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Autore: SkyDream    15/08/2021    3 recensioni
[Ship!SakuAtsu][Accenni UshiSaku]
Atsumu e Kiyoomi fanno parte dei MSBY Black Jackals ormai da due anni e il sogno della Nazionale comincia a farsi sempre più vivo davanti i loro occhi.
Eppure, non è così semplice come si crede.
Non è affatto semplice nemmeno accettare se stessi e ciò che si ha dentro, perchè spesso le emozioni e le pulsioni scuotono più di una cannonata.
Dal testo:
Glielo diceva sempre l’allenatore di stare attento quando si ritorna con i piedi per terra, perché a forza di passare troppo tempo in aria spesso i pallavolisti non riescono ad atterrare bene.
E per Atsumu la regola non faceva eccezione.
-
«E’ brutto vivere tutta la tua esistenza in simbiosi con qualcuno per poi separartene, ti fa sentire mutilato».
Già, mutilato, ecco come si sentiva Kiyoomi. Senza un braccio o senza una gamba.
Incompleto. Instabile. Vulnerabile.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Wakatoshi Ushijima
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ Walk me down your broken line ~
[SakuAtsu]
 
The clouds in your eyes
Down your face they pour
Won't you be the new one burn to shine
I take the blue ones every time
Walk me down your broken line

All you have to do is cry
(Joshua Radin - Closer)


Per Atsumu non era stato facile respirare dopo quella partita, e per svariati motivi.
Le convocazioni erano arrivate a pochissimi giorni dal primo ritiro come nuova squadra, Kiyoomi non frequentava più casa sua dopo l’ultima partita – in generale, si erano sentiti molto meno – e suo fratello di certo non gli rendeva facile la vita.
Atsumu giaceva con la fronte sul bancone di Onigiri Miya, a pochi minuti dalla chiusura serale, con al suo fianco due birre vuote e una ciotola sporca di riso.
Aveva raccontato tutto, ma proprio tutto, ad Osamu che non aveva perso tempo per insultarlo.
«Ti rendi conto che sei più preoccupato per la questione Omi che per la convocazione che hai ricevuto poco fa?».
«Non c’è nessuna questione Omi, ci sono semplicemente rimasto male perché non abbiamo più parlato in privato e non è più venuto a mangiare la mia meravigliosa soba. Tutto qui».
«Credo che tu gli abbia fatto odiare la soba a furia di preparargli soltanto quello».
«Tu gli avrai fatto odiare gli onigiri!».
«Questa è una bancarella di onigiri, idiota! E poi avresti potuto proporgli di cucinare per te qualche volta».
«Si è proposto, ma ho rifiutato. Non avrei retto a vederlo preparare da mangiare con quella sua precisione del cavolo! Avrebbe preparato dei piatti buonissimi!».
Osamu constatò che le bottiglie di birra fossero del tutto vuote e che la faccia di suo fratello fosse la stessa di chi alcol ne beve poco e ne regge ancora meno.
«Atsumu, non so più come dirtelo senza bloccarti la crescita. Ti piace Kiyoomi».
Il fratello si sollevò dal bancone come uno dei mostri dei film horror che alzano la testa di scatto e hanno gli occhi iniettati di sangue.
«Assolutamente no!».
«Quindi ho ragione.»
«E poi Kiyoomi ha una tresca con Ushijima, l’ex asso della Shiratorizawa, non ricordi?».
«Mi hai semplicemente detto che sono amici e che Ushijima si è preoccupato per le escoriazioni che ha riportato nell’ultima partita. Sei tu che ci vedi la tresca!» Osamu finì di ripulire i tavoli del negozio e pensò a come portare suo fratello fino a casa. Era praticamente un cadavere in fase di putrefazione.
«Beh, tu non hai visto come si guardano quei due! E io non ho nessunissima intenzione di star male per una questione simile!».
«Quindi la questione di Omi esiste e ti ferisce pure, ho proprio fatto tombola».
Atsumu si sollevò dalla sedia per andarsene a casa e alzare il medio a suo fratello, ma per sua sfortuna si ritrovo steso con la faccia sul pavimento.
Osamu sorrise tra il preoccupato e il divertito, si accovacciò al suo fianco e si assicurò che non fosse svenuto.
«Vuoi una mano ad alzarti, fratellino?».
«Vai dove sai tu e lasciami qui per terra, rende bene l’idea di come mi sento dentro».
Senza obiettare, l’altro gemello tornò a pulire il locale senza però distogliere lo sguardo da Atsumu.
Era davvero così difficile ammettere di avere dei sentimenti?
 

