Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ray Wings    08/08/2021    2 recensioni
Il boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile. Poi quel pupazzo, stretto tra le mani di sua sorella Rose, che saltava via. Scivolato a terra. Lei era stupidamente tornata indietro per riprenderlo, e allora l'aveva visto... imponente, massiccio, corazzato. Il gigante correva, distruggendo tutto ciò che incontrava, puntando dritto al Wall Maria, puntando dritto a lei, immobile. Paralizzata. Aveva ascoltato il suo ruggito un istante prima che venisse schiacciata... ma non lo faceva mai. Non in quell'incubo. Lei puntualmente si svegliava un istante prima di morire, madida di sudore, tremante come una foglia.
«Bea...».
«Mikasa... scusami, ti ho svegliata».
«Hai di nuovo sognato Shiganshina?»
«Era da un po' che non lo facevo».
«Reiner ti sta stancando troppo con questa storia degli allenamenti extra. Domani gli parlerò, deve lasciarti in pace».
Già, Reiner ci teneva così tanto che lei diventasse più forte... chissà perché l'aveva presa così a cuore.
ALLERTA SPOILER PER CHI NON HA LETTO IL MANGA! Io ho avvertito :P
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Jean spalancò la porta della cucina con tale furia che questa sbatté contro la credenza a fianco e fece tintinnare tutti i bicchieri.
«Ho trovato!» urlò, senza neanche guardare chi ci fosse dentro quella cucina. 
Beatris, appoggiata a un bancone, sussultò dallo spavento e urtò una pila di pentole, bicchieri, padelle e piatti che erano state messe l'una sopra l'altra a formare una torre. Una posizione insolita, che ne causò il crollo definitivo non appena lei lo toccò, nello spavento. Cercò di salvare il possibile, si dimenò come un pesce fuor d'acqua, afferrò un bicchiere, tirò per sbaglio un calcio a una padella, provò a prendere una pentola, ma perse infine l'equilibrio e il resto delle cose finì col caderle addirittura addosso. 
Dall'altro lato della cucina, Sasha, Connie e Reiner alzarono solamente gli occhi per controllare cosa fosse appena successo, ma non intervennero per salvare l'amica dalla disgrazia. Si assicurarono dalla loro posizione che fosse tutto a posto, e appurata la sanità di Beatris tornarono a cucinare, troppo immersi e impegnati per preoccuparsi d'altro. Armin, di fianco a Beatris, sussultò e le si inginocchiò vicino. Le tolse una pentola da sopra la testa che le copriva il volto e le chiese, spaventato: «Stai bene?»
«Mi hai fatto prendere un colpo, Jean!» rimproverò questa, puntando un dito contro il ragazzo sul ciglio della porta.
«Che stavi combinando?!» chiese Jean, guardando ciò che restava della torre di stoviglie e pentole. 
«Mi annoiavo! Ti stavamo aspettando» gli ruggì contro, arrabbiata con lui come fosse stata colpa sua. Armin si alzò in piedi e cominciò a sistemare silenzioso, e da solo, tutto il disastro che era appena stato causato.
«Potevi evitare di usare anche la ceramica, però» sospirò, prendendo una scopa e iniziando a spazzare via i cocci da terra. Ma Beatris nemmeno lo ascoltò, troppo impegnata ora a litigare con Jean. Passava da un insulto a un altro senza alcuna logica, accusandolo di qualsiasi cosa le passasse per la testa. Probabilmente c'era qualcosa nel sangue della famiglia di Eren che li portava a non andare d'accordo con Jean, sembrava così assurdamente simile a lui ora. E proseguirono, rumorosi, come due bambini, fino a quando non intervenne Connie, dall'altro lato della cucina.
«Smettetela voi due, qui stiamo cercando di lavorare!» gridò, infastidito.
Il bisticcio tra Beatris e Jean era così senza senso e così superficiale, che bastò veramente quel misero rimprovero a zittirli. 
«Ho trovato cosa cucinare» disse Jean, tornando improvvisamente sereno. «Sul serio?!» chiese Beatris, assurdamente anche lei più serena, anzi addirittura entusiasta. Jean annuì, deciso, e poggiò un cartone di uova sul banco con determinazione, mostrandole così a Beatris e Armin. Non disse niente, aspettò la loro reazione, che non tardò ad arrivare.
Confusi, ma curiosi: «Un pasticcio?» chiese Armin.
«Una torta?»
«Forse qualche ricetta particolare con le uova? Un modo nuovo di cucinarle?» ipotizzò Armin, guardando Jean che con orgoglio negava tutte quelle proposte. E infine disse: «Faremo un’omelette». 
Nessuna reazione. Da parte dei due compagni non vi fu alcuna reazione, alcuna parola, se non uno sguardo vacuo colmo di confusione. Persino gli avversari, dall'altro lato della cucina, si fermarono per un istante a guardare Jean sorpresi. Era forse impazzito?
«Jean, perché hai deciso di perdere?» gli chiese infine Beatris, sconsolata.
«Non voglio perdere!» ringhiò lui e strinse un pugno, determinato. «Fidatevi di me! Vinceremo con questo piatto!»
«Loro però hanno della carne...» mormorò Armin, preoccupato.
«Bea!» chiamò Jean e lei si drizzò come un soldatino. «Hai detto che volevi aiutarmi, giusto?!»
«Sì!» rispose, come avrebbe risposto a un capitano.
«E allora aiutami a rendere questo semplice piatto indimenticabile!»
«Possiamo farlo?» chiese Armin, improvvisamente interessato.
«Non sono gli ingredienti a fare la differenza, non lo capite?» Jean iniziò ad animarsi, a riempirsi d'eccitazione, come se si fosse trovato di fronte a un esame o, ancora peggio, a un'intera orda di giganti e fosse lì a dover motivare i propri soldati. Strinse i pugni, puntò gli occhi in quelli dei due compagni e irrigidì le spalle. «È facile essere i più forti della squadra quando si ha una prestanza fisica robusta per natura» e indicò Reiner, intento a girare delle verdure all'interno di una padella. Questo si voltò a guardarli, sorpreso di sentirsi preso in causa. «È facile essere i più forti quando ce l'hai nel sangue, il migliore quando sei nato con una predisposizione innata, è facile essere buoni cacciatori quando sei nata tra i lupi».
«Ehy» lamentò Sasha, sentendo che quel commento in particolare era rivolto a lei. «O essere considerato imprevedibile quando sei scemo dalla nascita».
«Dacci un taglio, Jean!» ringhiò Connie, capendo per chissà quale connessione che quello invece era rivolto a lui. «È facile quando nasci già perfetto, non c'è alcuna sfida, nessun tipo di competizione. Ma noi... ragazzi, noi siamo polvere! Veniamo dalla miseria, siamo nati senza nessuna dote particolare, ed è per questo che saremo fantastici più di chiunque altro perché la nostra forza ce la siamo guadagnata!»
