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Autore: shilyss    06/08/2021    4 recensioni
Ecco a voi una raccolta di shot legate alla fanfiction "Tutte le tue bugie." Nonostante alcuni riferimenti alla long fic, potete leggere i vari capitoli anche considerandoli come testi scollegati rispetto alla storia madre.
Dal capitolo 1: Se Loki fosse stato meno sarcastico, se nei suoi occhi chiari Odino avesse visto l’ombra di un sincero pentimento, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma Lingua d’Argento era stato sprezzante e tronfio e si era presentato ammantato di tutta la sua feroce eleganza di fronte al padre adottivo che non lo aveva chiamato figlio, ma prigioniero. Un altro imperdonabile errore dovuto non alla mancanza di discernimento di Odino, ma all’amara constatazione di come Loki, il suo brillante figlio, non fosse poi così acuto come pensava e sembrava.
Dal cap. 4: Solo che Loki era un furfante travestito da principe, un cantastorie come nemmeno nelle piazze più oscure della città se ne trovava uno uguale.
Non tutto è come appare, quando di mezzo c'è il dio dell'inganno in persona.
Capitoli 3-9: Barbare usanze;
Cap. 10 - Forse era scritto nel destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Il messaggio

We don't bleed when we don't fight

Go ahead, go ahead, throw your arms in the air tonight

We don't bleed when we don't fight

Go ahead, go ahead, lose our shirts in the fire tonight

(The National, Runaway)

 

Parte 3

 

L’accordo era di non scriversi, mai. Per nessuna ragione. Qualsiasi traccia avrebbe potuto tradirli, e Loki, che pure era il signore del caos, non amava che fossero altri a demolire i suoi piani. Strinse nel pugno il lungo biglietto di lei e lo infilò nella giubba, consapevole che avrebbe dovuto distruggerlo immediatamente e che anche tenerlo addosso equivaleva a voler mettere la testa su un ceppo, in attesa che il boia calasse la sua ascia affilata. Sperando per loro che fosse ben affilata, ragionò, piegando le labbra in un ghigno crudele e feroce, pregustando il piacere che avrebbe provato nel prendersi ciò che gli spettava. Un giorno avrebbe insegnato ai Vanir l’ultima delle lezioni che restava loro da imparare: quanto fosse rischioso riporre troppa fiducia nei lupi. Diede un paio di ordini secchi e precisi, senza immaginare che Sigyn aveva scritto quella lettera usando proprio la penna dalla piuma nera che lui le aveva donato, custodita nel doppiofondo di un cofanetto ricolmo di gioielli.

A Freyr, accanto a lui, non era sfuggita la lettera e il disappunto che aveva provocato. “Guai per Lingua d’Argento?” gracchiò, senza mascherare un malcelato piacere all’idea che qualcuno dei suoi mirabili progetti andasse in malora.

“Fastidi, più che altro,” rispose Loki tra i denti. “Risolvibili, per tua fortuna,” aggiunse tetro, scoccandogli un’occhiata indefinibile, carica di un feroce divertimento che mise a disagio l’altro. Freyr si difese provando a drizzare la schiena e si passò una mano sulla barba ispida e disordinata che gli copriva le guance pallide. Era raro vedere Loki così contrariato e lui aveva bisogno del suo aiuto – dell’ennesimo prestito per coprire i debiti che non riusciva a sostenere, della menzogna giusta da rifilare al proprio padre per precipitare ancora più in basso nella rete di finzione e disperazione in cui era caduto per non aver potuto né voluto fuggire da una società sclerotizzata e asfissiante, per nulla disposta a tollerare nessuna deviazione dal cammino prestabilito.

Seguì Loki – passo elastico, spalle diritte e portamento da principe – lungo i corridoi del palazzo, chiedendosi rabbiosamente quanto oro possedesse nei suoi forzieri, quali terre fertili e rigogliose avesse strappato alle grandi famiglie di Vanheim. Tutte quelle che hanno potuto vendermi, gli aveva detto una volta l’Ase con voce allegra e una luce ferina negli occhi. Chi sollevava – e ciò avveniva piuttosto spesso – il dubbio che il dio dell’inganno avesse acconsentito ad aiutare i Vanir solo perché puntava al loro trono, dimenticava che c’erano tanti modi per avere in pugno un regno. Prestare denaro alla famiglia del sovrano era uno di quelli. Loki Laufeyson era il signore di numerosi feudi situati in zone strategiche e puntava all’acquisto di un sontuoso palazzo che, una volta ristrutturato, gli avrebbe garantito una maggiore autonomia e la possibilità di fare sfoggio di tutta quella ricchezza che si vociferava possedesse, perché tutti, a Vanheim, in un modo o nell’altro, gli dovevano qualcosa.

