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Autore: MusicAddicted    13/08/2021    10 recensioni
Uno è un sottocapo della più pericolosa gang criminale di Londra di fine anni '30, che si è fatto un nome a forza di farsi rispettare.
L'altro è un inventore strampalato, con un gran cuore e una mente che viaggia anche più veloce del suo camper.
Che cos'hanno in comune? Sono uno lo specchio dell'altro, solo che ancora non lo sanno...
Tutti possono innamorarsi, ma solo pochi fortunati al mondo possono trovare il vero amore, la persona alla quale sono destinati, l’anima gemella.
A Bartemius e Jonathan non resta che scoprirlo.
Barty/Hermione Barty/Voldemort Bellamort, Ten/Martha Ten&Donna, Ten/Master, ma soprattuto BarTen (Barty/Ten)
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Noir | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Bellatrix Lestrange, Hermione Granger, Sorpresa, Tom Riddle/Voldermort
Note: AU, Cross-over, Soulmate!AU | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Altro contesto
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Capitolo II: Jonathan Smith 

 


Il suo sguardo per lo più era fisso sulla strada, come quello di un qualunque guidatore responsabile.

Tuttavia, nei momenti di tratti rettilinei e deserti, si concedeva il lusso di dedicarsi a ultimare la sua ultima invenzione, come avrebbe fatto un qualunque appassionato.

La frenata improvvisa che fu costretto a fare, rischiando quasi di ingoiare le viti che teneva in bocca, per impedire che il suo camper si scontrasse con un'auto apparentemente sbucata dal nulla, lo convinse che forse era il caso di rimandare quel prototipo a un altro momento.

Ironia della sorte, stava lavorando proprio a un congegno che aiutasse a non distrarsi durante la guida.


Se fosse dipeso da Jonathan Smith, lui avrebbe speso la sua intera vita ad inventare qualcosa o aggiustarne una già esistente, in ogni momento.



Nato a Glasgow, fin dalla tenera età di tre anni aveva cominciato a smantellare i propri giocattoli, non perché fosse un bambino violento.
No, Jonathan semplicemente era un bambino curioso: ingranaggi, bulloni, pezzi da assemblare e ogni sorta di meccanismo lo affascinavano.

I suoi genitori fin da subito avevano assecondato questa sua passione e finché erano stati in vita gli avevano dato tutti gli stimoli possibili.
Erano fieri del loro piccolo genietto.


Purtroppo, già all’età di vent’anni Jonathan si era ritrovato orfano.
Era stato un figlio fortemente desiderato ma era arrivato molto tardi e l’aspettativa di vita nel 1926 era quella che era, non c’era invenzione che la potesse contrastare.

Jonathan si era reso ben presto conto di quanto Glasgow e i suoi abitanti dalla mentalità troppo chiusa, al contrario dei suoi amatissimi genitori, gli andassero stretti.

La voglia di andarsene era tanta, ma non aveva i soldi per farlo.
Un giorno per caso, mentre passeggiava, si era imbattuto in un camper blu, incustodito.
Non ci aveva pensato due volte: lo aveva rubato, aveva rimpiazzato la targa originale con un’altra, lo aveva messo in moto senza alcuna difficoltà e aveva varcato il confine indisturbato.

 

Da lì era cominciata la vita da nomade di Jonathan, John per gli amici, perché durante i suoi viaggi di amici ne aveva conosciuti tanti.

 

Non si fermava mai nello stesso posto più di qualche settimana.


C’era stata un’eccezione, circa cinque anni più tardi, un’eccezione importante di nome Martha Jones.

Jonathan era appena arrivato ad Exeter e, come sua abitudine si era recato nel primo bar disponibile per fare colazione.
Martha era la cameriera di turno e con un sorriso solare gli si era avvicinata per prendere la sua ordinazione.
Ricambiando il sorriso, lui aveva risposto, flirtando anche un po’.

Lei era una bellissima ragazza dalla pelle color caffelatte, capelli neri, così come i suoi occhi vispi e curiosi, e Jonathan non era certo insensibile al fascino femminile.