«Ma non stava parlando delle uova?» mormorò Reiner, alzando un sopracciglio. 
«I nostri successi saranno più incredibili di chiunque altro perché noi, solo noi, possiamo dire di avercela davvero messa tutta!» continuò Jean, sempre più infervorato. «Ragazzi! Noi siamo quelle uova, riuscite a capirlo? Spetta a noi e a nessun altro renderle uniche e perciò migliori di qualsiasi filetto di carne che esista al mondo! Siete con me?!»
«Daremo il massimo, Jean!» quasi gridò Armin, battendosi addirittura un pugno al petto in segno di saluto militare. 
«Quel ragazzo ha delle doti da leader da non sottovalutare» commentò Reiner, guardando sorpreso come fosse riuscito a far emozionare entrambi con così poco. In fondo, erano solo uova... 
«Bea!» scattò Jean e  le mise entrambe le mani sulle spalle, guardandola dritta negli occhi. Non aveva ancora detto niente, ma riusciva a leggerle nelle pupille che aveva fatto centro. Il suo discorso era riuscito ad emozionarla abbastanza, ora doveva solo darle la carica giusta. «Ti fidi di me?» e le sorrise, riuscendo a infonderle una sicurezza incredibile. Beatris restò come paralizzata per qualche secondo, senza riuscire neanche a battere le palpebre, a fissarlo con lo sguardo che le brillava dall'emozione. Talmente rapita, da tenere le labbra dischiuse e non essere nemmeno in grado di chiuderle. Lei era solo un uovo. Come aveva fatto a non pensarci mai prima? Sarebbe diventata l'omelette perfetta.
«Sì» mormorò infine, come rapita in un incanto. «Mi fido di te, Jean».
«Reiner!» urlò improvvisamente Sasha, allarmata. «La salsa! La stai bruciando!»
Reiner urlò allarmato e d'istinto prese la padella per toglierla dal fuoco, ma la prese troppo vicina al bordo, senza usare le presine, troppo spaventato per il danno da riuscire a ragiornarci su. La sollevò dal fuoco, ma si ustionò e lasciò cadere infine la padella a terra rovesciandone tutto il contenuto. 
Sasha lanciò un grido allarmato, si portò le mani ai capelli e guardò il disastro a terra. «La mia salsa!» disse, ormai in lacrime. «Oh no, che disastro» si disperò Connie, al suo fianco, mentre Reiner in preda alla confusione si teneva la mano ustionata stretta nell'altra.
«Mettila sotto l'acqua fredda!» disse Beatris, improvvisamente vicino a lui. Gli comparve alle spalle e lo spinse vicino al lavandino, trascinando la mano sotto il getto dell'acqua. Alle loro spalle Armin fiancheggiò Sasha, inginocchiata a terra, e le accarezzò affettuosamente la schiena mentre questa singhiozzava davanti alla sua salsa rovesciata.
«Avete tempo, ne preparerete dell'altra» provò a consolarla. Jean arrivò pochi istanti dopo, con due stracci e un secchio pieno d'acqua. Ne passò uno a Connie e prese lui per primo a chinarsi per iniziare a pulire. «Non sarà certo una cosa del genere a distruggere la competizione» disse, prima di puntare lo straccio pieno di salsa a Sasha e dirle: «Ricominciate a capo! Preparate la salsa migliore che sapete fare, batterò qualsiasi cosa! Anche la più fantastica!»
«Non abbiamo più prezzemolo, né carote!» esclamò Connie, rovistando nella busta dove avevano messo tutti gli ingredienti. E Sasha urlò, più disperata che mai. 
«Avevate comprato gli ingredienti contati?!» sussultò Armin, sorpreso. 
«Li abbiamo usati tutti per rendere la salsa più gustosa che mai».
«Potremmo dargliene un po' dei nostri, Jean ne ha comprati molti» propose Beatris, tenendo ancora la mano di Reiner sotto il getto d'acqua fredda. Jean la fulminò, furioso, e disse: «Non se ne parla!» 
E Sasha urlò ancora più forte, in preda alla disperazione.
«Mi... Mi dispiace» balbettò Reiner, che fino a quel momento era rimasto come paralizzato. Lo sguardo truce, lacerato dai sensi di colpa, e soprattutto da una profonda vergogna. Si era lasciato distrarre dai discorsi di Jean, e soprattutto quando aveva visto lui e Beatris in atteggiamenti così intimi. Inizialmente curioso, si era chiesto quando quei due fossero diventati amici, ma poi qualcos'altro aveva iniziato a muoversi nel suo stomaco, l'aveva fatto irrigidire, e non era riuscito a schiodare lo sguardo da quei due. Era stato stupido, il suo nervoso ingiustificato l'aveva portato a quel disastro. 
«A che ti serve tutta quella roba, dobbiamo preparare solo un'omelette?» insisté Beatris e Jean rispose deciso: «Non è solo un'omelette! È l'omelette! L'omelette suprema! Si chiamerà l'omelette corazzata!»
Reiner ebbe un sussulto e d'istinto tolse la mano da sotto al getto dell'acqua fredda, per ritrarsi, per indietreggiare, improvvisamente allarmato. Ma Beatris gliel'afferrò, contrariata, e la riportò al suo posto, senza chiedersi il motivo di un tale allarme. 
«Ma che stai dicendo?! Che razza di nome sarebbe?» continuò a ruggire contro Jean.
«È la mia omelette, Beatris! Sarà l'omelette che risveglierà i sensi, dal guscio croccante e il cuore morbido, sarà l'omelette che mi riscatterà! Trasmetterò il mio saper essere empatico attraverso quel piatto, dimostrerò di essere migliore di chiunque altro con la mia omelette corazzata!» era puro delirio per chiunque non fosse Beatris, ma anche per lei in realtà fu non proprio del tutto chiara. 
«Ma... di che state parlando?» provò a balbettare Reiner, più nervoso che mai. 
«Voi mi credete empatico quanto il gigante corazzato, non è così?» chiese Jean, corrucciato.
«Non... sappiamo se... come fate a dire che il corazzato...» balbettò ancora Reiner, ma non riuscì neanche a formulare un pensiero. Parlavano del corazzato come se lo conoscessero, come se sapessero la verità. Si sentì in pericolo, iniziò persino a sudare freddo. 
«Ma che stai sparando?!» ruggì Connie. «Il corazzato è un dannato gigante, come fa ad avere emozioni, spiegamelo?!»
«Esattamente! Beatris ha detto che ho l'empatia del gigante corazzato, e io dimostrerò che non è vero con la mia omelette corazzata dal cuore tenero!» rispose Jean euforico, per poi tornare a dannarsi con: «Argh! Vi ho svelato fin troppo!»