Loki scelse la biblioteca per compilare il foglio che avrebbe concesso a Freyr un po’ di credito; un modo per unire l’utile al dilettevole – per rintracciarla e fare in modo che il loro appuntamento non saltasse anche quella sera. Ma Sigyn non c’era, le ampie sale tappezzate di libri erano vuote.

“Perché qui?” chiese Freyr, a disagio, guardandosi attorno.

L’ingannatore scriveva rapido, inghiottendo il disappunto, celandolo con cura nel petto. “Non era una richiesta urgente, la tua?” ribatté con voce secca. La sua firma graffiò il primo strato di pergamena, tracciando un solco netto e deciso. Gli tese il foglio senza aggiungere altro, compiacendosi per le labbra serrate e lo sguardo basso di Freyr, che calpestava con rabbia ciò che rimaneva del suo orgoglio continuando a chiedere favori all’unica persona da cui avrebbe dovuto guardarsi – ma la sola che non lo giudicasse. E questo non perché Loki amasse il prossimo, ma per via della massima che aveva fatto propria: chiunque poteva essere e fare ciò che voleva. Le scelte altrui non lo riguardavano a meno che non lo coinvolgessero direttamente.

Il figlio di Njord afferrò il foglio come se volesse strapparglielo dalle mani. Era l’ennesima prova di come fosse bravo a deludere suo padre e a infangare il suo rango, perché quello che più gli bruciava era che, se avesse saputo resistere al fascino dell’idromele e del vino, se fosse stato sagace e sfrontato la metà di Loki, il suo posto gli sarebbe appartenuto. Invece era il primo a essere indebitato con lui e a dovergli oro, terre, favori. Aveva permesso all’ingannatore di scoprire tutte le sue debolezze e se Loki non gliele ritorceva contro era solo perché non gli conveniva ancora farlo. Una mera questione di tempo e di opportunità. E la cosa peggiore, la più miserabile, era che se anche Freyr avesse immaginato in quali altri modi il dio dell’inganno stava esautorando lui e la sua casa, non avrebbe potuto fare assolutamente niente per fermarlo. Mesi dopo, la sua ira si sarebbe abbattuta su Sigyn, colpevole di aver accolto nel suo letto, tra le sue gambe, proprio il feroce e spietato dio dell’inganno, vincolandolo a sé, consegnandosi a lui, al mago straniero ricusato dalla sua gente. Entrambi sarebbero rimasti intrappolati in un legame che li avrebbe lasciati esposti. O forse lo erano già, ma non avevano la lucidità per rendersene conto.

