Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: sacrogral    06/08/2021    9 recensioni
Difficile capirci qualcosa. Distopia. Necessario andare a sentimento. E sospendere l'incredulità.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chi non comprende il tuo silenzio probabilmente non capirà nemmeno le tue parole.
 
Dissolvenza
 
Oggi
 
Squilla un telefono nella stanza.
Emerge dalle lenzuola una mano maschile: è bianca, affusolata, un po’ incerta.
 
“Pronto, sei tu? Certo che sei tu. Tu soltanto mi chiami a quest’ora... ma no, non fa niente, sono mesi che non vedo il sole della mattina... noi? Noi che non ci vediamo sono due anni, tre mesi e quattro giorni... quattro giorni ieri...”
 
L’uomo si alza dal letto. La sua voce è ancora impastata, ma è calda, indifesa.
È alto, ha i capelli lunghi, rosso scuro, spruzzati qua e là di grigio.
Comincia a camminare per la stanza, il cordless fra l’orecchio e la spalla.
 
“Dimenticarti? Perché, tu sei capace di dimenticare le rocce? Lo scorderesti il tuo nome? No, parlo sul serio... e poi tu mi ritrovi sempre... cambio indirizzo, cambio città e tu mi ritrovi sempre...”
 
Si interrompe, la lascia parlare. Adora quella voce che gli arriva attraverso una conchiglia.
 
“Sempre la solita domanda. Eppure sei tu quella che se n’è andata, che mi ha abbandonato. Sei tu quella che si è sposata... no, lo capisco, era troppo difficile, lo hai detto tante volte. Lo so, ci credo. Sì, altre donne, ci sono sempre altre donne. Non potrebbe essere altrimenti. Vuoi che ti dica che ti amo ancora? Ogni volta, sempre, devo dirti che ti amo ancora? Per tutta la vita? Sai, c’è sempre un modo giusto per legare una persona, qualcuno lo trova. Non avrei mai potuto abbandonarti, è stato un bene che l’abbia fatto tu. Adesso amerai meglio, non di più, ma meglio”
 
La voce si spezza, è più liquida, adesso.
 
“È incredibile, sai, per quanto tempo si possa dedicare all’educazione, alla lettura, alla preparazione alla vita, quando giunge il momento di mettere in pratica tutto questo, ecco, di colpo si reagisce come se niente fino allora ci avesse mai toccato, si reagisce in maniera animalesca, primitiva: non esiste nessun ragionamento, per me, nessuna sovrastruttura, penso quello che sento, e niente altro. Hai fatto bene, però. Sei felice? Credo che tu lo sia.”
 
L’uomo ride. La sua risata non è allegra. La voce all’altro capo del filo la ricordava più allegra.
 
“Sì, forse... forse la felicità è un concetto borghese... ma non è questo che volevi? Una casa, la sicurezza, un...
 
Esita un istante; non troppo, solo un istante.
 
...uomo che fosse sempre vicino a te, dei figli... no, niente di male, solo che non volevi me e adesso mi chiami, adesso che sono lontano, come sempre... e sono anche vicino, come sempre... è primavera, qui, sono fioriti i lillà, li vedo dalla finestra...”
 
Si perde in un ricordo, in un’altra vita. Anche la voce tace, ma è un silenzio complice, animalesco, il silenzio di chi ha troppe parole e non riesce a farle uscire tutte ed allora le risparmia, le centellina, le usa goccia a goccia.
Poi la voce pone una domanda.
 
“Certo che ho avuto paura, che cosa credi? Ho sentito le ginocchia tremare, la bocca secca, credo anche di aver pensato alla mia mamma... ma poi l’ho fatto lo stesso, non avevo scelta. Sono un fotografo, faccio fotografie, che vuol dire questo va cancellato? Che vuol dire che la gente non deve vedere? Non sembrava l’Italia in quel momento, non sembrava il presente... non so cosa fosse, c’era tanto fumo e c’era la gente che gridava... c’erano i bambini... sì, valevo oro, in quel momento e sapessi che cifra mi hanno offerto... ci ho pensato, ho esitato, sai, ho pensato a te, alla casa sul mare...poi l’ho fatto lo stesso; adesso respiro di nuovo e mi sento bene. Non mi sarei sentito bene mai più, se non l’avessi fatto. Son belle fotografie di una brutta realtà. No, quando mi son mosso, credevo un’altra cosa, si crede sempre un’altra cosa... la realtà però era quella, ed era vita ed era morte e la gente doveva vederla...”
 
