abbassando bruscamente il volume della radio.
“Che succede? Ci siamo persi?” mi allarmai.
“No… è che ho dimenticato di chiedere a Steven se nella casa ci fossero dei ventilatori o qualche altra fonte di fresco! Insomma, d’accordo che siamo in montagna e in teoria dovrebbe fare meno caldo, ma è pur sempre agosto” spiegò in tono vagamente disperato.
In effetti un sole rovente picchiava con insistenza da ore sul parabrezza dell’auto e nemmeno l’aria condizionata impostata al massimo pareva in grado di fargli fronte.
Ci riflettei su per qualche istante, poi accennai un sorriso rassicurante. “Beh, io credo che con le finestre aperte non staremo così male.”
“Ma noi non dormiremo con le finestre aperte.”
Gli lanciai un’occhiata interrogativa. “Come sarebbe a dire?”
“Vuoi davvero correre il rischio che un branco di cinghiali si intrufoli nel nostro letto durante la notte?” sbottò Conor, portandosi indietro una ciocca biondo scuro con un gesto nervoso.
Scoppiai a ridere di gusto. “E tu credi che i cinghiali abbiano interesse a entrare in casa nostra dalla finestra?”
“Hanno inseguito Steven e John fino alla baita; potrebbero fare questo e altro!”
Evitai di fargli notare che si era trattato solo di un cinghiale e che non aveva senso usare il plurale: quando il mio ragazzo si metteva qualcosa in testa e cominciava a fare il melodrammatico, era del tutto inutile discuterci. Mi frugai in tasca ed estrassi le chiavi dell’abitazione, che Steven aveva decorato con un simpatico portachiavi a forma di hot dog.
Io e Conor eravamo profondamente grati al nostro amico; quando aveva scoperto che eravamo diventati ufficialmente una coppia, il biondino ci aveva mostrato fin da subito il suo entusiasmo, arrivando addirittura a offrirci la baita della sua famiglia per qualche notte. A detta sua si trattava di un posto romantico e tranquillo, dovevamo assolutamente trascorrerci almeno un weekend.
Avevamo sempre rifiutato per non approfittarci della sua gentilezza, finché Conor non aveva concluso la sessione estiva all’università e avevamo cominciato a guardarci attorno per festeggiare e goderci un po’ di meritato relax insieme.
“Ecco, dovremmo essere arrivati!” annunciò Conor, rallentando e accennando a una piccola struttura dalla forma regolare, nascosta in parte dalle fronde dei grandi alberi e dagli arbusti che la circondavano.
Allungai il collo per osservarla meglio, curioso. “Sembra carina.”
“Ed è tutta nostra” aggiunse lui, con un tenero sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e che metteva in evidenza le fossette sulle sue guance.
Mi veniva voglia di inchiodarlo al sedile e mordicchiargli dolcemente quel viso da bambino che mi faceva perdere la lucidità ogni volta, ma mi costrinsi a resistere e aprii lo sportello: avevamo ben tre giorni per dedicarci l’un all’altro e farlo con tutta la comodità che in genere non avevamo.
Mi misi in piedi e mi stiracchiai: la mia schiena aveva sofferto per il viaggio in auto durato diverse ore. “Direi che è il caso di entrare, vedere com’è la baita e poi scaricare i bagagli. Che dici?”
Conor lasciò l’abitacolo a sua volta e si diresse cautamente verso l’ingresso, come farebbe un esploratore interessato a studiare un animale potenzialmente pericoloso, poi si voltò verso di me. “Hai tu le chiavi?”
Lo raggiunsi e gli porsi l’oggetto che avevo in mano. “Nel caso avessimo fame…” commentai ironico, indicando il portachiavi a forma di panino.
Conor sorrise e se lo rigirò tra le dita. “Tipico di Steven. Ehi, Dom sarebbe invidioso di questo oggettino!”
Ridacchiai a mia volta, poi spostai lo sguardo dal mio compagno al paesaggio che ci circondava: era talmente bello che pareva un sogno, i rami si intrecciavano sulle nostre teste dando vita a suggestivi giochi di luce, mentre una brezza fresca e pulita ci accarezzava nonostante la calda giornata di inizio agosto.