Kiyoomi non aveva minimamente seguito la replica di quel game show sulla cultura generale.
Solitamente si dilettava anche da solo ad indovinare le parole o le citazioni – per quanto giocare con qualcuno al proprio fianco fosse indubbiamente più divertente -.
Quella notte però no, quella notte non aveva davvero dormito niente né era riuscito a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi pensieri.
Sentiva i suoi neuroni aggrovigliarsi e muoversi, pulsare e poi morire di stenti. Ne aveva persi parecchi nelle ultime settimane.
Il fardello che lo teneva impegnato aveva un orribile ciuffo biondo e un paio di occhi castani vispi e strafottenti.
Omi non lo avrebbe mai ammesso, ma Atsumu gli mancava. Non aveva più la scusa degli allenamenti per andare a cenare e a dormire a casa sua, non potevano più guardare insieme i game show né restare a chiacchierare sul divano fino ad addormentarsi. Gli mancavano le sue finte lamentele e le battutine scomode.
E i sorrisoni che gli dedicava alla fine di quegli allenamenti estenuanti che praticavano sera dopo sera da soli.
Sentì una certa nostalgia perfino del suo viso rilassato, con le labbra schiuse, che vedeva quando si assopiva in auto – sulla strada del ritorno – o quando si affacciava nella sua camera per svegliarlo all’alba e andare a correre, ma lo trovava ancora a letto.
Omi, esattamente come quando si era allontanato da Motoya, si sentiva solo.
Vi era però un altro fardello dagli occhi e i capelli olivastri, dal portamento stoico e lo sguardo involontariamente intimidatorio. Ushijima non era capace di mentire, era sempre schietto e sincero con lui, per quanto negli ultimi anni avesse aggiunto alle sue abilità anche la comunicazione non verbale.
In questo era esattamente opposto ad Atsumu, campione mondiale di menzogne e raggiri, che però col corpo comunicava tanto. Con lo sguardo, perfino con i movimenti delle labbra. E in quei casi mentire è davvero impossibile.
Kiyoomi non poteva più nasconderlo a se stesso, quei due ragazzi lo attraevano in due modi totalmente differenti, ma lo attraevano tantissimo.
Poggiò sul tavolino la sua birra analcolica e si piegò in avanti come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.
I titoli di coda sullo schermo gli ricordarono che le tre di notte erano passate da un pezzo. La sveglia avrebbe suonato solo un paio di ore dopo per ricordargli di alzarsi, fare colazione, correre, lavarsi e poi – solo poi, solo dopo la sua routine – avrebbe raggiunto gli altri membri della squadra per andare a Tokyo.
Il sogno della Nazionale era ormai alle porte.
Atsumu ce l’aveva fatta e Omi si sarebbe dovuto sentire davvero felice.
Ma così non era.

 
 