La voce si àltera. L’uomo percepisce una parola: “egoismo” e poi un’altra: “vanità”.
 
“Davvero pensi questo? Solo questo? Per il mio quarto d’ora di celebrità? Solo tu puoi pensarlo... sono braccato, lo capisci? Non posso più vederti, non posso tornare a casa... un po’ troppo, per la mia vanità... ma forse non hai torto, forse l’ho fatto solo per me, la gente lo sapeva anche prima, lo sa adesso, non è cambiato niente... ma non avevo scelta, lo capisci, ci sono momenti in cui non puoi scegliere...è come voler cambiare la forma degli occhi, la forma delle orecchie...è come non ritrarre la mano quando senti il calore che cresce, che scotta...lo fai e non ci pensi...ed io ho anche pensato, tanto, a te, alla casa sul mare, al tuo vestito bianco e al tuo cappello di paglia...vedevo il tuo viso fra luci e ombre ed era un momento perfetto... ma non è bastato, non poteva...l’avrei gridato a tutti, mentre il giorno moriva e il fumo sembrava irreale... e poi c’erano i bambini...”
 
Esita.
Osserva i lillà.
Il profumo dei lillà potrebbe impadronirsi di lui in un istante, aprire la finestra sarebbe sufficiente.
Esita.
La voce nella conchiglia è di nuovo liquida.
Parla parole banali, adesso, cancella le distanze con la semplicità.
 
“Tutto questo tempo lontani è come se fosse un sogno, come una pausa della vita; un giorno, poi, riprenderà a scorrere, e mi troverai ancora accanto a te. Non ci sarà bisogno di altro, solo di trovarci ancora. Respireremo insieme, e non ci crederemo. E potremo vivere insieme la vecchiaia. E tu per me lascerai tutto, lascerai tuo marito e anche i tuoi figli, per me che non avrò nulla da offrirti, ma te l’offrirò come sempre, pulito, integro, pieno di stelle e di te sarà, il niente che ti offrirò, e sarà pieno di lacrime, sarà colmo di dolore, ma tu lo accetterai come sempre, il mio nulla, dalle mie mani vuote. E le mie mani saranno ancora capaci di accarezzarti, e allora saranno mani piene, ci sarà calma e violenza nelle mie mani, ci saranno caramelle e spezie, perché ci sarà la tua pelle nelle mie mani. E vivremo ancora quegli istanti perfetti, come fotografie perfette che la mia mente trattiene e mi restituisce sempre quando penso a te e ti parlo e sei sempre con me: l’istante in cui sedevi con il sole alle spalle, i colori troppo vivi, il rosso abbagliante nel tuo bicchiere e le scintille di sole, e le tue gambe come gambe di bambina, scoperte, indifese, e il tuo sorriso che si apre come un dono, come uno specchio ed eccolo lì, un istante perfetto. E tu che ti pieghi sopra un libro, la spalla che si scopre e la lentezza del gesto, e tu che hai gli occhi abbassati, non guardi me, e l’estate è bollente e impavida, penso che avrò sete per sempre, mentre tu sei così vicina e profumi di cielo e di uva bianca ed eccolo, un istante perfetto. Sarà difficile anche da sopportare, una vita di istanti, una vita di fotografie, tutte perfette; e quella perfezione diventerà per noi quotidiano, la mangeremo ogni giorno e la troveremo al mattino, non la giocheremo mai ai dadi e non la perderemo più, sarà come l’aria, come il legno delle querce, saremo noi, solo noi.”
 
Adesso non sente più la voce, sente solo il respiro.
Non sa se è quieto o se nasconde qualcosa,
quello che non può essere detto.
Adesso sa che oggi uscirà, comprerà un giornale, si siederà ad un tavolino di un caffè.
Forse porterà con sé la macchina fotografica, forse riuscirà a cogliere qualcosa nell’aria, un’espressione, un volto, che merita di essere ricordato.
Potrebbe stare tutta la vita ad ascoltare il suo respiro, saperla viva è una gioia ed è un dolore.
Cerca di credere alle parole che ha appena detto.
 