Ma a quel punto nemmeno Beatris lo ascoltava più. Tenendo fermo il polso di Reiner, per tenergli la mano sotto l'acqua, aveva iniziato a sentirlo tremare. C'era qualcosa che non andava. Stava fissando un punto in silenzio, come vuoto, vacuo, con mascella e muscoli tesi e la pelle della fronte aveva cominciato a inumidirsi appena di sudore. Lasciò Connie e Jean dietro di lei bisticciare sulla teoria del corazzato empatico, con Connie che non riusciva a comprendere quella metafora che invece per Jean era a dir poco perfetta, ma si concentrò su Reiner al suo fianco. Gli si accostò di più, così da riuscire a parlargli senza dare troppo nell'occhio, e mormorò semplicemente: «Reiner».
Reiner sobbalzò come se fosse appena stato toccato da uno spettro, tanto forte che persino Beatris si spaventò. Si sporse poi in avanti, cercando preoccupata il suo sguardo. Era pallido, madido di sudore, c'era ovviamente qualcosa che non andava. Allungò una mano verso il suo volto, intenzionata a scostargli dagli occhi una ciocca di capelli per riuscire a vederlo meglio e provare inoltre a toccargli la fronte, chiedendosi se non gli stesse salendo la febbre o qualche tipo di malanno. «Stai bene?» gli chiese preoccupata, nel gesto, ma Reiner con una rapidità inaspettata tirò via la mano ustionata dalla sua presa, indietreggiò e scacciò via con l'altro braccio la mano che Beatris aveva provato ad allungare verso il suo volto.
«Sto bene» disse, glaciale come l'inverno. Si voltò, prese uno straccio da sopra il mobile e lo usò per avvolgersi la mano ferita. Una reazione non solo inaspettata, ma del tutto nuova. Mai l'aveva trattata con tale freddezza, nemmeno quando si erano conosciuti. La preoccupazione di Beatris salì alle stelle, rapida come un razzo, e non solo ignorò il continuo blaterare tra Jean, Armin, Connie e Sasha alle sue spalle, ma iniziò persino a trovarlo fastidioso. 
«Reiner, che ti prende?» gli chiese, allarmata, e provò ancora ad avvicinarsi. Gli poggiò una mano sulla spalla, chiedendogli con quel gesto di voltarsi e guardarla, ma sentì i suoi muscoli irrigidirsi ancora di più al tocco. Reiner si voltò di scatto, le colpì la mano così da scacciarla e le ringhiò, contro, improvvisamente furioso: «Insomma, la smetti di gironzolarmi sempre attorno?!» Il resto dei loro compagni si zittì improvvisamente. «Lasciami in pace, ogni tanto, Beatris!»
Neanche un'ora prima lei aveva realizzato quanto amasse essere chiamata Tris solo da Reiner, tanto da essere gelosa di quel nomignolo, tanto da voler impedire a chiunque altro di usarlo, e ora lui non solo la trattava improvvisamente come una nemica ma aveva anche scelto di smettere di usarlo. Beatris restò come paralizzata. Si portò la mano colpita al petto, se la strinse tra le dita dell'altra mano, e restò lì, pallida, a fissarlo in silenzio mentre lui la guardava come se avesse avuto davanti un demone. L'aveva colpita forte, Beatris sentiva le dita pulsare, non era stato solo un gesto. Sembrava che improvvisamente qualcosa in Reiner gli avesse detto che doveva non solo allontanarla, ma attaccarla... come se fossero improvvisamente nemici. 
E lo sguardo che le stava rivolgendo in quel momento pareva confermare quella teoria. Da dove aveva tirato fuori tutto quell'odio, all'improvviso? Mai, prima di allora, l'aveva visto in quelle condizioni.
Reiner si voltò, si strinse la mano ferita nello straccio, e si allontanò a passi pesanti, diretto alla porta. «Vado in infermeria» comunicò.
«Ehy!» Connie saltò in piedi, prima che Reiner potesse uscire. «Che diamine ti è preso? Sei impazzito?»
Ma Reiner lo ignorò e se ne andò. 
Camminò a passo spedito lungo i corridoi del centro d'addestramento, ma non si diresse in infermeria. Si allontanò, non seppe bene nemmeno lui dove era diretto, ma voleva andare il più lontano possibile da lì. Uscì fuori, si allontanò lungo la via, per le strade, e senza accorgersene si ritrovò nella stessa foresta dove avevano cacciato il cinghiale quel pomeriggio. Ormai era sera inoltrata, presto avrebbe fatto buio, ma non gli importava. Aveva bisogno di allontanarsi da tutto, il più velocemente possibile. Tutto quello era decisamente troppo per lui. Si era autoproclamato a capo della spedizione contro Paradis quando Marcel era morto, si era sentito in grado, voleva essere in grado di farlo e si era rafforzato nel corpo e nella mente per anni per riuscirci. Era diventato sempre più una macchina da guerra, ma in tutto quello c'era stata una falla, che era diventata enorme prima che potesse accorgersene. No, in realtà non era così, in realtà se n'era accorto subito, semplicemente aveva deciso di ignorarla. Era partita da Beatris, ma presto si era allargata anche a tutto il resto dei ragazzi lì dentro. Connie, Sasha, Armin, Marco e Jean... e poi Eren, Mikasa, persino Ymir, Christa... nessuno escluso. Aveva iniziato a provare dei veri sentimenti per tutti loro, senza proteggersi, credendosi forte abbastanza da potersene poi liberare con una scrollata di spalle. Non sapeva quando fosse successo, non sapeva come fosse iniziato, aveva creduto di avere il controllo fino all'ultimo. Si era sentito forte abbastanza fino all'ultimo, fino a quando ormai non era stato più nemmeno in grado di rialzarsi, schiacciato dal suo stesso gigante corazzato come in quegli incubi che ogni tanto lo tormentavano. Aveva creduto di essere forte abbastanza, ma si era sbagliato. Si era affezionato, si era affezionato profondamente a tutti loro, e aveva provato gioia, tristezza, euforia, rabbia, e molto altro ancora. Emozioni, sentimenti, ricordi che per sempre lo avrebbero tormentato perché lui lì stava cominciando a starci veramente bene. A sentirsi a casa. Lui lì era in pace... e ingannando se stesso, vi si era crogiolato dentro, a quel benessere, convinto che non avrebbe poi potuto nuocerlo se ne fosse approfittato solo un po'. Ci era annegato dentro, ed era stato comunque così bello e piacevole che non gli era importato. Troppo concentrato sul presente, aveva dimenticato il passato e cercava di non pensare al futuro, solo godersi quei meravigliosi momenti insieme. Ma non poteva dimenticare, non avrebbe mai potuto.
Lui era il gigante corazzato.
E loro, tutti loro, compresa Beatris... lo odiavano. 
