Il
messaggio
We don't
bleed when we don't fight
Go ahead,
go ahead, throw your arms in the air tonight
We don't
bleed when we don't fight
Go ahead,
go ahead, lose our shirts in the fire tonight
(The
National, Runaway)
Parte 3
L’accordo
era di non
scriversi, mai. Per nessuna ragione. Qualsiasi
traccia avrebbe potuto
tradirli, e Loki, che pure era il signore del caos, non amava che
fossero altri
a demolire i suoi piani. Strinse nel pugno il lungo biglietto di lei e
lo
infilò nella giubba, consapevole che avrebbe dovuto
distruggerlo immediatamente
e che anche tenerlo addosso equivaleva a voler mettere la testa su un
ceppo, in
attesa che il boia calasse la sua ascia affilata. Sperando per
loro che
fosse ben affilata, ragionò, piegando le labbra in un ghigno
crudele e feroce,
pregustando il piacere che avrebbe provato nel prendersi ciò
che gli spettava.
Un giorno avrebbe insegnato ai Vanir l’ultima delle lezioni
che restava loro da
imparare: quanto fosse rischioso riporre troppa fiducia nei lupi. Diede
un paio
di ordini secchi e precisi, senza immaginare che Sigyn aveva scritto
quella
lettera usando proprio la penna dalla piuma nera che lui le aveva
donato,
custodita nel doppiofondo di un cofanetto ricolmo di gioielli.
A Freyr, accanto
a lui, non
era sfuggita la lettera e il disappunto che aveva provocato.
“Guai per Lingua
d’Argento?” gracchiò, senza mascherare
un malcelato piacere all’idea che
qualcuno dei suoi mirabili progetti andasse in malora.
“Fastidi,
più che altro,”
rispose Loki tra i denti. “Risolvibili, per tua
fortuna,” aggiunse
tetro, scoccandogli un’occhiata indefinibile, carica di un
feroce divertimento
che mise a disagio l’altro. Freyr si difese provando a
drizzare la schiena e si
passò una mano sulla barba ispida e disordinata che gli
copriva le guance
pallide. Era raro vedere Loki così contrariato e lui aveva
bisogno del suo
aiuto – dell’ennesimo prestito per coprire i debiti
che non riusciva a
sostenere, della menzogna giusta da rifilare al proprio padre per
precipitare
ancora più in basso nella rete di finzione e disperazione in
cui era caduto per
non aver potuto né voluto fuggire da una società
sclerotizzata e asfissiante,
per nulla disposta a tollerare nessuna deviazione dal cammino
prestabilito.
Seguì
Loki – passo
elastico, spalle diritte e portamento da principe – lungo i
corridoi del
palazzo, chiedendosi rabbiosamente quanto oro possedesse nei suoi
forzieri,
quali terre fertili e rigogliose avesse strappato alle grandi famiglie
di
Vanheim. Tutte quelle che hanno potuto vendermi,
gli aveva detto una
volta l’Ase con voce allegra e una luce ferina negli occhi.
Chi sollevava – e
ciò avveniva piuttosto spesso – il dubbio che il
dio dell’inganno avesse
acconsentito ad aiutare i Vanir solo perché puntava al loro
trono, dimenticava
che c’erano tanti modi per avere in pugno un regno. Prestare
denaro alla
famiglia del sovrano era uno di quelli. Loki Laufeyson era il signore
di
numerosi feudi situati in zone strategiche e puntava
all’acquisto di un sontuoso
palazzo che, una volta ristrutturato, gli avrebbe garantito una
maggiore
autonomia e la possibilità di fare sfoggio di tutta quella
ricchezza che si
vociferava possedesse, perché tutti, a Vanheim, in un modo o
nell’altro, gli
dovevano qualcosa.
Loki scelse la
biblioteca
per compilare il foglio che avrebbe concesso a Freyr un po’
di credito; un modo
per unire l’utile al dilettevole – per rintracciarla
e fare in modo che
il loro appuntamento non saltasse anche quella sera. Ma Sigyn non
c’era, le
ampie sale tappezzate di libri erano vuote.
“Perché
qui?” chiese
Freyr, a disagio, guardandosi attorno.
L’ingannatore
scriveva
rapido, inghiottendo il disappunto, celandolo con cura nel petto.
