Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    15/08/2021    1 recensioni
Eren, Jean ed Armin si sono persi e sono stati colti da una tempesta di neve. Armin rischia di morire assiderato. Ma qualcuno li sta cercando.
Cenni Eremin, Jearmin, con possibile triangolo
Genere: Drammatico, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Flashfic scritta per l’ “antiferragosto challenge” del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart- GRUPPO NUOVO
 
Autrice: Heatherchan – PerseoeAndromeda
Fandom: Attack on titan
Prompt: Rientro
Titolo: Smarriti nella tempesta
Personaggi: Armin, Eren e Jean
Generi: hurt/comfort, scenari di guerra
Rating: giallo
 
SMARRITI NELLA TEMPESTA
 
“Lascialo portare un po’ a me, sei stanco, finirai per crollare”.
“Non pensarci neanche… non lo lascio… non lo lascio neanche per un attimo”.
Jean scosse il capo con un piccolo ringhio, consapevole che insistere avrebbe finito per farli litigare, come accadeva di solito.
Poi c'era in ballo qualcosa che per Eren era sacro…
Qualcuno, anzi.
Quel qualcuno giaceva inerme tra le sue braccia, prossimo all'assideramento, crollato lungo la strada del ritorno, nel bel mezzo di una tempesta di neve.
E Jean ed Eren, oltre che prendersi cura di lui, dovevano cercare di ritrovare il percorso giusto.
“Siamo stati dei cretini” mugugnò Jean, racchiudendosi più che poteva nel mantello, la testa rintanata tra le spalle per far fronte il più possibile ai violenti turbini ghiacciati.
“Io, sono stato un cretino” lo corresse Eren, che cercava di riparare meglio che poteva il piccolo svenuto con il proprio corpo e il proprio mantello. “Io mi sono allontanato dal gruppo e mi sono perso. La cosa cretina che avete fatto voi è stata quella di venirmi dietro”.
Jean sbuffò, emise un piccolo ringhio e scosse il capo. Non negava affatto che Eren stesse dicendo il vero, ma in quel momento non gli sembrava il caso di infierire: non era neanche certo che Armin fosse ancora vivo e Eren si sentiva di sicuro già abbastanza in colpa così.
Perdere Armin avrebbe significato perdere tutto per lui, questo Jean l’aveva compreso.
E come dargli torto?
Cacciò quell’ultimo pensiero che lo metteva a disagio e che non si poteva permettere e si sforzò di concentrarsi sulla contingenza del momento.
Sfidando la difficoltà provocata dalla muraglia di neve, rivolse lo sguardo ad Armin, il cui viso era quasi del tutto affondato nel proprio mantello e in quello che Eren condivideva con lui.
Era immobile, troppo spaventosamente immobile e Jean disperava di riportarlo vivo a destinazione.
Non voleva pensare ad un’eventualità così terribile.
“Dovremmo cercare di svegliarlo… se dorme è pericoloso”.
Eren rispose con un ringhio:
“Lo so, maledizione, lo so!”.
L’attimo dopo si lasciò cadere in ginocchio, tenne Armin ancora più stretto e spostò gli strati di stoffa, quel tanto che bastava per potergli carezzare il viso.
“Armin” lo chiamò, il pianto nella voce. “Devi svegliarti…”.
Non ottenne alcuna reazione, il cuore di Jean perse qualche colpo, mentre Eren scosse un po’ il corpicino che sembrava più che mai fragile e piccolo avvolto in tutto quel tessuto.
Che tuttavia non lo proteggeva abbastanza da tutto il gelo che lo aveva già aggredito.
Le carezze di Eren si fecero più insistenti, la voce più bassa e spezzata dal pianto:
“Ti prego, svegliati”. Una lacrima cadde sul viso di Armin.
Le labbra, ormai violacee e coperte da uno strato di ghiaccio, ebbero un fremito, anche le ciglia vibrarono e, tra le palpebre, si accese una scintilla d’azzurro.
“E… ren…”.
Eren annuì, sorrise tra le lacrime, lo accarezzò ancora e lo abbracciò con maggior foga:
“Bravo… guardami… non smettere di guardarmi. C’è anche Jean qui con me…”.