 
“Certo che ti amo ancora. Ancora più di tutto”
 
 
Lei osserva il cielo oltre la finestra. Pieno di nuvole, carico di pioggia. Non ci sono lillà nella sua vita. Ha perduto il coraggio. Se lo chiede sempre, perché lo chiami; si domanda quale sia la necessità, la molla, l’urgenza di ritrovarlo, di sentire la sua voce da una distanza irreale.
 
“Perché ti amo ancora. Come sempre”
 
Scuote la testa. I capelli scuri e lucenti accarezzano il suo volto, Lui sosteneva che restituissero più luce di quanta ne assorbivano.
Non si domanda neppure come faccia, lei, a ritrovarlo sempre. Crede che sia l’amore, la passione, a guidarla. Crede che basti.
E non sa la fatica che occorre, la menzogna, le ricerche, il cuore in gola, le teste che si muovono ad indicare: “NO”, e poi è solo questione di soldi, lui non può sapere tutto ciò.
Lui ha fatto l’eroe una volta e questo basta, non si torna indietro, si vive cristallizzati nell’istante maledetto della scelta giusta, nella propria coscienza pulita, nella nostalgia che ti strugge e distrugge.
 
Una mano bianca, curatissima,
gioca con i propri anelli.
 
“Eppure l’amore è questo. Cercarsi senza essersi perduti, o forse perdersi senza essersi cercati. Non poter vivere senza sapere che l’Altro esiste ancora, che ancora respira. Forse la ricerca continua e ossessiva non è il presupposto per la vita, è la vita stessa. Vivi solo quando sei distratto, quando stai costruendo. Vivi per l’immagine che trattieni a forza nella tua mente, che ti rifiuti di abbandonare. Vivi per il passato e per il futuro. O vivi per sentire una voce che ha il sapore dell’acqua e le parole del cielo, che ha il colore dei lillà”
 
Voce di bambino.
Rientro nella normalità.
 
“Cos’è che mi manca?” si domanda d’improvviso.
 
Domani inizierà di nuovo a cercare.
 
 
Sempre
 
 
Platone, nel “Simposio”, spiega perché esista l’amore. C’è stato un tempo mitico in cui non esistevano soltanto due sessi, maschile e femminile, ma anche un terzo, l’androgino, che possedeva le caratteristiche di entrambi. Tutti gli uomini avevano quattro braccia, quattro gambe, due teste e due organi sessuali, erano tondi e potentissimi.
“E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra.”
Tanto erano forti e superbi, che cercarono di ribellarsi a Zeus loro creatore; il dio, quando li ebbe sconfitti, per non distruggerli, pensò ad un modo per renderli più utili ed innocui.
Tagliò quindi tutti gli uomini in due parti, affinché raddoppiassero di numero e dimezzassero la loro sicurezza.
Da allora gli uomini desiderano tornare alla loro unità, e ciò è possibile solo ritrovando la propria parte mancante.
 
 
Un giorno
 
L’uomo porta un completo di Armani,
una cravatta Princeps Alexander acquistata a Firenze,
una ventiquattrore in pelle.
 
“Sono un semplice Professore di Filosofia…”
 
Anche quando parla, si sentono le maiuscole.
Non è né giovane, né vecchio,
né bello, né brutto.
E non è un “semplice” professore di filosofia.
 
“Sarà già partito di nuovo. Non si preoccupi, gli dia corda. Lo faccia correre.”
 
L’interlocutore sorride.
Sorride come se tagliasse, incidesse, ferisse.
 
“Tanto, ce lo ritrova sua moglie.”
 
Il professore non apprezza,
il sorriso muore sulle labbra dell’uomo calvo, terreo.
 
“Lei conosce Platone?” chiede il professore, leggero. Ha appena riletto un Dialogo, ce l’ha per la testa.
 