“Non era una
richiesta urgente, la tua?” ribatté con voce
secca. La sua firma graffiò il
primo strato di pergamena, tracciando un solco netto e deciso. Gli tese
il
foglio senza aggiungere altro, compiacendosi per le labbra serrate e lo
sguardo
basso di Freyr, che calpestava con rabbia ciò che rimaneva
del suo orgoglio
continuando a chiedere favori all’unica persona da cui
avrebbe dovuto guardarsi
– ma la sola che non lo giudicasse. E questo non
perché Loki amasse il
prossimo, ma per via della massima che aveva fatto propria: chiunque
poteva
essere e fare ciò che voleva. Le scelte altrui non
lo riguardavano a meno
che non lo coinvolgessero direttamente.
Il figlio di
Njord
afferrò il foglio come se volesse strapparglielo dalle mani.
Era l’ennesima
prova di come fosse bravo a deludere suo padre e a infangare il suo
rango,
perché quello che più gli bruciava era che, se
avesse saputo resistere al
fascino dell’idromele e del vino, se fosse stato sagace e
sfrontato la metà di
Loki, il suo posto gli sarebbe appartenuto. Invece era il primo a
essere
indebitato con lui e a dovergli oro, terre, favori. Aveva permesso
all’ingannatore di scoprire tutte le sue debolezze e se Loki
non gliele
ritorceva contro era solo perché non gli conveniva ancora
farlo. Una
mera questione di tempo e di opportunità. E la cosa
peggiore, la più miserabile,
era che se anche Freyr avesse immaginato in quali altri modi il dio
dell’inganno stava esautorando lui e la sua casa, non avrebbe
potuto fare assolutamente
niente per fermarlo. Mesi dopo, la sua ira si sarebbe abbattuta su
Sigyn,
colpevole di aver accolto nel suo letto, tra le sue gambe, proprio il
feroce e
spietato dio dell’inganno, vincolandolo a sé,
consegnandosi a lui, al mago
straniero ricusato dalla sua gente. Entrambi sarebbero rimasti
intrappolati in
un legame che li avrebbe lasciati esposti. O forse lo erano
già, ma non avevano
la lucidità per rendersene conto.
Il dio
dell’inganno
attese in piedi che Freyr se ne andasse, ascoltandolo masticare tra i
denti una
maledizione che non avrebbe mai osato rivolgergli a viso aperto. Quando
fu
finalmente solo, si concesse il lusso di sedersi su una delle belle
sedie
rivestite in pelle, di accarezzarne con dita distratte il bracciolo, di
poggiare le spalle altere e la testa sullo schienale accogliente. Le
sciagure
che quel fallito gli augurava gli strapparono un mezzo sorriso.
C’era qualcosa
di crudelmente divertente nel vedere un principe umiliarsi al punto di
chinare
il capo e mendicare aiuto – lui non era venuto a Vanheim
pregando che gli
venisse dato asilo, ma aveva offerto a Njord onore e gloria e
ricchezza. Promesse
che aveva mantenuto, ottenendo persino più di quanto
inizialmente pattuito. Il sorriso
si trasformò in una smorfia. La biblioteca, senza di lei,
gli sembrò
innaturalmente silenziosa e presto qualcuno sarebbe comunque venuto a
chiamarlo. Non c’era decisione, scelta, festa, pettegolezzo,
matrimonio,
adulterio, transazione che non passasse per le sue mani svelte. Njord
era un re
vecchio e svagato, che si limitava a firmare decreti scritti da lui
senza
neanche leggerli, perché farlo gli avrebbe portato via del
tempo prezioso da
dedicare ai suoi passatempi. Era lui, Loki, a governare di fatto, a
lavorare
fino a notte fonda affinché Vanheim diventasse sempre
più prospera e ricca.
Questo era l’accordo mai pronunciato tra lui e
l’anziano sovrano: era libero di
agire come meglio gli pareva finché tutto andava bene
– ma cosa succede ai
cortigiani, ai consiglieri, quando chi possiede la corona si stanca di
loro?
Ogni servizio reso si sgretola, diventa polvere. La gratitudine
ostentata e il
favore in cui si è vissuto si tramutano velocemente in odio.