“Io… sono stanco… ho freddo… gli occhi… non riesco a tenerli aperti”.
“Sì che ci riesci, perché io sono qui… e se mi guardi, se ti concentri su di me, riuscirai a fare qualunque cosa. Non me lo hai sempre detto?”.
In un altro momento, forse, Jean avrebbe storto il naso.
Ma quel suo prenderli in giro per il loro eccessivo attaccamento non era dopotutto, per lui, una reazione di facciata?
La realtà era che sentì gli occhi pungere, la vista gli si annebbiò e non era solo per la tempesta.
“Allora resisti, Armin, d’accordo? Io sono qui, anche Jean è qui e non ti lasciamo. Ti tengo stretto e ti riporto al caldo”.
Eren si rialzò, con quel fardello che stringeva come se si trattasse del più prezioso dei tesori.
Ed effettivamente lo era, pensò Jean, era talmente evidente la simbiosi che quei due condividevano e lui…
“No” si disse. “Non sono geloso… perché dovrei esserlo?”.
“Eren… ma… sono pesante… non puoi portarmi così… fino…”.
“Pesante?”. Eren interruppe ogni obiezione cui la voce flebile di Armin stava dando forma. “Sei leggero come una piuma, quando torneremo ti costringerò a mangiare di più, a costo di spingerti in bocca il cibo a forza”.
Armin gemette, nascose il viso contro il petto del compagno e forse, in un’altra situazione, Jean sarebbe scoppiato a ridere.
Ma si trovavano in frangenti fin troppo drammatici, che aprivano possibilità a diversi scenari.
Il più cinico di tali scenari prevedeva l’abbandonare Armin e proseguire loro due, che erano ancora in forze e avevano buone possibilità di ritrovare la strada verso il rifugio.
Molti tra i cadetti avrebbero appoggiato e seguito seduta stante tale piano, senza pensarci troppo: erano soldati, avevano delle priorità e tali priorità, spesso, richiedevano di lasciare indietro i compagni che soccombevano o che, per qualche motivo, erano impossibilitati a proseguire.
Né lui, né Eren, sarebbero stati disposti a prendere in considerazione tale possibilità, tuttavia, tanto valeva accantonarla subito.
Il secondo scenario, forse, rappresentava la giusta via di mezzo. Uno di loro avrebbe potuto fermarsi con Armin e l’altro proseguire, ritrovare la strada, chiamare aiuto.
Ma non vi era alcuna garanzia di ritrovare il percorso giusto e il rischio sarebbe stato quello di ritrovarsi smarriti in luoghi diversi, così uno di loro si sarebbe comunque ritrovato solo e in pericolo.
Alla resa dei conti, l’unica decisione accettabile era sembrata, ad entrambi, quella di restare uniti.
Salvarsi tutti e tre o morire tutti e tre.
Forse i più lo avrebbero considerato stupido, ma…
“A me sembra questa la soluzione più ovvia” borbottò Jean.
“Come hai detto?” domandò Eren, arrancando, passo dopo passo, nella neve che arrivava fin quasi alle ginocchia.
“Niente. Non chiacchierare e risparmia le forze, se proprio non vuoi che ti dia il cambio. Non voglio ritrovarmi a dovervi portare in braccio tutti e due”.
“Non succederà!” ringhiò Eren e cercò di accelerare il passo, ma una gamba rimase intrappolata nella morsa di neve e lui ricadde in avanti, preoccupandosi, anche in quel frangente, di proteggere Armin.
“Eren…” piagnucolò il piccolo compagno.
“Tranquillo, Armin” esclamò Eren, ansimante, mentre a fatica cercava di tirarsi su.
Jean si affrettò a prenderlo per le spalle e a sorreggerlo.
“Ce la faccio!”.
Jean trovò fuori luogo quella protesta e rispose d’istinto, con fare aggressivo:
“Senti, siamo in tre qui. Io sto meglio di te, perché non ho pesi da portare. Almeno non impedirmi di esserti di sostegno se sei in difficoltà!”.
“Io non sto portando nessun peso!”.
E, per sottolineare quanto trovasse assurda quella parola riferita ad Armin, Eren lo strinse con più decisione e riprese a camminare, faticando ad ogni passo, era evidente, ma testardo come suo solito.