Col cuore colmo di gioia mi accostai a Conor, che ancora armeggiava con le chiavi ed era sul punto di aprire la porta, e gli afferrai il polso per bloccarlo.
Lui sollevò il capo e mi scrutò con curiosità. “Ehi.”
“Ehi” ripetei con un filo di voce, per poi trascinarlo più vicino a me e fargli posare la schiena contro il mio petto. “Guarda in che posto meraviglioso siamo finiti.”
Lui si abbandonò completamente contro di me e gettò appena il capo all’indietro, mugolando piano. “E nessuno potrà venire a rompere.”
Lo strinsi più forte. “Possiamo svegliarci la mattina, aprire la finestra e vedere questo panorama splendido.” Mi interruppi per posargli un bacio tra i capelli, poi sussurrai a un millimetro dalla sua pelle: “Possiamo fare delle passeggiate… possiamo fare tutto quello che vogliamo”.
“E se incrociamo i cinghiali?”
“Ti proteggo io da loro” mormorai con un leggero imbarazzo nella voce. Facevo ancora un po’ di fatica a lasciarmi andare ed esprimere i miei pensieri liberamente, Conor era in grado di portare fuori una parte romantica di me che non avrei mai pensato di possedere e dovevo ancora farci l’abitudine.
Lui si rigirò nella mia stretta per catturare le mie labbra in un bacio lento e carico di significato. Lo accolsi subito nella mia bocca e immersi le dita tra i suoi capelli schiariti dal sole, col cuore che batteva a mille nel mio petto.
Forse non mi sarei mai stancato – non mi sarei mai abituato – di stare con quel ragazzo meraviglioso.
Dopo qualche istante lui si ritrasse e ridacchiò appena, in quella maniera musicale e dolce che mi faceva sempre tenerezza. “Andiamo, prima di sfociare in atti osceni in luogo pubblico!”
“Veramente qui non c’è nessuno” gli feci notare.
“Non è vero, è pieno di gente” ribatté ironico lui, accennando a due uccellini che pigolavano dentro il loro nido qualche metro sopra le nostre teste.
Mi strinsi nelle spalle e osservai il mio ragazzo che si accingeva a girare la chiave nella toppa e aprire lentamente l’uscio. Un istante più tardi lo richiuse di scatto e si voltò, una smorfia indecifrabile sul volto; la sua pelle aveva assunto un colorito verdognolo.
Gli lanciai un’occhiata basita e interrogativa.
“Phil…”
“Sì?”
“Dev’esserci un cadavere lì dentro.”
Strabuzzai gli occhi e mossi qualche passo avanti. “Un cadavere?! Che stronzata…”
Sapevo che spesso Conor tendeva a esagerare.
“Non sto scherzando, c’è un odore terribile lì dentro!” insistette lui, la voce più alta di un’ottava.
“Andiamo, è normale che ci sia puzza di chiuso, non mi sembra il caso di farne una tragedia: apriamo tutto e in pochi minuti risolviamo la situazione.” Lo liquidai con un gesto e afferrai deciso la maniglia, per poi spalancare la porta; fui costretto però a indietreggiare quando un fortissimo tanfo nauseabondo mi riempì le narici. “Ma che cazzo…”
“Te l’ho detto!”
Richiusi la porta, sconcertato. “In che razza di posto ci ha spedito Steven? Ci commette gli omicidi qua dentro?”
Sul volto delicato di Conor si era dipinta un’espressione corrucciata, pareva indeciso se dare di matto o pensare a una possibile soluzione.
Mi grattai la testa per qualche istante. “Beh, dovremo pur scoprire l’origine del problema, no?”
“Dobbiamo proprio?”
“L’altra soluzione è dormire in macchina.”
“E come pensi che sopravvivremo in mezzo a quell’odore di… morte?” ribatté lui con nervosismo.
“Mmh… tappandoci il naso?” tentai.
Conor sospirò, estrasse il suo cellulare e qualche secondo dopo fece partire una chiamata con tanto di vivavoce.
“Pronto, sposini!” esordì la voce allegra e leggermente stralunata di Steven.