E allora bisogna
agire in maniera rapida e silenziosa, strappando ciò che si
è costruito,
mostrando lo spirito indomito e fiero dei popoli del nord a cui Loki
apparteneva – agli Æsir, pirati feroci, e agli
Jotnar, che vivevano in quelle montagne
nate dal mare di un biancore spettrale e abbacinante. Fece schioccare
la lingua
nel palato, avvertendo il peso immaginario del biglietto di lei
ripiegato con
cura. Prima di sera voleva incontrarla, e ci sarebbe riuscito. Il caso
– il
caos – poteva essere manipolato, plasmato, allestito come se
si trattasse di
uno spettacolo. Si alzò sfoggiando un sorriso sghembo,
lasciando a passo svelto
le fresche stanze della biblioteca per l’afosa e tranquilla
calura estiva offerta
dalla fertile Vanheim ricoperta di fiori e di verde, ammirando la
placida
bellezza dei suoi pomeriggi pigri che facevano da palco al concerto
offerto dalle
cicale. Che ne sarebbe stato di Sigyn, della graziosa Sigyn dai capelli
d’oro,
se lui avesse detronizzato Njord?
Non è
questione di “se”,
Loki, ma quando.
Sigyn aveva
chiacchierato, sorriso e spiegato tutto il giorno ed era stanca,
terribilmente
stanca. La madre e la sorella di Theoric, un suo vecchio amico
d’infanzia[1],
erano venute a farle visita e l’avevano riempita di domande e
di racconti.
All’inizio lei aveva risposto con piacere alle loro
curiosità, ma col passare
del tempo si era sentita braccata dalla presenza delle due donne, tanto
da
desiderare ardentemente un momento di tranquillità e di
silenzio. Di
solitudine, anche, indispensabile per smettere un momento la maschera
della
brava e diligente nipote del sovrano ed essere sé stessa
– Sigyn che
giocherellava con la collana d’oro con l’ametista
che Loki aveva desiderato
vederle addosso, sul seno; Sigyn che carezzava la pelle tesa del dio
dell’inganno per curargli una ferita e lasciava che le sue
dita scorressero
dove non c’era bisogno di alcun medicamento; Sigyn che
lasciava che la baciasse
e la spogliasse negli angoli più inaccessibili del palazzo
dei Vanir e, fingendo
di non essere la nipote del re e che le proprie azioni non avessero
conseguenze, decideva di diventare la sua amante. Il dio
dell’inganno non aveva
avuto nemmeno bisogno di ingannarla, per averla nel suo letto
– anzi, forse, se
lo avesse fatto, lei per prima avrebbe raccolto le gonne voltandogli
per sempre
le spalle.
Le sue ospiti
stavano
parlandole di Theoric – di quanto fosse generoso e amabile
– quando la
principessa Vanir era stata interrotta da una delle sue ancelle. Poteva
recarsi
un momento nella sua serra e raccogliere una delle erbe medicamentose
che
coltivava? Senza, l’infuso che sua zia Freya beveva per farsi
passare le
emicranie non avrebbe avuto lo stesso effetto. La ragazza non si chiese
come mai
l’ingrediente fosse terminato all’improvviso e
colse l’occasione per lasciare
le due. Raggiunse i giardini lussureggianti, tenuti con cura e
attenzione,
respirando l’odore di foglie e di fiori. Davanti a lei si
stagliava la serra:
un rifugio nient’affatto neutrale, legato, una volta di
più, al dio
dell’inganno. Era stato lui a sistemarla e a curarla, pochi
mesi dopo il suo
arrivo a Vanheim. Molte di quelle piante gli servivano per le sue
oscure
attività di mago – per creare incantesimi e veleni
non servivano solamente le
rune, ma anche ciò che cresceva sulla terra nera e fertile
dei Vanir. Incuriosita
dal progetto e interessata ad aiutare i guaritori di Vanheim a curare
la povera
gente, ancora ragazzina aveva chiesto e ottenuto da Njord che una parte
dell’ampia serra le fosse donata[2].
L’Ase non aveva apprezzato la richiesta di quella ragazzina
acerba e petulante
che portava le trecce. Scoccandole un’occhiata torva, aveva
rammentato al
sovrano che lui non usava la serra per il piacere di vedere una pianta
crescere, ma per distillare veleni e pozioni. C’era il
rischio di incorrere in
incidenti e fastidi, dividendo lo spazio con una bambina o poco
più. Njord era
riuscito ad accontentare entrambi, ordinando che l’ambiente
fosse diviso in
maniera netta e che venisse costruita un’altra entrata
indipendente. Ma a Loki
non era bastato. L’aveva ammonita personalmente
dall’invadere i suoi spazi per
curiosare in maniera inopportuna.