Il dio dell’inganno attese in piedi che Freyr se ne andasse, ascoltandolo masticare tra i denti una maledizione che non avrebbe mai osato rivolgergli a viso aperto. Quando fu finalmente solo, si concesse il lusso di sedersi su una delle belle sedie rivestite in pelle, di accarezzarne con dita distratte il bracciolo, di poggiare le spalle altere e la testa sullo schienale accogliente. Le sciagure che quel fallito gli augurava gli strapparono un mezzo sorriso. C’era qualcosa di crudelmente divertente nel vedere un principe umiliarsi al punto di chinare il capo e mendicare aiuto – lui non era venuto a Vanheim pregando che gli venisse dato asilo, ma aveva offerto a Njord onore e gloria e ricchezza. Promesse che aveva mantenuto, ottenendo persino più di quanto inizialmente pattuito. Il sorriso si trasformò in una smorfia. La biblioteca, senza di lei, gli sembrò innaturalmente silenziosa e presto qualcuno sarebbe comunque venuto a chiamarlo. Non c’era decisione, scelta, festa, pettegolezzo, matrimonio, adulterio, transazione che non passasse per le sue mani svelte. Njord era un re vecchio e svagato, che si limitava a firmare decreti scritti da lui senza neanche leggerli, perché farlo gli avrebbe portato via del tempo prezioso da dedicare ai suoi passatempi. Era lui, Loki, a governare di fatto, a lavorare fino a notte fonda affinché Vanheim diventasse sempre più prospera e ricca. Questo era l’accordo mai pronunciato tra lui e l’anziano sovrano: era libero di agire come meglio gli pareva finché tutto andava bene – ma cosa succede ai cortigiani, ai consiglieri, quando chi possiede la corona si stanca di loro? Ogni servizio reso si sgretola, diventa polvere. La gratitudine ostentata e il favore in cui si è vissuto si tramutano velocemente in odio. E allora bisogna agire in maniera rapida e silenziosa, strappando ciò che si è costruito, mostrando lo spirito indomito e fiero dei popoli del nord a cui Loki apparteneva – agli Æsir, pirati feroci, e agli Jotnar, che vivevano in quelle montagne nate dal mare di un biancore spettrale e abbacinante. Fece schioccare la lingua nel palato, avvertendo il peso immaginario del biglietto di lei ripiegato con cura. Prima di sera voleva incontrarla, e ci sarebbe riuscito. Il caso – il caos – poteva essere manipolato, plasmato, allestito come se si trattasse di uno spettacolo. Si alzò sfoggiando un sorriso sghembo, lasciando a passo svelto le fresche stanze della biblioteca per l’afosa e tranquilla calura estiva offerta dalla fertile Vanheim ricoperta di fiori e di verde, ammirando la placida bellezza dei suoi pomeriggi pigri che facevano da palco al concerto offerto dalle cicale. Che ne sarebbe stato di Sigyn, della graziosa Sigyn dai capelli d’oro, se lui avesse detronizzato Njord?

Non è questione di “se”, Loki, ma quando.  

 

Sigyn aveva chiacchierato, sorriso e spiegato tutto il giorno ed era stanca, terribilmente stanca. La madre e la sorella di Theoric, un suo vecchio amico d’infanzia[1], erano venute a farle visita e l’avevano riempita di domande e di racconti. All’inizio lei aveva risposto con piacere alle loro curiosità, ma col passare del tempo si era sentita braccata dalla presenza delle due donne, tanto da desiderare ardentemente un momento di tranquillità e di silenzio. Di solitudine, anche, indispensabile per smettere un momento la maschera della brava e diligente nipote del sovrano ed essere sé stessa – Sigyn che giocherellava con la collana d’oro con l’ametista che Loki aveva desiderato vederle addosso, sul seno; Sigyn che carezzava la pelle tesa del dio dell’inganno per curargli una ferita e lasciava che le sue dita scorressero dove non c’era bisogno di alcun medicamento; Sigyn che lasciava che la baciasse e la spogliasse negli angoli più inaccessibili del palazzo dei Vanir e, fingendo di non essere la nipote del re e che le proprie azioni non avessero conseguenze, decideva di diventare la sua amante. Il dio dell’inganno non aveva avuto nemmeno bisogno di ingannarla, per averla nel suo letto – anzi, forse, se lo avesse fatto, lei per prima avrebbe raccolto le gonne voltandogli per sempre le spalle.

