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Autore: ciarlot    11/08/2021    0 recensioni
Non arrivare, domani. Perché so già che ti perderò.
Non arrivare, domani. Perché so già che ti perderò.
Ti perderò.
****
Snoke è morto.
Kylo Ren è solo e respinto.
Rey è andata via.
Questa storia è il mio personale "what if". Cosa succede dopo l'episodio VIII?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Kylo Ren, Principessa Leia Organa, Rey, Rose Tico
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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But don't bring tomorrow
'Cause I already know
I'll lose
you

-Daughter "Tomorrow"-




Si sentiva completamente solo. E vuoto.

Nel momento stesso in cui la ragazza se ne era andata uscendo dal suo campo visivo.
Nel preciso istante in cui, dopo essersi tanto stirato, il tendine che li aveva collegati si era strappato di colpo.
Il calo di adrenalina, le ferite, gli incredibili avvenimenti di quel giorno, la morte di Snoke, tutto si era accartocciato nel suo torace come un metallo rovente, divorandolo e lasciandolo vuoto e spolpo, uno straccio sporco.

Era il nulla. Davanti a sé non vi era più niente, sentiva di aver perso tutto prima ancora di averlo avuto tra le mani.

La pulsazione nella sua testa si fece martellante, mentre rientrava nel suo alloggio, annebbiandogli la vista. Cercò di affrettarsi per non cadere svenuto in qualche corridoio e farsi trovare in quello stato pietoso. Non voleva passare dall'ala medica, chiamare nessuno né cercare assistenza per le ferite. Sarebbe cessato tutto da solo, come al solito.

Chiusa dietro di sé la porta della sua stanza, si fermò nel tentativo di ragionare tra le fitte che lo stavano dilaniando.

Voleva fissare le immagini che aveva della ragazza. Pensava che se quel martellare incessante nella sua testa fosse andato avanti ancora, lei sarebbe svanita dai suoi ricordi. 

Rovistando nella memoria comparivano davanti agli occhi chiusi solo dei frammenti: minuscoli dettagli del volto, le ciglia scure, la bocca semiaperta, la grana della pelle, quella piccola cicatrice sulla guancia, una ciocca di capelli, la ferita sul braccio.

Avrebbe potuto andare avanti molte ore con la carrellata, ma le fitte all'interno del suo cranio erano troppo forti per mettere in ordine quelle immagini, che si sovrapponevano velocemente come bagliori. Non riusciva a concentrarsi. Troppo male.

Il cartoccio dentro di sé continuava a bruciarlo e si espandeva, lo disgustava. Vomitò più volte, la testa che esplodeva ad ogni conato. Quando i colpi di tosse e gli spasmi che uscivano dal suo corpo si placarono, quando alla fine non rimase che un liquido grigio ai suoi piedi, sentì la voce di quel viscido di Hux fuori dalla porta che, bussando, chiedeva cosa stesse succedendo, come stesse il (nuovo) Leader Supremo. "Vattene. Ti farò chiamare più tardi". Dopo qualche secondo sentì i tacchi del generale allontanarsi. Lo poteva vedere che si impossessava della sua base a grandi falcate, con un sorriso indecente stampato in faccia. Era odioso.

Si alzò in mezzo alla desolazione di quella stanza, spoglia e asettica. Chiamò un droide per pulire lo schifo, ingoiò una pastiglia presa dal cassetto metallico del suo comodino, poi entrò in bagno. L'acqua gelida della doccia lo portava gli anni trascorsi su Ahch-To nel tentativo di crescere e diventare un Jedi. Un periodo tremendo ma estremamente formativo della sua vita, che detestava anche solo nel ricordarlo e che unicamente gli anni di massacrante esercizio per Snoke e l'abnegazione avevano sopito. Poi l'acqua divenne bollente. Spazzò via il mal di testa. Restò lei. Non ti ho perso, allora, si disse il ragazzo.