«Ti dedicherò ogni mio ace, Keiji!» la voce di Bokuto risuonava per i corridoi dell’hotel in cui sarebbero stati ospitati per quasi una settimana.
Shoyo aveva sgranato gli occhi davanti i muri ricolmi di vetrate da cui si vedeva tutta Tokyo, non era riuscito a trattenere un versetto entusiasta per quell’extralusso a cui non era decisamente abituato.
Tobio gli era rimasto a fianco rivolgendo lo sguardo verso i muri color oro con degli eleganti disegni neri che si snodavano fino al pavimento lucido in finto legno.
Si accorse che sulla destra, al bancone della hall, il loro allenatore - Fuki Hibarida – stava raccogliendo le chiavi delle camere dove avrebbero alloggiato.
Passò difatti solo qualche minuto prima che queste venissero consegnate ai giocatori insieme ad una mappa dell’hotel e una lista di eventuali numeri a cui fare riferimento.
«Per questa sera sarete liberi, il viaggio è stato lungo e alcuni dei vostri compagni non sono ancora arrivati a causa del maltempo. Noterete che questo albergo ha anche una palestra integrata, quindi fateci pure un salto se volete, ma non esagerate! Domani mattina alle sei in punto vi voglio attivi e scattanti!» Hibarida terminò il discorso con un rassicurante sorriso a trentadue denti.
Atsumu afferrò la sua chiave e il depliant con su graffettato un bigliettino con i numeri delle stanze e i cognomi. Trovò – stranamente – il suo scritto accanto a quello di Kiyoomi Sakusa.
Alzò gli occhi verso il suo compagno che, a sua volta, lo stava fissando con le pupille ridotte ad uno spillo.
“Poco male, non sarà tanto diverso dal dormire insieme a casa mia.” pensò fissando la card dorata tra le mani per aprire la porta.
«Ti va di sgranchire un po’ le gambe?» Kiyoomi gli si era avvicinato, la mascherina ben adesa al volto e i ricci spettinati che ricadevano in disordine sulla fronte.
Atsumu notò che indossava una camicia grigio chiaro sotto un leggero maglioncino scuro, i jeans neri risaltavano il suo fisico statuario.
Quel dannato profumo pungente lo stava avvolgendo facendolo morire lentamente dentro.
Deglutì a vuoto e poi sfoggiò l’ennesimo sorrisetto sornione.
«Mi va di far vedere chi comanda qui dentro!» lanciò un’occhiata a Tobio, troppo occupato ad esser trascinato per una manica da Shoyo. Probabilmente sarebbero andati in palestra anche loro.

 
Era stato un allenamento abbastanza leggero.
Fortunatamente tutti i membri si conoscevano da tempo, trovare un minimo di sintonia non si era rivelato poi così difficile.
Atsumu e Tobio si erano sfidati all’ultimo sangue in battuta, senza neanche aprire bocca tra l’altro. Era bastato loro uno sguardo.
Identico a quello che si erano scambiati alla fine della loro prima partita.
Quando decisero di tornare in camera Omi lanciò un asciugamano in fronte al suo alzatore per farlo tornare con i piedi per terra.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma lo infastidiva non poco vedere Atsumu con gli occhi piantati su quella bellezza sovraumana del ragazzo di Shoyo.
«Sto andando a farmi una doccia in camera. Tu rimani qui a fare il palo della luce?» gli chiese avvicinandosi e ricevendo un’occhiataccia per l’asciugamano volante.
«Io farò una doccia qui sotto e poi devo fare una chiamata importante. Ci vediamo direttamente per la cena in sala da pranzo?» Atsumu ricevette un’alzata di spalle come tutta risposta.
Sospirò e afferrò il borsone.
Sarebbe stata una lunghissima settimana.