Le sue ospiti stavano parlandole di Theoric – di quanto fosse generoso e amabile – quando la principessa Vanir era stata interrotta da una delle sue ancelle. Poteva recarsi un momento nella sua serra e raccogliere una delle erbe medicamentose che coltivava? Senza, l’infuso che sua zia Freya beveva per farsi passare le emicranie non avrebbe avuto lo stesso effetto. La ragazza non si chiese come mai l’ingrediente fosse terminato all’improvviso e colse l’occasione per lasciare le due. Raggiunse i giardini lussureggianti, tenuti con cura e attenzione, respirando l’odore di foglie e di fiori. Davanti a lei si stagliava la serra: un rifugio nient’affatto neutrale, legato, una volta di più, al dio dell’inganno. Era stato lui a sistemarla e a curarla, pochi mesi dopo il suo arrivo a Vanheim. Molte di quelle piante gli servivano per le sue oscure attività di mago – per creare incantesimi e veleni non servivano solamente le rune, ma anche ciò che cresceva sulla terra nera e fertile dei Vanir. Incuriosita dal progetto e interessata ad aiutare i guaritori di Vanheim a curare la povera gente, ancora ragazzina aveva chiesto e ottenuto da Njord che una parte dell’ampia serra le fosse donata[2]. L’Ase non aveva apprezzato la richiesta di quella ragazzina acerba e petulante che portava le trecce. Scoccandole un’occhiata torva, aveva rammentato al sovrano che lui non usava la serra per il piacere di vedere una pianta crescere, ma per distillare veleni e pozioni. C’era il rischio di incorrere in incidenti e fastidi, dividendo lo spazio con una bambina o poco più. Njord era riuscito ad accontentare entrambi, ordinando che l’ambiente fosse diviso in maniera netta e che venisse costruita un’altra entrata indipendente. Ma a Loki non era bastato. L’aveva ammonita personalmente dall’invadere i suoi spazi per curiosare in maniera inopportuna.

Non era mai accaduto che si incontrassero lì, in nessuna occasione, neanche di sfuggita. Sigyn aveva coltivato fiori e creato i suoi unguenti con dedizione e amore, visitando quasi quotidianamente la serra e portando spesso amici e parenti a visitare i frutti del suo lavoro, ma, nonostante questo, non le era mai capitato di incrociare neanche per un momento Loki. Più di una volta, quando ancora non c’era nulla tra loro, aveva tentato di sbirciare oltre il vetro che separava le due ali della serra per capire se l’Ase avesse abbandonato o meno le sue strane colture; da quel poco che era riuscita a scorgere, aveva dedotto che l’ingannatore non amava mettere a punto le proprie stregonerie in compagnia e che si adoperasse per agire nell’ombra.

Così, entrò in quell’ambiente ovattato e protetto senza aspettarsi di incontrare nessuno, a passo svelto, controllando sovrappensiero i fiori e le erbe che servivano per i suoi unguenti, mordendosi le labbra al pensiero di quello che, mesi prima, aveva spalmato sulla spalla di lui[3] – quanto sarebbe stato più semplice seguire i ragionamenti delle sue ciarliere ospiti e assecondarle, innamorandosi di un ragazzo come Theoric? Uno che l’avrebbe invitata a ballare di fronte a tutti, corteggiandola come si usava a Vanheim, un po’ alla luce del sole e un po’ mandando avanti fratelli, genitori, cugini. Che non avrebbe avuto alcun problema a chiedere la sua mano a Njord, il cui passato non era pieno di sangue, vendette e battaglie. Invece, fremeva per un principe maledetto, reietto, spietato, che nutriva nei confronti di tutti loro un nero disprezzo e tramava per rubare il trono di suo nonno. Intelligente e acuto fino alla crudeltà, diceva di non amarla, ma la cercava – facendola sentire viva come non era mai stata.

Arrivò nel punto in cui custodiva le erbe già sminuzzate e spezzate, pronte per essere messe in un sacchettino e utilizzate per creare la tisana di Freya. Immaginò di accontentarsi dei discorsi scialbi di Theoric, di accettare la sua visione del mondo, di vivere come la brava ragazza che non era più – che non era mai stata, forse. Pensò agli insignificanti e tediosi dialoghi con Theoric, fatti di niente, alle volte in cui si era annoiata nello starlo ad ascoltare, al sollievo provato quando aveva avuto l’occasione di abbandonare la sorella e la madre di lui.

“Scrivermi è pericoloso, Sigyn.” La voce roca e beffarda del principe di Asgard la raggiunse mentre le sue dita sottili chiudevano con un nastrino sottile il sacchetto, facendola sussultare – un brivido la sciolse, uno che dalla nuca scendeva lungo la schiena.