“Che cosa cazzo hai combinato dentro questa baita?” sbraitò subito Conor.
Il ragazzo all’altro capo ridacchiò. “Perché, è in disordine?”
“No, ma c’è una puzza tremenda” intervenni.
“Ah, cavolo… e da che cosa dipende?”
“Speravamo ce lo dicessi tu!” squittì il mio ragazzo esasperato.
“Ehm… no, non so che dire… non è che da qualche parte c’è una lucertola morta? Sai, qualche volta ci sono degli animali che si intrufolano in casa chissà come…”
Notai Conor che roteava gli occhi, quindi sospirai e mi avvicinai nuovamente alla porta. “D’accordo, ho capito.”
“Che fai?”
“Vado a dare un’occhiata” affermai coraggiosamente, poi presi un profondo respiro con l’intento di trattenerlo e aprii la porta, addentrandomi nella baita.
Corsi a spalancare finestra e imposte in modo da far entrare aria pulita e luce, poi cominciai a guardarmi in giro con circospezione. I mobili erano piuttosto impolverati e un po’ di fuliggine macchiava il pavimento appena davanti al camino, ma nulla lasciava intuire che ci fosse un qualche animale in stato di decomposizione nei paraggi. Ispezionai meglio l’interno del camino, supponendo che la causa del problema potesse essersi introdotta in casa tramite la canna fumaria, ma non trovai niente a parte un mucchietto di cenere.
Cominciava a mancarmi il respiro, quindi fui costretto a tapparmi il naso con una mano e prendere fiato dalla bocca. “Cazzo…”
“Trovato qualcosa?” sentii gridare Conor dall’esterno.
“No! Comunque sarebbe gradito un po’ d’aiuto!” Mi affacciai alla finestra e avvistai il mio ragazzo a qualche metro dall’ingresso, che ancora stringeva il telefono in mano e lo trucidava con lo sguardo mentre Steven sproloquiava tramite l’altoparlante.
Conor sospirò pesantemente, si tappò il naso e, con la faccia di chi stava per andare al patibolo, mi raggiunse all’interno; poggiò il cellulare – ancora con la chiamata aperta – sul piccolo tavolo presso il piano cottura e si guardò attorno.
“Una volta, quando ero piccolo ed ero lassù in montagna con mia nonna per le vacanze estive… stavo dormendo e una cavalletta mi è saltata sul letto! Non so proprio da dove fosse entrata, ma mi sono svegliato con quella roba addosso…” raccontava Steven in tono divertito.
Rabbrividii e aggrottai le sopracciglia, mentre esaminavo con attenzione alcune mensole nei pressi della porta che conduceva alla zona notte. “Grazie Steven, stai facendo un’ottima pubblicità della tua baita…”
“Beh, ma siete in montagna, circondati dalla natura… che vi aspettate?”
“Che cos’è questa roba?” strillò all’improvviso Conor, sovrastando ogni nostra conversazione.
Mi fiondai nella sua direzione e lo trovai con un’espressione nauseata, per un attimo temetti che sarebbe corso fuori a rimettere per davvero; aveva le dita della mano destra ancora chiuse attorno al naso, mentre con la sinistra teneva il coperchio di una piccola pentolina depositata in un angolo del piano cottura. Lo sollevava appena e vi sbirciava dentro, ma non aveva il coraggio di rimuoverlo del tutto.
“Cos’avete trovato?” domandò Steven curioso.
“È un… che cazzo è? Oh mio dio, che schifo!” sbottò Conor, mollando il coperchio, facendo qualche passo indietro e andando a sbattere contro una sedia.
Presi coraggio e diedi a mia volta un’occhiata; non appena scoperchiai la pentola, ebbi l’impressione che l’intensità del tanfo fosse raddoppiata. “Sembra essere… o meglio, sembrano i resti di quello che un tempo doveva essere… un trancio di merluzzo…?”
“Cosa?!” esplose Conor.
“Un trancio di… oh cazzo, è vero!” si illuminò Steven.
Mi voltai lentamente, sempre più allibito, e gettai un’occhiataccia al telefono del mio ragazzo. “Steven, tu lo sapevi?”