 
Kiyoomi, sotto la doccia, respirava così profondamente da sperare di morire annegato. E non sarebbe stata la cosa più improbabile.
Kiyoomi si sarebbe aspettato tante cose da quella giornata: un’eruzione del monte Fuji, ad esempio, o una pioggia di grandine, un maremoto o l’implosione dei suoi ultimi neuroni.
Non si sarebbe di certo aspettato di dover aprire la porta della propria camera d’albergo a Ushijima Wakatoshi con indosso soltanto un paio di pantaloni.
«Scusami, ti ho disturbato.» intuì infatti l’altro guardando i capelli grondanti d’acqua di Omi.
«Avevo appena finito, non fa nulla. Sei arrivato adesso?» Omi rientrò in camera alla ricerca di un asciugamano con cui tamponarsi i ricci.
«C’è stata una forte tempesta a Miyagi, l’autobus ha dovuto rallentare a causa della pioggia.» Ushijima era rimasto fermo immobile poco oltre la soglia della porta.
Gli occhi fissi sulle scapole candide di Omi, intento a strofinarsi un asciugamano tra i capelli.
Contò ben cinque nei e altre piccole macchioline appena visibili, cercò di stamparsele bene in mente.
«Per fortuna è andato tutto bene. Ho visto che sarai in camera con mio cugino per questa settimana.» Omi si voltò e notò come l’altro stesse entrando con estrema lentezza.
Lo vide chiudere la porta dietro di sé.
«Ho già lasciato le valigie in stanza. Voi vi siete allenati in mia assenza?» la voce di Ushijima si era abbassata di un’ottava. Il respiro si era fatto più pesante, quasi difficoltoso.
«Alcuni di noi sì, allenamento libero per stasera, da domani cominceremo seriamente. Però credo di essermi contratto un muscolo del collo durante un servizio, mi toccherà fare molto stretching domani mattina».
Kiyoomi si tastò un lato della nuca, lì dove sentiva i muscoli rigidi e gonfi.
«Posso controllare?» Ushijima trattenne il fiato, chiedendosi da dove uscisse quel coraggio e quella sfacciataggine totalmente non da lui.
Omi sollevò gli occhi sui suoi e non seppe neanche come riuscì ad annuire. Improvvisamente tutte le sue paure scomparirono lasciando il posto ad un’emozione strana ed intensa.
«Girati verso il muro.» ordinò Ushijima prima di sfiorargli il collo con i polpastrelli, scese lento fin sulla scapola e notò come al suo passaggio si formasse una linea rosso fuoco.
Quei nei, visti da vicino, sembravano formare tante costellazioni e lui, solo sfiorandoli, avrebbe potuto crearle tutte.
La pelle di Omi aveva un profumo buono, pungente, eccitante.
Ushijima non si accorse nemmeno di star respirando con la bocca, in un’improvvisa fame d’aria.
«Ti fa male qui?» chiese spingendo il pollice poco sopra la scapola destra per poi risalire e sfiorare l’attaccatura dei capelli. Notò come le orecchie dell’altro avessero raggiunto una tonalità rosso accesso.
Appena cominciò a massaggiare, ad Omi scappò un gemito.
Non voleva – davvero – ma quella situazione aveva del surreale, si trovava steso contro un muro con un suo ex avversario che gli massaggiava la schiena nuda e gli respirava sul collo.
«Sì, esattamente lì.» e dovette ammettere a sé stesso che quella frase gli era uscita un po’ supplicante, forse fin troppo considerando il contesto facilmente fraintendibile.
Ushijima sentiva la testa leggera, portò l’altra mano sul fianco sinistro di Omi mentre con la destra continuava a spingere contro i muscoli in un movimento che ormai di casto aveva ben poco.
Non si accorse nemmeno di essersi avvicinato così tanto da far sentire all’altro il rigonfiamento dei suoi pantaloni.
Kiyoomi aveva degli ormoni.
Rintontiti dalle ossessioni, complicati, un po’ repressi, ma c’erano. E stavano urlando impazziti nella testa e nel bassoventre.
Sentire l’imponenza di Ushijima contro di sé gli fece tremare le gambe e per un momento fu tentato di aprire le ginocchia e spingersi di più contro il muro.
Ma qualcosa lo fece desistere.
Quella era pura pulsione sessuale. E non ci sarebbe stato nulla di male a cedere se non fosse che quella stessa pulsione vi era anche con un’altra persona.
Ma, a differenza di Ushijima, con quella persona non era solo pura pulsione.
Era qualcosa di più complesso, era la voglia di unirsi ancora e in modo più profondo. Di spogliarsi e non solo dei propri vestiti.
«Kiyoomi-» la voce di Ushijima era ormai un lungo e caldo gemito e Omi dovette prendersi davvero di coraggio per distaccarsi dalle sue mani e cercare una maglietta con gli occhi ancora annebbiati dall’eccitazione.
«Grazie, Wakatoshi. Va già molto meglio. Ora, se non ti dispiace, dovrei asciugare i capelli prima di scendere per la cena».
Omi non riuscì nemmeno a guardarlo in faccia, semplicemente preferì aprire la porta del bagno e chiudercisi dentro per poi poggiare la schiena contro il muro e riprendere fiato.
Il suo corpo aveva raggiunto una temperatura tale da convincerlo a infilarsi nuovamente sotto la doccia.