“Non volevo che mi aspettassi invano,” mormorò, voltandosi lentamente. Erano amanti da mesi, ma nonostante ciò, ogni volta che lo incontrava le sue gambe diventavano molli e il cuore le batteva più velocemente nel petto, come durante il loro primo appuntamento. Il suo corpo era attirato da quello di lui – se fossero stati più vicini, avrebbe cercato un contatto qualsiasi, fosse pure uno sfioramento leggero. Loki la aspettava seduto su una panca di pietra, le lunghe gambe accavallate con malagrazia, un ghigno sbieco disegnato sulle labbra sottili; si alzò con un movimento fluido e scattante. Aveva escogitato un modo per attirarla lì senza chiamarla direttamente, facendo sì che Freya sentisse il bisogno di prendere una tisana e che, per prepararla, mancasse un ingrediente e fosse dunque necessario chiederlo a lei, Sigyn. Questa consapevolezza la fece sentire desiderata, cercata, sciocca, forse – ma viva come non si era mai sentita, se non tra le sue braccia, felicemente intrappolata nella tela tessuta da lui, signore degli inganni e del caos.

“Ci vedremo comunque stanotte,” le promise – la informò.

Sigyn finse che quelle parole non la facessero sussultare, non la sciogliessero. “E la tua riunione con Njord e i nobili dei confini?”

“La farò finire prima. Ho ottenuto la restituzione del tuo ritratto,” aggiunse. Si riferiva a un piccolo quadro che il suo primo pretendente, di molti anni più vecchio di lei[4], era riuscito a ottenere per chissà che vie traverse. Quando Loki, che aveva suggerito a Njord di rifiutare senza alcuna remora la pur allettante proposta – lei era troppo giovane e bella, lo aveva scoperto, si era speso affinché il dipinto fosse restituito e tutte le copie esistenti distrutte, anche quelle nascoste. Vedendo la determinazione e l’energia profuse dall’Ase in una questione in fondo piuttosto marginale rispetto ai problemi di Vanheim, Sigyn non aveva potuto fare a meno di chiedersi se lo zelo impiegato dal dio dell’inganno in quella vicenda venisse applicato senza distinzione alcuna in ogni questione, fosse il frutto di una gelosia celata ad arte o, addirittura, facesse parte di un grande scherzo. Certo, suo nonno aveva sempre lodato l’ingannatore per l’efficacia dei suoi interventi, ma cosa c’era di più intrigante, per Loki, che farsi restituire il ritratto in nome dell’onore di una principessa che tutti ritenevano vergine e che, invece, ogni notte ansimava a ogni sua spinta, inarcandosi contro di lui?

“Dato che il nostro ultimo nascondiglio è attualmente occupato, ho pensato a qualcosa di leggermente più rischioso, ma decisamente appagante,” riprese l’Ase con tono faceto, avvicinandosi fino a varcare la necessaria distanza che tenevano in pubblico. Le porte della serra erano aperte e accessibili: chiunque sarebbe potuto entrare e vederli uno di fronte all’altra, intuendo la loro relazione dal modo in cui l’ingannatore la fissava ghignando mentre le cingeva la vita sottile con un braccio, attirandola a sé con sfrontata audacia. La pregiatissima seta della gonna e del corsetto aderente di Sigyn sfiorò gli abiti sobri e marziali di Loki, fatti apposta per esaltare il suo fisico alto e slanciato, di guerriero. Corpo di cui lei conosceva cicatrici e muscoli, contro cui amava stringersi nei brevi momenti di dolcezza che si ritagliavano prima di rivestirsi, col respiro ancora corto. Lo desiderava.

Sigyn sollevò un sopracciglio, allacciando le braccia attorno al suo collo. “Rischioso?”

L’ingannatore rise e osò ghermirle un bacio lambendole appena le labbra, compiacendosi della schiena di lei, che si tendeva al suo tocco.

 

Avrebbe dovuto stancarsi di quella ragazza già da mesi, ma non era successo, anzi: più andavano a letto insieme più separarsi diventava difficile, l’intesa tra loro, quell’alchimia profonda e ineluttabile che li portava a cercarsi e a desiderarsi, profonda. Ogni notte, Sigyn, anziché perdere il fascino della scoperta, lo attirava inconsapevolmente a sé sostituendo l’ingenuità con la curiosità, trasformandosi al suo tocco dall’irriverente principessa di Vanheim in una donna capace di affidarglisi e di tentarlo – lei aveva scritto un biglietto compromettente, spingendolo a una reazione, impugnando tra le sue dita delicate la penna dalla piuma nera di cui lui aveva riconosciuto il tratto deciso ed elegante.