Si accasciò vicino a un albero, accecato da una fitta alla testa intollerabile. Si portò una mano alle tempie e si strinse tanto che quasi si fece male. Quando cominciò a riprendersi spostò la mano da davanti agli occhi e vide che ancora era coperta dallo straccio rubato dalla cucina del centro. Se lo tolse appena in tempo per vedere l'ultimo accenno del rossore dell'ustione svanire, emettendo un lieve vapore. Il potere del gigante aveva appena finito di guarirlo e di ricordargli di quale tremendo fardello e maledizione fosse portatore. Poteva ingannare se stesso, convincersi che poteva stare lì dentro come niente fosse, provando emozioni, affezionandosi a loro, ma non avrebbe mai potuto cancellare la verità. Lui era quel gigante, lo sarebbe stato per altri dieci anni, che l'avesse voluto o meno. Se solo non fosse nato a Marley...
Un peso gli cadde pesantemente sulle spalle, spingendolo in avanti, facendogli quasi male. Si lamentò, cercò di tirarsi su, e riuscì solo in quel momento a riconoscere nel peso che gli era atterrato sulla schiena un corpo. Delle braccia gli cinsero il collo delicatamente e un volto si affacciò oltre la sua spalla.
«Ti ho preso, Reiner» mormorò Beatris vicino al suo orecchio, allegra, come se niente fosse appena successo. Un contatto che per un istante gli fece battere il cuore più del dovuto. E l'odiò.
«Tris...» balbettò Reiner, ricoprendosi rapidamente la mano prima che lei avesse potuto vederla. «Cosa... mi hai seguito?»
«Hai il passo bello spedito, non è stato facile» sospirò lei, lasciandolo andare e mettendosi a sedere al suo fianco. «Come stai?» gli chiese poi.
«Dovrei... essere io a chiederlo a te» mormorò lui, confuso per la reazione di Beatris, ma soprattutto rammaricato. Lei l'aveva guardato con uno sguardo che mai le aveva visto in volto, una tristezza profonda che non avrebbe mai voluto vederle addosso. Solo ripensarci gli faceva attorcigliare le budella nello stomaco. Beatris sospirò e puntò lo sguardo triste alla punta dei propri piedi, ma aspettò un po' a rispondere, pensierosa. «Mi dispiace non essermene accorta prima...» disse infine e Reiner ebbe un altro fremito. Accorgersi di cosa? Lo aveva scoperto? Sentì di nuovo la paura accecarlo, ma ciò che più lo fece innervosire fu rendersi conto che quella era paura di perdere ogni cosa lì dentro, paura di far finire quell'incredibile sogno, invece che paura di fallire la propria missione. Aveva seriamente iniziato a voltare le spalle a Marley?
«Tutte le volte che abbiamo accennato al gigante corazzato hai sempre reagito molto male, non gli ho mai dato peso ma avrei dovuto» mormorò e Reiner iniziò a tremare come una foglia. Di nuovo una fitta alla testa sembrò squarciargli l'anima. Indietreggiò appena col busto, provò a trascinarsi via, e balbettò: «Tris... ascoltami, per favore...» ma non ebbe la forza mentale di proseguire. Cosa avrebbe mai potuto dirle? In che modo avrebbe potuto uscire da quell'orrenda situazione? Ormai aveva perduto ogni cosa, ormai aveva fallito, forse avevano addirittura già dato l'allarme e Bertholdt e Annie erano già stati presi. E la colpa era solo sua. 
«Reiner, io posso capire la tua paura» gli disse Beatris, voltandosi e poggiandogli una mano su un ginocchio. «E la tua rabbia. Posso comprenderla e condividerla».
«Comprendere...?» mormorò Reiner, in preda alla confusione. Che non stessero parlando della stessa cosa? Che avesse frainteso?
«Anche io mi agito molto quando si parla del gigante corazzato, per questo mi odio per non averlo visto prima. Provavamo esattamente le stesse cose, ma non ti ho mai dato peso. Mi dispiace, Reiner. Lo dirò anche agli altri, non parleremo mai più di lui. Ma se mai un giorno ti sentissi scoppiare e sentissi il bisogno di sfogare tutta quella tua rabbia, puoi contare su di me» gli sorrise, dolce come solo lei sembrava essere in grado di fare. «Fidati, so cosa significhi perdere ogni cosa per colpa sua. Io condivido il tuo stesso dolore».
Una fitta lacerò il petto di Reiner, tanto potente, tanto violenta che per un lungo istante gli tolse la coscienza di sé. E senza accorgersene tornò a tremare e sudare, in preda alla follia. I muscoli tanto tesi che iniziarono a fargli un gran male, ogni cosa era doloroso, ogni cosa lo portava lentamente verso la pazzia. Si sentiva come affogare, come morire. 
«È stato lui... a...» balbettò, ma non riuscì a proseguire a causa di una morsa al collo che gli tolse non solo la parola ma proprio la capacità di respirare. Beatris annuì e lo sguardo che teneva fisso ai propri piedi si riempì di un dolore intenso, insostenibile, ma di cui si fece carico e forza per poter condividere tutto quello con Reiner. Sapeva, pensava, che se fosse stata forte abbastanza da parlarne, allora anche lui si sarebbe sentito più leggero perché meno solo in tutto quel mare di follia. Ma si sbagliava, quanto si sbagliava! 
Non poteva saperlo... che tutto quello avrebbe solo cancellato ciò che restava del guerriero marleyano, rendendo Reiner ancora più vittima della sua follia. 