 
Aveva la gola asciutta.
Atsumu Miya non riusciva a pensare ad altro.
La chiamata con Osamu si era rivelata molto più rapida del previsto, mentre l’idea di salire in camera prima di cena si era rivelata un massacrante autogol.
Vedere Ushijima toccare in modo così intimo l’altro ragazzo gli aveva provocato un istinto omicida non indifferente.
Così, preso alla sprovvista e senza fiato, si ritrovò a bussare in camera di Motoya.
Lui avrebbe saputo aiutarlo, avrebbe messo ordine nella sua testa.
«Non hai una bella cera, Atsumu.» constatò il libero distogliendo lo sguardo da una chat sul telefono che sembrava averlo particolarmente preso.
«Devo parlarti.» la voce gli uscì così bassa e stridula da farlo sembrare in punto di morte. Aveva gli occhi sgranati e il colorito di un ipoteso sul punto di svenire.
Motoya si sollevò dal materasso e si mise seduto ascoltando ogni parola di ciò che l’altro aveva visto.
Atsumu più parlava più sembrava necessitare di un pronto intervento istantaneo.
Quando terminò, finalmente, trovò il coraggio di scivolare a terra e mettere il sedere sulla morbida moquette. Si accorse di avere le gambe tremanti.
«Ah, quindi è andato tutto secondo i piani. Meraviglioso.» Motoya, dopo aver ascoltato tutto, si rimise nuovamente a pancia in su e tornò a dedicarsi alla sua chat.
Atsumu sollevò lo sguardo sul suo con fare parecchio confuso.
«Scusa?».
«Credevi fosse opera del fato che tu e Omi foste capitati nella stessa stanza mentre io sia capitato come un martire in quella di Ushijima?».
«Non credevo che il fato avesse i capelli biondi».
«Sono castani».
«Motoy-».
Il libero bloccò lo schermo e si rimise nuovamente seduto sul letto, stavolta sporgendosi verso l’alzatore. Il sorrisetto e il luccichio dei suoi occhi non promettevano nulla di buono.
«Ti assicuro, Atsumu, che il tuo rivale in amore non è uno schiacciatore alto due metri dal portamento di un samurai e lo sguardo intimidatorio. Il tuo rivale è un ragazzo insicuro, riccio e dal cuore immenso. Omi era convinto di dover decidere tra te e Ushijima, ma la verità è che la sua decisione l’ha già presa molto tempo fa ma non voleva accettarla».
Atsumu tentò di nascondere le guance divenute leggermente rosse, forse per l’ansia o per l’emozione. Anche volendo dare ragione a Motoya, comunque era stato Ushijima a toccare Omi, non lui. E faceva male.
«Ascoltami – continuò poi –, quello che hai visto è semplicemente un passo che prima o poi entrambi avrebbero dovuto compiere. Quei due si sentono attratti da molto tempo, ma dovevano decidere cosa farne di questa attrazione, se coltivarla o meno e mi sembra che tu stesso abbia visto com’è finita».
«E’ finita che-» Atsumu aveva già alzato un indice per sottolineare un concetto che non gli uscì mai dalle labbra.
«Omi lo ha rifiutato, si è allontanato e lo ha rifiutato! Ora che mi sembra tutto abbastanza chiaro, puoi per favore tornare in camera e non farmi mai più immaginare mio cugino mezzo nudo e gemente?».
Atsumu, a quelle parole, credette di aver raggiunto il color porpora definitivo.
Ma si sbagliava.
Dalla porta del bagno, infatti, cominciarono a provenire strani rumori e poco dopo ne uscì Shoyo – tranquillissimo e con solo un asciugamano attorno alla vita – che si prese anche la briga di commentare.
«Tu e Omi Omi stareste veramente bene insieme!» il tono e il sorriso che sfoderò riuscì a rischiarare l’intera stanza.
Atsumu lo guardò con occhi perplessi, chiedendosi cosa diamine ci facesse lì dentro.
Lo chiese anche a voce alta, senza volerlo.
«Io e Tobio abbiamo rotto il box doccia della nostra camera e stiamo aspettando che lo riparino.» si giustificò l’altro con un po’ di imbarazzo portando una mano alla testa.
Atsumu sollevò le sopracciglia e gli sembrò di sentire il cuore fermarsi.
Quella affermazione voleva forse dire che in quel bagno vi era anche…
«Tobio! Muoviti che tra poco è pronta la cena!» urlò infatti l’ex piccolo corvo rivolto verso la porta alle sue spalle.
Atsumu, al solo immaginare i commenti mentali di Tobio riguardo la sua questione Omi, stilò una serie di modi creativi per praticare harakiri.
 