“Mai come il tuo messaggio. Le mie stanze,” le sussurrò sulla bocca, gustandone la morbidezza. A renderlo meno cauto era qualche calcolo che Sigyn non poteva intuire e, forse, il bisogno scaturito dall’assenza, dalla mancanza. Prima di lasciarla, le insegnò le rune che le avrebbero permesso di entrare nei suoi appartamenti.

Quell’intesa, che li portava a cercarsi e a non saziarsi mai l’uno dell’altra, li avrebbe rovinati, preconizzò. E allora una domanda, insolente come lei, gli si insinuò nella mente, come facevano le mani di Sigyn quando lo accarezzavano, incerte e meravigliosamente sfrontate a un tempo: se avesse strappato la corona a Njord, l’avrebbe voluta accanto a sé? Sapeva con esattezza dove avrebbe spedito Freyr, in che modo si sarebbe liberato dei nobili che più gli si opponevano, in quale dimora avrebbe ritenuto più appropriato che Freya si recasse per sempre, ma di Sigyn, che ne sarebbe stato?

 

 

Spalle nude, perle e coralli rosa tra i capelli d’oro, un velo di bistro sulle palpebre. Sigyn era bella – di più, incantevole. Sulla generosa scollatura che esaltava il seno piccolo e sodo non si posavano solamente i suoi sguardi rapidi e fugaci, ma anche molte altre occhiate. La stoffa, di un tenue color albicocca, si sposava alla perfezione con la sua carnagione. Non era più la ragazzina del ritratto né quella che aveva rubato la sua penna per poi restituirgliela tra mille imbarazzi. Era una donna. Una che gli lasciava graffi sulla schiena e gli cingeva i fianchi con le gambe. La vide puntellarsi sui gomiti, sfiorarsi il mento con la mano e ridere di una battuta un po’ fiacca, accettando subito dopo un invito per un ballo. Alzandosi, gli lanciò da sotto le ciglia scure uno sguardo lungo, audace, brillante.

Che ballasse con chiunque. Lui l’avrebbe avuta dopo, nel suo letto, per tutta la notte.

Njord e i membri dell’aristocrazia con cui si era dato convegno non riuscirono a catturare completamente la sua attenzione, quella sera. Non del tutto, almeno. E questo fu motivo di profondo fastidio, per Loki. Concentrarsi, studiare, riflettere, erano attività che erano congeniali alla sua natura astuta e manipolatoria, ma la musica ovattata che proveniva dalla sala accanto, dove Sigyn, bellissima e con le guance rosse, ballava e rideva, lo distraeva. Non al punto di rendere meno efficaci e pungenti i suoi ragionamenti, era ovvio, ma abbastanza da indispettirlo, da svegliare un’insoddisfazione oscura nel suo petto. L’immaginazione lo tradiva, ricostruendo con ferocia lo scenario che si svolgeva poco distante da lui – lei tra le braccia di un altro, chissà fino a che punto innocue. Inezie che non dovevano interessargli, ma che, nonostante tutto, lo infastidivano. Perché? Forse era a causa dello sguardo grigio di Sigyn, che lo rimproverava in silenzio di non aver voluto chiedere la sua mano, preferendo quella relazione illecita e pericolosa? Accantonò l’idea con una scrollata di spalle, perché il vecchio Njord, sentendosi offeso da un re vicino, desiderava scatenare una guerra, incurante del fatto che per simili imprese, sempre e comunque incerte, occorre una quantità di oro capace di gettare in ginocchio sovrani come il fu Odino. Ma il re dei Vanir, che era stato cauto e parsimonioso per tutta la sua vita, ora, grazie a Loki, nutriva sogni di gloria. Voleva vivere gli ultimi anni che gli restavano – frase che ripeteva da almeno un decennio, da molto prima che Loki gli chiedesse asilo, in una corte splendida e temuta com’era Asgard. Quindi, per una volta, all’ingannatore toccava lo sgradevole compito di dissuadere l’anziano e capriccioso sovrano dall’idea malsana che fosse opportuno muovere guerra, facile ottenere una schiacciante vittoria. Freyr non c’era, era scappato nel quartiere dei bordelli a trovare consolazione tra le braccia del suo amore proibito e a sperperare nel vino il denaro che gli aveva prestato. A caldeggiare la volontà del vecchio re c’era, in particolare, un ricco nobile, padre di un pusillanime che l’Ase aveva sorpreso mentre era intento a fissare Sigyn col suo vestito di seta color tramonto.