Ovvio che non lo conosce, non sa neppure di cosa stia parlando.
Sua cugina aveva un gatto, un tempo, che si chiamava Platone.
 
“Lei conosce Catullo?” domanda ancora.
 
L’uomo calvo non ne sa niente e si sente a disagio.
Il professore, prima di torturare qualcuno, declama versi.
 
“Catullo dice che Lui gli sembra pari a un Dio, anzi, gli pare che possa superare gli dèi, perché è sempre, imperturbabile, al fianco della donna che ride con dolcezza, tanta dolcezza che al poeta impedisce di parlare, perfino di muoversi, perfino di pensare.”
 
L’uomo calvo si guarda bene dall’interromperlo.
 
ILLE MI PAR ESSE DEO VIDETUR…
 
“Credo proprio di essere io, quella divinità” aggiunge, guardando oltre l’uomo calvo.
 
 
Sempre
 
 
Gli uomini sono tutti dei bambini, senza alcuna eccezione. La crescita, la maturazione, sono soltanto parole usate così, per dare una ragione ai cambiamenti del corpo. Il Tempo è un concetto astratto, creato da chi non sa dare altre spiegazioni. L’emozione provata nel passato non è meno intensa di quella vissuta nel presente. Qualcuno ha detto che il passato appartiene alla morte, che la fine non è davanti a noi, ma alle nostre spalle. Esiste davvero una fine? Qua  dove niente si crea e nulla si distrugge, è possibile far sparire qualsiasi cosa, senza che ne rimanga una traccia, una scia, un rumore di fondo, a ricordarti che, forse, siamo solo noi che abbiamo cambiato la traiettoria dello sguardo, il fulcro dell’attenzione?
 
Nella Nuova Edizione dell’Enciclopedia del Sapere, autoaggiornantesi ogni ventiquattro ore e consultabile nel predisposto sito del Ministero della Nuova Istruzione, si può leggere la definizione di Isaac Newton del “Principio di inerzia” o “Primo principio della dinamica”: “La vis insita, o forza innata della materia, è il potere di resistere attraverso il quale ogni corpo, in qualunque condizione si trovi, si sforza di perseverare nel suo stato corrente, sia esso di quiete o di moto lungo una linea retta”..
 
Resistere in qualunque condizione si trovi è il fine ultimo della materia, ma potrebbe essere anche il fine ultimo dello spirito.
 
 
Un giorno
 
L’uomo si trova a Parigi, adesso.
Ѐ vicino in maniera troppo pericolosa.
Chissà se anche stavolta lei lo troverà.
Chissà chi è che sta fuggendo,
chi è che sta cercando.
 
L’uomo è incantato al Louvre davanti alla Zattera della Medusa di Gericault.
 
La “Zattera della Medusa” prende ispirazione da un avvenimento realmente accaduto nel 1816: dopo l’affondamento della nave francese “Medusa”, i superstiti si rifugiarono su una zattera, che rimase in balìa delle onde per diverse settimane. Furono infine tratte in salvo solo quindici persone. Gli occupanti la zattera vissero un’esperienza terribile: si consumarono, in quell’occasione, atti di disperazione e ferocia, fra cui gesti di cannibalismo.
La vita dell’uomo è un eterno ondeggiare fra speranza e voglia di lasciarsi andare.
 
 
C’è Caravaggio dietro a quei corpi dalle braccia immerse nell’acqua, dietro a quel movimento stremato e difficile verso l’alto, dietro a quella luce livida. Ma ancora di più, ci sono io. Io sono a bordo della Zattera e faccio cenni a un’ombra lontana e incerta, Fata Morgana di salvezza e felicità, sogno o ricordo.
 
La sua mano adesso vaga in mezzo ai capelli, suo tratto distintivo.
In questo è fatalista, non cambia mai niente, neanche il modo di vestire.
A volte pensa che non vogliano neanche prenderlo, che basti a loro saperlo lontano.
Che basti a Lui.
Lui, che con il suo distacco, gli ricorda gli dèi greci.
 
Un uomo calvo lo segue passo passo, e neppure si cura di nasconderlo.
 
Anche lei è un sogno.
 