 
La cena sembrò durare un’eternità e Kiyoomi ringraziò il cielo di avere dei compagni così casinisti.
Non aveva proprio voglia di rimanere ad ascoltare i suoi pensieri, lasciarsi distrarre da quella baldoria era molto più semplice e meno masochista.
Non potè evitare, però, di notare come Atsumu sembrava sforzarsi di rimanere al passo della comitiva piuttosto che divertirsi. Sembrava inseguirli.
Sul suo volto non riuscì a riconoscere un solo sorriso sincero.
Ushijima, nell’angolo opposto della tavola, aveva passato invece tutto il tempo a conversare con il loro allenatore, stando ben attento ad evitare il suo sguardo in ogni istante.
Si sentiva davvero a pezzi per quello che aveva fatto. In parte responsabile di averlo un po’ provocato per poi tirarsi indietro.
Niente da fare, nemmeno le freddure di Motoya e le urla entusiaste di Bokuto riuscivano più a tenergli occupata la testa.
E la sua psicologa glielo aveva detto spesso: “Quando senti di essere arrivato al limite, fermati”.
Così Kiyoomi si congedò con una scusa e preferì tornarsene in camera, pronto ad affrontare i suoi mostri a cuore scoperto.
E i suoi mostri non avevano un brutto ciuffo biondo né magnetici occhi oliva.
Avevano invece lo stesso aspetto del suo riflesso allo specchio.
Così, come faceva sempre, cercò il pavimento vicino la finestra aperta e prese un paio di respiri profondi prima di chiudere gli occhi.
Quella situazione lo stava logorando, e lo logorava ancora di più prendere piano piano coscienza di quanto fosse tutto sbagliato.
Lui e Atsumu non avrebbero mai funzionato! Non con le sue insicurezze nascoste, con il tornado di sensazioni tremende che aveva dentro, con la sua innata capacità di mandare tutto a rotoli.
Di essere evitato.
 
Se per metà della tua vita qualcuno non ha fatto altro che disinfettarti
 e per l’altra metà qualcuno non ha fatto altro che evitarti,
 un motivo ci sarà.
 