Mentre aspettava che gli venisse portato quel che aveva chiesto, Jonathan ne aveva approfittato per tirare fuori il suo ultimo progetto e continuare a lavorarci.

“Che figo, che cos’è?” gli aveva domandato Martha, comparendogli alle spalle con la sua colazione.

Raramente la gente manifestava entusiasmo per le sue invenzioni.
Martha stava rapidamente guadagnando punti agli occhi di Jonathan.

“È un sensore da applicare a qualsiasi pentola o padella: rileva se il cibo si sta scaldando oltre la temperatura necessaria, evitando così che si bruci… o almeno spero lo faccia!” aveva riso nervosamente.


“Ma è geniale! Sarebbe utilissimo nelle nostre cucine,” lo aveva encomiato lei.

“Aspetta a dirlo, non so nemmeno se funzionerà,” aveva replicato umilmente lui, cominciando a mangiare.

 

“Io sono sicura di sì,” aveva insistito lei. “Facciamo così, se ho ragione io avrai diritto a un pasto gratis.”

“Ma per finire questa invenzione mi ci vorranno almeno delle settimane…” aveva borbottato lui fra un boccone e l’altro.

“Meglio, vorrà dire che ti presenterai qui ogni giorno finché non avrai diritto alla tua ricompensa,” gli aveva fatto l'occhiolino lei, prima di andarsene.


E lui quell’invito palese lo aveva accettato ben volentieri.

“Dimmi un po’, Jonathan, le cose le inventi soltanto o le aggiusti pure?” gli aveva chiesto Martha, al quinto giorno che si era presentato lì.

Lui aveva sfoderato un sorriso a trentadue denti e i suoi grandi occhi color cioccolato fondente si erano illuminati di entusiasmo.

“Ooooh, io adoro aggiustare le cose!”

 

“Proprio questo speravo che dicessi: domani so che cosa portarti.”

Martha era stata di parola e il giorno seguente gli aveva mostrato un orologio argentato, da taschino, con una strana incisione sopra.

“Non è prezioso, ma ha un gran valore affettivo, è un cimelio di famiglia, solo che da un paio di anni si è rotto, ma non me ne voglio separare lo stesso.”

“Ohhh, ma che oggetto affascinante, da’ qui, ci penso io!” si era offerto lui e nel giro di un quarto d’ora, con cacciavite e pinze lo aveva aggiustato con gran facilità.

“Ecco fatto, ora è guarito!” aveva sorriso tronfio, restituendolo a una Martha traboccante di gioia.


“Non so come ringraziarti!” si era emozionata lei, prima di riflettere sulle sue parole. “Come ‘guarito’? Secondo te prima era ‘malato’?”

“Certo.”

“Quindi tu saresti… una specie di Dottore?”

“Se a te va di chiamarmi così.”

E da quel giorno, Jonathan si era guadagnato un nuovo nomignolo.

Martha poi gli si era avvicinanta con fare ammiccante, passandosi la lingua lentamente sul labbro superiore.

“E dimmi, Dottore, c’è qualcos’altro che ti riesce così bene?”


Inutile dire che quella notte stessa i due erano finiti a letto insieme.

Jonathan amava l’intraprendenza di Martha e la sua curiosità, lei adorava seguirlo per qualche avventura a bordo del suo camper, in ogni parte del Devon.
Piccole scampagnate, erano sempre di ritorno nel giro di un giorno, lui se lo faceva bastare e lei si beava di ogni cosa che lui la portava a conoscere.

Tuttavia, per quanto fossero innamorati, le loro differenze erano troppo evidenti e poco dopo più di un anno emersero tutte.

“Jonathan, lo so che per te è una sofferenza rimanere sempre fermo qui, ancora di più ora che posso seguirti con sempre meno frequenza, ora che coi soldi guadagnati al lavoro posso cominciare gli studi per diventare Dottore, uno vero, intendo,” lo aveva preso in giro lei, senza alcuna cattiveria.