A lei
 
“Non ti abbandonerò mai, neanche quando me lo chiederai. Soprattutto quando me lo chiederai, perché è allora che avrai più bisogno di me. Non scorderò niente se non il mio cuore, quello lo scorderò accanto al tuo e se vorrai restituirmelo  dovrai tornare. Lascerò che tu mi ferisca a tuo piacere, il mio sangue sarà promessa e pegno, ti costringerà a pensarmi, a guardarmi di nuovo. Ti impedirò di dimenticarmi, dovrai pensarmi ogni istante, anche mentre fai altro, soprattutto mentre fai altro: dovrai vedermi nel cibo, nell’acqua, nei riflessi della sera; sarò nello sguardo di tutti gli altri che danzeranno attorno a te che sei l’altra metà del mio essere, e lo dovrai ricordare per sempre”
 
Lei se lo chiede sempre, se ha fatto la scelta giusta.
No che non l’ha fatta.
La consapevolezza del dolore è il dolore stesso.
E continua a sbagliare, lo sa.
Ma come puoi ragionare, quando la tua vita dipende da un solo
Essere umano?
Nessun altro vedrà così chiara e splendente
la sua Luce.
 
 
Armi
 
“L’uomo scrive, ecco cosa fa” dice il Professore. Il tono, sulla parola “scrive”, indica un disprezzo infinito, e il ribrezzo lo costringe a grattarsi una mano, a fare una smorfia.
“No, controlliamo i suoi mezzi, non è così folle” dice l’altro, agitato.
“Non controllate le sue mani” e, caso eccezionale, quasi grida.
 
 
Nella Nuova Edizione dell’Enciclopedia del Sapere, autoaggiornantesi ogni ventiquattro ore e consultabile nel predisposto sito del Ministero della Nuova Istruzione, si può leggere la definizione di “scrittura manuale”: “Metodo di comunicazione obsoleto, ancora in vigore fino al secolo scorso, tollerato fino agli Anni Cinquanta indi inserito nell’illegalità. Lo si praticava attraverso un supporto chiamato perlopiù penna, conservata per un certo periodo ad uso firma, prima che le impronte digitali ne sostituissero in toto la funzione. Ad oggi, nel Mondo Conosciuto, solo una Comunità di monaci detti “Amanuensi” ha il permesso di tramandare, ed esclusivamente nella loro abbazia, tale attività.”
 
Sempre
 
Scrivere, scrivere, scrivere. Per non dimenticare.
Per incidere i cuori della gente che non sa,
per arrivare dove sembra impossibile.
Scrivere con la vecchia collezione di penne del padre.
Scrivere su carta procuratasi dai venditori di roba vecchia.
Carta bianca, preziosa. Se almeno le sue parole servissero,
se avrà mai il coraggio di mostrarle.
 
Il Professore legge:
 “Ho mostrato le immagini di quello che è successo, e non sono bastate. Ho sempre creduto l’immagine più potente della parola, ma il nostro essere ancora qui, a condurre la vita di sempre, mi dà torto. L’orrore dunque va descritto, e i colpevoli indicati con chiarezza. Tutto questo è solo una denuncia, da parte di chi l’orrore l’ha vissuto. Ed è per i bambini e nessun altro…”
 
“Questo non ce lo possiamo permettere”, afferma il Professore, lapidario.
 
L’uomo si tormenta quasi per abitudine.
 
 
Ancora
 
 
Esistono momenti in cui la luce diventa trasparente, e filtra il futuro attraverso le ingannevoli strutture della mente; lei vorrebbe comprare corde pesanti per trattenerlo, giornate di sole per alleggerirlo, abiti leggeri per vederlo ridere, sorrisi per lui che non ne ha. Lo immagina sempre triste. Lo immagina sempre vicino. Lei si vede impazzire ogni giorno che passa. Arriverà il momento in cui non riconoscerà neppure suo figlio. Non riconoscerà il loro bambino. Quante persone è possibile amare, in una sola vita?
 
Per un punto passano infinite rette, per due punti passa una e una sola retta.
 