Non era mai
accaduto che
si incontrassero lì, in nessuna occasione, neanche di
sfuggita. Sigyn aveva
coltivato fiori e creato i suoi unguenti con dedizione e amore,
visitando quasi
quotidianamente la serra e portando spesso amici e parenti a visitare i
frutti
del suo lavoro, ma, nonostante questo, non le era mai capitato di
incrociare
neanche per un momento Loki. Più di una volta, quando ancora
non c’era nulla
tra loro, aveva tentato di sbirciare oltre il vetro che separava le due
ali
della serra per capire se l’Ase avesse abbandonato o meno le
sue strane colture;
da quel poco che era riuscita a scorgere, aveva dedotto che
l’ingannatore non
amava mettere a punto le proprie stregonerie in compagnia e che si
adoperasse
per agire nell’ombra.
Così,
entrò in
quell’ambiente ovattato e protetto senza aspettarsi di
incontrare nessuno, a
passo svelto, controllando sovrappensiero i fiori e le erbe che
servivano per i
suoi unguenti, mordendosi le labbra al pensiero di quello che, mesi
prima,
aveva spalmato sulla spalla di lui[3]
– quanto sarebbe stato più semplice seguire i
ragionamenti delle sue ciarliere
ospiti e assecondarle, innamorandosi di un ragazzo come Theoric? Uno
che l’avrebbe
invitata a ballare di fronte a tutti, corteggiandola come si usava a
Vanheim,
un po’ alla luce del sole e un po’ mandando avanti
fratelli, genitori, cugini. Che
non avrebbe avuto alcun problema a chiedere la sua mano a Njord, il cui
passato
non era pieno di sangue, vendette e battaglie. Invece, fremeva per un
principe
maledetto, reietto, spietato, che nutriva nei confronti di tutti loro
un nero
disprezzo e tramava per rubare il trono di suo nonno. Intelligente e
acuto fino
alla crudeltà, diceva di non amarla, ma la cercava
– facendola sentire viva
come non era mai stata.
Arrivò
nel punto in cui
custodiva le erbe già sminuzzate e spezzate, pronte per
essere messe in un
sacchettino e utilizzate per creare la tisana di Freya.
Immaginò di accontentarsi
dei discorsi scialbi di Theoric, di accettare la sua visione del mondo,
di vivere
come la brava ragazza che non era più – che non
era mai stata, forse. Pensò agli
insignificanti e tediosi dialoghi con Theoric, fatti di niente, alle
volte in
cui si era annoiata nello starlo ad ascoltare, al sollievo provato
quando aveva
avuto l’occasione di abbandonare la sorella e la madre di lui.
“Scrivermi
è pericoloso,
Sigyn.” La voce roca e beffarda del principe di Asgard la
raggiunse mentre le
sue dita sottili chiudevano con un nastrino sottile il sacchetto,
facendola
sussultare – un brivido la sciolse, uno che dalla nuca
scendeva lungo la
schiena.
“Non
volevo che mi
aspettassi invano,” mormorò, voltandosi
lentamente. Erano amanti da mesi, ma nonostante
ciò, ogni volta che lo incontrava le sue gambe diventavano
molli e il cuore le
batteva più velocemente nel petto, come durante il loro
primo appuntamento. Il
suo corpo era attirato da quello di lui – se fossero stati
più vicini, avrebbe cercato
un contatto qualsiasi, fosse pure uno sfioramento leggero. Loki la
aspettava
seduto su una panca di pietra, le lunghe gambe accavallate con
malagrazia, un
ghigno sbieco disegnato sulle labbra sottili; si alzò con un
movimento fluido e
scattante. Aveva escogitato un modo per attirarla lì senza
chiamarla
direttamente, facendo sì che Freya sentisse il bisogno di
prendere una tisana e
che, per prepararla, mancasse un ingrediente e fosse dunque necessario
chiederlo a lei, Sigyn. Questa consapevolezza la fece sentire
desiderata,
cercata, sciocca, forse – ma viva come non si era mai
sentita, se non tra le
sue braccia, felicemente intrappolata nella tela tessuta da lui,
signore degli
inganni e del caos.