«Quando il gigante corazzato è corso lungo la via centrale per raggiungere il Wall Maria, ha sfondato tutto ciò che trovava. Tra quelle case, c'era anche la mia. Mio padre si trovava ancora all'interno, ci aveva mandate via, me, mia madre e mia sorella, per raggiungere la barca che ci avrebbe portato in salvo dentro le mura, ma lui si era trattenuto per cercare di portare via quanti più medicinali possibili. Era un farmacista, lavorava spesso con il padre di Eren, e sapeva che una volta al sicuro ci sarebbe stato bisogno del suo aiuto. Ci disse che sarebbe passato poi a prendere Carla, la madre di Eren, e ci avrebbe raggiunti, ma una volta in strada abbiamo visto il corazzato travolgere casa nostra. Sono certa che papà fosse ancora dentro, lo avevamo lasciato da poco, e dopo non sono più riuscita a ritrovarlo. Non l'ho visto morire con i miei occhi, ma non può essere sopravvissuto... anche perché altrimenti ci avrebbe cercate, una volta al sicuro. Invece non l'ho più visto» si fermò per qualche secondo, prendendo un paio di boccate d'aria, cercando di alleviare il dolore al petto che la stava inghiottendo nel dover ricordare e raccontare quei particolari. Non si sarebbe aspettata alcuna risposta di Reiner, probabilmente la cosa faceva male anche a lui, che da come aveva falsamente intuito aveva vissuto qualche tragedia simile alla sua. Ma si voltò comunque a guardarlo, chiedendosi come stesse, e lo trovò ancora paralizzato. Immobile, se non per l'intenso tremore che ancora lo scuoteva da capo a piedi. Sospirò, in cerca di coraggio, e proseguì. «Noi ci trovavamo su quella stessa via, qualche metro più avanti, ma dopo aver sentito il fragore ci siamo voltate a guardare cosa stesse accadendo. Abbiamo visto casa nostra andare in pezzi e il gigante corazzato che correva nella nostra direzione, puntando il Wall Maria alle nostre spalle. Mia madre aveva in braccio Rose e io correvo al suo fianco, aggrappata al suo vestito. Siamo scappate in una via perpendicolare, mamma è riuscita a trascinarmi via, ma nella foga Rose si è fatta sfuggire di mano il suo coniglietto di peluche, Kitty. Sapevo quanto significava per lei, e al tempo ero solo una bambina che poco capiva cos'era il pericolo, perciò sono tornata indietro per riprenderlo, per terra, su quella via che stava andando in pezzi metro dopo metro. Non mi sono mai chinata a raccogliere il pupazzo, ho guardato il gigante che mi correva incontro, e lì sono rimasta...» un sorriso sarcastico le storpiò per un istante il viso. Quello era il suo difetto più grande, Reiner stesso glielo aveva fatto notare, ed era la verità. Era tutto nato quel giorno. «Mi sono paralizzata. Di fronte al terrore, mi sono paralizzata… come sempre» ebbe un fremito e si chiuse per un attimo in se stessa, pronta a nascondere il volto tra le ginocchia. Ma si fermò. Fece un altro sospiro profondo e cercò di distendersi. «Ho ancora nei miei incubi quel mostro che mi corre incontro, a passi pesanti, schiacciando e sfondando tutto ciò che incontra».
L'incubo che in quegli anni aveva tormentato Reiner, scoprì in quel momento non essere il suo. Era l'incubo di Beatris. Lui tutte le notti sognava di essere lei, e si vedeva mentre furioso gli correva incontro, pronto a schiacciarla. Non si chiese nemmeno come facesse a conoscere quel particolare, perché in un improvviso flashback riuscì a ricordarlo. E nemmeno ascoltò il resto del racconto di Beatris, avendolo finalmente ben chiaro in testa.
Ecco cosa il suo cervello aveva provato a dirgli, quando aveva visto Beatris la prima volta nella cattedrale: quella bambina lui l'aveva già vista. Si era incuriosito tanto a lei, si era sentito attratto, l'aveva seguita con lo sguardo perché lui l'aveva già vista. E si era da sempre sentito responsabile per lei, come se le dovesse qualcosa, come se fosse sua responsabilità... e lo era davvero. Era tutta colpa sua, e solo ora lo ricordava. Nel caos di Shiganshina, stremato dal viaggio, mentre lui stesso cercava di scappare dai titani che cercavano di mangiarlo, con Annie e Bertholdt protetti dentro le proprie mani, il suo sguardo si era puntato improvvisamente su quel punto. Davanti ai suoi piedi, unica figura immobile mentre il resto delle persone si disperdeva come uno sciame, lei era rimasta lì. Vestita di una vestaglia logora, la stessa della cattedrale, con un pupazzo abbandonato ai propri piedi. L'aveva guardato con lo sguardo vacuo, terrorizzato, e solo ora si accorse che era lo stesso identico sguardo che lei gli aveva rivolto poco prima nella cucina. Un terrore in grado di paralizzarla, un terrore che la inghiottiva completamente. Non c'era stato che caos, quel giorno, aveva ucciso centinaia di persone e nemmeno se n'era accorto troppo concentrato a correre e lottare con la fatica. Ma lei l'aveva vista. E le aveva pregato di scappare... 
Spostati, stupida!
Aveva urlato, ma ovviamente il suo titano non poteva ripetere ciò che lui diceva, non sapeva parlare, e quella frase disperata si era tradotta in un ruggito che probabilmente aveva solo peggiorato la sua paura. Non poteva fermarsi, non l'avrebbe fatto, e non poteva nemmeno preoccuparsi di provare a schivarla o avrebbe perso lo slancio della corsa. E lei era rimasta lì, immobile, a guardarlo come avrebbe guardato il peggiore dei mostri. Reiner aveva chiuso gli occhi e aveva continuato a correre, costringendosi a non preoccuparsene. Aveva percepito il corpo che veniva schiacciato sotto al piede, l'aveva sentito chiaramente, più di qualsiasi altro corpo, ed era stata una sensazione orribile. Era stato convinto di averla uccisa e probabilmente per quel motivo il suo cervello aveva cancellato quel ricordo, dicendogli di aggiungere quella vittima alla lista delle vittime di cui si sarebbe dovuto fare carico. Un volto ignoto in mezzo a mille altri volti ignoti, l’aveva rimossa per difendere se stesso dalla follia. Quando l'aveva rivista nella cattedrale probabilmente una parte remota del suo cervello l'aveva riconosciuta, ma con la convinzione di averla uccisa non era riuscito a ricollegarla a quella bambina, a ricordarsene. Anche perché lo sguardo che aveva avuto Beatris in quela cattedrale era decisamente diverso da quello che aveva avuto a Shiganshina. Ma il suo istinto aveva stimolato tutte le emozioni e i sensi di colpa che avrebbe dovuto stimolare, così lui era rimasto rapito da lei, curioso, senza saperne il perché. Senza sapere che il suo cuore aveva silenziosamente iniziato a sperare di avere un modo per potersi redimere, proteggendo quella ragazzina, come se fosse stata mandata lì apposta per lui, per dargli un’opportunità. Tutte quelle morti erano troppe da sostenere per un bambino, indipendentemente dall’addestramento ricevuto, indipendentemente dalla sua ideologia e convinzione. Proteggere Beatris lo faceva sentire meglio… e ora cominciò a capire il perché. Lui le stava chiedendo perdono.