Risalire a NorDiTe, scendere a SuDiTe, scappare verso di te, rifugiarsi in te, nel punto esatto dove tutte le domande hanno il fine e la fine, dove ogni mistero si risolve e si perde. La nostalgia si insinua- ovvioovvioovvvio- peggio di un dolore fisico, più profonda di una ferita. Ricordare la felicità quando si è nel dolore. Attaccarsi alla corda della salvezza di un giorno, di  quel giorno che vale da solo una vita. Le tue mani che rendono dolce l’aria, i tuoi movimenti bianchi come il tuo abito mosso dal vento, il sole, la sensazione di essere su un precipizio, mentre i capelli mi coprono gli occhi e non voglio, perché ti sto fotografando nella mente, con la mente, non riuscirò a fare altro per me che trattenerti così, nel ricordo impresso a fuoco.
 
E proprio nell’istante in cui sembra che
debba accadere, senza ombra di dubbio,
senza possibilità di scelta,
ecco arrivare lui
con il suo abito da professore di filosofia
che dice:
“Dobbiamo parlare di lavoro”.
 
Ieri
 
 
E allora il Professore glielo disse senza usare giri di parole, né allusioni eleganti. Gli disse che a lui premeva solo che tutto andasse distrutto. Non era accaduto niente se non la versione ufficiale che sarebbe stata trasmessa di lì a breve. Non c’era stato uso di violenza. Non era morto nessuno. Soprattutto non erano morti bambini, perché quel giorno non c’era nessun bambino.
Gli disse che il Nuovo Stato non uccideva, che il sangue e le urla e il fumo era roba del secolo scorso, quando ancora esisteva l’infelicità, ormai bandita e fuori moda.
L’uomo ascoltava.
Ci sarebbero stati vantaggi non indifferenti per tutti.
“E poi, avrai Lei”, disse il Professore.
L’uomo trasalì, lo guardò dritto in faccia, non schermò gli occhi.
“Avrai lei, sì, alla luce del sole, amico mio. Anche subito, se vuoi. Vedi, per me è indifferente, non è questo ciò che conta davvero”
“E cos’è che conta davvero?” domandò l’interlocutore, senza filtri, senza doppi fini.
“Lo Stato, ovviamente. E la volontà di Dio”.
 
 
Un tempo
 
Squilla un telefono nella stanza.
L’uomo esita.
Sono giorni che non parla con nessuno.
Sente freddo dappertutto.
Merita quel freddo, ne è sicuro.
 
“Sei tu? Certo che sei tu. Non potrebbe essere nessun altro, adesso. Non mi dai neppure il tempo di fuggire, neppure il tempo di respirare. Senza di te, non riesco più a respirare, sei presente, il presente nell’assoluto. Lo sai, vero?”
 
La voce di lei,
che attraversa lo spazio, che sfida la luce.
La voce di lei,
 che toglie polvere alle cose,
alle parole, agli oggetti, ai sentimenti,
che sa di eterno
 
“No, non agitarti, per favore. Fallo per me. Non posso, davvero no. Sei tutto quello che ho da stringere”
 
La voce è smarrita.
Gli dice parole che non sente, che non vuole ascoltare.
 
“Non dire che ho rinunciato a te. Se avessi rinunciato, sarebbe tutto diverso. Mi sento come i soldati al fronte, che si aggrappavano al ricordo della vita vera per andare avanti. Mi uccide la solitudine. Mi uccide la lontananza. Mi manchi.”
 
La voce di lei.
Gli lascia intravedere speranze, illusioni,
soluzioni,
carne e luce.
 
“Non voglio. Non posso chiedere perdono. Non ho fatto nulla per cui dovrei inginocchiarmi davanti all’autorità, pronunciare la formula di rito, attendere la mano benedicente sulla mia testa.
Non sono tagliato per fare l’eroe, non ho mai voluto fare l’eroe. Questo, però, non posso farlo.
Per la memoria.”
 
Sente la voce lontana,
in dissolvenza.
Percepisce due parole.
“Lo sanno.”
 
“Sanno anche questo? Sanno quello che sto facendo? Com’è possibile? Leggono anche i miei pensieri?”
 
E la voce glielo dice.
 
“Li ho informati io.  Io che so ogni cosa che fai, io che so cosa farai prima ancora che tu lo pensi. Gliel’ho detto io, per salvarti, per salvarci.”
 