“Ci
vedremo comunque
stanotte,” le promise – la informò.
Sigyn finse che
quelle
parole non la facessero sussultare, non la sciogliessero. “E
la tua riunione
con Njord e i nobili dei confini?”
“La
farò finire prima. Ho
ottenuto la restituzione del tuo ritratto,” aggiunse. Si
riferiva a un piccolo
quadro che il suo primo pretendente, di molti anni più
vecchio di lei[4],
era riuscito a ottenere per chissà che vie traverse. Quando
Loki, che aveva
suggerito a Njord di rifiutare senza alcuna remora la pur allettante
proposta –
lei era troppo giovane e bella, lo aveva scoperto,
si era speso affinché
il dipinto fosse restituito e tutte le copie esistenti distrutte, anche
quelle
nascoste. Vedendo la determinazione e l’energia profuse
dall’Ase in una
questione in fondo piuttosto marginale rispetto ai problemi di Vanheim,
Sigyn non
aveva potuto fare a meno di chiedersi se lo zelo impiegato dal dio
dell’inganno
in quella vicenda venisse applicato senza distinzione alcuna in ogni
questione,
fosse il frutto di una gelosia celata ad arte o, addirittura, facesse
parte di
un grande scherzo. Certo, suo nonno aveva sempre lodato
l’ingannatore per
l’efficacia dei suoi interventi, ma cosa c’era di
più intrigante, per Loki, che
farsi restituire il ritratto in nome dell’onore di una
principessa che tutti
ritenevano vergine e che, invece, ogni notte ansimava a ogni sua
spinta,
inarcandosi contro di lui?
“Dato
che il nostro
ultimo nascondiglio è attualmente occupato, ho pensato a
qualcosa di
leggermente più rischioso, ma decisamente
appagante,” riprese l’Ase con tono
faceto, avvicinandosi fino a varcare la necessaria distanza che
tenevano in
pubblico. Le porte della serra erano aperte e accessibili: chiunque
sarebbe
potuto entrare e vederli uno di fronte all’altra, intuendo la
loro relazione
dal modo in cui l’ingannatore la fissava ghignando mentre le
cingeva la vita
sottile con un braccio, attirandola a sé con sfrontata
audacia. La
pregiatissima seta della gonna e del corsetto aderente di Sigyn
sfiorò gli
abiti sobri e marziali di Loki, fatti apposta per esaltare il suo
fisico alto e
slanciato, di guerriero. Corpo di cui lei conosceva cicatrici e
muscoli, contro
cui amava stringersi nei brevi momenti di dolcezza che si ritagliavano
prima di
rivestirsi, col respiro ancora corto. Lo desiderava.
Sigyn
sollevò un
sopracciglio, allacciando le braccia attorno al suo collo.
“Rischioso?”
L’ingannatore
rise e osò
ghermirle un bacio lambendole appena le labbra, compiacendosi della
schiena di
lei, che si tendeva al suo tocco.
Avrebbe dovuto
stancarsi di
quella ragazza già da mesi, ma non era successo, anzi:
più andavano a letto
insieme più separarsi diventava difficile,
l’intesa tra loro, quell’alchimia
profonda e ineluttabile che li portava a cercarsi e a desiderarsi,
profonda. Ogni
notte, Sigyn, anziché perdere il fascino della scoperta, lo
attirava
inconsapevolmente a sé sostituendo
l’ingenuità con la curiosità,
trasformandosi
al suo tocco dall’irriverente principessa di Vanheim in una
donna capace di
affidarglisi e di tentarlo – lei aveva
scritto un biglietto
compromettente, spingendolo a una reazione, impugnando tra le sue dita
delicate
la penna dalla piuma nera di cui lui aveva riconosciuto il tratto
deciso ed
elegante.
“Mai
come il tuo messaggio.
Le mie stanze,” le sussurrò sulla bocca,
gustandone la morbidezza. A renderlo
meno cauto era qualche calcolo che Sigyn non poteva intuire e, forse,
il
bisogno scaturito dall’assenza, dalla mancanza. Prima di
lasciarla, le insegnò
le rune che le avrebbero permesso di entrare nei suoi appartamenti.