Gli aveva confidato da tempo che fosse il suo sogno e quanti sacrifici stesse facendo per raggiungerlo.


Lui si era limitato a sorriderle, ma era più una smorfia incerta, perché sapeva ciò che stava per dirgli: se non lo avesse fatto lei lo avrebbe fatto lui.

“Ho bisogno di più normalità, John, stare con te è bellissimo, ma mi fa perdere troppo il contatto con la realtà: sei come un fuoco e a starti troppo vicino finisce che ti bruci.”

“Non vorrei mai bruciarti, ti lascerò splendere in tutta la tua luce, brillante Martha Jones.” l’aveva salutata lui con un ultimo bacio d’addio, prima di salire a bordo del suo camper, stavolta per un viaggio più lungo, come non accadeva da tempo.

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Un’altra delle cose che Jonathan amava era salvare le persone.

Ne ebbe l’occasione circa un anno dopo,  percorrendo i verdi spazi incontaminati di Malahide, in Irlanda, quando vide una folla di uomini insorgere contro una donna.

Parcheggiò il camper, raggiunse la folla e si fece largo, avvicinandosi alla donna, una giovane dai capelli rossi.


“Fidati di me e fa’ come ti dico: al mio tre corri.” le aveva bisbigliato, estraendo dalla tasca della giacca una sorta di strana candela.

“Uno, due.. tre!” aveva contato ad alta voce, prima di schiantare a terra la strana candela, che altro non era che un fumogeno, che impedì temporaneamente la vista al resto della folla.

Jonathan afferrò la mano della donna e corse con lei nella direzione opposta, dove li aspettava il camper.

“Salta su!” le aveva detto.

 

“Hey, non prendo ordini da te, Marziano, ma ci arrivo da sola che mi conviene venir via con te, prima che il fumo svanisca e quelli mi trovino!” gli aveva parlato lei per la prima volta.

“Non sono un Marziano!” si era offeso lui, mettendo in moto.

 

“Beh, sei comunque strano forte e non sembri certo di queste parti, e nemmeno di questo pianeta, a dirla tutta,” aveva ribattuto lei. “Grazie, per il tuo intervento, ma non ti aspettare che ti ripaghi in natura, sei troppo sottile e spigoloso per essere il mio tipo.”

Jonathan per poco non aveva sbandato con il camper.

“Cosaaaaa?! Accidenti, comincio a capire perchè la folla ti volesse aggredire, è a causa della tua linguaccia biforcuta!” le aveva lanciato un’occhiataccia lui.

“Naah, è più per i soldi che ho spillato loro per fare una seduta spiritica … che non era granché reale, devono essersi accorti del filo che muoveva la sfera di cristallo … oh beh, non proprio cristallo, più fondo di bottiglia!” aveva spiegato lei, mettendosi comoda sul divanetto.

“Per Einstein! Avrei dovuto salvare quei poveri uomini da te!” aveva borbottato lui.


“Esagerato. Sono una vera medium, solo che non mi va sempre di aprire per davvero tutti i chakra, connettermi col mio terzo occhio, farmi assistere dal Karma, sai quante energie devi sprecare per quella roba se lo fai sul serio?”

“Oh, poverina!” aveva alzato gli occhi lui.

“Facciamo così… com’è che ti chiami?”

“Jonathan Smith. John per gli amici.”

 

“Ecco, John…”


“Ho detto ‘per gli amici’!” aveva puntualizzato lui, scontroso.

“Quante storie, Johnny Boy!”

“Nessuno mi chiama così!” si era voltato verso di lei, contrariato, per poi tornare a concentrarsi sulla strada.

 

“Dicevo, Johnny, facciamo così: tu mi dai uno strappo fino a Dublino così poi lì posso riunirmi alla mia carovana.” gli aveva proposto.

 

“Carovana?” si era incuriosito lui.

“Donna Noble, mio caro, fiera gitana da ben quindici generazioni, in me scorre il sangue di vere medium, ecco perché lo sono anche io. E per dimostrartelo ti leggerò la mano, quando saremo a destinazione.”