 
Sempre
 
Nel mezzo di Alexanderplatz, l’uomo d’improvviso decide che è il momento. Forse è stato averla sentita di nuovo, quella voce, o forse c’è sempre un attimo che è quello giusto, senza essere premeditato.
Si avvicina a quel signore calvo che sta leggendo un giornale italiano.
“Sono qui” dice, con semplicità.
 
Si guardano.
 
L’uomo allarga le mani e sorride.
“Può uccidermi, se lo desidera. Anche adesso.”
L’altro si alza. Ѐ più basso di lui, lo guarda da sotto.
“Oh, lo sa Dio se io lo vorrei.”
 
L’uomo è sereno, malgrado tutto.
 Parlare con qualcuno gli fa bene.
Non si aspetta niente.
Sono seduti ad un tavolo, hanno ordinato una birra.
 
“Ogni quanto tempo consulta la Nuova Enciclopedia, signor fotografo?”
“Mai, se posso farne a meno.”
“Dia un’occhiata, prego”
 
Gli porge un apparecchio grande quanto una mano.
 
Nella Nuova Edizione dell’Enciclopedia del Sapere, autoaggiornantesi ogni ventiquattro ore e consultabile nel predisposto sito del Ministero della Nuova Istruzione, si può leggere la definizione di “Italia”: “L’Italia è una democrazia nella quale la volontà del popolo si esprime attraverso i pensieri e le decisioni di uno solo, liberamente scelto e eletto dai cittadini. Il Professore è un presidente e un padre, guida i propri figli nella ricerca e nel perfezionamento della felicità, diritto fondamentale di ogni uomo. La nuova Età dell’oro iniziata con tale governo ha portato ordine e benessere, la sconfitta di ogni malattia e tensione sociale ed ha regalato allo Stato un nuovo prestigio a livello europeo. Il Professore non mostra mai il suo volto in pubbliche apparizioni, se non coperto da un cappuccio bianco, simbolo di purezza e uguaglianza. L’Italia ha pienamente concesso la summa dei poteri giuridico-legislativi ad un solo uomo della Provvidenza, che dedica la sua vita agli altri. Il Professore ha abolito e bandito l’uso della violenza…”
 
 
L’uomo interrompe la lettura,
la mano gli trema un po’.
 
 
“Lo so, signor poeta, lei pensa che siano menzogne, sciocchezze per gettare fumo negli occhi. Non è così. Li apra, gli occhi: le persone sono davvero felici e soddisfatte. Gli uomini in fondo sono dei bambini, hanno bisogno di un padre. E hanno bisogno di vivere sereni, nella loro bolla di sapone.
Nel secolo scorso la crisi strangolava il Paese, e sappiamo tutti che il Paese ha sfiorato la guerra civile. Adesso siamo di nuovo una potenza. Non serve il disfattismo, servono certezze.”
“Ѐ tutto falso, è solo una buffonata. Il Professore ha preso il potere con un colpo di stato, come tanti prima di lui. Ha sparso sangue, come tanti prima di lui. Ha comprato il consenso e, quando non è stato possibile comprarlo, ha ucciso i suoi oppositori. Semplice. Non esiste il consenso di tutti espresso da uno solo. Il Professore può prendere la sua filosofia da quattro soldi e buttarla alle ortiche.”
 
L’uomo calvo ha una specie di tic alla bocca.
Fosse per lui, lo fredderebbe adesso, senza pensarci più.
La sua volontà, tuttavia, si conforma a quella più alta,
più potente.
 