Quell’intesa,
che li
portava a cercarsi e a non saziarsi mai l’uno
dell’altra, li avrebbe rovinati,
preconizzò. E allora una domanda, insolente come lei, gli si
insinuò nella
mente, come facevano le mani di Sigyn quando lo accarezzavano, incerte
e
meravigliosamente sfrontate a un tempo: se avesse strappato la corona a
Njord,
l’avrebbe voluta accanto a sé? Sapeva con
esattezza dove avrebbe spedito Freyr,
in che modo si sarebbe liberato dei nobili che più gli si
opponevano, in quale
dimora avrebbe ritenuto più appropriato che Freya si recasse
per sempre, ma di
Sigyn, che ne sarebbe stato?
Spalle nude,
perle e
coralli rosa tra i capelli d’oro, un velo di bistro sulle
palpebre. Sigyn era
bella – di più, incantevole. Sulla generosa
scollatura che esaltava il seno
piccolo e sodo non si posavano solamente i suoi sguardi rapidi e
fugaci, ma
anche molte altre occhiate. La stoffa, di un tenue color albicocca, si
sposava
alla perfezione con la sua carnagione. Non era più la
ragazzina del ritratto né
quella che aveva rubato la sua penna per poi restituirgliela tra mille
imbarazzi. Era una donna. Una che gli lasciava graffi sulla schiena e
gli
cingeva i fianchi con le gambe. La vide puntellarsi sui gomiti,
sfiorarsi il
mento con la mano e ridere di una battuta un po’ fiacca,
accettando subito dopo
un invito per un ballo. Alzandosi, gli lanciò da sotto le
ciglia scure uno
sguardo lungo, audace, brillante.
Che ballasse con
chiunque. Lui l’avrebbe avuta dopo, nel suo letto, per tutta
la notte.
Njord e i membri
dell’aristocrazia con cui si era dato convegno non riuscirono
a catturare
completamente la sua attenzione, quella sera. Non del tutto, almeno. E
questo
fu motivo di profondo fastidio, per Loki. Concentrarsi, studiare,
riflettere,
erano attività che erano congeniali alla sua natura astuta e
manipolatoria, ma
la musica ovattata che proveniva dalla sala accanto, dove Sigyn,
bellissima e
con le guance rosse, ballava e rideva, lo distraeva. Non al punto di
rendere meno
efficaci e pungenti i suoi ragionamenti, era ovvio, ma abbastanza da
indispettirlo, da svegliare un’insoddisfazione oscura nel suo
petto. L’immaginazione
lo tradiva, ricostruendo con ferocia lo scenario che si svolgeva poco
distante
da lui – lei tra le braccia di un altro, chissà
fino a che punto innocue. Inezie
che non dovevano interessargli, ma che, nonostante tutto, lo
infastidivano.
Perché? Forse era a causa dello sguardo grigio di Sigyn, che
lo rimproverava in
silenzio di non aver voluto chiedere la sua mano, preferendo quella
relazione
illecita e pericolosa? Accantonò l’idea con una
scrollata di spalle, perché il
vecchio Njord, sentendosi offeso da un re vicino, desiderava scatenare
una guerra,
incurante del fatto che per simili imprese, sempre e comunque incerte,
occorre
una quantità di oro capace di gettare in ginocchio sovrani
come il fu Odino. Ma
il re dei Vanir, che era stato cauto e parsimonioso per tutta la sua
vita, ora,
grazie a Loki, nutriva sogni di gloria. Voleva vivere gli ultimi anni
che gli
restavano – frase che ripeteva da almeno un decennio, da
molto prima che Loki
gli chiedesse asilo, in una corte splendida e temuta com’era
Asgard. Quindi,
per una volta, all’ingannatore toccava lo sgradevole compito
di dissuadere l’anziano
e capriccioso sovrano dall’idea malsana che fosse opportuno
muovere guerra,
facile ottenere una schiacciante vittoria. Freyr non c’era,
era scappato nel
quartiere dei bordelli a trovare consolazione tra le braccia del suo
amore
proibito e a sperperare nel vino il denaro che gli aveva prestato. A
caldeggiare la volontà del vecchio re c’era, in
particolare, un ricco nobile, padre
di un pusillanime che l’Ase aveva sorpreso mentre era intento
a fissare Sigyn
col suo vestito di seta color tramonto.
“Come
mai Lingua
d’Argento si rifiuta così ostinatamente di
assecondare il re che lo ha così
tanto favorito?” disse a un certo punto l’uomo.