“Dublino è a un tiro di schioppo da qui, non voglio niente in cambio, mi basta sbarazzarmi di te!” aveva fatto spallucce lui, che da bravo uomo di scienza era un po’ scettico riguardo a vari argomenti.

“Poi hai il coraggio di dire che io ho la lingua biforcuta!” aveva sbuffato lei, sollevandosi la frangetta. “E comunque insisto.”

Dublino l’avevano raggiunta in fretta, la sua carovana era lì che l’aspettava, ma prima di unirsi alla sua gente, Donna fu di parola.


Si fece dare la mano destra di Jonathan e cominciò a scrutarla, concentrandosi per davvero.

 

“Hai perso delle persone a te molto care: prima i tuoi genitori, quando eri un po’ più giovane...sei, sette anni fa?” domandò e l’espressione stupita di Jonathan fu più eloquente di ogni risposta.

“E poi c’era una giovane donna che è stata importante…” continuò lei, guardandolo coi suoi piccoli occhi blu, un po’ ravvicinati, ma molto indagatori.

“Sì, è vero, lo sarà sempre…” mormorò lui, con un sorriso a metà fra il malinconico e il triste.


“Ma non era destino. Se vuoi essere felice, devi trovare il tuo specchio.” lo aveva informato lei.

“Il mio cosa?!” l’aveva guardata confuso lui.


“Il tuo specchio. Devi capire tu cosa significa.” lo aveva lasciato lei, con quelle parole così enigmatiche.

Dopo qualche mese, Jonathan nemmeno si ricordava più di quel consiglio, finchè a Berlino nel corso di un ricevimento qualcuno non aveva catturato la sua attenzione: bello, giovane come lui, biondo, con occhi scuri, come il suo animo, ma questo lui ancora non lo poteva sapere.

Lo sconociuto fra i suoi aspetti positivi aveva un forte carisma, una personalità magnetica, un’ottima dialettica e un forte sex appeal.


Jonathan non si era mai fatto problemi con la sessualità: per lui il corpo umano era sempre affascinante, in ogni sua forma e non voleva chiudersi in costrizioni mentali dettate dall’opinione pubblica.

Doveva pensarla così anche il biondo perchè era affascinato da quello spilungone un po’ spettinato che sembrava incapace di staccargli gli occhi di dosso, occhi resi ancora più grandi dagli occhiali che indossava.

“Forse questa festa noiosissima sta per ravvivarsi un po’?” aveva rotto il ghiaccio lo sconosciuto, rivelandosi Inglese, a discapito del paese che li stava ospitando.

 

“Forse.” aveva sorriso il castano, stringendogli la mano “Smith. Jonathan Smith.”

 

“Saxon. Harold Saxon. E vedi di ricordarlo bene, quando stanotte ti farò gridare il mio nome.” aveva risposto il biondo, con una spiccata arroganza.

“Ma… cosa?!” aveva indietreggiato Jonathan, sconvolto.

In poche falcate Harold lo aveva di nuovo a distanza di pochi centimetri.

 

“Ho appena brevettato un rilevatore della tensone sessuale e io e te, mio caro, lo stiamo per far esplodere.” aveva sorriso beffardo, estranedo dalla tasca dello smoking nero uno strano congegno, simile a una bussola.


Giusto la miccia che mancava per innescare la bomba.


“Sei un inventore anche tu?” aveva sgranato gli occhi Jonathan, intrigato ancor di più.

 

Le previsioni di Harold per quella notte trovarono piena conferma.

La prima di una lunga serie di notti. E di giorni.

Il discorso di Donna ora gli sembrava avere un senso: Jonathan era convinto di aver trovato il suo specchio: un inventore come lui, che amava viaggiare per il mondo, anche se Harold non aveva un mezzo suo, scroccava passaggi a chiunque con le arti persuasorie, ma Jonathan era stato più che felice di ospitarlo nel suo camper e ancora di più nella camera da letto che c’era all’interno.