“Come mai Lingua d’Argento si rifiuta così ostinatamente di assecondare il re che lo ha così tanto favorito?” disse a un certo punto l’uomo.

Loki s’inumidì le labbra sottili, inghiottendo il rancore che quella frase volutamente arrogante causava. Lui era un principe di Asgard, il legittimo erede di Jotunheim. Nelle sue vene ribolliva il sangue di condottieri e sovrani, non di oscuri cortigiani saliti alle vette del consiglio per aver pagato il proprio posto[5]. “Perché ho comandato le armate di Asgard mentre voi cardavate la lana e sceglievate il colore con cui tingerla,” sibilò. L’altro impallidì e l’Ase ne approfittò per riservargli la stoccata finale. “Io ho perso il conto delle battaglie a cui ho partecipato – delle vittorie ottenute. E voi?”

Il Vanir non ebbe il tempo di rispondere. Sigyn, che aveva smesso di ballare, fece il suo ingresso ufficialmente per augurare la buonanotte a suo nonno, ufficiosamente per far sapere a lui, Loki, che si sarebbe recata nelle sue stanze. Aveva le guance rosse e le ciocche dorate erano a malapena trattenute dai fermagli che le imprigionavano da inizio serata. Loki l’osservò chinarsi verso il vecchio, ammirò la rapidità con cui il suo sguardo si posò su di lui senza far emergere nulla. Ancora una mezz’ora di discussione, utile affinché nessuno sospettasse nulla, e poi l’avrebbe raggiunta, vendicandosi per la bella risata di lei, per la linea flessuosa del suo corpo snello e attraente. Sciorinò numeri, stime, considerazioni anche accese, mentre le dita nodose di Njord cercavano di placare gli animi. Il re dei Vanir gli avrebbe dato ascolto, alla fine, perché pur cercando la gloria non era uno sciocco e sapeva che il suo ministro più sagace non amava giocare partite in cui non era certo di poter ottenere il massimo risultato. Ma era poi vero? Quando, molto più tardi di quanto avesse inizialmente pronosticato, riuscì a incamminarsi verso i suoi appartamenti, non riuscì a stupirsi completamente della situazione in cui si trovava, governata sempre più dal caos che dalla pianificazione. Aveva un evidente vantaggio tra le mani, ma preferiva sfiorare con le dita le fiamme, sentirne il calore sui polpastrelli, che agire.

Lei lo attendeva con l’abito con cui aveva ballato per tutta la sera ancora indosso, ma aveva liberato i capelli dorati dal giogo dei fermagli. Così, ora, la chioma ricca e scarmigliata, illuminata dalla luce calda delle lingue di fuoco che si rincorrevano nel camino, le ricadeva sulle spalle nude, sulla schiena diritta.

“Njord è diventato un guerrafondaio,” spiegò, tralasciando di rimproverarla per le perle e i coralli che aveva posato su un grande tavolo di quercia dove avrebbero potuto perdersi, confondersi, tradirli.

Sigyn gli rivolse un sorriso triste e chiuse il libro che stava sfogliando. “Siamo più ambiziosi di quanto meritiamo.”

“Il potere inebria. Corrode. Chiede un prezzo sempre più alto,” le rispose, scoprendosi con la gola secca. Sotto lo sguardo liquido e attento di lei, si versò una coppa d’idromele e gliene offrì una, ma la ragazza scosse il capo con lentezza, perché i gesti di lui e quelli di lei erano la replica esatta di altri, vissuti mesi prima, quando erano ancora liberi dall’incanto che li aveva avvolti.

Se Sigyn non gli avesse scritto, forse Loki avrebbe continuato a discutere con Njord, senza preoccuparsi di far terminare il consiglio. Senza quel pericoloso biglietto che doveva diventare cenere il prima possibile, ma che, per qualche immotivata ragione, l’Ase teneva ancora nella giubba di fine pelle di Asgard, lui si sarebbe gettato nell’ampio e sontuoso letto a baldacchino da solo, senza trascinarci lei, che aveva desiderato per tutto il pomeriggio e la sera. Sigyn gli aveva teso una dolcissima trappola e lui aveva scelto di abboccarvi.