Loki
s’inumidì le labbra
sottili, inghiottendo il rancore che quella frase volutamente arrogante
causava. Lui era un principe di Asgard, il legittimo erede di
Jotunheim. Nelle
sue vene ribolliva il sangue di condottieri e sovrani, non di oscuri
cortigiani
saliti alle vette del consiglio per aver pagato il proprio posto[5].
“Perché ho comandato le armate di Asgard mentre
voi cardavate la lana e
sceglievate il colore con cui tingerla,” sibilò.
L’altro impallidì e l’Ase ne
approfittò per riservargli la stoccata finale. “Io
ho perso il conto delle
battaglie a cui ho partecipato – delle vittorie ottenute. E
voi?”
Il Vanir non
ebbe il
tempo di rispondere. Sigyn, che aveva smesso di ballare, fece il suo
ingresso
ufficialmente per augurare la buonanotte a suo nonno, ufficiosamente
per far
sapere a lui, Loki, che si sarebbe recata nelle sue stanze. Aveva le
guance
rosse e le ciocche dorate erano a malapena trattenute dai fermagli che
le
imprigionavano da inizio serata. Loki l’osservò
chinarsi verso il vecchio,
ammirò la rapidità con cui il suo sguardo si
posò su di lui senza far emergere
nulla. Ancora una mezz’ora di discussione, utile
affinché nessuno sospettasse
nulla, e poi l’avrebbe raggiunta, vendicandosi per la bella
risata di lei, per
la linea flessuosa del suo corpo snello e attraente.
Sciorinò numeri, stime,
considerazioni anche accese, mentre le dita nodose di Njord cercavano
di
placare gli animi. Il re dei Vanir gli avrebbe dato ascolto, alla fine,
perché
pur cercando la gloria non era uno sciocco e sapeva che il suo ministro
più
sagace non amava giocare partite in cui non era certo di poter ottenere
il
massimo risultato. Ma era poi vero? Quando, molto
più tardi di quanto
avesse inizialmente pronosticato, riuscì a incamminarsi
verso i suoi
appartamenti, non riuscì a stupirsi completamente della
situazione in cui si
trovava, governata sempre più dal caos che dalla
pianificazione. Aveva un
evidente vantaggio tra le mani, ma preferiva sfiorare con le dita le
fiamme,
sentirne il calore sui polpastrelli, che agire.
Lei lo attendeva
con
l’abito con cui aveva ballato per tutta la sera ancora
indosso, ma aveva
liberato i capelli dorati dal giogo dei fermagli. Così, ora,
la chioma ricca e scarmigliata,
illuminata dalla luce calda delle lingue di fuoco che si rincorrevano
nel
camino, le ricadeva sulle spalle nude, sulla schiena diritta.
“Njord
è diventato un
guerrafondaio,” spiegò, tralasciando di
rimproverarla per le perle e i coralli
che aveva posato su un grande tavolo di quercia dove avrebbero potuto
perdersi,
confondersi, tradirli.
Sigyn gli
rivolse un
sorriso triste e chiuse il libro che stava sfogliando. “Siamo
più ambiziosi di
quanto meritiamo.”
“Il
potere inebria. Corrode.
Chiede un prezzo sempre più alto,” le rispose,
scoprendosi con la gola secca.
Sotto lo sguardo liquido e attento di lei, si versò una
coppa d’idromele e
gliene offrì una, ma la ragazza scosse il capo con lentezza,
perché i gesti di
lui e quelli di lei erano la replica esatta di altri, vissuti mesi
prima, quando
erano ancora liberi dall’incanto che li aveva avvolti.
Se Sigyn non gli
avesse
scritto, forse Loki avrebbe continuato a discutere con Njord, senza
preoccuparsi di far terminare il consiglio. Senza quel pericoloso
biglietto che
doveva diventare cenere il prima possibile, ma che, per qualche
immotivata
ragione, l’Ase teneva ancora nella giubba di fine pelle di
Asgard, lui si
sarebbe gettato nell’ampio e sontuoso letto a baldacchino da
solo, senza
trascinarci lei, che aveva desiderato per tutto il pomeriggio e la
sera. Sigyn
gli aveva teso una dolcissima trappola e lui aveva scelto di abboccarvi.