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“Certo che mangi in continuazione.” aveva commentato Jonathan vedendo il quantitativo di cibo che Harold si era versato nel piatto a un buffet a Madrid.


“E allora? Bisogna sempre aver fame. Di conoscenza. Di supremazia, Di potere.” aveva replicato il suo partner, divorando l’ennesimo panino con voracità.

“Per lo più tu ce l’hai di cibo.. e non metti su nemmeno un grammo!” lo aveva punzecchiato Jonathan.


“Questo è perchè ci pensi tu a farmi bruciare le energie, carino!” lo aveva fatto arrossire Harold, prima di baciarlo, incurante della folla che li guardava. “Tu ed io un giorno conquisteremo il mondo.” gli aveva sussurrato.

 

Non che fosse il genere di discorsi preferiti di Jonathan.

 

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“Amore, guarda cos’ho appena inventato!” lo aveva chiamato Harold, durante una tappa a Parigi, giusto prima di tornare a Berlino in vista del loro anniversario.

“Ooh, adoro indovinare!” lo aveva raggiunto Jonathan trepidante, nella stanza di hotel che si erano trovati per qualche giorno. Harold non amava granché passare troppo tempo sul camper.

Tuttavia, alla vista di quello che c’era sul tavolo l’entusiasmo di Jonathan era scemato.

“Ma questo è… esplosivo.” aveva commentato con un chiaro tono di rimprovero

“Non sminuirlo così, ti prego. Non è semplice esplosivo, è l’esplosivo: un piccolo quantitativo di questo e puoi radere al suolo un’intera città.” lo aveva corretto Harold, con un ghigno maniacale.

 

“Sei pazzo? Ucciderai un sacco di gente!” aveva cercato di farlo ragionare l’altro.

“Esagerato, al massimo si bruciacchiano un po’” aveva fatto spallucce Harold, come se niente fosse. “E pensa a come potremmo diventare ricchi se producessimo esplosivi e altri tipi di armi su larga scala per venderla alle nazioni più interessate…”

“E fomentare una guerra?” lo aveva guardato sconvolto Jonathan.

Come si guarda qualcuno che non si riconosce più.

“La pace è così noiosa!” aveva sbuffato Harold. “E cominci ad esserlo anche tu, John.” lo aveva guardato con disprezzo.

Ed è lì che Jonathan aveva capito che non ci sarebbe più stato alcun anniversario da festeggiare. E che Harold di certo non poteva essere il suo specchio.

 

Per i successivi anni aveva preferito proseguire nei suoi viaggi senza più legarsi sentimentalmente a qualcuno.

Chissà se a Londra, la sua prossima meta, le cose sarebbero cambiate.
---

 

TBC



Ovvio che le cose cambieranno, e io non vedo l’ora di scrivere, per dare una gioia a ‘sti due patatini che per il momento ne hanno avute solo di fugaci. ;)

p.s. ho fatto un sacco di ricerche per combaciare tutto, ho letto che le roulotte esistevano già nel 1850 e se si diceva che Galileo Galilei nel 1592 avesse inventato una sorta di sensore, non lo può fare Ten nel 1931? ;P 


Lo so che nel canon la Martha/Ten non funzionerebbe, ma questo è un AU che mi concede certe libertà e poi è canon che lei gli facesse una corte spudorata XD
Ed è canon anche il fatto che sia lei a trovar la forza di allontanarsi da lui...
Vero che erano tanto bellini? *O* Come Ten e il suo Master, del resto ;P


E l’orologio/cimelio di famiglia voleva essere un piccolo richiamo a ‘Human Nature’ e ‘The family of blood’ , due degli episodi più belli e struggenti della serie

Spero vi siano piaciuti i vari personaggi, io in quelle vesti non ho faticato a immaginarmeli ;) 


Alla prossima, liberi di dirmi quel che vi va :) 


Sinceramente non lo so più se terminerà col prossimo capitolo, lo decideranno i personaggi, come sempre ^^’

   
 
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