«Mi avrebbe preso» sentì raccontare Beatris. «Se mia madre non fosse uscita all'ultimo dal viottolo dove era scappata. Mi ha presa per un braccio ed è riuscita a lanciare via sia me che mia sorella, un istante prima che quel mostro la schiacciasse nella sua corsa. Ho... visto chiaramente mia madre mentre...» tremò ancora e questa volta faticò a trattenere una lacrima, che si affrettò a cacciar via, ripulirsi. Sfoderò la sua arma migliore, quel sorriso falso quanto delicato che tanto la faceva sembrare un angelo ma che serviva a nascondere il proprio dolore. «Il piede del gigante corazzato mi ha sfiorato, prendendo invece mia madre, e nel passare ha travolto altre case e provocato altre macerie. È così che mia sorella è rimasta ferita, le è caduta addosso una grata di ferro che le ha lacerato una gamba. Pochi istanti dopo è arrivato un membro della guarnigione a raccoglierci, ci ha portate via e ci ha fatte arrivare sane e salve fino a qui, a Trost. Dopodiché, poche settimane dopo, anche Rose è morta a causa dell'infezione e io... io...» iniziò a tremare. «Non ho potuto... per colpa mia, prima mia madre, poi...» deglutì e scosse la testa, frustrata. Era riuscita a essere forte, a raccontare tutto con tranquillità fino a quel momento. Erano passati anni, sapeva di averla superata, aveva superato quel terrore e quel senso di impotenza, era riuscita a ritrovare la forza e il desiderio di continuare a vivere, una motivazione. Era riuscita a tornare a vivere grazie a Reiner, poteva farcela, poteva confessare quel crimine. 
«Sono morte perché non sono stata in grado di proteggerle. Ho sempre pensato che sarebbe stato meglio se fossi morta io, invece che mia madre, perché così avrebbe saputo curare Rose e allora almeno loro sarebbero sopravvissute. Così invece non sono che rimasta io, sola con i miei sensi di colpa... e fino a l'anno scorso era convinta di non avere nessuna motivazione per continuare a restare qui, che non mi restasse niente, perché anche Mikasa, Eren e Armin si sarebbero fatti uccidere volontariamente da quei mostri unendosi al corpo di ricerca. E io sarei rimasta ancora una volta a guardare, paralizzata dalla paura. Ho pensato che dovevo reagire, che dovevo prendere il loro posto, come avrei dovuto fare con mia madre, e ho iniziato a camminare volontariamente verso la mia distruzione. A rincorrere il modo più giusto per uccidermi. Ma poi tu...» e si voltò finalmente a guardarlo, sorridendogli solare, pronta a rivelargli quanto lui fosse stato importante per lei, ma si paralizzò. Reiner, immobile come una statua, con una mano a coprirgli occhi, stava piangendo silenzioso. Per quanto si sforzasse di premere la mano sugli occhi, non poté fare niente per impedire alle lacrime di lavargli completamente il viso. Serrava i denti, strozzava i singhiozzi, ma non poteva impedirsi di tremare tanto che l'altra mano, serrata tra i capelli, per poco non pareva che potesse strappaglieli. 
Beatris si spinse vicino a lui e riuscì a mettergli una mano sulla spalla, in segno d'affetto.
«Immagino che la tua storia non sia molto diversa dalla mia» mormorò, interpretando erroneamente quella reazione. «Non voglio che me la racconti per forza, ma vorrei che sapessi che posso offrirti la mia spalla per piangere tutte le volte che vuoi. Così come... tu hai fatto con me. Tante volte». 
Attese un qualche tipo di reazione, ma non ce ne fu alcuna. Solo altre lacrime, tremori e singhiozzi strozzati... e un vago mormorio, che solo dopo un po' riuscì a distinguere: «Mi dispiace».
«Reiner» mormorò Beatris, chinandosi verso di lui e poggiandogli una mano sulla guancia umida di lacrime. «Non mi importa quale dolore e quale rabbia tu ti possa ritrovare a esprimere, anche se come è successo prima finisco con l'esserne colpita io. Non  devi preoccuparti, lo so che non vuoi davvero ferirmi. Tu non lo faresti mai, ormai ti conosco. Sono venuta a cercarti, hai visto? Non mi importava di ciò che mi hai detto, non mi hai fatto niente».
«Non è vero» lo sentì quasi ringhiare. «È tutta una bugia... Tris...» 
Era davvero sul punto di confessare? Rivelarle la menzogna in cui l'aveva coinvolta fin dall'inizio, le colpe di cui si era macchiato, così da poter smettere almeno di ferirla a sua insaputa? Così da darle il rispetto che in realtà meritava.
«Io... sono un dannato bastardo...» si scosse, la voce gli morì in gola, e infine riuscì solo a dire: «Tu dovresti odiarmi».
Le aveva rovinato la vita, era tutta colpa sua, e poi, sempre mosso solo dall'egoismo, l'aveva legata a sé solo per alleviare un po' i propri sensi di colpa. L'aveva ingannata, l'aveva tradita, e mai una sola volta aveva realmente pensato a lei. Non aveva fatto altro che essere egoista, fin da subito, tenerla al proprio fianco per riuscire a sentirsi meglio senza preoccuparsi di cosa fosse realmente giusto per lei. Era proprio un bastardo. E non riusciva più a tollerarlo.
«Reiner» sospirò Beatris, ammorbidendosi nell'espressione. I sentimenti che provava per lui erano talmente intensi che non sarebbe riuscita a odiarlo nemmeno se l'avesse voluto. Non ce l'avrebbe mai fatta. «Non potrei mai odiarti» disse e in risposta, con foga, Reiner colpì nuovamente la mano di Beatris così da allontanarla da sé. Con quel gesto si tolse però la mano dal volto, scoprendo così la sua espressione e Beatris per un istante si sentì vacillare. Non era disperato, come aveva creduto... era arrabbiato. Arrabbiato come mai l'aveva visto prima. Ma non appena quello sguardo colmo di furia e follia incrociò quello di Beatris, dolci e ricolmi d'amore, Reiner si sentì crollare. Lui… possibile che lui non provasse solo rammarico? Possibile che ci fosse qualcosa nel suo petto di molto più intenso? Qualcosa di travolgente, di profondo… di simile all’amore? Per lei? Per un demone dell’isola, per la ragazza a cui aveva rovinato l’esistenza, per la persona… che era riuscita a renderlo felice, davvero, forse per la prima volta in tutta una vita? Accasciò le spalle e si corrucciò in un'espressione disperata. Come aveva potuto fare una cosa simile proprio a lei?
«Mi dispiace» singhiozzò ancora. 
E Beatris sorrise piena di dolcezza. Si sollevò in ginocchio e si voltò, così da essere perfettamente di fronte a lui, e infine gattonò vicino al suo fianco. 
«Puoi scacciarmi tutte le volte che vuoi» gli disse, amorevole. Gli avvolse le braccia intorno alla testa e Reiner provò invano a indietreggiare, ma la sua forza di volontà non era poi così forte, mentre quella di Beatris pareva indistruttibile. Lo strinse a sé, portandogli il volto al petto, poggiò una guancia tra i suoi capelli e lo abbracciò. Lo abbracciò come aveva da tempo desiderato fare, chiudendolo totalmente all'interno del suo amore. «Non smetterò mai di prenderti, Reiner» sorrise di un sorriso dolce che riuscì a trasmettere alla propria voce. Reiner poteva sfogare la sua rabbia e il suo dolore come voleva, lei sarebbe stata sempre in grado di amarlo, qualsiasi cosa avesse fatto.