“Lei vede tutto da un punto di vista sbagliato. Non capisce che talvolta è necessario il sacrificio, per giungere alla pace sociale. Lo sa che il Professore ha sempre con sé una copia del Principe di Machiavelli? Lo sa che lei è uno dei pochi ad avere associato un volto all’uomo? Ci sono molti punti che non le sono chiari. Eppure le era stato proposto un accordo: bruci tutto, distrugga tutto. Sarebbe vissuto felice. Il Professore avrebbe rinunciato perfino a sua moglie, se lei la voleva. L’avrebbe coperto d’oro. Come ha potuto rendere pubbliche quelle immagini, tristi, destabilizzanti martìri di pochi, sacrificabili per i molti, ma orrendi a vedersi?”
“Io c’ero, quel giorno. E non era più un giorno di festa, ma di lutto. La violenza doveva essere bandita, abolita. C’era l’esercito, ed era armato. Ed era una contestazione pacifica, Dio mio, erano persone tranquille, normali. Ci sono stati sessantatré morti, quel giorno; ho rintracciato una ad una le famiglie, ho visto una ad una le tombe. Nessuno che abbia parlato, con la paura negli occhi, con quel sorriso fasullo sulle labbra. E poi… lei non era sua moglie, allora. Lei era mia.”
“Mio caro scrittore, tu non hai mai avuto nulla. Ascoltami bene: lei è merce di scambio, nient’altro.
Da quando le hai messo gli occhi addosso, il Professore si è divertito a vederti tremare solo guardandola. Il tuo guaio è che credi tutti uguali a te. Vanità e orgoglio, dice Lui. E non ti vuole morto, ti vuole lontano. E ti vuole controllato.”
“E infatti sono controllato.”
 
L’uomo calvo ha un altro scatto
Agli angoli della bocca.
 
“Non controlliamo le tue mani.”
 
Nel sogno
 
 
“Parlerò con lui, domani. Voglio vivere con te per sempre.”
La semplicità dei grandi eventi, la meraviglia davanti alla promessa di felicità, che non si può descrivere e si descrive sempre allo stesso modo. L’uomo non aveva capelli bianchi, allora, non aveva rughe di malinconia, aveva solo il sorriso dell’adolescenza prolungata e arrogante, ed era sicuro che sarebbe vissuto per sempre.
“Dillo ancora” le chiese, giocando fra le lenzuola che avevano un profumo d’estate e di luce “Dillo ancora” la implorò, già appagato.
Il domani. Quel domani che già si confondeva nella linea di un avvenire magico, in cui non avrebbe più conosciuto la solitudine e neppure l’incertezza, perché lei che era l’altra metà di lui si sarebbe liberata da ogni vincolo, in tempo per avere tutto il tempo.
Ripensando a quel giorno, il giorno della fine di tutto, perché il domani sarebbe stato il giorno della catastrofe e avrebbe visto cose orribili, mentre Lui sarebbe tornato a casa sereno o sconvolto, chissà, non glielo aveva mai detto, mentre lui sarebbe scappato e poi l’avrebbe rivista una sola volta insieme a Lui che gli prometteva la felicità e avrebbe deciso di non accettarla, quella felicità, non a quel prezzo; ripensando a quel giorno, in cui ancora ogni cosa era possibile e anzi di più, reale, tangibile, assieme alla purezza di quella luce riflessa dai capelli di lei che gli prometteva la vita, ecco, ripensando a quel giorno, l’uomo capisce cosa sia il dolore.
 
 
E poi le aveva lasciato una lettera d’amore, che cominciava con Caro amore mio… e lei l’aveva guardato stupita e un po’ preoccupata e un po’ lusingata, perché nessuno scriveva più a mano, ed era illegale farlo.
E lui, con un sorriso da pirata, da uomo vissuto, le aveva detto che solo così si mette davvero il cuore sopra un foglio.
 
Ieri
 
 
L’uomo dai capelli rossi, che non conosceva niente,
che aveva visto troppo,
solo,
con in mano un fascio di fogli.
Un luogo qualunque del mondo conosciuto.
Non ha più forza
né desiderio
di stupirsi.
 
L’uomo non sa più cosa fare. Quelle pagine scritte gli scottano le mani, ma non crede più. Le sue mani sono tutto quello che lui solo controlla. Desidera un Dio da pregare.
Forse domani creerà uno scandalo. Forse per questo morirà.
Forse domani consegnerà tutto all’uomo calvo, che appare sempre dal nulla. Potrà essere felice, se la gabbia è abbastanza grande. Se la coscienza è abbastanza elastica.
 
Si domanda se
ricominciare a vivere
sia lecito.
 
Osserva il cielo, senza passione.
 
 
“Io non sono qui.”
 
 
 

 

  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: sacrogral