Kiyoomi provò ad inspirare dal naso ma non ci riuscì, finendo per schiudere le labbra.
Come aveva fatto a non pensarci prima?! Per lui Atsumu non era pura pulsione, era attrazione, affetto, voglia di condividere, di stare l’uno accanto all’altro.
Ma lui cos’era per Atsumu? Solo pelle da sfiorare?
Uno dei suoi tanti giochetti?
D’altra parte, come poteva pensare a qualcosa di così falso se, ad occhi chiusi, rivedeva ancora Atsumu in quella felpa troppo grande che si strofinava una manica sul volto e gli chiedeva di dormire insieme sul bus?
Era così immerso in quei pensieri veloci come la luce che non si accorse neanche del toc toc che proveniva da dietro la porta.
«Stai bene?» una voce nota lo richiamò alla realtà e solo in quel momento riuscì ad aprire gli occhi, senza però mettere a fuoco.
Atsumu aveva chiuso la porta alle sue spalle e si stava avvicinando lentamente, come se Omi fosse un piccolo gatto randagio.
«Sto bene.» fu la risposta secca, fredda, tremante.
Omi non riuscì bene a distinguere i movimenti dell’altro finchè non sentì della stoffa premere sulle sue spalle.
«E’ la mia felpa, copriti. Pare che tra poco arriverà la tempesta che ha già colpito Miyagi. Si abbasseranno le temperature.» Atsumu ripetè le esatte parole che suo fratello gli aveva urlato al telefono solo qualche ora prima.
Lo ringraziò mentalmente.
Omi si era stretto contro le ginocchia al petto e aveva distolto lo sguardo da quello di Atsumu, ora seduto di fronte a se.
«Devo chiederti una cosa.» la voce dello schiacciatore era quasi supplichevole, spaventata.
Così diversa da quella sfottò che solitamente utilizzava con Atsumu.
«Sono qui».
Omi rabbrividì a quelle semplici due parole.
Sono qui. Qui e da nessuna altra parte e con nessun altro.
«Che intenzioni hai?».
Di farmi del male, di distruggermi, di giocare con me come il gatto e il topo?
«Di cucinarti infiniti chili di soba, Kiyoomi Sakusa».
Entrambi pensarono che, più che una dichiarazione, sembrava si trattasse di una minaccia. Ad Omi sfuggì un piccolo sorriso.
«Apprezzo il pensiero, ma preferirei cucinare io…».
«Ah.» la voce di Atsumu ormai ridotta ad un piccolo lamento deluso.
«…per entrambi».
Omi sollevò lo sguardo e notò le guance ora rosse del suo alzatore. Sembravano due ragazzini del liceo.
«Anche io ho una domanda per te.» disse Atsumu con rinnovato coraggio.
Omi si limitò ad annuire, la gola secca e il respiro corto.
«Io ti pia-» un tuono fragoroso interruppe la frase a metà costringendo Atsumu ad alzarsi per chiudere la finestra da cui aveva cominciato ad entrare un vento piuttosto freddo.
Non ne ebbe il tempo, però, che Omi – ancora ai suoi piedi – lo invitò a sedersi al suo fianco con un unico movimento del braccio.
Quando furono spalla a spalla, Omi potè finalmente poggiare la testa su di lui e chiudere nuovamente gli occhi. L’aria era ormai congelata ed entrambi furono tentati di alzarsi per porre fine a quella tortura metereologica.
Ma nessuno dei due ne ebbe il coraggio.
Quando Atsumu aprì le braccia per circondarlo e proteggerlo al suo petto, ecco che la pioggia cominciò a picchiettare sulle mattonelle del balcone.
«Mi piaci, idiota di un Miya. Ma non voglio che tu mi dica di ricambiare per gentilezza».
«Okay, non lo farò per gentilezza».
Entrambi sorrisero leggermente, persi l’uno nel profumo e sulla pelle dell’altro.
Atsumu lo strinse ancora un po’ verso di sé, sentiva l’aria infiltrarsi tra i ricci morbidi e profumati dell’altro e poi sollevare il proprio ciuffo dalla fronte.
Pensò che avrebbe voluto passare così ogni singolo giorno d’autunno, sfiorando le guance morbide di Omi mentre si beccava delle frecciatine acide – ma mai dette con cattiveria-.
Realizzò che, tra le tante cose, avrebbe anche voluto baciare quel broncio adorabile che lo aveva fatto riemergere dopo l’incidente con la caviglia.
Sospirò rumorosamente e quello dovette essere sicuramente il segnale che Omi attendeva per sollevare il volto dal suo petto e poggiare le loro fronti. Il freddo li stava facendo gelare, ma non era quello il momento per interromperli.
«Ti ricordi quando ti ho giurato che avrei reso i tuoi allenamenti un inferno e mi sarei fatto odiare?».
«Mi sono vendicato cucinando per te per intere settimane».
Omi gli diede una piccola testata per invitarlo a stare zitto, Atsumu rispose con un lamento risentito, ma lo lasciò fare.
«Ci ho messo tutto me stesso per farti convocare qui in Nazionale e giocare con te ancora e ancora, perché volevo camminare con te. Mi sono impegnato davvero».
«Lo so, Omi, me ne sono accorto.» la voce di Atsumu era un sospiro leggero, era una carezza.
«Se tu vorrai stare al mio fianco, Atsumu Miya, io ti giuro che mi impegnerò cento volte tanto per renderti felice. Ma non ti assicuro di riuscirci».
Atsumu sollevò le mani per poggiarle sul volto del ragazzo, aveva la pelle fresca così in contrasto con le guance maledettamente calde.
Attraenti.
«Lo fai già, Kiyoomi. Mi rendi felice quando ti fidi di me, quando ti dimentichi del disinfettante e dei batteri e rimani a giocare con me per ore, quando ti addormenti al mio fianco sul divano o sul bus. Mi rendi felice ogni volta che mi guardi ed è tremendamente imbarazzante dirlo a voce alta, sappilo».
Omi rise leggermente, le labbra ormai ad un soffio dalle sue.
«Sei davvero un diavolo, Miya».
E finalmente potè saggiarle quelle labbra, potè sentirne la consistenza e l’insicurezza.
Per Atsumu quello non era il primo bacio, decisamente, ma poteva affermare come fosse la prima volta in cui sentiva le gambe tremare e lo stomaco sottosopra.
Da un dolce e delicato tocco, cominciò a trasformarsi in qualcosa di più irruente.
Kiyoomi sentì lo stesso calore al bassoventre che aveva provato nel pomeriggio, ma moltiplicato all’ennesima potenza. Sentì di poter lasciare alle proprie spalle ogni paura, ogni timore.
Tra le braccia di Atsumu sarebbe sempre andato tutto bene. Ne era certo.
E a quella consapevolezza doveva aver aggiunto parecchia energia al bacio perché l’altro ragazzo si era lasciato sfuggire un gemito parecchio eccitante.
Omi scivolò appena sulla sua bocca, raggiungendo il labbro inferiore e arpionandolo con un canino. Il lamento stavolta fu decisamente più lungo.
«Omi, ti prego, non così veloce. Più lento.» quella supplica sussurrata a fior di labbra non fece altro che accenderlo ancora di più.
E la temperatura in quella stanza cominciò a salire e salire.
«Abbiamo tutta la notte».
Omi rimase sordo a quella richiesta e riprese a baciarlo, ora in modo decisamente più lascivo con piccoli e ripetuti scatti del mento. Voleva fargli perdere il controllo.
E ci riuscì alla grande.
Atsumu lasciò andare il viso dell’altro e insinuò le mani sotto la sua felpa, poi ancora sotto la maglietta. Lì, sulla pelle che Ushijima aveva osato sfiorare.
Un moto di gelosia si accese proprio al centro dello stomaco.
E l’aria fredda dalla finestra non fu più un problema, decisamente.
«Kiyoomi, giurami che rimarrai. Perché tu mantieni sempre le promesse.» Atsumu si era ritrovato a cavalcioni sull’altro, ormai sdraiato sulla moquette della camera ancora per poco con indosso una felpa non sua.
«Rimarrò, purchè tu mi conceda di cucinare».