«Non riuscirei mai ad odiarti. Mai, in nessuna occasione, per nessuna ragione. Sei...» lo strinse e affondò il naso tra i suoi capelli. Lo sentì ancora tremare e il pianto si sciolse in uno meno teso, più libero e perciò anche più disperato. Sentì le mani di Reiner afferrare i suoi vestiti dietro la sua schiena, stringerli tra le dita, con disperazione. La tirò a sé, forse non era ciò che avrebbe voluto fare, ma era ciò di cui aveva bisogno. Morire dentro quell'abbraccio. Forse era davvero l'unica cosa felice che avesse mai potuto avere. Si schiacciò contro il suo petto, la strinse contro il proprio volto, e tra i suoi abiti, contro la propria pelle, riversò tutto quel dolore in un pianto disperato. Forse davvero all’inizio si era legato a lei per quel latente senso di colpa di cui sentiva il bisogno di liberarsi, forse davvero all’inizio non aveva desiderato altro se non chiederle perdono, ma le cose erano cambiate… degenerate… e ciò che provava in quel momento era molto di più. E lei non lo meritava. Non meritava di amare, di essere amata, da un mostro come lui.
Sentì le labbra di Beatris sfiorargli le tempie in qualcosa di molto simile a un bacio.
«Sei tu la mia forza, Reiner». Lo sentì rabbrividire se possibile ancora di più, ebbe un tremore come se qualcuno lo avesse appena colpito alla base della colonna vertebrale con una scarica elettrica. Reiner la strinse con una forza tale che quasi le fece male, ma subito dopo allentò la presa. E smise persino di singhiozzare. Si staccò dal suo petto, ma restò comunque avvinghiato a lei, prendendosi solo lo spazio necessario per riprendere a respirare. 
«Gliela farò pagare» mormorò con la voce ancora gracchiante per lo sforzo a cui era stata sottoposta poco prima. «Al corazzato e a tutti i giganti. Gliela farò pagare cara per averti fatto questo».
«Che stai dicendo?» gli sorrise con dolcezza. «Io non desidero vendetta e non voglio che lo faccia nemmeno tu. Ti esporresti a un rischio inutile, non potrei sopportarlo».
«Non unirti alla legione esplorativa» le disse improvvisamente e alzò gli occhi, puntandoli in quelli di Beatris. Sembravano animati di un nuovo fuoco, intenso e deciso. «Non andare all'esterno».
«Io...» mormorò Beatris, riappoggiandosi sui suoi talloni. Raggiunse l'altezza del volto di Reiner, ma abbassò lo sguardo rammaricata. «Non posso farlo... Non posso lasciarli. Non posso di nuovo restare a guardare mentre le persone più importanti della mia vita vengono uccise. Questa volta devo combattere, Reiner. Mi stai allenando per questo, no?»
«Ti sto allenando perché non voglio che tu muoia».
«Beh, stai facendo un ottimo lavoro» sorrise, imbarazzata. Era ridicolo, ma quella banalità, sapere di essere qualcuno a cui lui teneva, le faceva venire il batticuore. «E poi con me ci sarà Mikasa, non mi accadrà niente di male. Sapremo proteggerci a vicenda».
«Non è abbastanza!» disse, risoluto. «Non posso lasciarti andare così... non posso restare solo a pregare di vederti tornare tutte le volte». Tirò un profondo sospiro e sembrò accasciarsi sulle sue stesse spalle. Chiuse gli occhi e si abbandonò in avanti, come se fosse sul punto di crollare. Beatris sussultò e d'istinto indietreggiò appena, arrossendo nel vedere il suo volto avvicinarsi al proprio. Si irrigidì nelle spalle e si paralizzò quando Reiner raggiunse la sua fronte, su cui appoggiò la propria. Erano così vicini, ora, che poteva sentirlo respirare contro la propria pelle. «Voglio essere io a proteggerti» mormorò, come addormentato. 
«Non farlo» sussultò Beatris, improvvisamente allarmata. Questo spinse Reiner ad aprire gli occhi, puntarli nei suoi, curioso di scoprire quali sentimenti vi fossero all'interno. E vi trovò gioia, mista a panico, mista a tante altre cose che non riusciva nemmeno a identificare. «Non unirti alla legione esplorativa solo per me».
«Voglio...» tentò di dire ma Beatris lo interruppe con un disperato: «No!» 
Gli posò una mano sul viso, gli accarezzò la guancia e tornò poi a sorridere. Era lusingata, era felice di vederlo così legato a lei tanto da rinunciare a ogni cosa, ma non glielo avrebbe mai permesso. «Reiner» gli sorrise, dolce, ma questa volta fu lui a interromperla. «Resta con me» e la fece ancora una volta sussultare. «Non... andartene. Resta con me, Tris, resta al mio fianco». 
Beatris tornò a sorridere, colma di una gioia che non avrebbe mai immaginato avrebbe potuto provare. Si sentiva completa, ora che sapeva di appartenergli, ora che non aveva più dubbi. Glielo leggeva negli occhi, lo stesso identico sentimento divampante che bruciava anche in lei. «Tu mi aspetteresti?» gli chiese con dolcezza. «Dopo il diploma io mi unirò alla legione esplorativa e tu hai sempre voluto andare nella gendarmeria. Le volte che io uscirò in esplorazione... tu davvero mi aspetteresti?»
Mancava solo un anno alla fine dell'addestramento, ormai erano quasi alla conclusione di tutto quello, il tempo era volato così velocemente. Sapeva che non avrebbe potuto godere di quella gioia per sempre, che prima o poi le loro strade si sarebbero separate, e da qualche tempo aveva iniziato a logorarsi nel tormento che una volta usciti di lì non l'avrebbe mai più rivisto. Sapere che non sarebbe andata così era qualcosa che la scaldava nel profondo. 
«Ti verrei a cercare» le rispose lui, tremando all'idea di vederla oltrepassare le mura.
«Ma non ce ne sarebbe bisogno» gli sorrise, confortante. «Reiner» e strofinando leggera il pollice contro il suo zigomo lo liberò di una lacrima che era rimasta lì da prima e non se n'era ancora andata. «Io ti prenderò sempre, te l'ho già detto. Non importa quello che succederà... tu devi solo aspettarmi, ok?»
