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Autore: LadyPalma    13/08/2021    13 recensioni
Alastor prima e dopo Dolores. | Dolastor |
Te ne sei andata che era ancora autunno – era un martedì di inizio dicembre, ti pare che non me lo ricordo? – e poi l'autunno è diventato inverno, e poi primavera, e poi estate e adesso è autunno un'altra volta, ma sono solo, anche se quei tuoi particolari sono ancora ovunque. E io vigilo ancora, ma non costantemente: certe volte penso a te e mi distraggo. Penso a te e mi scordo di controllare se nelle bottiglie comprate c'è del veleno e le bevo tutte e non mi avveleno mai.
| Terza classificata al contest “Di prompt stilistici e figure retoriche – II edizione” indetto da Futeki sul forum di EFP
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Dolores Umbridge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Alastor&Dolores'
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È da tempo che cammino e
sento sempre rumori dietro me,
poi mi giro pensando che ci sei te
e mi accorgo che oltre a me non so che c'è.
Mi mancan tutti quei tuoi particolari.

Ultimo – I tuoi particolari

 
 
 
 
 
I tuoi particolari
 
 
 
 
 
Chiudevo sempre la porta con un'infinità di incantesimi di protezione e la cosa all'inizio ti divertiva. 
"Chi pensi che possa aggredirti ormai? La guerra è ehm terminata e il Ministero afferma che tutto è completamente sicuro. Non esistono più ehm quei malviventi e ehm quelle canaglie…" dicevi, con quello scetticismo divertito di chi delle cose del mondo non ha mai capito un cazzo.
Canaglie? Di' pure Mangiamorte, Bamboluccia, pezzi di merda che si sono presi la mia gamba e il mio fottuto occhio e un pezzo di naso e…"
Mi lasciavi blaterare, arricciando soltanto leggermente le labbra. "Non imprecare, Alastor", ma sorridevi, mentre versavi nelle tue ridicole tazzine da tè il mio Whisky Incendiario. 
Ti sentivi al sicuro dicevi, anche se il pericolo non lo vedevi. 
Ero un piacevole diversivo alla monotonia, così mi definivi e, offeso o meno che io fossi, tu di fronte alle mie paranoie ridevi e ridevi e ridevi come non avresti fatto mai fuori da quelle mura. E finché ridevi, tu non lo sai ma un pochino in fondo me ne fregavo delle canaglie e dei malviventi e dei pezzi di merda. 
 


Sei arrivata in autunno – era un giovedì di fine settembre e tu hai frignato per tutto il tempo per la prima nebbia dell’anno – ed è stato in qualche modo l’autunno più lungo e quello più breve della mia vita. Hai stravolto ogni singola cosa, basta dire questo, a partire dalle tende rosa che hai imposto per tutta la casa (“Vuoi vedere che te le straccio? È un cazzotto nell’occhio buono quel rosa carne tritata”, “Non osare, è un rosa cipria!”, però quando le ha mezze distrutte uno dei tuoi gatti gli hai fatto persino le coccole), per non parlare dello sherry che a una certa hai provato a impormi invece del Whisky (“È buonissimo, mi ricorda il piscio di un unicorno”, “Sei proprio un… ehm villano privo di gusto”, e non hai trovato niente di peggio da dirmi neanche dopo esserti scolata una bottiglia intera di quel piscio rossastro), o ancora dei tuoi odiosi gatti (“Ma guarda che stronzi! Mi hanno ficcato le loro unghie un’altra volta nella gamba buona!”, “Oh non fare lo sciocco, Alastor! È il loro modo di dimostrare affetto!”, e forse lo intendevi davvero perché del resto ferire era anche il tuo modo di dimostrare affetto, ormai lo sapevo). Ma la cosa che più mi aveva stravolto erano i tuoi particolari in ogni singolo angolo: ci ho messo quasi tutto quel cazzo di autunno a convincermi che era normale la metà rigorosamente rosa nell’armadio e i gatti in movimento che facevano scattare il mio occhio magico ogni cinque secondi e la puzza di bruciato ogni volta che provavi a cucinare e il comodino pieno zeppo di cianfrusaglie. Eppure, con tutte le paranoie che ho, se ci pensi ci avevo messo poco ad abituarmi al fatto che tu c’eri.
 
 

 

 
𝓐*𝓓


 
 