 
Qualche stanza più in là, seduti per terra, Suna e Motoya sollevavano i pollici ad un Osamu in videochiamata.
 
Ushijima, di fronte il muro della palestra, continuava a palleggiare in silenzio, ancora stravolto dagli eventi di quel pomeriggio.
Non lo sapeva ancora, ma anche lui presto avrebbe trovato la felicità.
 
Tobio e Shoyo spensero la luce della camera e lasciarono cadere a terra un bigliettino che avevano trovato appeso alla porta*.
 
Bokuto, con la testa infilata sotto le coperte, si stava per addormentare guardando il suo ragazzo dall’altro lato del telefono, già tra le braccia di Morfeo.
 
Nell’albergo era ormai calato il silenzio, si potevano sentire solo i respiri pesanti di chi dormiva e i sorrisi di chi poteva finalmente fare bei sogni.
E Kiyoomi lo sapeva bene quanto costasse quel sorriso, ora che poteva liberarlo mentre si assopiva sulla spalla del suo ragazzo – con le labbra ancora rosse per i baci -.
Le sfiorò un’ultima volta prima di lasciarsi andare.
E fu l’ultima promessa.
 
Finchè ci sarò io, non sarà mai finita.
E’ solo l’inizio.
 

*Biglietto:"Siete ufficialmente banditi da tutte le docce dell'albergo. Firmato: l'amministrazione".

Note autrice: Eccoci alla fine di questa storia! Non è la mia SakuAtsu migliore e decisamente alcuni punti andrebbero modificati, ma mi sono divertita così tanto a scriverla che non potrei realmente cambiare neanche una virgola.
Ho solo voglia di scrivere ancora e ancora su di loro e, in generale, su Haikyu che - ormai da quasi un anno - mi ha travolta e mi ha permesso di divertirmi, conoscere gente nuova e tornare a respirare.
Grazie a tutti voi che leggete le mie storie e che con infinita pazienza siete arrivati fino alla fine di questo capitolo.
Vi sono veramente grata!

-SkyDream-
   
 
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