Vide l'espressione di Reiner contrarsi nuovamente, in un nuovo dolore che faticava a tenere sotto controllo. Era difficile da credere che proprio lui, il compagno più controllato e serio del corpo cadetti, fosse in realtà così emotivo. Beatris l'aveva sempre creduto una montagna, indistruttibile. Non si era mai fatto abbattere da niente, nemmeno dagli allenamenti più duri ed estenuanti, nemmeno da quelli che portavano la mente a rompersi prima che il corpo, e l'aveva ammirato per questo. Ma ora che poteva vederlo realmente, ora che finalmente era riuscita a penetrare dentro quel guscio, riuscì a scoprire qualcosa di completamente nuovo... e meraviglioso. Si era da sempre affidata totalmente a lui e alla sua forza, si era aggrappata alle sue spalle, provando un'ammirazione tale da essere simile all'amore. I suoi batticuore, l'emozione nell'averlo vicino, erano sempre dati dalla sensazione di trovarsi di fianco a una sorta di divinità. Ma ora che poteva vederlo, fragile e reale, aggrappato ai suoi vestiti come se avesse avuto il terrore di crollare da un momento a un altro, qualcos'altro le esplose nel petto. E scoprì di sentirsi pronta a qualsiasi cosa, pur di proteggerlo. Una nuova forza, una nuova determinazione, e fu quello l'inizio della sua vera ascesa. Sarebbe diventata forte abbastanza da poter dare a Reiner sempre un paio di braccia dentro cui piangere liberamente, e sentirsi al sicuro. 
Gli accarezzò la guancia. Corrucciandosi, Reiner si schiacciò contro la sua mano, ci si strofinò contro, desideroso di averne sempre più. E lei sorrise, intenerita.
«Dopo averti trattato in quel modo... avresti dovuto lasciarmi perdere. Perché sei venuta a cercarmi? Perché sei qui adesso?» gracchiò, e sembrò che quelle domande se le ponesse davvero. Tutta quella dolcezza e quella comprensione nei suoi confronti erano qualcosa che non riusciva proprio a comprendere. La risposta di Beatris tardò ad arrivare, timorosa, ma alla fine riuscì a sussurrare: «Davvero non lo sai?»
Le voci sul loro conto, tra i compagni cadetti, erano numerose e sempre più frequenti. Non erano stupidi, le avevano sentite anche loro eppure non erano mai riusciti a smentirle. Le ignoravano e continuavano a comportarsi come sempre, a cercarsi, a stare sempre insieme, a rincorrersi in ogni occasione. Si comportavano come due innamorati, era ovvio, anche se avevano sempre fatto di tutto per ignorare l'etichetta che avrebbero dovuto dare a tutto quello. Fuggendo dall'evidenza... ma era passato più di un anno, e tutto ciò che mancava a quel rapporto era un nome. Non c'era niente che potesse smentirlo, lo sapevano, fingevano solo di no, forse per pudore, forse per proteggere loro stessi e basta. Ma era quella la verità. Il loro legame non era solo mera amicizia. Avevano messo l'uno la vita nelle mani dell'altro, vi si erano abbandonati, e lì avevano trovato il loro posto. Beatris lo amava, non c'era niente che potesse smentirlo, e lo stesso valeva per Reiner. Avevano bisogno l'uno dell'altro. E adesso lo sapevano con certezza. 
Per quanto lui avesse provato a fuggirne, a non ascoltare tutto quello... lui lo sapeva. Sapeva perfettamente perché lei era lì. E sapeva anche perché fosse così felice di questo.
Socchiuse gli occhi, ma volle continuare a guardarla, mentre lei gli si avvicinava a occhi ora serrati. Incontrò le sue labbra, ci affondò dentro, e sentì una scossa percorrerlo da capo a piedi. La mano di Beatris si spostò dietro la sua nuca, si sentì per un istante debole e terrorizzato nel percepire quel contatto proprio nel suo punto più vulnerabile, ma sentì una bizzarra fiducia nascergli nel petto. Le avrebbe sempre permesso di raggiungere la sua parte più fragile, sapeva che poteva lasciarglielo fare. Sentì le sue dita accarezzarlo e immergersi infine tra i suoi capelli. Gli fece venire i brividi lungo tutta la spina dorsale e qualcosa ustionarlo interamente. Chiuse gli occhi ed ebbe come la sensazione di prendere letteralmente fuoco. Faceva quasi male, ma era un dolore perversamente piacevole. Con un profondo sospiro, facendo tremolare l'aria che gli uscì dalle narici, si spinse in avanti e prese il volto di Beatris tra le mani. Schiuse le labbra e non si limitò a toccare quelle della ragazza, ma le intrappolò tra le proprie, le accarezzò, bramoso, come se avesse voluto divorargliele. Riaprì gli occhi e si staccò da lei, solo di pochi centimetri. La sentì prendere fiato, affaticata: era rimasta in apnea fino a quel momento, e il fiato corto gli suggerì anche che doveva avere il battito cardiaco eccessivamente accelerato.
«Ti aspetterei» mormorò e questo portò Beatris a riaprire gli occhi. «So che mi prenderesti, riesci sempre a prendermi» sorrise. «Se mai le nostre strade dovessero dividersi, verrei a cercarti, ma se non dovessi trovarti... allora ti aspetterò».
Beatris sorrise, emozionata e felice, inconsapevole di quanto quelle promesse che si stavano scambiando in quel momento avessero per sempre cambiato le loro vite. E infine, scelse così quale sarebbe stata la strada da seguire d'ora in avanti: quella che l'avrebbe sempre portata da Reiner.
«Riuscirò sempre a trovarti. Riuscirò sempre a prenderti, Reiner».
«È una promessa?»
«È una promessa». 


Nda.


Siete mentalmente pronti alla valanga di eventi che ci saranno da ora in poi? XD Il “segreto” (intuibile, dai ahahah) è venuto a galla… a uccidere la famiglia di Tris, durante l’attacco a Shiganshina, non è stato un gigante qualunque. È stato proprio Reiner. E lui, in un meccanismo di difesa per proteggersi dall’enorme senso di colpa, aveva rimosso ogni cosa, ma quando ha visto Beatris la prima volta qualcosa dentro lui è scattato. Lo “strano motivo” che lo spingeva a tenerle gli occhi addosso era proprio quello, quella sensazione da “io questa l’ho già vista” mescolato a un forte senso di colpa. Ma non ricordava, non riusciva a spiegarselo, e le è rimasto troppo vicino per troppo tempo… la verità è venuta a galla, ma ormai è troppo tardi. Il danno è fatto, i sentimenti hanno preso il sopravvento. Verrà mai a galla la verità? (Vabbé, conoscete il manga, sapete che Sì! VERRà A GALLA! E SARà UNA TRAGGGGEDIA)... come la prenderà Tris? Quali saranno le conseguenze?


Vi lascio a questa BELLISSIMA canzone, che questa volta vorrei davvero che ascoltaste più di altre perché è molto struggente e da i feels perfetti. La voce che la canta è femminile, ma in realtà il POV è di Reiner, sono parole che escono dalla sua mente. Alla fine ricordatevi che Tris… è pur sempre un “demone dell’isola”.

https://www.youtube.com/watch?v=LoB5i0w5gso&ab_channel=Aegrnox 





   
 
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