Davanti allo specchio vi era un giovane uomo annichilito dalle intemperie di una breve e durissima vita. Si faceva schifo.
La sua nudità non faceva che amplificare innumerevoli difetti. Eccessivamente alto, sgraziato, naso e orecchie troppo grandi, carnagione malata, capelli informi, occhi scuri e piatti. Cicatrici e imperfezioni ovunque. Questo per fermarsi alla fisicità.

Dietro si intravedeva un pozzo nero, un orrore ancora più profondo. Fatto di morte, sofferenza, abbandono, rifiuto, ancora morte, umiliazione, ira, rinunce, solitudine.

Guardandosi intorno, nel rigore di quella che sembrava la cella di un monaco, non vedeva altro che squallore.
Ciò che Kylo Ren fino al giorno prima aveva accettato con impassibilità ora lo infastidiva a tal punto da voler distruggere tutto con un cenno della mano.

Ma non era rabbia quella che ora lo pervadeva. Era una mortale sensazione di solitudine. La conosceva bene, per tutta la vita era stato lasciato solo, ma adesso era amplificata. Si estendeva nello spazio, lo circondava come una cortina oltre alla quale non riusciva a scorgere nulla. Un minuscolo uomo in uno spazio sconfinato. Da solo. Vuoto. Sembrava che anche la Forza fosse scivolata via da lui inseguendo la ragazza, che ne era degna.

La ragazza se ne era andata per sempre rifiutandolo.

Lui aveva pensato che insieme, loro due, avrebbero potuto cambiare le sorti della galassia. Lo aveva visto quando si erano toccati, in quel breve istante pieno di elettricità. Aveva scioccamente pensato di essere importante per lei, era stato ossessionato dal desiderio di averla con sé e non essere mai più solo. La riconosceva come una sua simile, possibile che lei non lo capisse? Urlava ma lei non sentiva. 

Queste sconcertanti emozioni lo avevano portato a credere che ci potesse essere uno scopo diverso nella vita che uccidere interi mondi in nome di un oscuro padrone.

Il fortissimo legame che nessuno dei due aveva chiesto, lo aveva fatto cadere vittima di tutte le debolezze che negli anni gli era stato insegnato a spegnere prima ancora che nascessero. 

I piccoli e preziosi fuochi che bruciavano nel suo petto al solo ricordo di lei, presto si sarebbero estinti. Avrebbe voluto sapere come si faceva a tenerli accesi, a non farli morire. Ma non sapeva come fare. Non sapeva niente. 

Dopo che tutte quelle cose impalpabili, create dalla sua immaginazione, mai esistite, si erano dissolte, riconoscersi in quella familiare e ripugnante immagine riflessa allo specchio, in fin dei conti lo aveva ancorato alla realtà. Al suo "dovere".

Era stato cresciuto per diventare quello che era. L'ineluttabilità di un destino particolarmente crudele che ora, anche in assenza del suo creatore, si stava compiendo. Pur avendolo ucciso ed essere stato testimone del suo annientamento, gli pareva di vedere ancora Snoke troneggiare terribilmente sopra di lui: gli stava dicendo che ora era lui il Leader Supremo a dover spargere il terrore nella Galassia nel moto perpetuo del Male. Poteva fare altrimenti, razza di bastardo? Cosa pensava? Eh?

Lo incalzava, facendo leva sulla sua inadeguatezza e sui sensi di colpa che lui stesso aveva contribuito a nutrire.

Quella di Snoke era l'unica via. O per lo meno, l'unica via che Kylo conoscesse. L'unico futuro che si sarebbe potuto compiere. Perchè lui era un debole. Rifiutato da tutti, da coloro che un tempo aveva amato e che alla fine aveva deciso di far morire, rifiutato da lei. Che valore poteva avere ora, quello che lui desiderava, se non era in grado di metterlo in pratica?







Il domani sarebbe stato un oceano sconfinato di giornate sempre uguali, fatte di sterili obiettivi che comunque avrebbe dovuto perseguire. Un oceano in fondo al quale non vi era niente.