Tanto che Jean sbuffò e gli stette dietro, senza smettere di controllarlo neanche per un istante, pur senza più allungare una mano verso di lui.
Proseguirono per un po’, senza parlare. Mantenere la cognizione del tempo era impossibile, così come lo era distinguere qualcosa in quel paesaggio rimodellato dalla neve e avvolto da quel velo di ghiaccio spinto dal vento che trafiggeva il volto.
A tratti, nell’inferno bianco, la voce di Eren si faceva udire, rivolta ad Armin:
“Sei sveglio, vero? Non dormire… mi raccomando… guardami… guardami sempre...”.
All’inizio Armin rispondeva, con piccoli gemiti, piccole frasi, o semplicemente pronunciando il nome di Eren. Ma Jean si rendeva conto di come la sua voce fosse sempre più flebile, meno convinta, sempre più distante da loro.
E durante gli ultimi tentativi non sempre rispondeva, tanto che Eren alzava la voce e il suo tono si faceva angosciato:
“Non farmi scherzi, resta sveglio!”.
Quando smise definitivamente di rispondere, Eren ricadde in ginocchio: la disperazione gli impediva di resistere ancora.
Se perdeva Armin, se per lui non c’era speranza, andare avanti non aveva senso.
“Armin!” gridò, un urlo che riverberò nel petto di Jean e gli fece correre brividi lungo la schiena.
Si trovò a tremare con più forza di quanto già il gelo lo costringesse a fare.
“Merda!” imprecò e cadde a propria volta in ginocchio.
Fece per allungare una mano verso la spalla di Eren, doveva convincerlo che, nonostante tutto, in qualunque modo fosse andata, non potevano restare lì fermi a piangere ma, proprio in quel momento, tra le spire della tempesta intravvide qualcosa, una sagoma, che sembrava avanzare verso di loro.
Nonostante la scarsa visibilità, impiegò solo pochi istanti a distinguere una figura umana a cavallo.
Sgranò gli occhi, un senso di sollievo si diffuse in tutto il suo animo e diede uno scrollone al compagno:
“Eren… Eren siamo salvi!”.
Poi sollevò un braccio, agitandolo in direzione della persona che si stava avvicinando:
“Ehy, siamo qui! Siamo qui!”.
Il passo del cavallo accelerò un poco, quel tanto che le condizioni ambientali permettevano.
Anche il viso di Eren si sollevò, comprese quel che Jean aveva visto, poi lo lasciò ricadere, appoggiando la propria fronte a quella del compagno inerme:
“Armin… hai visto? Te lo avevo promesso… siamo salvi… presto sarai al caldo… resisti… resisti ancora un po’”.
Le parole uscirono a stento tra i singhiozzi, mentre il cavallo si fermò e il suo cavaliere si mise a fissarli, dall’alto:
“E così, ecco i tre bimbi smarriti”.
Il tono era freddo, un po’ dispotico, ma nulla tolse alla felicità di vedere il capitano Levi, di sapere che si era messo per strada, per cercare proprio loro.
“Sistemate Armin sul mio cavallo. Noi tre andremo a piedi, non siamo lontani. Ce la fate?”.
Negli occhi di Eren vi era una totale adorazione mentre annuiva e, per una volta, lasciò che Jean lo aiutasse a posizionare Armin sulla schiena dell’animale.
“Armin…” gli sussurrò, lasciandogli una carezza sul viso, prima di sistemare meglio il mantello, “dammi un segno… un solo segno di vita. Presto sarai al caldo”.
Il viso del ragazzino si mosse appena e un debole, forzato sorriso, incrinò le sue labbra congelate.
Per Eren era sufficiente e si rivolse al loro salvatore:
“Capitano… grazie!”.
“Non piagnucolare e risparmia le energie, siamo vicini, ma non ho nessuna intenzione di doverti portare in braccio o di far faticare ancora il mio cavallo”.
Levi Ackermann non risparmiava nulla.
Eppure, Jean era convinto di aver scorto l’ombra di un sorriso su quel volto arcigno…
Si strinse nelle spalle: forse era solo un’illusione, in mezzo alla tempesta la vista poteva giocare strani scherzi.
 
 
 
   
 
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