La prima volta che mi hai detto che le cose tra noi non funzionavano, io non ho ascoltato, così come ho fatto finta di non vedere i segnali che troppo spesso mi lanciavi. Vedevamo le cose allo stesso modo, mi dicevo, solo che le chiamavamo in modo diverso, tutto qui. "Emana un odore poco gradevole" ammettevi, mentre sfornavi l'ennesima teglia di biscotti bruciati. "Puzzano di cane morto, per Salazar" concordavo, senza le tue sciocche moine. E così era per ogni cosa, no? Tu coloravi tutto di rosa confetto e verde pastello e lilla tenue, mentre io svelavo la brutale sostanza nascosta al di sotto. Pensavo davvero che la nostra differenza fosse di forma e di tono e di parole e di moine, appunto, non di sostanza. Un cazzo di occhio magico mi faceva vedere di meno, ti rendi conto? 
Non mi accorgevo che il tuo sorriso con me cominciava a essere identico a quello che mostravi agli altri o che passavi molto più tempo con i tuoi amichetti del Ministero che nella casa che era mia ma ormai pensavo fosse nostra. Né che non scherzavi più a dire che la mia paranoia ti faceva perdere tempo, o che la mia brusca diffidenza ti faceva vergognare, o che il mio controllo non ti faceva più sentire sicura ma ti asfissiava. 
"Non posso più vivere in una cazzo di gabbia" hai detto a mo' di spiegazione un pomeriggio con la valigia pronta, e solo allora ho capito. Non per la valigia, no, per l’imprecazione. Ché eri stufa per davvero, ché non c'era più niente in questa casa che ti facesse venire voglia di essere te per la Bamboluccia che eri. 
 


Te ne sei andata che era ancora autunno – era un martedì di inizio dicembre, ti pare che non me lo ricordo? – e poi l'autunno è diventato inverno, e poi primavera, e poi estate e adesso è autunno un'altra volta, ma sono solo, anche se quei tuoi particolari sono ancora ovunque. E io vigilo ancora, ma non costantemente: certe volte penso a te e mi distraggo. Penso a te e mi scordo di controllare se nelle bottiglie comprate c'è del veleno e le bevo tutte e non mi avveleno mai.
Le tende rosa fanno schifo più di prima, ma le ho lasciate appese, e lo sherry è troppo dolce ma finisco per preferirlo al Whiskey Incendiario senza neanche accorgermene, e quando Molly mi porta i suoi biscotti penso ai tuoi che erano immangiabili, ma erano più buoni, lo giuro, lo erano, e quei tuoi maledetti gatti mi infilavano gli artigli dappertutto ma, cazzo, mi sembra di non avere neanche cicatrici senza quei graffi. E, beh, adesso quando ricontrollo casa per vedere se manca qualcosa, ci metto qualche minuto a capire che è normale il vuoto sul comodino a destra al posto del tuo portagioie di velluto rosa. Per me manca sempre qualcosa da quando non ci sei.
 
 
Tu non lo sai, ma adesso lascio la porta aperta, senza preoccuparmi di chi potrebbe entrare. Solo la nebbia e le foglie e l'eco delle mie paranoie.
Da quando te ne sei andata non ci sono più incantesimi di protezione, e non mi frega di chi mi potrebbe spiare. Forse un paio di canaglie e i malviventi e i pezzi di merda.

(Non sei tu, Bamboluccia, non sei mai tu).
 













 

 
NDA: Le note saranno infinite e me ne scuso, ma davvero ci sono diverse cose da dire per una storia che è stata rimaneggiata tantissime volte dall’inizio di quest’anno prima di arrivare a questa fase definitiva.
Innanzitutto, riporto le indicazioni che ho seguito per il contest:
Figura retorica: Polisindeto
Prompt stilistico: a storia deve presentare un lessico molto variabile, con termini appartenenti a un registro più alto e altri a un registro più basso. L’utilizzo combinato di queste due tipologie deve essere giustificato da scelte narrative, ad esempio si può introdurre un personaggio che è solito parlare in maniera molto colloquiale (quindi utilizzare il registro più semplice nei dialoghi) e un narratore che invece utilizza un registro più formale. Qualunque altro tipo di scelta narrativa che giustifichi la combinazione di due tipologie di lessico diverse è accettato.

Per quanto riguarda il connubio di più registri, l’ho inteso su due livelli: l’opposizione tra il modo di parlare di Dolores e quello di Alastor; ma anche l’opposizione tra il modo di parlare di Alastor e il suo modo di pensare o di esprimersi (credo, onestamente, per come lo intendo io che Alastor sia un personaggio capace in sé di riassumere due registri senza che la cosa sia forzata). L’espressione “canaglie e malviventi e pezzi di merda” che compare all’inizio e alla fine della storia ha infatti un po’ il ruolo di unire insieme polisindeto e diversi registri per rendere l’opposizione tra i due personaggi.
Di input per questa storia ce ne sono tantissimi. Quello finale è stato la canzone di Ultimo, “I tuoi particolari”, che dà titolo alla oneshot, ma fondamentale è stato soprattutto il video (https://www.youtube.com/watch?v=vnKZ4pdSU-s), su cui mi sono basata per l’ossatura della trama (trasferendo il tutto da disturbo ossessivo compulsivo a disturbo paranoide più generale).
Vorrei anche dire che questa storia è stata pensata per partecipare a tanti contest diversi, per poi essere puntualmente scartata ogni volta. Menziono sicuramente il contest “Falling in and out of love” di Inzaghina (per la presenza dell’autunno) e “La Fiera delle Coppie Crack” di CatherineC94 (per la divisione in momento di innamoramento e di separazione). Insomma, è stata in assoluto la storia che ho riscritto più volte, spero non si noti eccessivamente.
   
 
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