Inspirò forte e dopo aver trattenuto l'aria qualche secondo nei polmoni, la ricacciò fuori con un senso di prostrazione per quello che doveva fare da solo, senza la ragazza. Un macigno grande quanto l'intera galassia sembrò appoggiarsi sulle sue spalle e chiuse gli occhi sfinito.

Con la lentezza di un debole vecchio che ripete ogni giorno gli stessi gesti abitudinari, fece un fagotto di ciò che aveva indossato, per inserirlo nella condotta dell'inceneritore centralizzato della base.

Qualcosa di chiaro cadde per terra, lo raccolse.
Era un lembo strappato delle bende che avvolgevano le braccia di Rey. Era sporco di sangue. Il suo?
Se lo portò al naso. Sapeva di lei. Di tutto quello che aveva visto violando la sua intimità. Di terra e sabbia, di erba e tramonti. Di calore. Di sole. Di risate chiare. Chiuse gli occhi per fissare quelle sensazioni. Erano intossicanti e fortissime. Si sentì la testa leggera, in preda alle vertigini, altrove.
Lo infilò nel comodino, furtivamente, come se qualcuno lo stesse guardando. Vergognandosene.

Cercò di ricomporsi, infilandosi una divisa pulita. La maschera del Cavaliere di Ren era ancora lì, deposta per terra in tutta la sua statica oscurità. Era come se lo invitasse con un richiamo, un basso ronzio cui non poteva sfuggire. La sollevò e con uno sforzo che gli costò molto se la infilò. La sentì come una confortante e al tempo stesso spietata catena che lo riportava a cuccia. Era un animale abituato da sempre ad un guinzaglio troppo corto, che torna al suo posto anche quando la corda si spezza e lui assapora la libertà. Un vile cane rabbioso e servile.

Dietro quella maschera si sentiva completamente solo. E vuoto.

Non c'era la ragazza.

Non c'era più nemmeno Snoke, che entrando nella sua mente da quando era bambino, lo obbligava ad eseguire gli ordini più beceri.

Poteva essere libero. Ma nonostante questo, era lui ora il Leader Supremo, l'essere più temuto della galassia, e poteva soggiogare ogni essere vivente alla sua volontà e al suo potere.
Potere. Lato Oscuro. Lato Chiaro. Guerra.
Era stremato da quella incessante voce che da sempre tuonava nella sua testa e continuava a farlo anche ora. Sentiva di non riuscire a sopportare il dover continuare quella servitù. Lo ripugnava.

Lei lo aveva rifiutato proprio a causa di questa devozione e non vedeva reali possibilità di ripensamenti. 
Ma. Quel suo ultimo sguardo, l'esitazione, la sua mano che stava per afferrarlo e accettare la sfida di un futuro insieme, anche dopo le cose terribili che le aveva vomitato addosso. Cose che avrebbe dovuto dire in tutt'altro modo e che lei aveva sopportato con dolcezza, come un giunco di palude che si inclina spinto dalla corrente e poi torna in posizione.  Fiero.

Quell'esitazione...

Non osava più sperarci, non riusciva ad immaginare un finale alternativo. Lei aveva fatto la sua scelta. Ma nella sincera incertezza della ragazza forse poteva leggere un barlume di fiducia, non per loro due, no, ormai era tardi. Una fievole speranza per sé stesso. Non la conosceva abbastanza per esserne certo, ma l'aveva salvato e risparmiato troppe volte per credere che lei lo ritenesse una causa persa.

Un giunco di palude. Resiliente.

Avrebbe vissuto per questo. Avrebbe fatto ciò che era giusto per lei, anche se ormai era lontana anni luce, chissà dove, a vivere la sua pericolosa ed eccitante vita da ribelle.

Aprì senza toccarla la porta della cella, dopo aver dato uno sguardo al cassetto dove giaceva l'unica reliquia della ragazza, rafforzato dalla consapevolezza che ogni giorno di quell'oceano, qualsiasi cosa fosse accaduta, un pezzo di lei sarebbe stato al suo fianco, a riportarlo a galla.

https://youtu.be/vM1xYO1NlrA

 
   
 
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