Accarezzò
la seta calda
che le cingeva la schiena, scostò la massa dorata dei suoi
capelli per
liberarle la zona sensibile della nuca e le spalle scoperte,
leggermente
infreddolite – i suoi appartamenti erano posti nella parte
posta più a nord di
tutto il palazzo, le finestre si affacciavano verso il confine con
Asgard dai
fiordi di ghiaccio, invisibile all’occhio nudo, ma presente
laggiù, oltre la
linea dell’orizzonte. Il regno di Padre Tutto e di Thor, il suo
regno,
quello che aveva difeso e combattuto a viso aperto nonostante i
tradimenti e
gli inganni. Le dita dell’Ase ghermirono il seno di Sigyn
protetto dal corsetto
di seta, scivolarono verso la gonna vaporosa che celava i fianchi sodi
e
rotondi, così squisitamente femminili. Chi
catturava chi, in quel loro
gioco iniziato per colpa di una gentilezza inopportuna – una
porzione di
biscotti al miele, ma tessuta dalle Norne invidiose
senz’altro prima[6]?
Sigyn sospirava al tocco delle sue dita – si scioglieva,
piegava il collo per
assaggiargli le labbra e ottenere un bacio lungo, capace di annullare
il tempo,
di far sparire gli eleganti appartamenti del dio
dell’inganno, sempre ingombri
di artefatti magici, libri, pergamene arrotolate e armi luccicanti.
Erano perduti.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore ♥ ♥!
Rieccoci qua con i Loki e Sigyn
nella versione di Tutte le mie bugie, la
mia prima long (la trovate
a pagina 3 del profilo). La storia si è ampliata, loro mi
impongono di
continuare a raccontare e io obbedisco senza fiatare, barcamenandomi
con la
real life e lo scarso tempo a mia disposizione. Poi ci si sono messe
pure un
paio di idee niente male, quindi, si continua. ^^
Per quanto concerne
“Tutte
le tue bugie” non è necessario averla letta, ma tenete presente che la Sigyn
che vedete per
buona parte del racconto è molto giovane,
però ve la consiglio perché è una
storia che secondo me merita – se avessi tempo la
revisionerei per bene, ma
anche così credo sia fruibile. Nel prossimo capitolo
torneranno Sonje e Vali;
in questo ho voluto mostrarvi il periodo più roseo della
relazione tra Loki e
Sigyn, quello dopo Asgard, ma prima che Theoric si facesse avanti.
Spero sia
cosa gradita. Da domani, mi metto sotto con la fine di Ciò
che resta delle tenebre
♥.
Ringrazio con tutto il cuore
i vecchi lettori, i nuovi lettori e tutti coloro che listeranno,
recensiranno o
semplicemente leggeranno questa storia: a parte gli scherzi (lokini)
siete importanti e
sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non
rispondo
pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano,
ecco.
Seguitemi sulla pagina fb (o
scrivetemi anche lì) per info, curiosità,
aggiornamenti (trovate il link in
bio) e…
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Loki e Sigyn
nel mito
hanno dei figli insieme, Vali e Narvi. Vali me lo sono tenuto, Narvi
l’ho
sostituito con Sonje, personaggio di mia invenzione. Nel mito Sigyn non
eredita
proprio niente, quindi anche qui è una mia idea. Non
vi autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il ruolo di
Loki presso
Njord, per le cariche che Loki ricopre in questa Vanheim. Creare un
mondo con
usi e costumi non è uno scherzo.
Comprendetemi per queste
precisazioni, ma scrivo su questo fandom dal 2017 e ne ho viste di
tutti i
colori.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss
[1]
Theoschifo prima di Tutte
le tue bugie e i primi capitoli di questa raccolta è una
persona a cui Sigyn è
affezionata. I sentimenti verso di lui cambieranno quando lui la
obbligherà a
fidanzarsi con lui e nel modo in cui si comporterà a seguito
della gravidanza
di Sigyn.
[2]
In Tutte le tue bugie e in
diverse altre mie storie Sigyn fa la guaritrice o, comunque,
coerentemente col
suo rango, si occupa di assistere e medicare.
[3]
Episodio presente nei
capitoli centrali di “Tutte le tue bugie”.
[4]
Quello dello scorso
capitolo.
[5]
Come nei primi capitoli di
questa raccolta.
[6]
Come in Tutte le tue bugie,
dove viene citato più volte anche il concetto del vincitore
vinto.