 

Accarezzò la seta calda che le cingeva la schiena, scostò la massa dorata dei suoi capelli per liberarle la zona sensibile della nuca e le spalle scoperte, leggermente infreddolite – i suoi appartamenti erano posti nella parte posta più a nord di tutto il palazzo, le finestre si affacciavano verso il confine con Asgard dai fiordi di ghiaccio, invisibile all’occhio nudo, ma presente laggiù, oltre la linea dell’orizzonte. Il regno di Padre Tutto e di Thor, il suo regno, quello che aveva difeso e combattuto a viso aperto nonostante i tradimenti e gli inganni. Le dita dell’Ase ghermirono il seno di Sigyn protetto dal corsetto di seta, scivolarono verso la gonna vaporosa che celava i fianchi sodi e rotondi, così squisitamente femminili. Chi catturava chi, in quel loro gioco iniziato per colpa di una gentilezza inopportuna – una porzione di biscotti al miele, ma tessuta dalle Norne invidiose senz’altro prima[6]? Sigyn sospirava al tocco delle sue dita – si scioglieva, piegava il collo per assaggiargli le labbra e ottenere un bacio lungo, capace di annullare il tempo, di far sparire gli eleganti appartamenti del dio dell’inganno, sempre ingombri di artefatti magici, libri, pergamene arrotolate e armi luccicanti.

Erano perduti.

 

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!

Rieccoci qua con i Loki e Sigyn nella versione di Tutte le mie bugie, la mia prima long (la trovate a pagina 3 del profilo). La storia si è ampliata, loro mi impongono di continuare a raccontare e io obbedisco senza fiatare, barcamenandomi con la real life e lo scarso tempo a mia disposizione. Poi ci si sono messe pure un paio di idee niente male, quindi, si continua. ^^

Per quanto concerne “Tutte le tue bugie” non è necessario averla letta, ma tenete presente che la Sigyn che vedete per buona parte del racconto è molto giovane, però ve la consiglio perché è una storia che secondo me merita – se avessi tempo la revisionerei per bene, ma anche così credo sia fruibile. Nel prossimo capitolo torneranno Sonje e Vali; in questo ho voluto mostrarvi il periodo più roseo della relazione tra Loki e Sigyn, quello dopo Asgard, ma prima che Theoric si facesse avanti. Spero sia cosa gradita. Da domani, mi metto sotto con la fine di Ciò che resta delle tenebre ♥.

 

Ringrazio con tutto il cuore i vecchi lettori, i nuovi lettori e tutti coloro che listeranno, recensiranno o semplicemente leggeranno questa storia: a parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Seguitemi sulla pagina fb (o scrivetemi anche lì) per info, curiosità, aggiornamenti (trovate il link in bio) e…

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Loki e Sigyn nel mito hanno dei figli insieme, Vali e Narvi. Vali me lo sono tenuto, Narvi l’ho sostituito con Sonje, personaggio di mia invenzione. Nel mito Sigyn non eredita proprio niente, quindi anche qui è una mia idea. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il ruolo di Loki presso Njord, per le cariche che Loki ricopre in questa Vanheim. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

Comprendetemi per queste precisazioni, ma scrivo su questo fandom dal 2017 e ne ho viste di tutti i colori.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] Theoschifo prima di Tutte le tue bugie e i primi capitoli di questa raccolta è una persona a cui Sigyn è affezionata. I sentimenti verso di lui cambieranno quando lui la obbligherà a fidanzarsi con lui e nel modo in cui si comporterà a seguito della gravidanza di Sigyn.

[2] In Tutte le tue bugie e in diverse altre mie storie Sigyn fa la guaritrice o, comunque, coerentemente col suo rango, si occupa di assistere e medicare.

[3] Episodio presente nei capitoli centrali di “Tutte le tue bugie”.

[4] Quello dello scorso capitolo.

[5] Come nei primi capitoli di questa raccolta.

[6] Come in Tutte le tue bugie, dove viene citato più volte anche il concetto del vincitore vinto.

   
 
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