“Sì… cioè, non proprio! Me n’ero completamente dimenticato! L’ultima volta che sono stato in montagna ho provato a cucinare del merluzzo, ma non è venuto tanto bene e mi sono scordato di buttarlo” spiegò lui.
“E a quando risale quest’avvenimento?” domandò Conor in tono esasperato.
“Non so, qualche mese…”
“Qualche mese!” ripetei allibito. Mi veniva voglia di ridere, ma il contenuto brulicante e poltiglioso dentro la pentolina me la faceva passare all’istante.
“Ma chi è l’idiota che si dimentica il pesce in una casa in cui non va quasi mai?” aggiunse Conor scuotendo il capo.
“Io!” rispose prontamente Steven.
Sospirai e mi lasciai sfuggire una risatina. “Amico, ti vogliamo bene e ti ringraziamo per averci concesso di usare la tua baita, ma fattelo dire: sei una frana come padrone di casa, spero che tu non decida mai di mettere questo posto in affitto per degli estranei!”
“E dai, poteva capitare a tutti, no? Era un tentativo di fare una sorpresa carina e farvi trovare la cena pronta, potreste anche interpretarla così!” tentò di giustificarsi lui, ridendo a sua volta.
Io e Conor ci scambiammo un’occhiata eloquente.
“D’accordo, sono un idiota, scusatemi, avete ragione! Siete arrabbiati?” aggiunse Steven dopo qualche secondo, stavolta in tono serio e sinceramente mortificato.
Sorrisi: era incredibile. “No, non siamo arrabbiati. Solo un po’ disgustati.”
“Dobbiamo sbarazzarci subito di questa cosa, prima che il mio stomaco decida di dare il suo contributo” sbottò Conor, correndo fuori e respirando a pieni polmoni.
Riposizionai il coperchio in modo che chiudesse per bene la pentola e sospirai. “Quest’odore non se ne andrà mai.”
“E se provaste a tenere la porta e tutte le finestre aperte?” propose Steven.
“Conor non vuole: dice che entrano i cinghiali” ribattei ironico.
“Sai che c’è?” gridò il mio ragazzo, che aveva udito la nostra conversazione. “Fanculo: questo posto puzza talmente tanto che i cinghiali staranno sicuramente alla larga!”
 
 
 
 
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BUAHAHAHAHAHAHAHAHAAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH MA IO BOH!
Ragazzi, ideare e scrivere questa storia per la sfida lanciata da Evelyn è stato TROPPO TROPPO DIVERTENTE!!!!! Non appena ho realizzato che la location protagonista di queste due settimane sarebbe stata la montagna, la mia mente è tornata subito al TFOBM!AU, in cui appunto Steven ha una baita in montagna di proprietà della sua famiglia – quella in cui aveva portato John per distrarlo dalla recente rottura con Daron, chi segue la long principale sa di cosa sto parlando ^^
Così, quando Evelyn ha suggerito la parola “pesce” per questo giro, non ho potuto fare a meno di immergere la Phinor in questo disagio, il cui artefice è il nostro disastroso biondino Steven XD chi altri sennò?
MI ERA MANCATO TANTISSIMO QUESTO AU E TUTTE LE SUE DINAMICHE *_____________* tra l’altro ne approfitto per avvisarvi che non ho affatto dimenticato la long principale, semplicemente anche lei ha risentito del mio blocco degli scorsi mesi, ma è sempre nei miei pensieri e non ho nessuna intenzione di lasciarla a metà!
Tornando a noi… avete visto? Il weekend romantico dei nostri cucciolini è miseramente sfumato AHAHAHAHAHAHAH o forse è meglio dire che si è decomposto? AHAHAHAHAHAHAHAH
Ultima notina sul titolo: spero si sia colto il gioco di parole: may be (staccato) significa “potrebbe essere”, mentre maybe (attaccato) significa "forse" ^^
Grazie di cuore a chiunque abbia letto e soprattutto a Evelyn per aver lanciato la sfida, mi sta dando una marea di spunti interessanti e mi sto divertendo un sacco a partecipare :3
Alla prossimaaaaaa ♥
 
 
 
   
 
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